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Autore: Kiichan_    06/02/2014    1 recensioni
''Non sarebbe mai stato l'avventura di una notte, sapeva che l'indomani mattina l'avrebbe ritrovato contro il proprio petto come negli anni passati ma in una maniera tutta nuova, più consapevole; sapeva che avrebbe potuto baciare la punta fredda del suo naso e cercare di scaldarla con il proprio alito, pettinare i suoi capelli e salutarlo con un sorriso che non avrebbe mai riservato a nessun altro''. Queste le certezze, le speranze di Mail, ma il destino cosa ne pensa?
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Matt, Mello | Coppie: Matt/Mello
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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-Perché vuoi rischiare? Non ci aiuterà con il caso Kira.-
Primo approccio, lineare, conciso. Nessuna risposta.
-Mello? Mi senti? È uno spreco di forze ed un rischio inutile, non vorrai morire prima del tempo-
Insistente, appena provocatorio. Nessuna risposta.
-Prima di riuscire a battere Near-
Deliberatamente atto a disturbare la sua quiete. In risposta, ottiene la sua attenzione.
Mello stringe il colletto della sua maglia, lo perfora con quel suo sguardo da predatore, inquietante, deciso, lo sguardo di chi comanda e non ammette repliche. Basta quello ed un ''chiudi la tua dannata fogna'' per convincere Matt a tacere, ad abbassare ancora un volta la testa.
Ma se ne pente, se ne pente in ogni istante. Avrebbe dovuto imporsi come mai aveva fatto con lui, cercare di dissuaderlo in ogni modo a dimenticarsi di quella missione superflua, che sarebbe servita solo a stimolare la sua vanagloria.. Se l'avesse fatto non avrebbe visto quell'uomo puntargli un'arma addosso, non avrebbe visto una pallottola perforargli il cranio. Non avrebbe creduto di vederlo morire fra le proprie braccia per poi ritrovare la speranza, una speranza di nuovo smorzata da quell'ospedale cui era stato costretto a rivolgersi. Se l'avesse convinto a passare oltre quell'illegale traffico di droga, se l'avesse costretto a scaricare l'ingrato compito a qualcuno dei suoi sottoposti ora non sarebbe costretto a trascorrere le giornate al suo capezzale, guardandolo dormire senza sapere se mai potrà riaverlo con sé come una volta..

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Quella casa. Quella maledetta casa con i suoi ricordi, con le sue presenze assenti che gli comprimevano il petto e gli incurvavano le spalle, con quel disordine che sapeva di vissuto e non di trasandato, con quell'odore che ormai era il loro odore. Quella casa con i suoi fantasmi torturava i suoi nervi pericolosamente scoperti, li faceva scintillare come cavi dell'alta tensione, cavi elettrici che con le loro scosse intermittenti gli irrigidivano le membra, gli chiudevano la gola, lo rendevano ancora più instabile. Eppure Matt non poteva trattenersi dal tornare, i suoi bisogni fisici lo costringevano a sottoporsi a quella consenziente tortura almeno ogni due giorni..
E, quella sera, successe per ben due volte. Per ben due volte dovette affrontare le proprie ansie, il fiume dei ricordi, il dolore del presente che si faceva più vivo nel cuore ogni volta che varcava quella soglia e non veniva accolto da qualche improperio o da qualche sinuosa strusciatina.
All'inizio aveva lavato il pelo del cane, gli aveva fatto un bel bagno anche se piuttosto breve, perché aveva tutta l'intenzione di cedere la sua custodia ad una pensione. Per un po' almeno, durante quei giorni in cui proprio non voleva saperne di prestare le proprie attenzioni ad un altro essere vivente che comunque le meritava. Si era sciacquato velocemente sotto la doccia subito dopo di lui, si era cambiato e poi si era dato da fare per scovare grazie ad Internet un buon posto nelle vicinanze dell'appartamento o della clinica, mentre uno scodinzolante e beato Floyd guaiva accucciato al suo fianco. Lo rincuoravano, le incessanti ed accorate dimostrazioni d'affetto del cucciolone: nonostante non l'avesse portato a prendere nemmeno una boccata d'aria, nonostante l'avesse lasciato senza cibo, egli sembrava perfettamente disposto a perdonarlo.. E gli faceva bene al cuore sapere che comunque non gli aveva voltato le spalle. Era pur sempre un cane, sì, ma vi era affezionato e comunque si sarebbe attaccato alla qualsiasi cosa, alla qualsiasi sensazione positiva pur di cercare di uscire vivo da quel mare di merda in cui nuotava incessantemente ed altrettanto vanamente da giorni.
