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Autore: NotFadeAway    04/02/2014    4 recensioni
Come ci dice John alla fine del Segno dei tre, Sherlock gli ha dato lezioni di danza per prepararlo al matrimonio. Ecco la mia versione: Sherlock, John e un valzer.
Un po' di Johnlock fluff per andare avanti con la giornata.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Sherlock lasciò che l’ultimo accordo si affievolisse sino a svanire nel salotto di Baker Street. Poi guardò John da oltre il violino.
John si rese conto con un attimo di ritardo che doveva dire qualcosa, perso nella dolcezza della melodia che aveva appena ascoltato. Sembrava incredibile che quella mente così razionale, potesse abbandonarsi a qualcosa di istintivo e passionale come la musica. Era proprio quel vecchio violino che gli ricordava, quando lo dimenticava, che Sherlock era un essere umano.
-E mi hai fatto correre qui per farmi ascoltare un pezzo al violino? – si affrettò a dire.
-Non è “un pezzo al violino” qualunque, John. È il valzer che ho composto per te, per il matrimonio – rispose, con il tono di chi si aspettava una caramella ed ha avuto un broccolo.
A quelle parole, John si fece un po’ più piccolo, imbarazzato. Questo lasciò cadere un altro silenzio troppo lungo.
-Okay, scusami. È molto bella. Davvero molto bella. – fece, agganciando lo sguardo dell’altro, - Davvero – aggiunse, con tono fermo.
Quelle parole bastarono a sciogliere il cipiglio che si era disegnato sulla fronte di Sherlock, che si rilassò, mentre un piccolo sorriso spuntava sulle labbra.
-Grazie -
John sorrise in ritorno e aspettò che fosse l’altro a dire qualcosa, ma Sherlock lo guardava e basta, dritto negli occhi, sino a quando il medico-militare non ritenne che la temperatura della stanza non fosse ormai un po’ troppo alta e distolse lo sguardo. Due colpi di tosse, per schiarirsi la gola e parlò:
-Allora, volevi dirmi qualcos’altro? Avevi detto che c’era un potenziale problema, nel messaggio. Ebbene? -
Sherlock uscì improvvisamente dalla catalessi e posò velocemente il violino sul tavolo, salendo in piedi sulla poltrona e poi sedendovisi.
-Oh, sì! Il valzer. -
John lo guardò confuso, anche lui seduto nella sua poltrona.
-Il valzer? Perché dovrebbe essere un problema. Era veramente una melodia straordinaria! –
-La melodia era straordinaria, chi vi danzerà sopra temo un po’ meno… -
-Che cosa vorresti dire? – chiese John.
-Che dato il tuo passato, tra la scuola di Medicina e l’addestramento militare, dubito che tu abbia mai avuto tempo per imparare a danzare abbastanza decentemente da essere pubblicamente presentabile. -
John corrucciò la fronte.
-Chi ha detto che ballerò  al matrimonio?-
-Io, Mary e l’intero nucleo di tradizioni matrimoniali che questa società così gentilmente ci ha fornito, accumulandole, nel corso dei secoli. – tagliò corto, - Per cui… - si alzò di nuovo, di scatto, ed afferrò un i-pod e lo collegò ad una coppia di casse, per amplificarne il suono, poi prese un telecomando e tornò a sedersi. – Dobbiamo rimediare. -
John lanciò un paio di occhiate preoccupate all’i-pod, prima di tornare a fronteggiare Sherlock.
-Perché sto iniziando ad avere paura, Sherlock? -
-Oh, per amor del cielo, John, non essere sciocco. Si tratta solo di lezioni di danza! -
Il medico-militare lo guardò, esterrefatto.
-Tu? Tu sai ballare? -
Sherlock percepì il tono divertito delle parole dell’amico e arrossì.
-Forse… - John fece uno sbuffo di risate, - Oh, sta zitto! Vuoi che ti aiuti o no? -
L’amico lanciò un’ultima volto uno sguardo alle casse, poi vide l’entusiasmo trattenuto dietro gli occhi di ghiaccio di Sherlock, conosceva bene quello sguardo, lo vedeva ogni volta che un nuovo caso, o semplicemente qualcosa di non “noioso”, aveva inizio.
-Però chiudiamo le tende! – disse, infine, minacciandolo con il dito.
Sherlock scoppiò in una risata, quindi si levò la vestaglia, serrò le tende e si mise al centro della stanza.
-Vieni qui, John, facciamo prima una prova, per vedere quanto disastrosa è la situazione nel suo complesso.-
Un po’ riluttante, John si alzò e si andò a posizionare davanti a Sherlock, lasciando che almeno un metro di distanza li separasse.
