Estate.
Bella l’estate.
Il clima caldo, le giornate lunghe ed illuminate..
Certo, non mi piacevano come la pioggia, ma erano piacevoli.
Ormai avevamo debuttato da un po’.
Tre mesi, per la precisione.
Eravamo in vetta ad ogni classifica, superando persino i Trapnest.
Ero fiero di noi, decisamente.
Questa sera aveva luogo il nostro primo concerto a sorpresa qui, a Tokyo.
Non vedevo l’ora.
Oh, pardon. Vedevamo.
Dietro le quinte era tutto un fermento, nessuno stava mai fermo o zitto ed i truccatori erano impegnati a prepararci.
Kaoru era intenta a mettermi dell’eye-liner per farmi risaltare gli occhi, e poverina, la stavo mandando fuori di testa.
Non mi ero mai truccato prima, non riuscivo a stare fermo.
E poi quel coso era.. umido, e fastidioso.
Per i vestiti? Il solito.
Jeans neri, strappati in più punti, e gilet a scacchi; anfibi ai piedi e via.
Ero pronto.
Salimmo in silenzio sul palco, con ognuno il proprio strumento impugnato con forza.
Tutte le luci erano spente, il che non ci faceva vedere alla folla radunatasi di fronte al palco.
Sentivo l’adrenalina scorrermi nelle vene.
Era eccitante.
Calcare il palco, sentire il vociferio delle ragazzine, avere la consapevolezza di suonare dal vivo davanti ad una parte di Tokyo.
Poi..
« Buonasera. Siamo i Black Stones. »
La voce di Nana mi riportò alla realtà.
Le luci si accesero improvvisamente, rivelandoci.
Le miriadi di adolescenti iniziarono ad urlare, a dimenarsi.
Ci amavano. Ci volevano.
Yasu ci diede il ritmo.
Uno.
Due.
Tre.
Quattro.
Iniziammo a suonare il nostro cavallo di battaglia, ed era una sensazione bellissima.
Tante piccole scosse elettriche mi attraversavano il corpo, facendomi godere.
Stavo godendo come non mai.
Io ero fatto per fare questo.
Io ero nato per essere un musicista.
Poi alzai lo sguardo, e la vidi.
Era in prima fila, proprio di fronte a me.
Aveva i capelli legati in una crocchia alta, spettinata.
Indossava una salopette di jeans chiaro, con sotto una canotta nera con disegnata una rosa rossa trafitta da una spada.
Il volto era pulito.
Solo un po’ di lucidalabbra ed una riga di eye-liner sugli occhi, nascosti da enormi occhiali da vista dalla montatura spessa e nera.
Shin Ryuzaki.
La guardai, e lei fece lo stesso.
I nostri sguardi si incatenarono di nuovo, per l’ennesima volta.
Erano tre mesi che non la vedevo, ed anche se non ci eravamo mai parlati mi era mancata.
Ero contento di vederla, così come lo era lei.
Lo vedevo nei suoi occhi.
Continuammo a guardarci per tutta la durata del concerto; Shin sapeva ogni canzone a memoria.
L’avrei cercata ad ogni concerto, ed ero sicuro che ogni volta l’avrei vista.