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Autore: _demonblood_    02/02/2014    2 recensioni
In "Città degli Angeli Caduti", Alec Lightwood e lo stregone Magnus Bane fanno un viaggetto romantico in giro per il mondo. Esso, tuttavia, non sarà del tutto tranquillo, ma di certo sarà emozionante per i due protagonisti, il posato ed inesperto Alec e l'eccentrico Magnus...
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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  «Bella questa!» disse Magnus con una grottesca imitazione dell’italiano. Teneva il cellulare il più lontano possibile dal viso, e ammirava la loro ultima foto scattata a Firenze da ogni angolazione. Portava ancora quel cappello da gondoliere, che Alec trovava molto buffo, ma tutto sommato anche carino. «La devi assolutamente inviare a Jace.»
  «Io non so…» mugugnò Alec «È che sarà stufo di ricevere foto nostre, dopo quella al Big Ben, a Tokio, tra le rovine Maya, sugli elefanti in Africa e a Parigi…»
  Magnus sbuffò. «Come sei paranoico, Alexander. Sicuramente gli fa piacere sentire nostre notizie. E poi, non dirmi che questo completo made in Italy non mi dona! Tu piuttosto…» scosse la testa in modo teatrale. «Ok dai, non importa. Cerchiamo un ristorante per cenare. La cucina italiana! Un’arte. A te l’onore di scegliere, io sarei piuttosto indeciso.» Alec si guardò intorno, disorientato. Si passò una mano tra i capelli scuri e indicò un ristorante con il terrazzo che sembrava più che altro una tavola calda. Magnus, senza dire una parola, si avvicinò al luogo, ma gli occhi di Alec, che continuavano a ruotare intorno alla piazza, avevano incontrato un ristorante ancora più invitante anche se dall’aria costosa. Lo fece notare a Magnus, che ne fu molto entusiasta. «È esattamente quello che avrei scelto io!» commentò, guardandolo con quei suoi occhi felini, a cui Alec non poté fare a meno di sorridere.
  Dopo un abbondante piatto di spaghetti che non lasciò loro neanche lo spazio per il dessert, Alec si batté la pancia soddisfatto. «D’accordo, invio la foto a Jace» disse. La mano destra di Magnus si sovrappose alla sua sinistra, più pallida, mentre inviava l’allegato. Il suo primo impulso fu di ritrarsi, poiché si trovavano in pubblico; ma poi riuscì a costringersi a restare dov’era, continuando però a cercare sguardi di derisione nella gente che li circondava. Non ne trovò, anzi, tutti sembravano totalmente disinteressati a loro. Magnus alzò gli occhi al cielo.
  «Ehi, se non ti lasci un po’ andare la tua vita sarà un inferno, tesoro» e Alec, senza dire nulla, gli diede un bacio frettoloso sporgendosi appena da sopra il tavolo.
  «Ti basta per “lasciarsi andare”?» chiese con tono di sfida, ma senza arroganza.
  «È qualcosa» ammise annuendo lo stregone. Poi si alzò. «Su, andiamo a pagare il conto. So che non sei a tuo agio tra la gente.» Alec fece una smorfia divertita. Magnus pagava il conto? Si alzò comunque.
  Magnus passò davanti alla cassa del ristorante con espressione apparentemente neutrale. Uscendo, agitò appena un dito in direzione dello staff per far dimenticare che erano passati, e lui e Alec uscirono come niente fosse. Fuori c’era un venticello serale piacevole. Magnus pensò che fosse proprio l’ideale per fare una passeggiata, ma soprattutto una passeggiata indisturbata. Rese invisibili con una magia sé stesso e Alec. Il ragazzo, man mano che camminavano per le vie affollate, sembrò rendersi conto di essere stato reso invisibile. Così, stupendolo (non avrebbe mai immaginato l’inflessibile Alexander Lightwood capace di una cosa del genere!) lo sbatté piano contro il muretto di un vicolo ed iniziò a baciarlo appassionatamente. Magnus affondò una mano tra i suoi capelli d’inchiostro morbidi e folti e si lasciò trasportare. All’improvviso entrambi si bloccarono a causa di un rumore sospetto: Alec estrasse un pugnale, l’unica arma che si portava dietro, dalla tasca dei jeans e si guardò intorno allarmato. Magnus lo sentì irrigidirsi vicino a sé. Dal fondo del vicolo, quasi privo di passanti, una cosa si trascinava verso di loro. Una cosa molliccia, a giudicare l’andatura. Dall’alito fetido, perché arrivavano ventate vomitevoli da quella direzione.
