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Autore: Ruta    08/02/2014    2 recensioni
Sherlock si sveglia tre volte e altrettante si riaddormenta prima che lei passi a trovarlo.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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la via

La morte è dovunque la stessa. Ma varia la vita, fino al momento della morte. Sulla maschera di un volto spento, cerchiamo le tracce della vita vissuta; non è la morte, che ci fa paura nel volto di un trapassato, ma la vita che lo aveva animato. È quella vita che noi cerchiamo, che tentiamo di visualizzare, quella vita la cui assenza ci riempie di paura.

Yehiel De-Nur, La casa delle bambole, 1955

 

Se sei consapevole della morte, essa non arriverà come una sorpresa, non ne sarai preoccupato. Percepirai che la morte è esattamente come cambiarsi d’abito e, di conseguenza, in quel momento riuscirai a mantenere la tranquillità mentale.

Tenzin Gyatso (Dalai Lama), La via della tranquillità, 1998

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La via dalla morte alla vita e viceversa

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sherlock si sveglia tre volte e altrettante si riaddormenta prima che lei passi a trovarlo. Intorpidito dall’anestesia, impiega più tempo del necessario a riconoscere l’ambiente che lo circonda. Una stanza d’ospedale. Genericamente bianca, adeguatamente pulita, rigorosamente impersonale.
Oltre le persiane abbassate della finestra, è notte inoltrata. Fredda, conferma la cute pallida di Molly, arrossata là dove la borea l’ha morsa - guance e punta del naso e orecchie.
Molly è seduta rigidamente sulla scomoda poltroncina di plastica. Ha le braccia raccolte attorno al busto, alla borsa che tiene sulle ginocchia.
Non dorme, anche se le palpebre sono chiuse. Le ciglia fremono, sono umide di lacrime fresche. Le spalle non sussultano, ma devono averlo fatto.
Sherlock decide di ignorare l’evidenza di ciò che osserva.
Deve avere completato il suo turno da poco. Non è tornata al suo appartamento. Non ha avuto modo di farsi una doccia o cambiarsi. Sa ancora di formaldeide, oltre l’odore superficiale del sapone al limone che utilizza per coprirla. Sotto entrambi c’è la fragranza di lei, peculiare ed esclusiva. Qualcosa che combina alcuni dei suoi aromi preferiti.

