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Autore: Mikirise    09/02/2014    5 recensioni
"(…)ma anzi, pensò lucidamente che, in effetti, Rojo era il nome d'arte che faceva al caso suo, visto che gli ricordava i lunghi capelli di sua madre, gli alberi dalle foglie rosse che crescevano accanto alla sua vecchia casa, l'Italia, i pomodori, la Spagna ed infine Antonio, anche se non volle subito ammetterlo. Ed il rosso era il colore della passione, la stessa che lo portava a dipingere senza mai stancarsi né annoiarsi. Dovette ammettere che tutto quello che il rosso gli ricordava era parte integrante di lui, che lo rappresentava nella migliore maniera e che mai nulla gli sarebbe calzato a pennello come il rosso. Furono questi i pensieri che passarono per la testa di Romano quando disse “R come Rojo” girando la testa verso Antonio."
Ispirato a "L'amore ai Tempi del Colera", tenevo a dirlo data la recente scomparsa di Gabriel García Márquez.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
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1. L'inizio

Il Suicidio col cianuro





La vera vita di Romano Lovino Vargas, conosciuto al mondo come Rojo, iniziò il 23 maggio del 1981 alla tenera età di 8 anni.

Sdraiato sulla tomba della madre, Laura Donati, piangeva disperatamente, con rabbia, graffiando il marmo duro e freddamente bianco della lapide, mandando a fanculo quei bastardi della chiesa, che non potevano essere altro che delle merde, delle grosse merde. Spingeva lontano il padre, gli sputava addosso e, quando Feliciano si avvicinava a lui, nell'ingenuità che solo un bambino può avere di poter consolare qualcuno nella morte, lo spaventava con sguardo gelido e con la ferocia di una bestia.

Nessuno era riuscito a staccarlo dalla tomba di sua madre, situata nel cimitero dei non credenti,e lì rimase, quando le poche persone che erano venute a dare l'addio a quella pover'anima decisero di andarsene, ché il fresco di sera li aveva raggiunti e il sole li aveva abbandonati, lasciando il suo posto ad un cielo scuro, blu, buio senza stelle, ma con una luna tanto grande che vegliava sul bambino che piangeva.

Romano si coricò accanto al nome della madre da nubile, con le lacrime che ancora bruciavano, le guance paffute rosse e rigate, il naso gocciolante.

Era stato il primo a trovare il corpo della mamma, tornando da scuola da solo, come sua consuetudine. Aveva sentito uno strano odore entrando, un odore che non aveva mai sentito. Aveva chiamato molte volte la mamma, stranito dal fatto che non si trovasse in cucina, come suo solito, preparando la merenda, mentre scuoteva la sua testa piena di capelli lisci e rossi, cantando una vecchia canzone italiana che puntualmente rovinava, stonando una nota qua e là. Aveva cercato ovunque, correndo nella piccola casa, vuota, che prima di loro era appartenuta a suo nonno materno, morto prima che Romano nascesse. Aveva aperto tutte le porte ed aveva incontrato la donna a terra, con gli occhi aperti e pieni di rancore. L'aveva chiamata. Aveva pianto nel chiamarla e non aveva capito, all'inizio, che fosse morta. Le aveva chiesto come fosse riuscita ad addormentarsi in bagno, che si doveva svegliare ed aveva provato lui stesso ad alzarla da terra e portarla per lo meno in camera da letto, sospettando che Laura fosse non addormentata, ma svenuta. Quando però cercò di alzarla, la mamma era rigida ed i suoi occhi vitrei. Romano si spaventò e corse fuori casa, nella paura che la madre fosse in pericolo. Vivevano soli, loro due, in quella piccola casa, in un posto isolato, e ben presto il bambino si rese conto di non sapere dove doveva andare, dove cercare aiuto e, soprattutto, a chi chiedere aiuto. Si ricordò che un suo compagno di classe era figlio di un dottore, che probabilmente era quello del paese. Corse con tutto il fiato che aveva in corpo, non salutò nemmeno quando gli aprirono la porta, chiese solo per il dottore, gridava che voleva il dottore, che doveva seguirlo a casa, subito. L'uomo in quel momento si stava togliendo la giacca, dopo la sua giornata di lavoro, e guardò la moglie supplicante, perchè non se la prendesse con lui se il lavoro lo seguiva in casa, e lei agitò la mano, dandogli il permesso di seguire quel ragazzino maleducato, figlio di una donna beffata ed abbandonata. Quel bambino senza padre.

A Romano sembrava che il dottore facesse di tutto per rallentare il passo, con la scusa che il cappello gli volava via, non riuscendo a correre per il troppo fiatone, per la ripidità della collina sulla quale si trovava la casa del bambino. Romano lo aveva preso per la mano e trascinato con sé.

