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Autore: Hylia93    08/02/2014    5 recensioni
Lei, l’espressione da cane rabbioso a distorcerle i lineamenti delicati, ebbe il buon senso di evitare di fare ciò che avrebbe voluto - ossia dargli una capocciata - e portò le mani ai fianchi. - Ti ho mai detto che ti odio?
- Tutti i giorni, Elisabetta, tutti i giorni.
- Non abbastanza, a quanto pare. E non chiamarmi così.
Benedict si morse il labbro inferiore, affettando un’espressione tra il mortificato e l’interrogativo. - Vuoi dire che non mi è permesso rivolgermi a te con il tuo vero nome?
- E’ ciò che voglio dire. - sibilò, secca - Anche se, più precisamente, ciò che voglio intendere è che non dovresti rivolgerti a me in nessun caso, né tantomeno importunarmi con trovate degne di un… Di un…
Chris voltò pagina e parlò con voce atona. - Idiota?
- Imbecille? - si aggiunse Tom.
- Peggio. - concluse Beth - Infinitamente peggio.
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Il Collegium Sanctae prope Wintoniam, detto anche St Mary’s College o, meno formalmente, Winchester, è una scuola indipendente situata nell’omonima città di Winchester, nell’Hampshire
Fondata nel 1382 dal vescovo William of Wykeham, le sue possenti mura resistono agli anni grazie ad una reputazione di ferro e alle tradizioni che la accompagnano ormai da centinaia di anni. 
Un vero e proprio castello in pietra, immerso nel verde più tipicamente inglese, con alte finestre a volta, laghi che si estendono per miglia e parchi ombreggiati da una folta vegetazione. Una realtà che pare rimanere impassibile al mutare delle stagioni, delle generazioni, del tempo. Rimane lì, imponente, ostinata, decisa a non mollare la presa sul territorio circostante e sull’intera Inghilterra. Un baluardo della cultura britannica, una dimostrazione degli alti livelli di preparazione e istruzione dei leader del futuro. 
- Un mucchio di parole altisonanti, insomma. 
- Un mucchio di cazzate, vorrai dire. 
Benedict ridacchiò e aspirò dalla sigaretta, assaporando il gusto amaro del tabacco. 
- Stronzo, lasciami quei due tiri!
- Non ci penso proprio. 
Thomas Andrew Crawford, ossia Tom lo Spilungone, tirò un calcio al suo migliore amico, il quale rispose con un’occhiataccia e un altro tiro di sigaretta. 
- Ben, ti giuro che se osi… 
Il ragazzo inarcò un sopracciglio. - Cosa, Tommy? Se non ti faccio fumare, mi spedirai dal Rettore Bradford?
Il caro Tommy, ovviamente, non rispose. Il Rettore era lo zio di Ben e, ovviamente, non gli avrebbe torto un capello. - Sei un raccomandato del cazzo. 
- E tu sei uno scaricatore di porto, ma ti pare il caso di usare questo linguaggio? - Christopher, sdraiato sull’erba con un libro a tre centimetri dal naso, si limitava ad intervenire di tanto in tanto per mantenere viva la conversazione. In pratica, era totalmente inutile e viveva fuori dal mondo per la maggior parte del tempo. Quando si risvegliava, si limitava a scopare qualche deliziosa giovincella per tornare poi nel suo letargo fatto di libri e caffè. 
Ben passò la sigaretta a Tom, che la prese senza troppi complimenti, e si avvicinò a Chris camminando carponi sull’erba umida. - Cosa stai leggendo, stavolta? “Manuale per gente noiosa: livello esperto”?
- No. - biascicò l’altro, in risposta - “Come far fuori i rompicoglioni: consigli per i casi disperati”. 
- Sei divertente come un dito in c…
- BENEDICT BRYAN COOPER!
La deliziosa voce da oca proveniva dalla ragazza più bella e allo stesso tempo più insopportabile dell’intero complesso scolastico. Mentre Beth avanzava a passo di marcia verso loro tre, Tom si affrettò a buttare la sigaretta a terra, per poi sedercisi sopra in un lampo di genio, mentre Chris rimase immobile, nella medesima posizione, tranquillo come se non rischiasse di essere calpestato da lei
Ben balzò in piedi e le andò incontro a braccia aperte. - Oh, Miss Borghese, ha deciso di deliziarci della sua presenza! Mi sento terribilmente in imbarazzo per l’accoglienza piuttosto esigua, la prego di volerci scusare, ma non avevamo idea che sarebbe venuta a rompere i coglioni anche questo pomeriggio!
