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Autore: Alley    06/02/2014    7 recensioni
“Si dice che la gente vada in India per ritrovare se stessa.”
[pre Brutasha]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Si dice che la gente vada in India per ritrovare se stessa.”
 
Lo sguardo dell’agente Romanoff è fermo e inespressivo, ma Bruce non fatica a cogliere la paura che gli si cela dietro. La sente nell’aria, quasi avesse un odore, e la vede nella rigidità innaturale della sua postura – la schiena dritta come una colonna e le braccia leggermente ritratte, pronte a scattare verso la fondina nascosta chissà dove. Natasha Romanoff sa dominare la paura ma non vincerla, né nasconderla a chi, ormai, non riscontra altro in coloro che lo circondano. Bruce non gliene fa un torto, come non ne ha mai fatto a nessuno. I mostri sono fatti per essere temuti.
 
“Non è il mio caso.”
 
Natasha Romanoff ha paura, eppure è lì davanti a lui mentre tutti gli altri agenti si tengono a debita distanza – com’è giusto che sia. I mostri sono fatti per essere isolati.
 
“Io volevo scappare da me stesso.”
 
L’amarezza graffia e puntella le parole e gli opprime il petto come un macigno invisibile. Bruce non è ancora riuscito a capire se la sua sia una disillusione rabbiosa o rassegnata, ma sa che fa male come una lama infilzata nel cuore.
 
Lo sguardo dell’agente Romanoff è freddo e impenetrabile, ed è ancora fisso nel suo.
 
*
 
 
“Che cosa ha pensato?”
 
Sono in volo da ore e l’agente Romanoff non s’è allontanata nemmeno per un istante. Deve aver ricevuto ordini molto precisi e perentori. Non perderlo di vista, sparagli se necessario.
 
“Di che parla?”
 
“Cos’ha pensato quando le hanno assegnato il compito di andare a prendere un mostro?”
 
“Un uomo” replica la donna, il tono deciso e privo di increspature “È un uomo quello che mi hanno incaricato di recuperare.”
 
Uomo. Uno statuto che il destino ha deciso di negargli, una condizione che non gli appartiene – non più. Perché Natasha Romanoff gliela attribuisce? Sa quello che è – quello che può diventare – e ne ha paura, eppure lo reputa un uomo e lo tratta come tale.
 
“E comunque, io non rimugino sugli ordini. Li eseguo e basta.”  
 
*
 
“Andrà tutto bene.”
 
Non è vero, vorrebbe replicare, ma le parole gli muoiono in gola prima ancora di nascere. Un gemito frustrato è tutto quello che riesce ad emettere.
 
L’Altro sgomita e scalpita e Bruce convoglia le proprie forze nel tentativo di respingerlo. Sa che è uno scontro in cui è destinato a soccombere, eppure lotta con una forza tenace e disperata, una forza che si stupisce di possedere.
 
È passato molto tempo dall’ultima volta in cui ha provato a fronteggiarlo. Ha imparato presto che opporre resistenza equivale a prolungare l’agonia, a contemplare vanamente la sua impotenza mentre Lui gli ruba corpo e anima. Non c’è modo di scampare alla furia di Hulk, non c’è volontà che tenga; tanto vale sprofondare nell’incoscienza e nella rassicurante convinzione che è dell’Altro la colpa, non sua – una bugia che gli hanno raccontato troppe volte e a cui non ha mai creduto.
 
“Andrà tutto bene, lo giuro sulla mia vita.”
 
La voce di Natasha trema ma non si spezza e, soprattutto, non tace. Anche lei sa quanto sia inutile provare a tenere a bada Hulk, eppure continua a offrirgli parole che sono un appiglio a cui aggrapparsi – continua ad esserci, come il giorno in cui l’ha portato via da Calcutta e dalla gabbia di solitudine in cui s’era rinchiuso. 
 
Lui vincerà anche questa volta, ma Bruce non ha intenzione di facilitarlo. Non adesso che ha un motivo per reagire.
 
*

Thor e Loki scompaiono in una nube di luce, lasciandosi dietro una città devastata e un mondo ormai privo di certezze. Bruce ha perso le proprie molto prima che gli alieni arrivassero sulla Terra e il mostro che le ha sgretolato non proveniva da così lontano, né potrà mai esser sbatacchiato contro un pavimento.
 
Il capitano Rogers si congeda con un saluto educato e parte in sella alla sua motocicletta, diretto verso una meta ignota. Bruce si domanda se anche lui nutra l’illusione che allontanarsi basti a fuggire – dalla bestia che ti rifiuti di essere o da una realtà a cui senti di non appartenere. Non è così facile lasciarsi alle spalle i propri demoni, qualunque sia la loro faccia.
 
“E lei?”
 
L’agente Romanoff gli compare davanti all’improvviso e lo distoglie dalle sue riflessioni. Indossa abiti da civile, ma è troppo bella per parere una donna comune persino conciata a quel modo. “Cosa farà adesso?”
 
Bruce riflette in silenzio. Assottiglia lo sguardo, quasi stesse osservando l’idea balenatagli in mente. “Tornerò a Calcutta.”
 
Un’ombra – sorpresa, delusa? – attraversa il volto della donna e, per un istante impercettibile, ne intacca la maschera. Quanto occorre – cosa occorre – per sfilargliela del tutto?
 
“Perché?”
 
“Si dice che la gente vada in India per ritrovare se stessa” le risponde e si sente straordinariamente leggero, come non gli succedeva da anni “Credo sia il momento giusto per cominciare la ricerca.” 
 
