Symposium
Amare
è riconoscersi bisognosi ed incompleti, è vivere
con il costante
assillo dell'altro, coesistere con la martellante
paura di
perderlo e di vederselo scivolare via dalle mani. È
esattamente ciò che sento
io se si tratta di Peeta. Un sentimento nuovo, assoluto, ancora da
analizzare e che non riesco a comprendere fino in fondo, che non
sento completamente mio. Indistinta è la
linea che separa la
mania di possederlo dal semplice bisogno di saperlo vicino a me in
qualunque momento, il che mi porta spesso a pensare a quanto sia
ingiusto il mio comportamento. Ingiusto perché è Peeta
quello che ha più bisogno di sostegno, tra noi due. Non
io. I
miei incubi sono gestibili, le sue paure di rivedere in me il
ritratto del sanguinario ibrido che il passato depistaggio gli ha
inculcato in testa, quelle non lo sono. Affatto.
Quante
volte i suoi occhi non riescono a celare il timore di potermi fare
del male di nuovo, di perdere il controllo quando meno ce lo
aspettiamo. Perché è così
che gli episodi lo colgono.
All'improvviso. Nel bel mezzo di una frivola conversazione. Durante
una passeggiata in giro per il distretto. Mentre dormiamo
abbracciati. Sono momenti di panico per entrambi, attimi in cui mi
vedo passare davanti agli occhi tutta la mia vita, i ricordi felici
che mi proibisco di rivivere e anche quelli più dolorosi,
comprese
le morti dei miei amici. Ma per Peeta deve essere mille volte
più
difficile. È più difficile.
Quanto sconcerto leggo nelle sue
iridi cristalline, dopo, quanta paura anche solo di
guardarmi
in faccia.
«Non
posso, Katniss», bisbiglia dopo aver conficcato a fondo le
unghie
sullo schienale di una sedia, le iridi annebbiate, distanti.
Irraggiungibili.
Sono
i giorni in cui Peeta se ne va. Scappa. Fugge da me e si rinchiude in
quella sua immensa casa vuota, le finestre sprangate e le luci
spente. Sono i giorni in cui mi ritrovo alle prese con questa strana
ossessione per le mani, con queste lunghe, interminabili crisi di
pianto da cui fatico a riprendermi. Perché Peeta non
è con me.
Perché sta tentando con tutte le sue forze di tenersi
ancorato a
quei pochi brandelli di sé stesso che ancora gli restano
addosso.
Sono i giorni in cui il germe della mancanza s'instilla in ogni
particella del mio essere, impedendomi di pensare con la testa invece
che con il cuore. Perché so di essere l'unica che
può salvare
Peeta, ma anche l'unica che non sa farlo.
Altri sensi
di colpa, altri rimorsi si accumulano dentro di me, divorano quel
poco che ho di buono e mi abbandonano tra le mie stesse lacrime.
Penso
spesso a cosa sarebbe potuto accadere se Capitol City avesse
catturato me al posto suo. Se avessero torturato me
con il
veleno degli aghi inseguitori, se fosse diventato lui la Ghiandaia
Imitatrice. So che avrei finito con l'impazzire semplicemente. E lui
col morire di dolore. Perché Peeta, oh!,
Peeta già mi amava
incondizionatamente, senza misure. Io no. Io ero persa nei meandri
dei miei conflitti interiori, legata al mio passato,
indissolubilmente ancorata all'amore di Gale.
Ma
Capitol City non ha preso me. Si sono impossessati di Peeta, del suo
passato, lo hanno spezzato col solo fine di distruggere me.
È
qualcosa che non perdonerò mai a me stessa. E neanche a
Haymitch,
per non aver salvato lui al mio posto. Come aveva promesso.
Ogni
giorno devo fare i conti con la realtà e con questa nuova,
difficile
vita assieme a Peeta. Un'esistenza da condurre al fianco della
pallida ombra del mio ragazzo del pane, di un Peeta che fatica ad
arrivare alla fine della giornata senza scoppiare a piangere tra le
mie braccia almeno una volta.
Ma
amare è anche riuscire a colmare un vuoto e, un
passo alla
volta, Peeta e io lo stiamo facendo.
Cerchiamo
di lasciarci i demoni alle spalle, di rifugiarci l'uno nelle braccia
dell'altra, inspirando il reciproco profumo. Imparando a
riconoscerlo. Il desiderio di restare così, in pace con il
mondo,
per un periodo che oscilla pericolosamente tra il per sempre e
l'eternità. I bollenti baci che ripercorrono una ad una
tutte le
nostre cicatrici, le delicate carezze su occhi che hanno veduto solo
orrore e troppa sofferenza per la metà della loro vita.
Piano piano,
impariamo a vivere. A ricominciare. È difficile,
terribilmente
difficile, ma con il passare del tempo Peeta è sempre un po'
di più
lui e assomiglia sempre meno all'ibrido concepito
dal
depistaggio. Io non sarò mai più la Katniss di un
tempo. Però mi
sforzo. Per Peeta. Perché lui è tutto
ciò che ho, che mi rimane e
che voglio tanto disperatamente.
Con
i miglioramenti subentrano altre cose. Nuove, insolite. L'attenzione
ai suoi cambiamenti d'umore. La voglia di stringermi sempre
più a
lungo contro le sue braccia solide come una roccia. Imparo a
riconoscere i suoi passi, il suo profondo respiro, la sua risata, in
mezzo a mille altri. E con tutto ciò, arriva anche la brama
di
sentirlo veramente.
La
prima volta è teneramente imbarazzante e impacciata. Ma
Peeta è
delicato, attento a non farmi mai del male. I suoi occhi azzurro
cielo riflettono la gioia selvaggia del suo sorriso, il suo tocco
caldo sulla mia pelle mi ricompensa di tutti gli anni di incubi e
mancanze. Lascio che la passione del momento mi conflagri in petto,
che mi esploda dentro e mi pervada da capo a piedi. Perché
Peeta è
tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno.
La
prima volta e le cento che seguono mi abbandono completamente a
questo piccolo grande amore combattuto e perduto e infine ritrovato
in mezzo a tante difficoltà e paure.
Abbiamo
rimesso insieme i cocci di noi stessi. Ci siamo completati e,
finalmente, io e Peeta abbiamo cominciato a viverci.
Nda:
Buonasera! Come va? :)
Non
è niente di che, lo so. Ma studiare filosofia ed in
particolare
l'amore platonico mi affascina un casino, se poi ci sommate la voglia
di scrivere qualcosa a caso... viene fuori questo.
È
sempre angst, già. Però finisce bene, stavolta ;)
Spero
ardentemente vi sia piaciuta, so che è praticamente
interamente
descrittiva/riflessiva (?), ma spero vi piaccia anche (e soprattutto)
per questo. Fatemi sapere cose ne pensate, per favore! :)
Vi
bacio tutti!
V.