Un metro e sessanta di capelli biondi, occhi scuri e pelle diafana si bloccò a pochi centimetri da Benedict, il quale mantenne intatto il suo sorriso impertinente e ebbe persino l’ardire di soffiare per spostare un ciuffo di capelli neri dal viso. La fissò con insistenza, le iridi azzurre limpide come pozze d’acqua sorgiva e le guance leggermente arrossate. 
Lei, l’espressione da cane rabbioso a distorcerle i lineamenti delicati, ebbe il buon senso di evitare di fare ciò che avrebbe voluto - ossia dargli una capocciata - e portò le mani ai fianchi. - Ti ho mai detto che ti odio?
- Tutti i giorni, Elisabetta, tutti i giorni. 
- Non abbastanza, a quanto pare. E non chiamarmi così. 
Benedict si morse il labbro inferiore, affettando un’espressione tra il mortificato e l’interrogativo. - Vuoi dire che non mi è permesso rivolgermi a te con il tuo vero nome?
- E’ ciò che voglio dire. - sibilò, secca - Anche se, più precisamente, ciò che voglio intendere è che non dovresti rivolgerti a me in nessun caso, né tantomeno importunarmi con trovate degne di un… Di un… 
Chris voltò pagina e parlò con voce atona. - Idiota?
- Imbecille? - si aggiunse Tom. 
- Peggio. - concluse Beth - Infinitamente peggio. 
Benedict scoppiò a ridere, le afferrò una mano - avvolta da un guanto scuro - e la sfiorò con le labbra. - E’ stato un piacere, non devi affatto ringraziare. 
La ragazza sembrò prendere molto male quel gesto, considerando le cinque dita che si stamparono sulla guancia del signorino Cooper. 
- Ahia. - si limitò a mormorare lui, massaggiandosi la zona colpita - Hai fatto palestra ultimamente?
Beth affilò lo sguardo. - Dovrei, così la prossima volta non riuscirai a parlare per qualche giorno e forse riuscirò a dimenticarmi della tua patetica esistenza. 
Tom soffocò le risate e Chris chiuse il libro, di scatto, per poi alzarsi con un movimento fluido e controllato. 
- C’è troppo casino, qui. Io vado a leggere in Biblioteca. - annunciò, come se a qualcuno importasse, dirigendosi verso il Castello. 
- Betty, che diavolo ti ha fatto stavolta? - domandò Tom, alzandosi in piedi. 
Lei lo squadrò per qualche secondo, soppesando l’idea di picchiare anche lui. - Vuoi dire che non sei coinvolto? 
- Non stavolta. 
- Dovrei crederti?
Ben s’intromise: - E’ innocente, sebbene colpevole di mancato sostegno ad un amico in difficoltà. 
La ragazza lo ignorò. - Mi ha mandato un mazzo di margherite. 
- Ed è… Sbagliato? - Tom sembrava sinceramente perplesso. 
- Sono allergica alle margherite. E anche all’ortica con cui erano adornate. - spiegò Beth, togliendosi i guanti e mostrando le mani colme di piccole bollicine rossastre fin sopra il polso. Ben le afferrò di nuovo una mano, stavolta pelle contro pelle, e la osservò, rapito. Lei ne approfittò per dargli un altro schiaffo. 
- Elisabetta, ora basta. Così rischierai davvero di farmi male. - sussurrò la “vittima”, allontanandosi di un passo. 
- Io ti avverto, Cooper: non vado dal Rettore solo perché la vendetta è un piatto che va consumato lento. - Beth fece un passo verso di lui e gli puntò un dito contro. - Tu sei il mio piatto, e io ti consumerò un pezzetto alla volta, come un serial killer che si arma di bisturi per tagliare via… 
- Dolcezza, sta diventando davvero raccapricciante. Poco adatto ad una ragazza dolce, sensibile e delicata come te. - Ben le fece l’occhiolino e si sedette sotto un Tasso, un’enorme conifera che aveva piantato radici stabili in quel terreno. 