Poi si era congedato dal suo fido amico, con l'intenzione di tornare da lui l'indomani e di fare invece ritorno alla clinica immediatamente, ma quando nel silenzio del suo abitacolo si era degnato di mettere per un attimo in funzione il cervello questo si era come illuminato. Il Rosso pensò bene di ricorrere ad un po' di aiuto, ritenendo oggettivamente di averne bisogno. Si era sentito bene, il pomeriggio prima, quando ciondolava con la testa a destra e a sinistra, mentre raccoglieva quadrifogli in mezzo ad un prato. Era stata una bella sensazione, si era sentito così leggero che aveva per un attimo temuto di prendere quota, e si era ritrovato aggrappato ai fili d'erba come un bimbo scioccamente spaventato. E cosa poteva donargli quella magica sensazione, quel benessere agognato seppur momentaneo senza portare effetti collaterali eccessivamente invadenti?
Semplice, un'innocua dose di erba, magari due. Magari avrebbe vomitato, si sarebbe svuotato definitivamente di ogni energia e sarebbe crollato addormentato per ore, senza che qualche sogno lo interrompesse con le sue magre illusioni. O magari si sarebbe sentito soltanto un po' meglio, avrebbe divorato qualche schifezza acquistata ai distributori automatici e poi avrebbe riso. Da quanto tempo non rideva? 
Peccato che fosse già a metà strada, che si fosse reso conto del bene che possedeva soltanto in quel momento.. Avrebbe dovuto rifare tutto, varcare nuovamente quella soglia famigerata, sobbarcarsi un ulteriore carico di sensazioni negative, di nostalgia..
Ma accettò allora quel lato masochistico di sé ed invertì la marcia, dirigendosi nuovamente verso quel palazzo un po' diroccato e fuori portata che si era volentieri lasciato alle spalle solo poco prima.
Avrebbe fatto in fretta, sì, avrebbe preso ciò che gli serviva senza badare a null'altro, e sarebbe uscito di corsa. Non era necessario soffermarsi di nuovo a rimarcare tutti i dettagli che gli ricordavano Lui, no?
Parcheggiò alla meno peggio e praticamente corse verso il portone. Lo spalancò, si intrufolò nell'androne e, con la fretta che lo attanagliava, salì a due a due i numerosi gradini che l'avrebbero condotto al loro pianerottolo.
Quando giunse davanti all'ingresso fece scattare la serratura e si addentrò subito in soggiorno, senza indugiare, proprio come si era promesso mentre premeva la suola de suo logoro anfibio sull'acceleratore. Le chiavi sul divano, la porta sbattuta con violenza, lo sguardo lucido e privo di qualsivoglia tipo di vital scintilla immobile dinanzi a sé. Sentiva di dover uscire di lì quanto prima, come se restare troppo all'interno di quell'appartamento potesse provocargli danni ingenti ed irreparabili, come se le tende potessero ucciderlo da un momento all'altro, o le lenzuola, le posate, le bottiglie. Come se tutto costituisse un pericolo.
Guardingo -inutilmente- ma spedito raggiunse la camera da letto; non avrebbe voluto, ma fu costretto ad accendere la luce, fu costretto a mostrare alle proprie iridi riluttanti ciò che davvero li circondava.
Quel letto teatro di tanti scenari, del loro amore carnale e anche, ma solo raramente, tenero. La teca del Suo serpente, il suo acquario, adorava quelle bestie orribili e Matt si era fatto carico della loro viscida presenza solo per amor suo. Le lenzuola nere che piacevano a lui, il suo armadio perfettamente chiuso a differenza del proprio, che a causa del caos non permetteva alle ante di cozzare alla perfezione. Il suo comodino, i suoi piccoli averi, dettagli di una quotidianità ormai assodata..
Poi puntò dritto alla sua meta. Aveva già sprecato troppe energie, doveva uscire, uscire subito, mancava l'aria.
Il cassetto.
Il cassetto, sarebbe bastato aprirlo, frugare un po' sotto i vestiti che non utilizzava avrebbe trovato quella bustina di plastica, le cartine, il pacchetto di sigarette di scorta dato che Mihael aveva l'orrido vizio di tentare di distruggere il suo cancerogeno vizio sbriciolando ogni sigaretta che per sbaglio capitava sotto il suo tiro. 
Corse verso il piccolo mobile che ospitava il famoso vano, si inginocchiò lì di fronte ed iniziò a scavare, gettando a terra magliette di cui nemmeno ricordava l'esistenza, foulard che detestava ma che teneva con sé  chissà per quale oscuro motivo, cianfrusaglie varie. Accendini, filtri d'ovatta, biglietti della metropolitana timbrati anche anni prima, trovò anche le cartine.