-Bene. Io farò Mary, quindi sarai tu a dover condurre, John. – Sherlock fece due passi e con questi annullò tutta la distanza che l’amico aveva messo tra loro due. Adesso occupava in pieno il suo spazio personale, era così vicino che John mancò di prendere un paio di respiri e si ritrovò presto senz’aria. – Ora, metti la mano destra sul mio fianco. -
La voce profonda di Sherlock lo colse impreparato, John annaspò imbarazzato e dovette sforzarsi di fare uscire un filo di voce, da oltre il groppo alla gola.
-Dove, scusami? -
-Oh, John! – s’indispettì l’amico, - Sul mio fianco. – aveva pronunciato queste ultime parole con più gentilezza, però, e aveva preso la mano di John accompagnandola dove doveva stare. – Adesso avvio la musica, appena inizia, afferra la mia mano destra e fammi vedere che sai fare -
Sherlock premette un tasto sul telecomando e la melodia che era stata eseguita poco prima partì nuovamente.
 Il 221B di Baker Street fu inondato dalle note del violino, che saturarono l’aria, redendola così densa che anche le luci parvero affievolirsi e lottare per attraversarla.
Sherlock e John iniziarono a danzare.
Sherlock era veramente bravo come aveva fatto intendere, non che John potesse dare un parere da esperto, ma riusciva a vedere che era un tutt’uno con la musica, il violino e quella danza. John, d’altro canto, non se la cavava proprio male, almeno così doveva essere, perché l’amico non gli disse nulla, lasciò che la melodia scorresse, senza fare un solo appunto alle qualità di ballerino di John.
Il brano continuava a suonare e John lottava per non incespicare con i piedi. All’inizio aveva cercato di non guardarli, sapeva che era un tabù nel mondo della danza, quindi fissava ora il muro di Baker Street, ricoperto di scartoffie per il matrimonio, ora la cucina, ora il caminetto e la libreria, ora le tende… Poi Sherlock intercettò il suo sguardo e uno dei loro attimi accadde. Fu uno di quelli così potenti che a John parve che per qualche secondo la musica si fosse interrotta, perché non la udì più. Tanto bastò a farlo inciampare nei suoi stessi piedi e a fargli interrompere il contatto visivo.
Il brano scivolò lento sino alla fine, John aveva passato tutto il resto del tempo a fissare il pavimento e quando l’ultima nota si esaurì e Sherlock gli lasciò andare la mano, l’amico decise che faceva ormai troppo caldo per avere indosso anche il cardigan.
John si schiarì la voce, mentre l’altro stoppava l’i-pod.
-Allora, come… come sono andato? -
-Ehm… - il tono era infraintendibile, - credo che dovremo lavorarci su, John. Sei completamente scoordinato, non riesci a muoverti a tempo né con la musica, né con il tuo partner e sei un pezzo di legno, se non sbaglio si dice così, ma per il resto va benino… -
John annuì, mentre metabolizzava le gentili parole che Sherlock aveva dedicato solo a lui. – Va bene… insegnami allora… - fece, indispettito.
Sherlock annuì, sorridendo. – Sono qui per questo, hai ripreso fiato? -

Poco dopo erano di nuovo al centro del salotto di Baker Street, l’uno davanti all’altro.
-Penso che sia meglio se ti mostro prima come condurre un valzer, così poi potrai imitare i miei movimenti. Vieni qui. – Sherlock posò la propria mano destra sul fianco di John, poi prese la sinistra di lui per portarla sulla propria spalla, quindi si misero mano nella mano, - Pronto? -
John prese un profondo respiro, - Pronto. -
Questa volta Sherlock non mise la musica, ma scandì il tempo con la voce:
-Un, due, tre… un, due, tre… -
John venne guidato attraverso la stanza dai passi dell’amico, che si muoveva fluidamente sul pavimento, come se vi nuotasse.
-Guarda i miei piedi, John. Vedi? È questo il movimento che devi fare – nel frattempo Sherlock gli dava istruzioni. – Devi tenere sempre la mano del partner alta, non lasciare mai che scenda oltre la linea delle spalle di Mary. -
Ripeté più volte gli stessi movimenti, di modo che John potesse memorizzarli e comprenderli, poi, quando ritenne sufficiente la dimostrazione, lo invitò a provare ad imitarlo, con risultati che non fecero ben sperare.
-Non credo sarà semplice. Per fortuna abbiamo iniziato con largo anticipo. –

Due uomini ridevano sopra una melodia di musica classica, che proveniva da una casa al primo piano, con le tende serrate.
