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Autore: SweetDisaster    02/02/2014    0 recensioni
Fu molto legata alla madre, era la sua migliore amica. Nessuno poteva conoscerla meglio della donna che l’aveva messa al mondo..
(..)
Era la persona che stimava di più al mondo, e avrebbe tanto voluto essere come lei, un giorno.
Erano i primi di gennaio quando la donna cominciò a sentirsi male, quando cominciò ad andare all’ ospedale sempre più spesso, e le dissero di essere molto malata.
(..)
«Anche quando non ci sarò più fisicamente, sarò sempre con te, qui dentro.» le mise una mano sul cuore. «E nei tuoi ricordi. Non dimenticare mai tutto quello che ti ho insegnato. Non dimenticare mai quanto vali, quanto sei bella, quanto io ti voglia bene. Ogni giorno sarà una lotta, ma io sarò con te ad affrontarla anche se lontana. Quando penserai che tutto sia perduto, e ti sentirai sola.. Guarda il cielo, io sarò lì a sostenerti.» la bambina l’abbracciò senza parlare, perché non voleva dimenticare nulla di lei.
(..)
“resisti fino ai diciotto. Poi potrai andartene.” (..) “manca un anno, e anche meno. Resisti, puoi farcela.”
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo.  

 
«Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri ad Alexa! Tanti auguri a te!» tutti applaudirono, e la bambina sorrise spegnendo le quattro candeline sulla torta al cioccolato che la mamma le aveva preparato la mattina stessa a posta per lei, per il suo quarto compleanno. Era il nove luglio del duemila, e faceva molto caldo quel giorno.
Erano tutti lì per lei: zii, cugini, amici della madre e i figli dei vicini. Tutti, eccetto qualcuno: il suo papà.
Si alzò in piedi sulla sedia, cominciando a scrutare i visi di tutti i presenti che pieni di gioia sorridevano e gridavano “auguri”. Incrociò lo sguardo della madre, che la guardò con tenerezza, ma questo non le bastò.
Si sedette allora, fissando le piccole scarpette da ballerina che la nonna le aveva portato dal nord. Sospirò. Lui non era venuto, un'altra volta.
«Piccola, ti va di aprire i regali?» le chiese la madre per distrarla.
«Dov’è papà?» domandò la bambina rivolgendo lo sguardo alla donna.
«Tuo padre.. Verrà stasera.. lo ha promesso.» allora la piccola sorrise e si tirò nuovamente in piedi sulla sedia e afferrò il primo regalo che si ritrovò davanti.
«Apro!» disse gridando, mentre i ritardatari cominciavano a posare i regali sul tavolo davanti a lei.
Ricevette un costume, altre scarpette, una bambola, un orsetto, quattro vestitini e dei soldi, dei quali si sarebbe occupata la mamma. La bambina giocò tutto il giorno e si divertì molto con tutti gli altri bambini, quando poi arrivò l’ora di cena, allora tutti andarono via.
«Papà?» chiese la bimba alla madre tirandole la maglietta.
«Sarebbe già dovuto essere qui..» la prese in braccio. «Lo chiamiamo, ti va?»
«Sì!» disse sorridendo. La madre si sedette sul divano con la bambina sulle gambe, prese il telefono e compose il numero dell’ex marito, per l’ennesima volta. Squillo una volta. Due. Tre.
«Pronto?» rispose una voce maschile e la donna mise il vivavoce.
«Robert, sono Cristy.» disse la mamma accennando un sorriso rivolto alla piccola, che fremeva dalla voglia di parlare con quell’uomo.
«Oh, Cristy! Dimmi tutto, come va?»
«Va tutto bene.» disse secca la madre. «Io e Alexa, sai, tua figlia, ci stavamo chiedendo a che ora saresti arrivato, visto che oggi è il suo compleanno, e glielo avevi promesso.»
«Oh, sì.. Hai ragione.. Il compleanno di Alexa..»
«Papà, papà!» afferrò il cellulare.
«Auguri piccola. Ti sei divertita oggi?»