Ma delle sue sigarette e della sua marijuana nemmeno l'ombra.
Eppure era sicuro di non averle spostate, di non averle nemmeno consumate, perché erano appunto la sua scialuppa di salvataggio!
Ansimò sorpreso, mentre tuffava una mano fra i capelli scuri e disordinati, torturandosi le labbra, come se avesse appena perso qualcosa di estremamente importante ed unico, dotato di un immenso ed incomparabile valore.
La verità era che non voleva mettere le mani altrove, non voleva dover scavare in altri cassetti, magari nei suoi -non poteva non prendere in considerazione l'ipotesi che fosse stato proprio il biondino dispettoso a nascondere quella che lui reputava solo una inutile porcheria-, ma quella ''porcheria'' in quel preciso istante gli serviva, lui sentiva che sarebbe seriamente impazzito se non avesse avuto un po' di quella distrazione profumata.
Si rialzò, allora, iniziando dalla scrivania. Nei portamatite, sotto i fogli, sotto la base incavata di quella lampada che cadde a terra per una sua misera disattenzione e alla quale non badò.. Esaminò le tasche degli abiti che aveva impilato su una sedia, li buttava a terra quando le trovava orribilmente vuote o piene di stupide monetine. Quando la sedia fu sgombra vi si sedette, ed iniziò a spalancare ogni singola antina.. E fu a quel punto, quando scovò la sacchetta di plastica che aveva tanto bramato, che si bloccò. Però non fu il suo piccolo tesoro ritrovato ad attirare per primo la sua attenzione..
Furono un paio di caricatori, scuri, ancora probabilmente nuovi. Aveva avuto a che fare con un sacco di effetti personali appartenenti a Lui, i suoi boxer erano sparsi sul pavimento e anche qualche plico di documenti, ma quelli.. Quelli lo descrivevano, descrivevano tristemente entrambi meglio di ogni altra cianfrusaglia. Da giorni si allenava a tenere a bada la mente, per cercare di educarla se così si poteva dire, perché voleva tenere lontani tutti i ricordi. Piacevoli e non. Il passato poteva ferirlo solamente, ed in quel momento non ne aveva bisogno..
Ma mentre accarezzava quei caricatori, tracciando con i polpastrelli le linee che lo attraversavano e create apposta per fare in modo che si incastrassero perfettamente nel calcio dell'arma, non riuscì a fare a meno di pensargli in una maniera che avrebbe volentieri evitato, per tentare di non distruggere la diga con la quale provava a salvaguardare quel pizzico di salute mentale che gli era rimasta.


 
Tornavano a casa da una serata di svago. Erano giovani, belli e innamorati, non potevano di certo rimanere sempre a casa a fare la muffa! Per una sera erano stati due ragazzi normali: nessun caso da seguire, nessun malvivente nei paraggi, niente armi o sangue o preoccupazioni e tensione..
Comunque, come durante in molte delle loro ''serate di svago'', erano finiti a sguazzare allegramente nell'alcool.
Mello era conciato piuttosto male, reggeva davvero poco. Parlava, parlava, parlava un sacco, e Mail rideva delle sue stupidaggini e delle sue ciarle così inusuali eppure adorabili, lo assecondava, anche lui era alticcio, anche lui si sentiva leggero ed il suo buonumore era triplicato. 
Si erano baciati tanto, a lungo, dappertutto. Si erano fermati ogni tre metri, per incollarsi ad un muro e baciarsi, si erano spinti contro i cofani delle macchine per accarezzarsi, facendo accapponare quelle pelli dal freddo e dal desiderio, si erano abbracciati in mezzo ad una strada, una mano sulla nuca, una sul fondo schiena, come se potessero respirare solo attraverso la bocca dell'altro, come se non vi fosse altro modo di sopravvivere. Perché non si baciavano lentamente, come le coppie di innamorati fanno mentre girano per il centro della città mano nella mano, i loro erano baci voraci, baci profondi come pozzi, baci ardenti e desiderati con ogni fremente fibra.
E poi erano tornati a casa. Barcollando avevano raggiunto il caseggiato, dopo trenta tentativi avevano trovato la chiave del portone  ed erano saliti, avevano iniziato a toccarsi già in ascensore, a slacciare i giubbotti, a saggiare i fianchi, le forme, a mordere le labbra, a leccarle.
«Ho le labbra screpolate».
«E chi cazzo se ne frega».