Sherlock e John erano alla quarta lezione e il medico-militare ancora non aveva dato i risultati desiderati. Il salotto di Baker Street era stato sgomberato di ogni pezzo di mobilio che poteva ingombrare quell’approssimativa pista da ballo: il tavolino da tè era stato trascinato in cucina, assieme alle sedie della scrivania, le poltrone, invece, erano state schiacciate contro le pareti.
I due ex-coinquilini si muovevano rigidamente sopra la musica: Sherlock passava tutto il tempo a guardare John in maniera critica, contestandogli quasi ogni movimento, John si era ormai assuefatto alle critiche e rispondeva ad ognuna di esse, alla fine, per qualche motivo scoppiavano sempre a ridere entrambi.
-Ti ricordi il caso dell’elefante nella stanza, John? – fece Sherlock, mentre piroettavano in giro, - Ecco lui, dopo QUATTRO lezioni, avrebbe saputo come si balla un valzer! -
-Adesso non esageriamo, gli ci sarebbero volute come minimo cinque lezioni! -
-È una scommessa quella che vuoi, John Watson? Quanto sei disposto a perdere? -
-Tu che dai lezioni a quell’elefante? Impossibile! Da quando credi che ci sia così tanto spazio a Baker Street per il tuo ego ed un elefante? – ribatté John.
Sherlock scoppiò a ridere, contagiando anche l’amico con la risata, ma tornando improvvisamente serio, lo rimproverò subito.
-John, smettila di guardarti i piedi! -
-Un attimo, mi si è sciolto il laccio… - fece John, ma Sherlock non lo sentì, preso nel suo mantra di critiche.
-Se mi fossi messo a contare le volte che ti ho detto di non guardarti i piedi, avrei raggiunto un numero superiore persino al mio quoziente intellettivo! Cosa c’è di così…-
Sherlock non lascerebbe mai un insulto incompleto, non sarebbe nel suo stile. Lui avrebbe finito la frase, se non fosse che tutta l’aria che aveva in petto gli era stata soffiata via da John che ricadeva a peso morto su di lui.
La prevedibile dinamica dei fatti è a seguire: John ha il laccio slacciato, John incespica su di esso, John perde l’equilibrio e cade usando Sherlock come paraurti.
La musica continuò ad andare, mentre per un attimo nessuno dei due si mosse. John guardò Sherlock, Sherlock guardò John ed entrambi rimasero immobili. Avevano i volti vicini ed il respiro corto, l’uno poteva sentire quello dell’altro. Quando si scossero lo fecero assieme, per una volta furono veramente coordinati.
-Ehm… stai bene? – chiese John, sentendosi il volto avvampare. Tese una mano all’amico, per farlo alzare.
Anche Sherlock era arrossito, ma non aveva smesso di cercare lo sguardo di John, che si chinò in fretta, per allacciarsi le stringhe delle scarpe.
-Sì, sto bene… – rispose, schiarendosi la voce, - Tu? -
-Un altro paio di chili e ti avrei potuto usare come materasso e dormirti sopra! – scherzò John, mentre si rialzava aggiustandosi la camicia. Si era rivolto di nuovo verso Sherlock, sperando che avesse smesso di guardarlo, invece no, lui incrociò di nuovo i suoi occhi, quando rise alla battuta.
-Riprendiamo? – chiese John.
-Non vedo perché no. -
Sherlock fece ricominciare il brano daccapo e i due si rimisero in posizione.
-Hai trovato qualche caso interessante di recente? -
-Stamattina si è presentata una coppia con un presunto caso di figlio rapito. Ho detto loro che era evidente che non avevano un figlio e che stavano cercando solo di farmi perdere tempo, per guadagnare una storia e finire sui giornali. Nulla che non fosse noioso. La mano, John! La mano! -
-Potresti tenerla tu alta! – protestò John.
-È compito tuo! È questo che intendi dire a Mary al matrimonio? – ribatté Sherlock, - Ora sta zitto e concentrati sulla musica, sei completamente fuori tempo! -
-Disse l’uomo che non sa neanche il nome dell’attuale regina – rispose John, che adorava punzecchiarlo su queste cose, ben sapendo quanto fosse sensibile all’argomento.
-Perché è sicuramente il fatto che tu sappia il nome della regina che ha reso di te l’unico consulente investigativo al mondo! –  
-Di nuovo quest’argomentazione? Non ne conosci altre? -
-Nessuna che sarebbe da te accettata come “educata” -
-Difficilmente quello che dici lo ritengo “educato”, lo sai questo, vero? – lo rimbeccò, ma sorrise, mentre lo faceva.