Appena arrivato, il dottore, riconobbe immediatamente l'odore di mandorle amare che padroneggiava nella casa, ma guardando il bambino che saltellava indicandogli il bagno, ebbe paura di dire la sua teoria.

Non poté più tener lontano Romano dalla realtà quando vide il corpo senza vita di Laura Donati, a terra.

Come dire ad un bambino che la propria madre si è suicidata?

Romano ingoiò la saliva, chiedendo "Starà bene?"

Il dottore si grattò la testa guardando ovunque meno che negli occhi nocciola preoccupati davanti a lui.

Stavano tutti aspettando quel giorno, ad essere sinceri. Poche erano le certezze nella vita dei paesani ed una di queste era che, nonostante Laura Donati amasse alla follia suo figlio, era una donna infelice. Aveva firmato la sua condanna all'infelicità sposando l'uomo che sarebbe poi stato il padre di Romano, Bruno Vargas, che le regalò gli anni più belli della sua vita. Per quanto avesse provato negli anni seguenti a demonizzare Bruno, Laura non riusciva a dimenticare le risate, le carezze, gli abbracci che le aveva donato e l'amore che allora lei pensava fosse eterno. E fu in quegli anni che nacque Romano, come un piccolo miracolo caduto dal cielo, e Laura amò anche lui come mai era riuscita ad amare nella sua corta esistenza. Sembrava che vivessero una vita perfetta; i primi ricordi di Romano derivavano proprio da quel periodo della sua vita. Ricordava sua madre che rideva sul lato della collina tenendo la mano al padre, i fiori che lei coglieva, Bruno che lo teneva in braccio, accarezzandogli dolcemente la guancia.

Erano dei ricordi sparsi che aveva e che in un certo senso facevano parte del suo stesso essere, facendo in modo che tutto quello che avrebbe ricordato di periodi seguenti non scalfissero l'immagine che aveva del padre, e, fino a quel giorno, era stato sicuro, sicurissimo, che nulla mai, neanche quello che aveva fatto alla mamma, sarebbe riuscito a far amare un po' di meno il suo stesso padre. Almeno fino a quel giorno.

Certo, aveva pianto quando Bruno non era tornato più a casa, anche se non aveva capito per quale motivo aveva preso tutte le sue cose e se n'era andato via, o almeno, non lo aveva capito finché la domenica seguente l'aveva visto accanto ad una donna, incinta, e l'aveva baciata, sulle labbra, davanti alla piazza, davanti a tutti, davanti a lui, davanti a mamma.

Il fatto che Bruno Vargas avesse una seconda famiglia, una seconda moglie, un secondo figlio, fu presa da Romano come se fosse una cosa normale, anche se dolorosa, una naturale evoluzione della vita, perché Laura era arrivata a non voler far odiare al figlio il proprio padre, e Vanessa Pancotti, madre di Feliciano Vargas, l'aveva pregata in ginocchio di fare in modo che i due figli di Bruno non crescessero soli o divisi, di perdonarla per l'atto d'adulterio in cui aveva indotto il marito, di non provare rancore.

Laura Donati non avrebbe voluto provare rancore, ma vedere suo figlio tenere in braccio, nonostante la giovane età, il figlio di quella donna… di quella puttana che gli aveva portato via la sua fonte di felicità perpetua, la mandava fuori di testa, ed il fatto che quei due bambini fossero così legati, che Feliciano cercasse sempre la mano di Romano, che suo figlio si fosse venduto così facilmente all'altra famiglia, la fece sentire talmente tradita da quel piccolo che aveva portato in grembo per otto mesi ed una settimana, da piangere ogni notte nel suo letto vuoto e senza amore.

Neanche a Bruno Vargas piaceva la complicità dei suoi due figli e guardare Vanessa accanto a Laura gli faceva salire i sensi di colpa dalla pancia alla testa e non poteva sopportare una simile tortura. In più, Romano aveva accettato non molto serenamente la decisione del padre di vivere con la sua altra famiglia, vedendo quella non solo come la decisione di abbandonare la mamma, ma di abbandonare in un certo senso anche lui.
Ed infatti così fu, dovette ammettere a se stesso una volta cresciuto Romano. Bruno Vargas non andava mai a trovare il suo primogenito, né si preoccupava della sua formazione, cultura, educazione, o della situazione economica in cui si trovava. Sembrava voler semplicemente cancellare quella che era stata la sua vita prima di Vanessa Pancotti e nella sua damnatio memoriae fu condannato anche Romano, che continuava, nonostante tutto, a stravedere per lui, cercando di reprimere i suoi sentimenti di bambino ferito ed abbandonato.