Avevano seminato i loro abiti per casa, un pantalone sul pavimento ed una maglietta appesa alla tv che ormai guardavano solo per recepire informazioni poco importanti dai telegiornali, claudicanti avevano attraversato il corridoio immerso nella più totale oscurità, rischiando di cadere ad ogni passo e cercando sostegno nelle gelide pareti e nell'altro. Si desideravano, si desideravano da morire, ogni cellula del loro corpo lo palesava. Si ritrovarono nudi ed eccitati  sul letto ancora intatto, a rotolarsi su quella morbidezza confortante ed avvolgente, beandosi dello strofinio delle pelli sudate, dell'intreccio saldo di quelle gambe  che comi rovi si aggrovigliavano, perfettamente imitati dalle mani, dalle braccia.
Fu così che Mihael si era ritrovato disteso sopra Mail, che lo aveva sottomesso in quel gioco di spintoni emulati e di parole sornione e pungenti che non si pensavano per davvero.
Quella visione paradisiaca aveva fatto fremere il roscio come un gattino bagnato, oh quanto bramava quel corpo statuario, perfetto, virile pur mantenendo una sua delicata armonia..
Gli occhi lucidi l'avevano accarezzato, lo sguardo infuocato aveva divorato ogni millimetro di quella pelle chiara come la Luna e di quel fisico  tonico, di quel ragazzo che era il suo ragazzo, che gli apparteneva in tutto e per tutto.
Aveva allungato le mani per accarezzarlo dopo, per disegnare il contorno dell'aureola scura attorno al capezzolo  o per aggrapparsi ai fianchi -avrebbe deciso sul momento a quale parte di lui vezzeggiare per prima-, quando si era sentito bloccare contro il letto.
Si era crucciato, lui, altroché, ed anche visibilmente: non poteva impedirgli di raggiungere la propria meta, era crudele!
Ma ogni lamentela era morta nella sua gola, non aveva nemmeno fatto in tempo ad affiorare alle labbra  perché Mello aveva agguantato la sua pistola, quella che aveva lasciato sul comodino dopo averla ripulita accuratamente, come faceva spesso.
L'aveva fatto sobbalzare, e preoccupare non poco!
Cosa significava, quel gesto? Era carica? Quali erano le sue intenzioni? Si era da sempre fidato di un pazzo squilibrato che sin da subito aveva avuto l'intenzione di metterlo all'ingrasso per poi ucciderlo e  vendere al mercato nero i suoi organi, o doveva solo fronteggiare un ragazzo ubriaco che non sapeva ciò che stava facendo?
L'incapacità di scartare drasticamente la prima delle opzioni però non lo stava aiutando ad affrontare il momento..
«Andiamo, piccolo, che fai, mettila giù e lasciati toccare».
Si era sforzato, voleva sfoggiare quel tono di voce carezzevole e seducente che magari l'avrebbe convinto ad abbandonare l'arma e a tornare a concentrarsi su qualcosa di più piacevole, e di meno mortifero insomma.
Ma il biondo aveva riso, gli aveva praticamente riso in faccia.
« Hai paura vero? » 
« Oh andiamo... »
« Sei mio. Ho potere su di te, sei la mia piccola marionetta ora. Posso costringerti a fare.. Tuuutto ciò che mi pare »
Mihael sussurrava, con quel tono biascicato tipico degli ubriachi. Senza rendersene conto allungava le vocali  e sulla bocca aveva stampato un perenne sorrisetto ebete, ma Matt non era riuscito a non trovarlo comunque vagamente inquietante. Accarezzava con la canna dell'arma il profilo della sua mandibola, gli aveva scostato un ciuffo di capelli rossicci dalla fronte, aveva lambito addirittura le sue labbra.. Ed aveva un sapore orrendo, l'aveva percepito quando con la lingua si era umettato le labbra gonfie di baci e morsi, aveva avvertito un gusto ferroso e qualcosa di non meglio definito.
« Mein Freund.. »
Aveva   sussurrato ad un certo punto il più grande, cambiando radicalmente modo di porsi. Aveva sospirato, poi aveva allentato la presa sul polso del roscio, l'aveva liberato  ed infine si era accucciato come un animaletto docile e stanco sul petto del padrone, assieme a quell'aggeggio letteralmente gelido che aveva fatto drizzare le carni altresì bollenti del povero Mail.
Non si spiegava tutto quel teatrino, per quale motivo l'aveva messo in piedi? Se voleva parlargli di qualcosa -perché lo sentiva, che era così, gli sembrava quasi di vederlo quel groviglio di parole che si arrampicavano lungo le pareti della sua gola  pronte a riversarsi nell'aria, nelle orecchie di qualche paziente ascoltatore- non poteva semplicemente domandargli un po' di silenzio e di comprensione? Non gli era mai sembrato di mostrarsi indisponente o poco paziente nei suoi confronti..