Piroettarono per un po’ in silenzio, prima fissando le tende, poi il muro e, infine, Mrs Hudson.
Già, Mrs Hudson, perché la loro inquilina era sulla soglia della porta, con la mano poggiata sulla maniglia e guardava con gli occhi che brillavano i due uomini danzare. A giudicare dall’espressione, doveva essere lì da almeno una trentina di secondi.
Sherlock e John si congelarono sul posto appena la videro, la sorpresa era tale che neanche si separarono.
Mrs Hudson cacciò un gridolino, che sfiorava gli ultrasuoni, portandosi le mani alla bocca.
Soloa quel punto i due si lasciarono le mani e si allontanarono, Sherlock fece roteare gli occhi, chiaramente spazientito.
- Deduzione sbagliata, signora Hudson. Ora vada via, abbiamo molto da fare! – la liquidò, raggiungendo il telecomando per interrompere la musica.
-Oh, sì, certo, scusate… fate pure… non volevo disturbare… - disse, con un tono di eccitazione repressa nella voce.
John a quel punto iniziò a preoccuparsi seriamente.
-Signora Hudson, la prego, Sherlock mi stava solamente insegnando il valzer per il matrimonio… -
La donna fece il sorriso di chi la sapeva lunga e iniziò a scivolare dietro la porta che stava chiudendo.
- Certo, caro, ne sono sicura. Divertitevi – e sparì.
John esalò un sospiro, frustrato e la inseguì.
- Signora Hudson, come glielo devo dire io non sono… - gridò, infilando la testa oltre la porta, nella tromba delle scale.
-Gay. – completò la donna, dal piano di sotto, - Ne sono assolutamente certa, caro -

La Signora Hudson andò ad aprire la porta con passo felpato. Dietro la soglia c’era la signora Turner.
-Oh, sei tu Marie, - bisbigliò, facendole cenno di entrare, - vieni pure, ma fai piano. -
Cinque minuti più tardi erano entrambe sedute nella cucina di Mrs Hudson, davanti ad una tazza di tè.
-Martha? -
-Mm? -
-Martha? -
-… -
La signora Turner la scrutò da vicino.
- Ti vedo un po’ spaesata, ti  senti bene? -
La signora Hudson era seduta, con la tazza di tè che si raffreddava davanti a lei, sul tavolo, e fissava il soffitto, con occhi sognanti.
-Eh? -
-Martha! -
-Ssh! Ascolta. -
La vecchia signora la guardò senza capire.
-Cosa dovrei ascoltare? -
-Questo – disse, allargando un sorriso ed indicando il soffitto.
In quel momento una melodia suonata al violino partì e si sentirono i passi di qualcuno che vi danzava sopra.
-Sono…? – chiese la signora Turner, spalancando la bocca per la sorpresa.
Mrs Hudson annì, sorridendo.
-Sì, ascolta bene. -
E, in effetti, se si ascoltava bene, si potevano sentire le voci di quei due mescolarsi alla musica ed orecchiare tutte le volte che finivano nelle risate, a volte sommesse, altre volte chiare e contagiose.
Le due donne rimasero in contemplazione di quel duetto del quale potevano udire soltanto le voci per un po’, prima che la Signora Hudson parlasse di nuovo.
-Sono due settimane che fanno così. John viene praticamente ogni pomeriggio e passano le ore, fino a sera a danzare. -
-Ma… ma… -
-Prove per il valzer del matrimonio, le chiamano loro. Ma se tu hai sentito quello che ho sentito io, non c’è altro da aggiungere. -
-Danzano! – esclamò la signora Turner, incredula.
-Già… danzano! –
La donna prese un sorso di tè, ormai freddo e sorrise nella tazza.
- Lo sai, i miei non sono come quei due. – esordì Mrs Turner, - Sono sposati da quasi dieci anni, hanno anche due figli. Ceniamo assieme di tanto in tanto, li conosco bene. Si vede che si amano, che sono legati da un affetto profondo e che stanno bene assieme. – continuò, rigirandosi la tazza tra le mani - Ma non sono come quei due. Non lo sono mai stati. Nemmeno quando sono arrivati da me, freschi di viaggio di nozze. -
Ma la signora Turner fu interrotta da un urlo di protesta che si levò dal piano di sopra.
-Grazie, John, quello era il mio piede. Quello che nel caso di ieri è finito sotto la ruota di un motorino. Era quello lì. Di nuovo! -
- Non fare il melodrammatico. Non era una motorino era praticamente una bicicletta elettrica! -
-Era una vespa e mi pare che alla guida ci fosse una certa persona, che ama vantarsi di saper guidare mezzi a due ruote motorizzati che ha stento riesce ad accendere! – ribatté la voce di Sherlock.