Tom spostò lo sguardo dall’uno all’altra, scrollò le spalle e se ne andò. - Hai un gran bel buco nei pantaloni! - gli gridò dietro Benedict, le mani a coppa intorno alle labbra carnose. Beth lo osservava ancora con odio, il petto che si alzava e abbassava velocemente. 
- Sai - cominciò il ragazzo, le caviglie incrociate, la schiena appoggiata al tronco possente e le dita intrecciate ai fili d’erba. - Quest’albero ha un nome particolare. 
- Non me ne frega niente. 
- Il suo nome scientifico è Taxus baccata, ma io preferisco di gran lunga Albero della Morte. - continuò, imperterrito. - Gli dà tutta un’altra aria, non trovi? D’un tratto queste foglioline non sembrano più così delicate, ma aghi appuntiti; la chioma, così estesa, maestosa, appare come un mostro in grado di divorare tutto ciò che abbraccia con la sua ombra. - Ben alzò gli occhi sulla ragazza - Anche tu sei un po’ come quest’albero. 
Beth assunse un’espressione offesa. - E con ciò cosa vorresti dire?
Con la mano aperta, Ben batté sul terreno accanto a lui, facendole segno di raggiungerlo e sedersi. Lei rimase lì, impalata, testarda, gli occhi ardenti e le mani strette intorno alla stoffa dei guanti. 
- Te lo dico solo se vieni qui, Miss Borghese. 
- Non morirò di certo, se non me lo dirai. 
- Oh, no, non morirai. Ma sei curiosa. 
Benedict poté osservare il respiro di lei accelerare, l’indecisione e l’interesse nei suoi occhi scuri. Quello sguardo gli ricordava sempre quando erano amici, i primi anni di scuola. Lui aveva quindici anni, lei ne aveva tredici, da poco compiuti, ed era una bambina adorabile. Un visino dolce, occhi profondi e una cascata di boccoli biondi ad incorniciare le guance piene e rosee. Una bambola. 
Lui se n’era innamorato subito. L’aveva tenuta sotto la sua protezione per due anni, passando ore a rassicurarla, a difenderla da coloro che cercavano le sue labbra immature. Le aveva camminato al fianco, nei corridoi vuoti e freddi del Castello, aveva picchiato qualche pretendente e l’aveva coltivata come un fiore rarissimo. 
Poi si era accorto che stava diventando troppo indipendente, che aveva troppe amiche, che era troppo bella, che i suoi occhi erano troppo seducenti e che gli spasimanti erano troppi per i suoi pugni. L’aveva lasciata andare, e aveva deciso di odiarla.
E lei, accorgendosene, aveva cominciato a soffrire, a piangere, poi a dimenticare e a cambiare sotto i suoi occhi. Ora, Elisabetta Borghese, la sua pupilla originaria di una nobile famiglia italiana, era l’incantevole Beth, la ragazza più ambita dello Winchester.
- N-non posso. Devo tornare. Tra poco iniziano le lezioni. 
- Bugiarda. 
Di nuovo il fuoco dell’umiliazione si accese negli occhi neri dell’incantevole Beth. - Bene, allora non voglio. Preferisci?
- Un’altra bugia, Elisabetta?
- Ti ho detto di non chiamarmi così. 
Benedict sorrise. - Per favore, vieni qui. Accanto a me, come ai vecchi tempi. 
Lei sussultò e sgranò gli occhi. Loro non parlavano di quei tempi, mai. Fu questo a convincerla, la nostalgia per il modo in cui il suo “Coop” la proteggeva, la guardava, le sorrideva. Beth si mosse, titubante, e si sedette accanto a lui. La gonna della divisa si alzò appena sui fianchi, scoprendo le gambe sottili fasciate dalle calze scure. Ben osservò deliziato quella visione, ma solo per pochi istanti. Alzò lo sguardo e incatenò i suoi occhi. - I tuoi capelli sono come la chioma di quest’albero: quando li guardi sembrano infinitamente morbidi, seta tra le dita… - si avvicinò, lentamente, e fece scivolare la mano con delicatezza tra le ciocche biondo-dorate - Verrebbe voglia di affondarci il viso, El, di immergercisi completamente. Eppure in realtà sono tela di ragno, ci si resta intrappolati, non se ne esce mai più. 
