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Autore: Lilies    02/02/2014    2 recensioni
Amare è riconoscersi bisognosi ed incompleti, è vivere con il costante assillo dell'altro, coesistere con la martellante paura di perderlo e di vederselo scivolare via dalle mani. È esattamente ciò che sento io se si tratta di Peeta.
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Rebirth (Peeta/Katniss)'
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Symposium



Amare è riconoscersi bisognosi ed incompleti, è vivere con il costante assillo dell'altro, coesistere con la martellante paura di perderlo e di vederselo scivolare via dalle mani. È esattamente ciò che sento io se si tratta di Peeta. Un sentimento nuovo, assoluto, ancora da analizzare e che non riesco a comprendere fino in fondo, che non sento completamente mio. Indistinta è la linea che separa la mania di possederlo dal semplice bisogno di saperlo vicino a me in qualunque momento, il che mi porta spesso a pensare a quanto sia ingiusto il mio comportamento. Ingiusto perché è Peeta quello che ha più bisogno di sostegno, tra noi due. Non io. I miei incubi sono gestibili, le sue paure di rivedere in me il ritratto del sanguinario ibrido che il passato depistaggio gli ha inculcato in testa, quelle non lo sono. Affatto.
Quante volte i suoi occhi non riescono a celare il timore di potermi fare del male di nuovo, di perdere il controllo quando meno ce lo aspettiamo. Perché è così che gli episodi lo colgono. All'improvviso. Nel bel mezzo di una frivola conversazione. Durante una passeggiata in giro per il distretto. Mentre dormiamo abbracciati. Sono momenti di panico per entrambi, attimi in cui mi vedo passare davanti agli occhi tutta la mia vita, i ricordi felici che mi proibisco di rivivere e anche quelli più dolorosi, comprese le morti dei miei amici. Ma per Peeta deve essere mille volte più difficile. È più difficile. Quanto sconcerto leggo nelle sue iridi cristalline, dopo, quanta paura anche solo di guardarmi in faccia.
«Non posso, Katniss», bisbiglia dopo aver conficcato a fondo le unghie sullo schienale di una sedia, le iridi annebbiate, distanti. Irraggiungibili.
Sono i giorni in cui Peeta se ne va. Scappa. Fugge da me e si rinchiude in quella sua immensa casa vuota, le finestre sprangate e le luci spente. Sono i giorni in cui mi ritrovo alle prese con questa strana ossessione per le mani, con queste lunghe, interminabili crisi di pianto da cui fatico a riprendermi. Perché Peeta non è con me. Perché sta tentando con tutte le sue forze di tenersi ancorato a quei pochi brandelli di sé stesso che ancora gli restano addosso. Sono i giorni in cui il germe della mancanza s'instilla in ogni particella del mio essere, impedendomi di pensare con la testa invece che con il cuore. Perché so di essere l'unica che può salvare Peeta, ma anche l'unica che non sa farlo. Altri sensi di colpa, altri rimorsi si accumulano dentro di me, divorano quel poco che ho di buono e mi abbandonano tra le mie stesse lacrime.
Penso spesso a cosa sarebbe potuto accadere se Capitol City avesse catturato me al posto suo. Se avessero torturato me con il veleno degli aghi inseguitori, se fosse diventato lui la Ghiandaia Imitatrice. So che avrei finito con l'impazzire semplicemente. E lui col morire di dolore. Perché Peeta, oh!, Peeta già mi amava incondizionatamente, senza misure. Io no. Io ero persa nei meandri dei miei conflitti interiori, legata al mio passato, indissolubilmente ancorata all'amore di Gale.
Ma Capitol City non ha preso me. Si sono impossessati di Peeta, del suo passato, lo hanno spezzato col solo fine di distruggere me. È qualcosa che non perdonerò mai a me stessa. E neanche a Haymitch, per non aver salvato lui al mio posto. Come aveva promesso.
Ogni giorno devo fare i conti con la realtà e con questa nuova, difficile vita assieme a Peeta. Un'esistenza da condurre al fianco della pallida ombra del mio ragazzo del pane, di un Peeta che fatica ad arrivare alla fine della giornata senza scoppiare a piangere tra le mie braccia almeno una volta.
Ma amare è anche riuscire a colmare un vuoto e, un passo alla volta, Peeta e io lo stiamo facendo.
Cerchiamo di lasciarci i demoni alle spalle, di rifugiarci l'uno nelle braccia dell'altra, inspirando il reciproco profumo. Imparando a riconoscerlo. Il desiderio di restare così, in pace con il mondo, per un periodo che oscilla pericolosamente tra il per sempre e l'eternità. I bollenti baci che ripercorrono una ad una tutte le nostre cicatrici, le delicate carezze su occhi che hanno veduto solo orrore e troppa sofferenza per la metà della loro vita. Piano piano, impariamo a vivere. A ricominciare. È difficile, terribilmente difficile, ma con il passare del tempo Peeta è sempre un po' di più lui e assomiglia sempre meno all'ibrido concepito dal depistaggio. Io non sarò mai più la Katniss di un tempo. Però mi sforzo. Per Peeta. Perché lui è tutto ciò che ho, che mi rimane e che voglio tanto disperatamente.
Con i miglioramenti subentrano altre cose. Nuove, insolite. L'attenzione ai suoi cambiamenti d'umore. La voglia di stringermi sempre più a lungo contro le sue braccia solide come una roccia. Imparo a riconoscere i suoi passi, il suo profondo respiro, la sua risata, in mezzo a mille altri. E con tutto ciò, arriva anche la brama di sentirlo veramente.
La prima volta è teneramente imbarazzante e impacciata. Ma Peeta è delicato, attento a non farmi mai del male. I suoi occhi azzurro cielo riflettono la gioia selvaggia del suo sorriso, il suo tocco caldo sulla mia pelle mi ricompensa di tutti gli anni di incubi e mancanze. Lascio che la passione del momento mi conflagri in petto, che mi esploda dentro e mi pervada da capo a piedi. Perché Peeta è tutto ciò di cui ho sempre avuto bisogno.
La prima volta e le cento che seguono mi abbandono completamente a questo piccolo grande amore combattuto e perduto e infine ritrovato in mezzo a tante difficoltà e paure.
Abbiamo rimesso insieme i cocci di noi stessi. Ci siamo completati e, finalmente, io e Peeta abbiamo cominciato a viverci.




Nda: Buonasera! Come va? :)
Non è niente di che, lo so. Ma studiare filosofia ed in particolare l'amore platonico mi affascina un casino, se poi ci sommate la voglia di scrivere qualcosa a caso... viene fuori questo.
È sempre angst, già. Però finisce bene, stavolta ;)
Spero ardentemente vi sia piaciuta, so che è praticamente interamente descrittiva/riflessiva (?), ma spero vi piaccia anche (e soprattutto) per questo. Fatemi sapere cose ne pensate, per favore! :)
Vi bacio tutti!
V.



  
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