Forse anche ai mostri va concessa un’opportunità.
 
*
 
“Non credevo di trovarla qui.”
 
Bruce solleva lo sguardo dalla provetta che sta esaminando. Per lo stupore quasi ne rovescia il contenuto. Natasha è splendida più di quanto ricordasse, tanto da mozzargli il fiato.
 
“Tony mi ha costretto a restare” spiega, la voce macchiata dall’imbarazzo “Sa essere molto persuasivo, quando vuole.” 
 
S’accorge con qualche attimo di ritardo d’aver incurvato le labbra. Lo sorprendono sempre la facilità e la frequenza con cui riesce a sorridere da quando soggiorna alla torre, da quando ha qualcuno che non lo tratta come una bomba perennemente sul punto d’esplodere. Per Tony Bruce è una persona – è un uomo quello che mi hanno mandato a recuperare – a cui spetta rispetto, non pietà e neppure sconti.
 
“In fondo non c’è bisogno di andare così lontano per trovare se stessi.”
 
Natasha, immobile sulla soglia, lo fissa con quello sguardo asettico che racchiude sempre più di quel che lascia trapelare e, dopo qualche secondo, annuisce. Bruce sa che ha capito – lei ha sempre capito.
 
“Immagino che la sua non sia una visita di cortesia…” osserva, adocchiando il fascicolo marchiato S.H.I.E.L.D. che stringe tra le mani.
 
“Il direttore vuole radunare la squadra.”
 
“Di già? Non lo facevo così nostalgico.”
 
“Tutti possono diventarlo quando hanno una frotta di mutanti alle calcagna e il dovere di difendere il pianeta.”
 
“Mi sembrano ottime motivazioni.”
 
Natasha avanza e gli porge il dossier e una penna. È un reclutamento decisamente più tranquillo e convenzionale rispetto al primo e, a differenza di quella volta, Bruce è entusiasta d’esser assoldato. È bello far parte di qualcosa, anche se questo qualcosa è un gruppo di primedonne pronte a scagliarsi l’una contro l’altra e ciascuna con manie e disfunzioni estremamente problematiche e spesso deleterie. Detta così suona davvero male, ma sta di fatto che essere un tassello di quel mosaico lo fa sentire utile, normale, vivo.
 
“Tony non ha firmato?” domanda, rivolgendo al foglio bianco un’occhiata sorpresa “Credevo avesse già parlato con lui.”
 
“L’ho fatto” replica Natasha, flemmatica “Ha detto che avrebbe accettato soltanto se l’avesse fatto anche lei. Credo che si stia innamorando.”
 
Più tardi Bruce scoprirà che le parole di Tony non erano state proprio quelle – o meglio, non erano state solo quelle. Aveva  invitato l’agente Romanoff a utilizzare ogni arma a sua disposizione per convincerlo – e Bruce non faticava a immaginare quali fossero stati il suo tono e la sua espressione.
 
“Non lo dica alla signorina Potts” ribatte, ridacchiando, e scrive il proprio nome in un angolo “E lei? Non firma?”
 
L’agente Romanoff raccoglie il materiale e gli rivolge l’occhiata scettica che si riserva alle domande particolarmente ovvie. “Non ce n’è bisogno.”
 
“È molto coraggioso da parte sua non declinare l’invito, dopo quello che è successo sull’Helicarrier.”
 
Natasha inarca appena un sopracciglio, riuscendo nell’ardua impresa di far apparire un gesto così innocuo come qualcosa di incredibilmente letale. “Pensa davvero che Hulk sia la cosa più pericolosa con cui abbia avuto a che fare?”
 
Adesso sul suo viso c’è un’espressione che Bruce è sicuro di non averle mai visto prima e che la rende straordinariamente...umana. Accessibile. Non più distante anni luce.
 
“Non è così?” le chiede e il sorriso che riceve in risposta è morbido e divertito – e vero. È il sorriso di un volto, non di una maschera.
 
“Lei è un presuntuoso, dottor Banner.”
 
Quando Natasha si volta e fa per andarsene, Bruce s’accorge di star cercando un pretesto per fermarla. Da quanto non gli succedeva di voler trattenere qualcuno? Negli ultimi anni allontanare gli altri era divenuto, per lui, un imperativo. Hulk è ancora lì, nascosto dentro di lui, ma ora all’idea di avere qualcuno – di avere lei – accanto non prova più paura, ma desiderio.
 
Alla fine non riesce ad elaborare alcuna scusa che risulterebbe convincente o almeno sensata – non ha mai avuto una grande inventiva -, ma Natasha, giunta a un passo dalla porta, si ferma e si volta nella sua direzione, quasi avesse captato i suoi pensieri.
 
“A che punto è la sua ricerca?” gli domanda, e questa volta non ha bisogno di tempo né di riflessioni per rispondere.
 
“Procede.”
 
Per Bruce è un miracolo più che sufficiente. 












Note
Era più o meno un secolo che desideravo scrivere qualcosa su questo pairing, ma faticavo a trovare una chiave di lettura. Adesso che ci sono riuscita (anche se non so quanto bene l'abbia fatto) mi sento una fangirl realizzata, perchè li trovo bellissimissimissimi e ci tenevo molto a "dire la mia" su di loro. Più Brutasha per tutti! *agita il pugno*
Ringrazio e scuoricino tutti quelli che sono arrivati fin qui. Spero che la storia sia stata di vostra gradimento!
  
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