« Le ho dato un nome. Freund. Significa ''Amica'', in tedesco. Conosco il tedesco, tu lo conosci? Si chiama Freund. Perché lei è stata la mia prima ed unica amica, la mia fedele compagna. Non l'ho mai sostituita, così come lei non mi ha mai abbandonato. Lei non mi ha abbandonato, lei è stata la mia salvezza tante di quelle volte.. Non puoi immaginare quante. È un regalo, il mio.. Boss, lui me l'ha regalata, per proteggermi durante la mia prima vera missione. Avevo sedici anni, sai? Te lo ricordi? Ne sono passati così tanti.. Freund. »



Quando riemerse da quel tuffo nel passato Matt boccheggiò, come se davvero fosse rimasto in apnea per tutta la durata di quel piccolo viaggio mentale che era stato talmente vivido, talmente reale da farlo sbiancare. E, oltre a renderlo un grumo di nostalgia pura, aveva aggiunto un altro martellante pensiero alla spropositata lista che già gli riempiva la testa. Che fine aveva fatto quell'arma, dov'era la tanto decantata Freund? Ci teneva così tanto, il suo Mihael, era morbosamente affezionato a quell'aggeggio, per quanto malsano e contorto potesse risultare ad occhi esterni.. Lui doveva ritrovarla. Doveva ritrovarla per riadagiarla in quel fodero dove la riponeva sempre per proteggerla, doveva trovarla anche se sapeva che forse egli non avrebbe mai avuto la possibilità di ringraziarlo -a modo suo- per quell'accortezza riservatagli.
Nascose il fumo, le cartine e le sigarette nella tasca interna della giacca, la chiuse con la piccola e pratica zip  e senza rimettere in ordine nemmeno un paio di mutande corse in cucina. Recuperò una piccola torcia elettrica, gli sarebbe servita per frugare in macchina dato che fuori era buio pesto, poi uscì con la medesima velocità cui era entrato. Come se avesse il Diavolo in persona alle calcagna.
Tre giri di chiave, decine di scalini, uno dietro l'altro ipnotici si susseguivano, gli facevano girare la testa. O forse non era colpa degli scalini.
Si ritrovò di nuovo esposto al gelo invernale in men che non si dica, avvolto dal silenzio -era stanco del silenzio, quel manto opprimente-, davanti all'auto fiammeggiante che tanto adorava. 
Non aveva più guardato i sedili posteriori ancora macchiati, non si era più voltato, bastava il pensiero a dargli il voltastomaco..
Ma doveva cercare, doveva farlo per lui, gliene sarebbe stato sicuramente grato e si sarebbe sicuramente sentito meglio sapendo la sua Freund al sicuro.. Ed era suo preciso compito badare alla salute del suo ragazzo, al suo stato d'animo. Spalancò la portiera e trasse un profondo respiro, poi accese la torcia. Sembrava più un ladro in realtà, ma che poteva importargliene del parere del resto del mondo in un momento come quello?
Frugò sotto ai sedili, negli interstizi fra di essi, sbirciò per sicurezza sotto i tappetini, ma di quel tocco di metallo lucido nemmeno l'ombra. Non gli era caduta durante il trasporto in ospedale? Quella sua fatica si era rivelata allora inutile, quelle macchie irregolari e scure avrebbero continuato a danzare sul fondo delle sue palpebre per giorni senza un valido motivo, ribadendogli quanto accaduto in ogni istante. Richiuse malamente la portiera e si accomodò al posto di guida allora, stizzito per colpa di quel piccolo fallimento, infilando la chiave nel quadro ed immettendosi senza alcun criterio e giudizio nel traffico. Non si sentiva affatto bene, come da giorni d'altronde, ma doveva guidare fino alla clinica. Se non era in auto, allora sicuramente l'avevano trattenuta i medici, che non gliel'avevano restituita assieme al resto degli effetti del biondo per chissà quale motivo. Ovviamente ripudiava l'idea che quella famosa pistola potesse essere ancora nella villa, la sua mente provata nemmeno formulò una simile ipotesi, almeno per il momento.
Una volta parcheggiato -questa volta pagò, a differenza del momento in cui aveva ricoverato il biondo-, si addentrò nell'edificio per domandare informazioni; dovevano averla sicuramente loro, sperava di riuscire a trovare il modo di convincerli a restituirla al legittimo proprietario! Sventolò le carte del ricovero e quelle del trasferimento, che aveva chiuso nel cruscotto assieme ad un sacco di altri documenti ormai inutili, sotto il naso di un'infermiera, che chiamò la collega che aveva avuto direttamente a che fare con quel caso di cui lei non sapeva assolutamente nulla. La donnina minuta con la quale aveva più volte parlato però rimase allibita dalla sua eloquenza, dalle sue suppliche. Loro non avevano trovato nulla di simile addosso a quel corpo, tutto quello che possedeva era stato infilato in quella busta che, come di norma, gli era stata consegnata..