Romano cercava la sua felicità in sua madre che era stata capace, in quei quattro anni, di reprimere ogni forma del suo rancore, del suo odio, della sua infelicità davanti agli occhi del figlio ed ogni giorno cantava insieme a lui, ballava insieme a lui e dipingeva insieme a lui.
Nei suoi primi anni con il pennello in mano, Romano Vargas fu ossessionato dall'immagine della madre sdraiata accanto a lui, con i capelli rossi intrecciati coi fili d'erba; la dipingeva febbrilmente in ogni prospettiva, con tutti i colori che aveva disposizione, soprattutto il rosso ed il verde, per poi strappare le tele fresche con le lacrime agli occhi, quasi vedesse, nella sua rappresentazione della madre, quella tristezza che da bambino non era mai riuscito a captare, ma che tutti, in paese, vedevano.

Sapevano, loro, che Laura Donati avrebbe fatto una pazzia prima o poi, solo aspettavano di vedere quale, e quando il dottore annunciò, tenendo teneramente la mano di Romano, che era morta, suicida con una fialetta di cianuro, tirarono un sospiro di sollievo: molti pensavano che avrebbe portato con sé il frutto del suo amore infelice, invece si era solo suicidata come Hitler.

In realtà, Laura, non voleva che la sua morte fosse comparata con la morte del pazzo dittatore tedesco, anche se probabilmente sapeva che un simile parallelo era possibile. Lei, molto più semplicemente ed umanamente, non voleva soffrire. Voleva trovare quella pace e serenità, che in vita non aveva avuto, nel momento di morte, senza sofferenze, senza ripensamenti. 
Molti anni dopo, parliamo degli anni 2012 e 2013, alcuni ragazzi, che entrarono a far parte della vita di Romano in seguito, fecero un altro parallelo, forse più romantico e, forse, più vicino alla realtà. La madre di Rojo certamente non avrebbe potuto pensare ad un parallelo del genere, perché morì prima che il libro fosse pubblicato, ma questi ragazzi, collegarono la morte della donna alla prima morte presente nel L'Amore ai Tempi del Colera, dove, si dice, il suicidio col cianuro fosse dovuto ad una pena d'amore, un amore infelice.

Se Laura Donati morì, fu comunque a causa di Bruno Vargas.

Romano pianse tutte le sue lacrime, colpendo il dottore, il padre, Vanessa, il parroco, chiedendo per quale motivo la madre era morta e per quale motivo l'unico che sembrava soffrire per davvero era lui.

Il parroco gli disse che sua madre era una peccatrice, e solo una volta cresciuto Romano avrebbe capito che se sua madre non era stata sepolta accanto a suo nonno, come invece lei avrebbe voluto, era perché era una suicida, ed avrebbe odiato don Luca per aver parlato male di sua madre nella morte, ripetendogli che era una peccatrice, che sarebbe bruciata all'inferno.
Quella merda. Che ne sapeva di quello che Dio avrebbe fatto alla madre? Laura era una donna buona, Laura era sua madre. Non avrebbe mai perdonato nessuno del suo paese, per aver giudicato e condannato sua madre.

Sdraiato accanto alla lapide di Laura Donati, Romano pianse fino ad addormentarsi e fu portato via da Bruno Vargas nella casa che condivideva con Vanessa Pancotti.

Bruno non voleva crescere suo figlio. Aveva cercato mille scuse per mandarlo via, da parenti lontani magari, per non rivedere mai più quel ragazzino, simbolo dei suoi errori e dei suoi sensi di colpa. Ne parlava davanti a Romano, senza farsi troppo scrupoli, senza nemmeno pensare al fatto che si poteva offendere, o che potesse ferirlo.

Paradossalmente era Vanessa a difendere la posizione del bambino, ma non servì a nulla.

All'età di undici anni Bruno Vargas mandò via Romano di casa, spedendolo da suo nonno paterno, Cesare Vargas, con la scusa di una migliore istruzione e di un posto più adatto al suo sviluppo. Disse che il paese era avverso a Romano, conoscendo la sua storia, quando in realtà, l'unico sentimento che i paesani provavano per Romano era compassione, una compassione che li portava a trattarlo con le pinze, nonostante il caratteraccio del ragazzino incline ad insultare chiunque si avvicinasse a lui.

Nonno Cesare si era, tempo addietro, trasferito in Spagna, perché, aveva detto, quei paesaggi gli ricordavano i suoi tempi di gloria, quando sentiva di avere il mondo ai suoi piedi e aveva lasciato lì i suoi compagni più fidati nella lotta contro la vita. La verità dietro il suo trasferimento era che si sentiva di troppo accanto al figlio.