«Sì! Quando vieni?» disse la bambina sorridendo «Devo farti vedere i regali, e ti ho conservato la torta che ha fatto la mamma.. è piaciuta a tutti, e mi hanno regalato un orsacchiotto, l’ho chiamato Oscar e..»
«Sono contento che tu ti sia divertita. Solo che adesso non posso parlare, ho avuto un imprevisto e non credo di riuscire a venire..»
«Come?..» chiese la bambina a cui stavano già bruciando gli occhi dal pianto.
«Ti manderò il mio regalo per te, entro questa settimana.» continuava quella voce.
«Non disturbarti.» la bambina chiuse il cellulare, lo tirò sul divano e corse in camera sua.
«Alexa..» disse la madre seguendola in camera. «Piccola mia, non piangere..» le accarezzò i capelli. «Sai che papà è molto occupato..»
«Lui non mi vuole bene..» disse stringendo l’orsacchiotto tra le braccia.
«No, piccola mia, nessuno potrebbe mai non volertene..» disse «Vieni qui.» la prese tra le sue braccia. «Sei bellissima, e sei speciale. Papà ha solo molto lavoro per adesso, ma ti vuole bene.» annuii stringendosi a lei.
Era il secondo anno che il signor Robert Strange saltava il compleanno della figlia, seguito dai vari appuntamenti previsti con lei, a cui mancò nuovamente ogni settimana senza preoccuparsene ulteriormente per altri anni e che la bimba finì per non richiedere più. Alexa finì per non chiedere più proprio di lui: non aveva mai avuto un padre. Non ricordava nemmeno il suo viso: il colore dei suoi occhi, il suo sorriso, la sua voce. Sua madre diceva che avevano gli stessi occhi castani e lo stesso sorriso. Ma l’unica cosa che la ragazza, crescendo, volle sapere di avere in comune con quell’uomo che si dimenticava sempre di lei, era il cognome: Strange. E nient’altro.
Fu molto legata alla madre, era la sua migliore amica. Nessuno poteva conoscerla meglio della donna che l’aveva messa al mondo, ed era l’unica amica che avesse, perché a scuola gli altri non facevano che prenderla in giro, e non volevano avere nulla a che fare con lei. Questo la rendeva triste, ma era felice di poter contare sempre su sua madre.
La madre era una donna bellissima, premurosa, gentile e forte, e l’aiutava a non cadere ogni giorno a causa di quello che la circondava. Alexa aveva gli occhi e il sorriso di suo padre, ma il colore dei capelli era tutto di sua madre: un castano chiaro tendente al biondo.
Era la persona che stimava di più al mondo, e avrebbe tanto voluto essere come lei, un giorno.
Erano i primi di gennaio quando la donna cominciò a sentirsi male, quando cominciò ad andare all’ospedale, sempre più spesso, e le dissero di essere malata. Le dissero di avere la leucemia. Era grave, e la stava divorando dall’interno. Alexa pianse molto stretta a sua madre, ogni sera da quel giorno. «Ti prego, non lasciarmi mai.» diceva. «Ti prego mamma. Ho bisogno di te.» la donna la stringeva sempre molto forte.
«Anche quando non ci sarò più fisicamente, sarò sempre con te, qui dentro.» le mise una mano sul cuore. «E nei tuoi ricordi. Non dimenticare mai tutto quello che ti ho insegnato. Non dimenticare mai quanto vali, quanto sei bella, quanto io ti voglia bene. Ogni giorno sarà una lotta, ma io sarò con te ad affrontarla anche se lontana. Quando penserai che tutto sia perduto, e ti sentirai sola.. Guarda il cielo, io sarò lì a sostenerti.» la bambina l’abbracciò senza parlare, perché non voleva dimenticare nulla di lei.
I mesi successivi furono i peggiori: cominciò a perdere i suoi bellissimi capelli, a respirare faticosamente, a sentirsi sempre più debole. Alexa cercava di farle vivere le giornate più belle. Sua madre le regalò una collana, che era della nonna che la figlia non aveva mai visto prima: era rotondo, e al suo interno vi erano incise delle parole “love never fails.”