A quelle parole il mondo parve crollargli addosso, e lui si zittì istantaneamente. Basito, atterrito, letteralmente inebetito.
Non era in auto e ne era sicuro, perché aveva sfidato la nausea ed aveva cercato in ogni angolo possibile; i medici gli assicuravano di non aver trovato nessun'arma infilata nei pantaloni di quel ragazzo, gli assicurarono che in caso contrario sarebbe stato sicuramente avvertito, così come gli enti competenti.. Dove diamine era finita? Dove l'aveva persa? Forse..
E fu in quel momento che la realtà dei fatti, dura e pesante come un macigno, gli si schiantò in faccia.
La villa. E dove sennò? Era sicuramente scivolata via dalla cintola mentre si accasciava, o mentre mosso dalla disperazione e da quelle che credevano essere blande suggestioni lo trascinava giù per gli scalini, fino alla vettura posteggiata poco lontano dall'ingresso.
Si discostò dal personale ospedaliero con un cenno vago, e come se fosse stato catapultato in un altro mondo, parallelo a questo, si trascinò verso le porte scorrevoli e poi fino alla sua automobile.
Quel corpo che ora sembrava in catalessi, mosso da chissà quale strana forza, ora sedeva al posto del guidatore, con le mani sbiancate e torturate dal gelo strette attorno al volante e la fronte premuta sullo stesso. Doveva davvero tornare laggiù, in quel luogo d'orrore? Ne valeva davvero la pena, per una semplice pistola facilmente rimpiazzabile?
La sua parte razionale continuava a sbraitare, una vocina gli intimava di non muovere un solo muscolo, di rilassarsi e di tornare da dov'era venuto, di dimenticarsi di quella storia sedutastante.. Ma il suo cuore in subbuglio, animato solo da un folle ed illogico affetto, alzava ancor di più la voce per far valere le proprie ragioni, ordinandogli di mettere in moto e di dirigersi al quartiere in cui tutto era stato distrutto da una sola pallottola.
E Mail, scioccamente, lo fece. 
Guidò nella notte, fino a stanziarsi in quella zona tanto ricca quanto ripugnante. In quelle ville appariscenti di solito si nascondevano i peggiori esseri, dietro quelle vite apparentemente perfette si celavano altarini incredibili.. E la gente tacciava loro come criminali o disastri umani.
O beh.. questo era ciò che lui immaginava. Forse guardava troppi film.
Comunque, impiegò solamente  dieci minuti per raggiungere la meta, troppo pochi per prepararsi a ciò che lo aspettava, troppo troppo pochi.
Giunse impreparato, e forse sarebbe giunto impreparato anche con ore di viaggio alle spalle.
Quella costruzione sontuosa che fino a qualche giorno fa brillava e riluceva nella notte, pronta ad accogliere una delle più grandi feste mai viste nel quartiere, ora era ridotta ad un cumulo di macerie pericolanti. Un cimitero a cielo aperto, era il fantasma di sè stessa.
Esattamente come il roscio, che la guardava con gli occhi sgranati ed il respiro corto, che la fissava esattamente come un umano fisserebbe un'entità aliena sopraggiunta dal nulla. Era terrificante, ritornare sul luogo del misfatto, quel luogo che era divenuto spettrale, non più rivoltante a causa dell'eccesso.
Per l'ennesima volta fu costretto a rivivere quegli attimi di orrore, a rievocare dettagli che probabilmente non avrebbe mai scordato. Aveva visto tanto orrore nella sua giovane vita, ma mai nessuno li aveva sfiorati così da vicino.. Aveva sempre creduto di aver accettato la possibilità che qualcosa di brutto accadesse ad uno di loro, ma in quel frangente si accorse di essersi completamente sbagliato.
Si prese la testa fra le mani tremanti, cercò di deglutire ma la bocca era orrendamente riarsa, la lingua si appiccicava al palato, il respiro gli bruciava i polmoni.
Non ce la faccio, si disse, non ce la faccio a tornare dentro, non ce la faccio.
Se lo ripeté una decina di volte, ad alta voce, mentre batteva debolmente la fronte contro il volante, facendo qualche volta squittire per errore il clacson.
Era troppo per lui, per le sue ferite ancora aperte, si sarebbero infettate e non si sarebbero mai più suturate  ed avrebbero fatto il triplo del male.
Perché piantarsi da soli un paletto nel cuore, perché quel masochismo travestito da altruismo?
Accese la radio. Alzò il volume, lasciando che le note gli riempissero le orecchie, alzò il volume nella speranza di oscurare i propri pensieri, di zittirli.