«Fame» sussurrò involontariamente Magnus. Non voleva spaventare Alec, ma doveva proprio dirlo. Stavano per essere attaccati da un demone Superiore onnivoro. Ma veramente tanto onnivoro. Magnus si preparò con le mani tese davanti. Devo proteggere Alec. Fame entrò finalmente nel loro campo visivo in tutta la sua orrendezza, con le tante bocche che si aprivano e chiudevano senza seguire uno schema preciso, perciò ogni volta che i due sentivano lo scatto dei denti sussultavano leggermente. Magnus fece scaturire una tempesta di schegge di vetro dalle mani, che si conficcarono sulla pelle squamosa e molliccia del demone, macchiandolo di pus e icore nero. Ma quello continuava a muovere le bocche come un ammasso di spazzatura dalle buste rotte e mosse dal vento, munite di denti affilati come coltelli. Alec si scagliò contro il demone con il suo piccolo pugnale (fortunatamente già provvisto di rune) e cominciò a ferirlo ripetutamente, entrando e uscendo da quell’ammasso di orrori puzzolenti riciclati. Fame gli alitò forte in faccia, facendogli rizzare i capelli e perdere l’equilibrio. Magnus lo prese al volo, sorreggendolo sotto le ascelle. Poi puntò un dito contro il mostro, che cominciò a contorcersi dal dolore. Dalla tempia di Magnus scese una goccia di sudore: era un incantesimo difficile da mantenere, con un demone Superiore. Ma questo diede il tempo necessario ad Alec di riprendersi dallo stordimento e scagliarsi ancora contro il mostro, e incidere dei solchi profondi e lunghi in tutto il suo corpo viscido. Il suo icore liquido e putrido scorreva copioso, le bocche continuavano a masticare l’aria intorno a loro. Magnus sussultò: una di esse stava per afferrare il braccio di Alec. A Magnus doleva la spina dorsale, aveva brividi in tutto il corpo. Alec affondava l’arma, ancora, ancora e ancora, il suo braccio, sporco di sangue di demone, sfrigolava. Dopo attimi che sembrarono infiniti, Fame finalmente si volatilizzò. Magnus, stremato, si precipitò da Alec, ma stramazzò a terra trascinandolo con sé. Risero, spensierati, abbracciandosi ancora un po’. Poi Alec si disegnò qualche iratze dove si era ferito con il sangue del demone.
  «Temo di non riuscire ad aprire un portale stasera» ansimò Magnus sorridendo stancamente. Nella sua mente, quasi canticchiava: spaventare Alec? Proteggere Alec? E questa da dove ti è uscita! A-ha. Il suo Alec era un abile Shadowhunter. Come aveva potuto pensare che avrebbe avuto bisogno di protezione?
  Alec accompagnò Magnus in un albergo, dove prenotò per una notte una stanza matrimoniale. Quando si distesero sul letto, oltretutto privi di valigie (Magnus, prima di partire, aveva detto che potevano fare “shopping” durante il viaggio, anche se a dire la verità rubavano) stavano già meglio. Nessuno dei due pensò di togliersi i vestiti sporchi; erano troppo stremati, ancora.
  «U-hu» esclamò Magnus ad un certo punto; aveva ancora il petto che si alzava e si abbassava più velocemente del solito. «È stato… divertente.»
  «Da pazzi» confermò Alec. Max lo avrebbe definito “bestiale”. Ma era il momento di pensare a Max? Un pensiero che gli trasmetteva così tanta tristezza? Era in una camera da letto con Magnus Bane. Era sopra un letto matrimoniale con Magnus Bane. Era da solo con… okay, ora basta! Si rimproverò. Aveva una tale confusione in testa… ma Magnus era stanco. Sentì la sua stretta calda avvolgergli la mano, e l’effetto era così calmante che si addormentò come un sasso.
Il giorno seguente, Magnus fu abbastanza in forze per aprire un portale per il Prado. Lo stregone, ovviamente, si comprò dei vestiti tipici del posto mentre Alec optò per dei semplici, cari jeans e una maglia rigorosamente nera. Magnus volle fare un’altra foto, ma dopo che ebbe scartato dieci scatti ritenendoli imperfetti, Alec decise di dedicarsi ad un’altra attività altrettanto interessante: gettare briciole di pane ai piccioni. La sera Magnus lo portò in discoteca, ma non fu granché emozionante. Senza fermarsi a dormire, dopo la discoteca andarono in India.
  «Oh, questa volta no!» protestò Alec mentre Magnus prendeva un sari per andare a provarlo in camerino. «Magnus, ma è da donna.»
  «E chi lo dice?» rispose quello con una scrollata di spalle «dovresti provarlo anche tu, lo sai?» sotto le luci artificiali del negozio, i capelli glitterati di Magnus risplendevano; era impossibile non notarlo. Alec pensò che si stessero rendendo ridicoli davanti a tutta la clientela. Fece una smorfia.