«Il mio amore ti proteggerà sempre.» non faceva che ripeterle.
Alexa si prese costantemente cura di lei, pur avendo solo (e compiuti da poco) quindici anni, tra ospedali e casa.
La medicina è avanzata negli ultimi decenni, ma non ci fu comunque nulla da fare. Otto mesi dopo dalla diagnosi, all’età di quarantadue anni, lei se ne andò. Era l’uno settembre duemilaundici quando la ragazza si sentì strappare via la persona più importante della sua vita. Si chiuse in se stessa. Odiava tutti: odiava la vita, la scuola, le persone, dio. Sì, quel dio che l’aveva privata di sua madre. Al funerale il padre non si presentò. Alexa odiava sempre di più anche lui. Si sentiva da sola adesso. Non aveva un amico a cui parlare, non aveva un padre che potesse reggerla, non aveva niente.
I mesi che seguirono, il tribunale e i servizi sociali (perché ancora minorenne), decisero di contattare il padre per avvisarlo che la custodia della figlia sarebbe stata affidata a lui. La ragazza venne a sapere che aveva rifiutato. Contattarono altri familiari, ma la madre non aveva fratelli o sorelle, e la parte di suo padre non sapeva neanche che esistesse e non volevano esistesse nella loro famiglia. Si trovò ancora più sola. Nessuno la voleva. Tutto sembrava voltarle le spalle.
Decisero di cercare un’altra famiglia, e di affidargliela il tempo necessario al compimento dei suoi diciotto anni, poi avrebbe deciso lei se rimanere o meno. Un anno dopo, riuscirono a decidere la famiglia a cui sarebbe stata affidata: i signori Bieber. Situazione economica molto più che stabile, e avevano già un figlio. Alexa venne informata di tutto e scrollando le spalle, non avendo altre possibilità, accettò. L’anno che era passato aveva cambiato molto la ragazza: piercing al sopracciglio sinistro e alle orecchie, tunnel nell’orecchio destro, il colore di capelli; adesso erano neri, rossetto rosso per evidenziarne le labbra, vestiti molto stretti che le armonizzavano le forme al punto giusto d’estate, seguiti da magliette scollate e shorts cortissimi, a  felpe e jeans stretti d’inverno. Ma la cosa più evidente erano le sigarette che fumava ogni giorno, alternandole a qualche canna ogni tanto.
Venne accompagnata nel gennaio del duemilatredici a casa di quegli sconosciuti.
John, uno degli assistenti sociali con cui ormai Alexa aveva preso confidenza, bussò alla porta.
«Esistono i campanelli, così rispondono domani.» disse la ragazza sbuffando, facendo notare all’uomo che, data la casa grande, non avrebbe concluso nulla in quel modo.
«Forse hai ragione..» e posò il suo indice enorme e sporco di ciambelle sul pulsante del campanello.
«Ma dai..» disse ancora lei sottovoce girandosi intorno. Il giardino era abbastanza grande, tra alberi, fiori e cespugli. Da quanto si poteva notare, anche la casa era abbastanza grande. “Deve avere parecchie stanze” pensò la ragazza.
Qualche minuto dopo, vennero ad aprire. Una donna molto bella, al primo impatto, aprì la porta.
«Salve, lei deve essere l’assistente sociale..» cominciò allungando la mano verso John.
«Sì, piacere sono John Ferrel e lei è Alexa.» la ragazza fece cenno con la testa.
«Patti Malette,» disse sorridente «prego accomodatevi
Ciò che la ragazza pensò prima di entrare lì dentro fu “resisti fino ai diciotto. Poi potrai andartene.”. Era l’unica cosa che le importava ormai. Andare via. Scappare. Vivere come avrebbe voluto. Smettere di sopravvivere, ed essere finalmente felice. Guardò la porta: “manca un anno, e anche meno. Resisti, puoi farcela.” Strinse il ciondolo forte, ed entrò. 
  
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