Ma quelli sembravano avere un sacco di fiato in gola, sembravano bambini affamati, urlavano e urlavano, gracchiavano e graffiavano, attiravano l'attenzione in ogni modo. Ed allora ricorse a quel piccolo rimedio, a quella sostanza che l'aveva in una maniera molto contorta ed indiretta condotto laggiù, in quel parcheggio ora desolato.
Preparare un filtro, tenerlo fra le labbra rigide e bianche; tritare la marijuana; leccare la sigaretta, per aiutarsi ad aprirla, versare il -poco- tabacco sulla mano e mischiarlo assieme al resto; arrotolare il tutto in quel sottilissimo involucro semi-trasparente, chiudere assieme al filtro. 
Pronto, il suo personale rimedio. Non era una farmacia ambulante, non possedeva quelle simpatiche gocce miracolose che l'infermiera gli procurava -detto così suonava molto losco..-, doveva arrangiarsi. Non l'aveva confezionata nemmeno decentemente, le mani tremavano come foglie, era stato difficile, aveva sparso qualcosa anche sul tappetino. Sangue, droga, armi, precedenti non molto candidi.. Se la polizia l'avesse intercettato ed avesse visto quell'auto l'avrebbe arrestato senza nemmeno passare dal via.
Finalmente l'accese, quella traballante sigaretta profumata, ne aspirò un tiro così profondo che lo fece tossire rumorosamente  ed a lungo nonostante l'abitudine.
Gli occhi lacrimavano per lo sforzo, ed il petto era scosso ancora da qualche piccolo singulto, ma ne era valsa la pena.
Era arrivato dritto al cervello, tutto quel fumo, si sentiva già più rilassato..
E come se si trovasse in vacanza alle terme si sentiva quando spense il mozzicone nell'apposito portacenere.
Gettò la testa all'indietro e ridacchiò, gli occhi chiusi ed una mano a premere su di essi, sulla fronte lasciata scoperta dai capelli. Le dita scivolarono verso il basso, sfiorarono il naso e le labbra che produssero un suono umido che gli sembrò assolutamente esilarante, spingendolo a compiere di nuovo quel piccolo tragitto.
Ripeté quel gesto un mare di volte, prima di decidersi ad andare, ad entrare. Ora non aveva alcuna paura, o meglio, il suo cervello annebbiato gli impediva di concentrarsi su quella, di registrarla. La accantonava, lo rassicurava, gli diceva non ti preoccupare, non ti preoccupare, entra e ridi di tutto!
Si avviò verso quello che una volta era un ricco e decorato portone con passo leggero, anche se un po' incerto. Ne aveva messa troppa, aveva sbagliato completamente le dosi, sì. Si abbassò, i movimenti molli come gli arti, oltrepassando un nastro giallo che impediva l'accesso. Era notte fonda, non vi avrebbe badato da sobrio a quel nastro, figurarsi..
E finalmente, giunse laddove non credeva sarebbe mai più riuscito a mettere piede. Beh, in realtà non pensava nemmeno di dover rivisitare quel luogo osceno, pensava che si trattasse di un mostro che sarebbe rimasto nel passato e negli incubi.
Era tutto diverso da come lo ricordava: non c'erano le fiamme, i drappeggi, o quel che ne rimaneva, erano anneriti,erano immobili appesi alle aste di legno pregiato sopra alle finestre ampie. Il pavimento era coperto di cenere, scricchiolava ad ogni minimo movimento, anche questo era completamente carbonizzato: Se fosse crollato sotto il suo peso non se ne sarebbe stupito. Non vi era inoltre un'anima, non c'erano morti riversi a terra e vivi che cercavano in ogni modo di salvarsi la pelle..
Niente urla agonizzanti, niente pianti di bambini, niente suppliche, nessuna richiesta di aiuto.
Solo la risata sonora del giovane, che riecheggiò sinistramente fra quelle mura instabili.

« Freund, Freund dove ti sei cacciata? Guarda dove sono venuto a prenderti.. Guarda dove sono venuto a prenderti! Sono così fiero di me, sono così.. Forte! Non ho paura del buio, non ho paura del silenzio, non ho paura di niente! »

Esclamò, alzando di nuovo la voce e rimanendo ad ascoltare con un cipiglio divertito l'eco che si spargeva.