Caffè. Quello che ha bevuto appena prima di entrare.
Agenti chimici. Quelli del fissativo che viene iniettato nelle salme. Alcool. Glicerina. Formalina. Acido fenico. Acetato di potassio. Nitrato di potassio. Cloruro di sodio.
Lavanda.
“Hai intenzione di fingere di non notarmi ancora per molto? È una pratica inefficace. Non saresti qui se non fosse per me, il che implica che tu abbia già preso atto della mia presenza.”
Un altro minuto. Nessun cenno, nessuna risposta.
Sherlock rotea gli occhi che zigzagano, perlustrando la camera e che ritornano dopo un istante sul punto focale che è la figura a colori di lei. Il resto dilata, forma un contorno trascurabile di grigio e piattezza comune.    
“È un modo come un altro per dare sfogo alla rabbia?”
Interrogativo inutile. Sherlock ne riconosce lo squallore mediocre. 
Ciò nonostante sarebbe quantomeno gradito che Molly mostrasse un minimo di partecipazione. Qualcosa che non sia il lieve corrugamento di sopracciglia che ha seguito le sue parole.
Invece del brusio delle sue chiacchiere o anche dei suoi pensieri mulinanti - opzioni più che gradite a paragone -, in questa occasione Molly gli oppone la forza puntigliosa del suo silenzio.
Un silenzio effimero che grida e stride, dato il contesto.
“Lo sciopero del silenzio di Molly Hooper.”
Un altro sbuffo. Sherlock picchietta con fastidio crescente le dita contro le sbarre del letto.  “Molly”, la richiama, impaziente.
Lei finalmente lo degna di un’occhiata. Ed è fugace e turbata come quella di un animale imprigionato e ingannato, poi acquisisce spessore, una sua consistenza.
“Sta’ zitto, Sherlock”, ordina, brusca, alzandosi di scatto. Sembra che stia soffocando; è in iperventilazione. “Sta’ zitto, okay? Dammi solo un attimo. No, anzi, non farlo. Parla pure quanto ti pare. Lo preferisco.”
Si sposta su e giù per la stanza, agitata, tracciando ampi cerchi nel ricircolo d’aria. Tiene le mani premute sul viso, ma non sta piangendo. È uno spettacolo spiacevole e impietoso di cui, dopo anni di conoscenza reciproca, è in grado di distinguere i sintomi – si manifestano di rado.
“Cosa c’è che non va, Molly?”
Lei si volta con un’espressione sbigottita e rabbiosa al contempo.
Molly non è mai netta nei sentimenti. Il suo provare è un mare agitato, smanioso e turbinante. “Sono terrorizzata”, dice e inghiottisce a vuoto una, due, tre volte. Con voce rotta, aggiunge: “Stavi per morire.”
Sherlock solleva un angolo di bocca in un sorriso disarmonico e disagevole, si indica con platealità, ma la voce rimane arrochita, se ne rende conto, così come ha coscienza del fatto che le sue percezioni risultino stordite e lente. “Come vedi non mostro nessuno tra i principali fenomeni abiotici, inclusa la triade del Bichat. Temo che dovrai rinviare l’esame post-mortem. Certo, un trauma balistico sarebbe stato-”   
Sherlock si interrompe, confuso.

Come e quando è successo? Ma soprattutto: per quale sacrosanta ragione?
Fatto sta che Molly, l’imprevedibilità fatta a persona nella figura insospettabile della prevedibilità, Molly ora lo sta abbracciando con l’impeto e il furore di una vecchia emozione. O meglio ci sta provando.
Le braccia le tremano tanto che lui considera un miracolo che la ferita chirurgica non si sia già riaperta.
Sherlock è tentato di farglielo notare. Un pensiero formulato nell’istante successivo lo frena. La reazione di lei sarebbe scontata. Si tirerebbe indietro, lo lascerebbe andare, trattandolo come epidermide ustionata dal fuoco.
Incerto, le sfiora la nuca con il pollice e l’indice, percorre la porzione di pelle morbida tra l’attaccatura dei capelli e il retro del collo in una carezza calma, che ha fiducia essere rassicurante. Non si lascia sfuggire un verso.  Molly sarebbe fin troppo rapida a fraintenderlo.
Il suo naso e la bocca, contro la clavicola, respirano piano, trattenuti dalla volontà di lei di non provocargli dolore.
“Non sono morto.”
Davvero, è la serata delle ovvietà desolanti.
Molly sfrega la fronte contro il camice. “Non sarei dovuta entrare”, la sente bisbigliare. “Non sono in me.”
Rimangono così per un tempo incalcolabile: Molly ferma sul bordo del letto, la faccia affondata nella sua spalla; Sherlock che le massaggia l’arco percepibile delle vertebre nella schiena incurvata, respirando in linea retta da lei che li emana tutta la serie di fragranze che maggiormente apprezza.
“È solo per questo?” domanda con una sottile, perniciosa irritazione.
Molly si scosta. “Solo?” chiede in tono severo.
Sherlock la fissa gravemente. Ora che la sua mano è tornata vuota e disimpegnata, assomiglia a un’appendice strana e amorfa contro il tessuto delle lenzuola. “Non mi hai perdonato.”
Molly non si dà pena di smentire. “Sai che significato hanno per me le droghe. Inoltre lo avevi promesso,” lo affronta franca, dura. “No, lo avevi giurato.”
“Lo ricordo bene.”
“Non è da te rompere una promessa, altrimenti non sprecheresti tempo a farla. Che genere di caso stai seguendo?”