-C’erano troppe leve e pulsanti! -
-Andiamo, John, anche un cervello al di sotto della media, rispetto al tuo perfettamente comune, ci sarebbe arrivato che quello a destra era l’acceleratore! Devo dedurre di aver sottovalutato le tue capacità intellettive, forse? -
-Se questo è quanto basta per farti ammettere di aver sbagliato, allora deduci pure! -
Non faceva ridere, ma loro risero lo stesso.
- È che due come loro non li trovi in ogni casa di Londra, Marie. – concluse Mrs Hudon, guardando il soffitto. -Sono più il tipo da trovare ad un’asta di oggetti rari. Li trovi lì o al 221 di Baker Street. – sorrise e la musica al piano di sopra ripartì.
Anche dalla cucina della Signora Hudson si poteva sentire il tempo galleggiare, immobile, mentre due figure  al passo di danza lo sfidavano, muovendosi nella sua staticità.


 Non c’era più nessun motivo apparente perché John continuasse ad andare lì. Era la sua diciottesima lezione e ormai il valzer non aveva più segreti per lui. Potevano ballarlo senza musica e comunque andare perfettamente a tempo con essa. Sherlock aveva compiuto un ottimo lavoro trasformando quel rigido medico-militare in un ballerino “presentabile”, come avrebbe detto lui.
Non c’era più nessun motivo per continuare quelle lezioni, ma la realtà era che nessuno dei due voleva smettere.
Tuttavia a soli tre giorni al matrimonio, quella non poteva che essere la loro ultima sera, prima che i preparativi e l’entusiasmo per le nozze li sommergessero.
Sherlock accolse John nel salotto di Baker Street con un sorriso caldo.
-Pronto per la prova generale? -
John ricambiò il sorriso.
- Direi proprio di sì. – disse, posando la giacca sul divano e incontrando l’amico a metà strada, al centro del soggiorno.
La musica si avviò, i primi accordi vibrarono nell’aria nello stesso momento in cui Sherlock e John si mossero l’uno verso l’altro, per iniziare a ballare. John mise la propria mano sul fianco di lui, poi gli prese la mano destra e la tenne ben alta, come gli aveva insegnato, quindi mosse il primo passo.
Gli altri vennero da sé, non doveva più pensare a dove mettere i piedi o in che direzione doveva andare, sapeva esattamente dove ogni cosa doveva essere e aveva tutto sotto controllo.
Le luci erano fioche, le tende spesse non lasciavano passare quelle dei lampioni e la stanza era nella penombra. Sembrava un ottimo posto dove poter riposare a lungo e sentirsi a casa.
 Fu così che John si ritrovò a pensare al tempo in cui Baker Street era effettivamente stata la sua casa. L’angolo di mondo che per tanti anni era stato solo suo e dell’altra anima che ora danzava con lui. Quelle mura erano così piene di ricordi che non sembrava possibile che appartenessero tutti ad una stessa persona.
Ed era quello il capitolo della sua vita che ora si stava per lasciare alle spalle. Definitivamente. Sarebbe stato ancora il compagno di avventure di Sherlock, ma Baker Street non sarebbe stata più la sua casa, né lui sarebbe stato più il coinquilino del detective con il cappello buffo.
Un inevitabile senso di malinconia lo colse in pieno, accentuato dall’aspetto scuro della stanza, i cui contorni non erano ben definiti, perché la vista arrivava a vedere solo un mucchio di pallini neri e confusi. Allora John smise di guardare lontano e guardò Sherlock, che lo stava già guardando da un po’. Voleva chiedergli come stesse andando, ma successe di nuovo.
La musica svanì, il silenzio calò appena i loro occhi si incontrarono. Le orecchie erano offuscate come la vista lo sarebbe stata dalla nebbia. Ma stavolta, finirono di danzare così, con il resto del mondo fuori dalla portata e affidandosi solo al fatto che la melodia doveva per forza essere ancora lì, sotto quella specie di frastuono. E così facendo, dimentichi del tempo e dello spazio, danzarono ben oltre la fine del brano. E in quel momento, quella non fu più la prova generale del valzer per il matrimonio di John e Mary. In quella dimensione sconosciuta, dove entravano quando i loro attimi accadevano, non esistevano altre persone: lì c’erano solo Sherlock, John e, probabilmente, la musica che continuava ad andare, anche se non potevano sentirla.

   
 
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