Poi si mosse con un pizzico di decisione in più, ma non si avviò alla scala dove si trovava quella sera, non salì subito su quella piccola terrazza dove aveva trovato Mihael. Ispezionò la sala, illuminandone piccoli squarci con la sua torcia elettrica. Una macchia di sangue, una chiazza nera con il contorno che sfumava sul marrone  causata dall'imponente incendio.. Una trave crollata, chiodi, stralci di abiti, Schiacciò un po' di tutto,sentì scricchiolare un orecchino sotto la suola  che poi si appiccicò a qualche sostanza non meglio definita.. Calpestò cocci di vetro, calciò tocchi di legno. Correva un gran pericolo, in realtà, quel posto non era stato minimamente messo in sicurezza, non era sicuro che le travi portanti avrebbero retto.
Ma non ci pensava, nemmeno mentre si trascinava su per quei gradini in marmo, cercando di risistemare con le punte dei piedi il tappeto che un tempo era stato rosso, rischiando più d'una volta di inciampare a cadere.

« Uno, due, tre.. »

Li contò, quegli scalini, fino a quando non giunse in cima alla rampa. Era lì, che tutto era accaduto. Puntò verso il pavimento il fascio di luce e scorse del sangue ormai rappreso, mischiato appunto ai residui polverosi del fuoco ora estinto da giorni, ma non si sentiva sul punto di crollare come invece era successo qualche ora prima.
Era un po' di sangue, solo un po' di sangue, non aveva paura nemmeno di quello!
Impavido, diede allora il via alle ricerche. Canticchiando a labbra chiuse un motivetto che aveva ascoltato prima alla radio passò in rassegna ogni centimetro di quel pavimento, o almeno, così credette di fare. Non era molto presente, con la testa..
E non la trovò. Non sembrava esserci traccia di quella stramaledettissima pistola!

« Dannata bastarda, vieni fuori.. »

Mugolò, mentre si lasciava andare incautamente seduto sulla gradinata. Fu allora che per un fortuito caso colpì qualcosa con il piede, qualcosa che sentì ruzzolare con un tintinnio metallico verso il basso.. E finalmente la individuò. Non era sicuro che fosse lei, ma si illuminò di un sorriso stupido, nato solo ed unicamente dalla droga che ancora ottenebrava la sua coscienza in maniera blanda ma utile.

« Ma eccoti, ma ciao..>>

Cantilenava, mentre senza alzarsi strisciava verso il basso, battendo il sedere sul marmo ma infischiandosene del fastidio. Chiuse la piccola lampadina fra i denti e cercò di tenerla puntata sulla canna, i cui dettagli aveva imparato a conoscere. Era diversa, dalle altre Beretta, era personalizzata: l'incisione, la croce..
E gli sembrava proprio di aver fatto centro!

« BINGO! »

Alzò un pugno al cielo, esultando vittorioso, poi impugnò l'arma come se davvero dovesse colpire. ''Bang''. Fu questo che le sue labbra sillabarono infinite volte, mentre il braccio si muoveva, mentre gli occhi puntavano a bersagli invisibili ed inesistenti nell'oscurità. Una volta premette addirittura il grilletto, ma di proiettili in canna non ce n'erano.. E nemmeno di possibili vittime da mietere, se anche fosse esploso un colpo non avrebbe procurato problemi a nessuno, se non alla struttura.
Bang, Bang, Bang.
Non seppe dire quanto tempo trascorse in quel modo che trovava divertente prima di decidersi ad uscire da quel luogo sozzo e mefitico.
Se l'era comunque presa comoda, nonostante i cigolii di avvertimenti che il palazzo continuava a lanciare  lui non si era mosso fino a quando non lo aveva deciso, fino a quando quel gioco del finto killer non l'aveva stufato, fino a quando non aveva sentito la mente divenire via via più lucida. 
Incolume, con solo qualche graffio sulle mani  e con la mitica Freund nascosta nella tasca, per l'ennesima volta si apprestò a prender posto nell'abitacolo.
Vi si accasciò mollemente e si massaggiò le tempie, che iniziavano a pulsare dolorosamente.
Quant'era rimasto, nascosto in quel luogo di morte? Quanto?
Non avvertiva alcuno stimolo della fame, sentiva anzi lo stomaco completamente sottosopra..
Si sporse verso l'esterno appena in tempo, vomitò tutto quel poco che era riuscito a mettere sotto i denti con tanto sforzo nel giro di pochi minuti, come se quanto rivisto e rivissuto fosse stato registrato solo in quel preciso istante. Si ritrovò tremante, sudato, ansimante e sempre più giù di tono, e non solo a causa di quel malessere improvviso ma messo precedentemente in conto.
Si ripulì le labbra con un tovagliolino stropicciato ripescato dal giubbotto beige, poi gettò a terra anche quello e richiuse la portiera, pronto a ricongiungersi con il suo compagno, con il suo migliore amico, con la persona più importante della sua intera esistenza. 
  
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