Brillante. Davvero brillante.
Sherlock non contesta, non adduce attenuanti.
“Deve trattarsi di un caso pericoloso”, persevera Molly. “Uno di cui non puoi o non vuoi parlare. O entrambe le cose. Ed è un caso per cui ti sei fatto sparare.”
Alla riconoscibile vena di accusa e preoccupazione nella voce di lei, Sherlock reagisce con un moto di dispetto. Molly non ci bada. Continua i suoi ragionamenti a testa bassa, concentrata. “John deve esserne al corrente. Era sul posto con te. Non ha voluto dirmi nulla. Questo dimostra che oltre ad essere un caso rischioso minaccia indirettamente anche noi, il che lo rende ancora più problematico per te. Quando c’è in ballo la sicurezza dei tuoi amici diventi avventato e no, non azzardarti a dire il contrario.”
Non ne aveva il proposito.
Molly sospira, si passa una mano sul viso. Contrae i muscoli delle spalle e si morde le labbra, nel ritratto che dovrebbe appartenere al dubbio. Alla fine, come se le costi un certo sforzo e una buona dose di audacia, si allunga di nuovo verso di lui.
Sherlock si limita a fissarla, senza muoversi.
Molly lo sonda con uno sguardo preciso, schietto. Poi con delicatezza, piano, gli depone un bacio sulla guancia. È un bacio tiepido, che racconta molto della notte esterna che tra poco dovranno affrontare separatamente.
Quindi si alza, prende la borsa dal pavimento e la sciarpa variopinta dalla poltroncina su cui l’ha appoggiata.
“Non hai intenzione di chiedermi di abbandonare il caso?”
Molly si volta per rivolgergli un ultimo scorcio della sua espressione da giocatore di dama. “Lo faresti?”
Non gli da possibilità di replica. È già uscita, lasciandosi dietro uno, dieci profumi e l’eco sfuggente di quello che ha detto.

Molly Hooper. La trasposizione di tutto ciò che non è anodino.

 

 

 

 

 

“Quando si ama qualcuno si fanno tante cose che in circostanze diverse non ci si sognerebbe mai di fare. Gli schiaffi che ti ho dato lo dimostrano. A presto Sherlock. Spero davvero che tu ti rimetta il prima possibile.”

 

 

 

 


N/a:

La leggo, la rileggo, cancello metà delle frasi, le riscrivo dapprincipio. Provo a fare tabula rasa. Non ci riesco. Si è fossilizzata questa immagine nella testa e non si scolla, non spianta le sue radici. Ormai è attecchita.
E la voce di Sherlock mentre pensa: “Clever, really clever”, durante le deduzioni di Molly. (Sì, l’ho pensata in inglese e ho dovuto tradurla nella penosa traslitterazione: Brillante, davvero brillante, che non rende neanche la metà dell’originale.)
L’ultima scena è emblematica e tributa, spero almeno in piccola parte, a Molly la reale portata di ciò che prova per Sherlock. Molly lo ama e lo ammira per la sua mente analitica, la sua capacità intuitiva, l’inusitata intelligenza matematica e certosina. Stima il suo lavoro e malgrado la preoccupazione non gli chiederebbe mai di abbandonare un caso. Di essere prudente? Di prestare maggiore attenzione? Di agire con cautela? Certo. Ma rinunciare all’adrenalina e al brivido della caccia? Sarebbe come privare d'acqua un assetato, equivarrebbe a togliergli il sangue dalle vene. Sarebbe come chiedere a Sherlock di non essere Sherlock.
Molly lo sa e per questo non si sognerebbe mai di farlo. Una cosa è essere arrabbiati per la poca cura che ha di se stesso, un’altra è sgridarlo per la sua predisposizione a fare cose pericolose e potenzialmente mortali. La prima riguarda la sua salute, la seconda non dipende solo da lui. È il suo lavoro e il suo lavoro prevede avere a che fare con soggetti complessi.

  
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