Romano non aveva battuto ciglio nemmeno a sapere che si sarebbe dovuto spostare così lontano, semplicemente mormorò, con un po' di pasta in bocca, parlando a bocca aperta, così come dava fastidio a Bruno, in uno dei suoi innumerevoli atti di ribellione "Beh, sembra tu ce l'abbia fatta a sbarazzarti di me", si alzò dal tavolo, facendo strusciare la sedia, e, non appena in piedi, fece un inchino ironico al padre, per poi andare a preparare la sua valigia in camera, da solo, ferito.

L'unico per cui Romano pianse anche se non immediatamente, fu suo fratello, che quella sera venne da lui e gli chiese quanto distava la Spagna da casa e gli promise che sarebbe andato a trovarlo tutti i giorni, almeno a pranzo, perché così avrebbero potuto disegnare insieme anche questa Spagna di cui tutti parlavano. Romano sorrise leggermente. E chi glielo spiegava a Feliciano che non poteva prendere tutti i giorni l'aereo per andarlo a trovare? Il fratello maggiore pensava addirittura che le sue visite sarebbero state molto rare, per non dire nulle. Non disse nulla, tuttavia; gli lasciò un pennello, uno vecchio che a sua volta gli aveva regalato Laura quando era più piccolo. Era stato il primo pennello che Romano Lovino Vargas aveva mai avuto e fu il primo che Feliciano Veneziano Vargas ebbe, per non dire il più prezioso. Quando, anni dopo, Feliciano era diventato un pittore abbastanza riconosciuto, Romano si stupì vedendo che gli ultimi ritocchi ai suoi quadri li dava col vecchio pennello rosso e fino, che lui stesso gli aveva dato quella notte. Feliciano gli donò un crocifisso e Romano lo trovò abbastanza ironico, così come tutte le persone che lo impararono a conoscere negli anni; si poteva dire che il ragazzo avesse una fede tutta sua, un modo di vedere Dio tutto suo, ed un rancore profondo verso la religione cattolica che avrebbe lasciato sua madre dissepolta, lontano da Dio, senza la minima possibilità di una salvezza celeste. Eppure aveva un crocifisso al collo, simbolo che gli ricordava sua madre e suo fratello, la sua Italia, i fili d'erba intrecciati con i capelli di Laura ed il suo Dio, quello che aveva abbracciato sua madre nella morte, l'aveva riempita di affetto, confortata per i suoi dolori e resa finalmente felice.

Romano partì il 3 Luglio 1984. Non pianse, non rise, non disse nemmeno niente. Accarezzò i capelli del fratello minore in un raro gesto d'affetto, salutò con un cenno del capo Vanessa, non si girò nemmeno a guardare Bruno.

Prese l'aereo da solo e, vedendo la sua Italia da là sopra, si morse il labbro inferiore e sentì come se una parte della sua vita fosse terminata, come se stesse dicendo addio a se stesso. Ripensò alla casa dove era nato e dove aveva passato i migliori anni della sua infanzia. Sentì una fitta al cuore al pensiero che fosse sola ed abbandonata, ma non pianse, chiuse gli occhi e cercò di dormire






Note dell'autore

E Miki ritorna.

Non mi faccio vedere dall'anno scorso, letteralmente, eppure la stesura di quest'idea è iniziata immediatamente, quasi subito dopo la fine di Baffo.

Anche questa è una Spamano, tuttavia l'aspetto romantico cade un po' in secondo piano, in quanto, come avrete sicuramente capito, la storia viene trattata quasi come se fosse una biografia. Il che vuol dire che a volte vi ritroverete con un singolo evento emblema di un'età di Romano e, a volte, dei salti temporali che spero non vi confondano. Anche perché ho deciso di riprendere alcuni capitoli o dal passato, rispetto alla parte di vita che ho raccontato, o futuro. 

In quanto a coppie, ce ne saranno molte, ma, per ragioni di contesto, ho scelto molte etero. Spero non mi odiate per questo. 

Ci tengo a questa storia. Ed ho alcuni capitoli pronti, nonostante questo, dovuto ad impegni personali e scolastici, questa volta aggiornerò una volta ogni due settimane, quando tutto andrà bene, per poter rivedere alcuni capitoli e probabilmente anche riscriverli. Questo perché i capitoli della storia sono belli lunghi e molto spesso mi ritrovo a perdermi, in un certo senso, nella scrittura e dimentico il filo del discorso. Tipo adesso. 

Spero che l'idea possa piacere e… beh, mi mancava scriverlo: un abbraccio spirituale a tutti quanti quelli che decideranno di seguire la storia e me in questo viaggio temporale di un Romano pittore. 

Aaaah, mi batte forte il cuooooreeee!
  
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