  «Lo dice la tradizione. Lo dice il buon senso. Lo dice il fatto che quel velo rosso ti rende ridicolo. Potrei andare avanti all’infinito, perché un’infinità di persone ritengono che quel vestito sia troppo femminile per uno stregone, che oltretutto è già pieno di glitter di suo. Sei o non sei il rispettabile sommo stregone di Brooklyn?» la risposta di Magnus fu una scrollata di spalle. Uscì dal locale con il vestito addosso, passando sotto il naso del proprietario del negozio, che non poté dire niente. Aveva persino lasciato nel camerino i vecchi vestiti.
  Alec faticava ad ammetterlo persino a sé stesso, ma si stava vergognando del suo compagno. Che come se non bastasse voleva che si facessero un’altra foto da inviare a Jace, che lo avrebbe probabilmente deriso per il resto della vita. La sera, Alec era stufo marcio di andare in giro con quello stregone in sari, perciò ad un certo punto si fermò, non senza un certo imbarazzo, e gli puntò un dito contro.
  «Penso che sarebbe meglio se ti cambiassi.» la sua voce apparve fredda persino alle sue stesse orecchie. Ma, con sua grande sorpresa, Magnus non protestò ed entrò nel primo negozio di abiti normali che trovarono. Magnus per una volta si prese dei jeans, come Alec, e una maglietta verde con una stampa luccicante. Alec sorrise la sua approvazione, dopodiché disse una cosa per cui fino a quel momento aveva esitato, meditandoci sopra:
  «Sarebbe bello se questa sera ci prendessimo una camera d’albergo» fu tutto quello che riuscì a dire. Stupido, si disse subito dopo. Si voltò, sigillando la bocca e strizzando gli occhi per un lungo momento. Poi il suo sguardo scivolò sulle proprie scarpe da ginnastica, che camminavano insicure sulla strada. Infine si decise a guardare Magnus: aveva un’espressione divertita! Cosa significava? Che la considerava una cosa stupida? Che gli piaceva sentirsi desiderato? Alec avvampò, ripetendosi stupido, stupido, stupido.
  «Ormai è quasi mattina, Alexander» disse lo stregone, mentre cambiava direzione e improvvisamente si fermava davanti a un edificio. «Questo ti piace?» Alec si trattenne dal lanciare un urletto stridulo di sorpresa. Annuì, poiché non era sicuro di come sarebbe parsa la sua voce in quel momento. Eppure lo voleva, no? Era elettrizzato, anzi no, agitato, no, impaziente… non lo sapeva nemmeno lui, perciò si lasciò guidare da Magnus in una stanza che aveva solo un letto con la trapunta rossa e oro e un bagno. Magnus era tranquillo in un modo che fece un po’ arrabbiare Alec e lo portò a rendersi conto che probabilmente quella non era la prima volta per lui. Si stava slacciando le scarpe. Fu forse questa strana rabbia senza rancore, mescolata al desiderio e alla parola forza, forza che Alec si stava ripetendo a dargli il coraggio di allungare una mano verso di lui e farlo voltare. Alec gli cinse i fianchi, chinandosi, perché Magnus era seduto; poi caddero distesi sulla trapunta del colore della passione, avvinghiati. Alec sentiva il battito cardiaco dello stregone accelerare, la sua mano ampia sotto il tessuto della maglietta che saliva per levargliela. Lo lasciò fare. Quasi inconsciamente fece scivolare le dita sul bottone dei jeans di Magnus, faticando un po’ a liberarlo dalla sua asola. Anche Magnus, rotolando di lato in modo da stare sopra di lui, maneggiava con la cintura dei suoi pantaloni.
  Era incredibilmente eccitante, e il ragazzo ci sapeva fare, per essere la sua prima volta. Magnus adorava far scorrere la punta delle dita sul petto di Alec e dargli i brividi. Ma quando gli tirò lievemente l’elastico dei boxer, Magnus sentì il suo compagno irrigidirsi. Alec staccò rapidamente le labbra da lui, spalancando gli occhi color del cielo, in cui era così facile perdersi. Si mise a sedere sul letto, mentre un rossore imporporava le sue guance chiare.
  «Scusami, è che… non sono sicuro di essere pronto» la sua voce era un sussurro, la voce di chi ha mal di gola e sa che, se il suo tono aumentasse, le sue parole sarebbero suoni striduli e secchi.
  «Non c’è problema» Magnus gli prese una mano e la strinse tra le sue, parlandogli in tono comprensivo. «Era la tua prima volta. E, credimi» fischiò piano «Non eri per niente male.» Quelle parole sembrarono tranquillizzare un po’ Alec. «Ti amo, Alexander Lightwood.» era una frase che non suonava bene in quel momento, ma era la verità. Amava quel ragazzo, che era forte e allo stesso tempo dolce e sensibile. Alec annuì e, alzandosi in ginocchio, lo abbracciò. Magnus sentiva il suo cuore battergli rapido contro la spalla, e il suo profumo di limone e lavanda invadergli piacevolmente le narici. Lo udì ridacchiare.
  «Domani voglio andare a Vienna» gli disse.
  
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