Lei lo osservava, sconcertata e incapace di rispondere. Erano due anni che non si trovavano così vicini e non l’aveva mai toccata così, neppure prima. Non si era mai azzardato, mai. Le era sembrato di aver fatto l’amore con lui, ma soltanto con gli sguardi, mai con il corpo.  
- E i tuoi occhi, Elisabetta, lo sai cosa sembrano i tuoi occhi?
Lei scosse la testa e deglutì. Le mani, tremanti, giacevano abbandonate in grembo. 
Benedict spostò una mano sulla sua guancia, sfiorandole gli zigomi e la linea del viso, scendendo sul collo e passando sulla nuca. - I tuoi occhi sono come le foglie dell’Albero della Morte: vorresti osservarli tutto il giorno, osservare ogni minima reazione avvenga in quell’abisso, ma poi ti accorgi che vi sono sepolti mille piccoli aghi che, ad un tuo ordine, feriscono il cuore di chiunque vi si soffermi. - Sorrise, Coop, il suo Coop, e lei ebbe un brivido. - Tu sei il mio Albero della Morte, Elisabetta. Tu hai messo le radici nel mio animo e io non sono in grado di estirparle. Di me, al contrario, non è rimasto nulla nel tuo corpo, né nella tua mente. Non è così? 
- Ti sbagli. 
Benedict le dedicò un sorriso amaro. - No, non mi sbaglio. Ma io ho voluto lasciartelo comunque, un segno. Le tue mani… - sussurrò, abbassando lo sguardo sul suo grembo, la pelle del dorso e del palmo arrossata dall’ortica. - E il tuo respiro… - continuò, l’effetto dell’allergia che ancora le rendeva difficile inspirare ed espirare. 
- Ti sbagli. - ripeté lei, le lacrime che cominciarono a sgorgare dai suoi occhi neri, due boccioli inumiditi dal pianto, ma colmi di orgoglio ferito e rabbia repressa. 
Ben si avvicinò e la guardò rapito per qualche secondo. Poi, con il fuoco ad illuminare le iridi chiare, le passò la lingua su una guancia e poi sull’altra, raccogliendo le sue lacrime. - Queste sono per me, non è vero? - le chiese, appoggiando la fronte contro quella di lei. 
- Sì. - mormorò lei, singhiozzando. 
- Cos’altro hai, per me, piccola?
L’incantevole Beth lo guardò implorante, come a chiedergli di non farglielo fare, di lasciarla libera. Lui, però, si limitò a bruciarle la volontà fissando quegli occhi color del cielo nei suoi, senza scampo, senza concederla alcuna via d’uscita. Così, sconfitta, lo baciò. Lui ansimò, strinse la presa sulla nuca di Beth e l’attirò violentemente verso di sé, bevendo i suoi respiri come fossero miele dolcissimo e assaporando la sua bocca come la più prelibata delle pietanze. La consumò, senza lasciarle nulla, senza permetterle di riprendere fiato e lasciandola ad affannare per un po’ d’aria. Benedict spostò le mani sotto le sue gambe e la tirò su di sé con un movimento rapido, prepotente. Con un gemito, cercò la sua pelle al di sotto degli strati di vestiti invernali, così inadatti in quel momento e così pesanti da renderlo impaziente e nervoso. 
Le morse un labbro e lei mugolò, senza staccarsi, ma tenendosi più saldamente alle spalle di lui. Il tronco dell’Albero della Morte aiutava Ben a mantenersi in equilibrio, ma lei, a cavallo su di lui, era leggera, inconsistente, una parte di sé. - Tu sei mia. - le ripeteva, ancora e ancora, le parole confuse dai baci ma chiare come acqua sorgiva. Lei annuiva, gli occhi chiusi e le mani - che portavano ancora i segni voluti da lui - che si muovevano frenetiche sul petto, sul viso, sul collo. 
Mia.  


 




Note autrice 
Salve a tutti, ieri sera ho avuto un'improvvisa ispirazione e ho partorito questa cosa senza senso... 
Non so se rimarrà tale o se prenderò spunto per scrivere una long, ma per ora rimane così. 
Spero davvero che vi piaccia! 
Baci 

Hylia

   
 
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