Viaggio infinito
Chi
sono
queste persone?
– Era la
domanda che ronzava nella testa di Primrose da ore. C’era un
via vai di persone
ad ella sconosciute che abbracciavano tutta la sua famiglia, eccetto il
papà
che, secondo la bambina, non sembrava essere intenzionato a rincasare prima di qualche giorno. Sua madre
piangeva a dirotto fra le braccia della gente che entrava, sua sorella
Katniss
invece era impassibile: apriva la porta a chi si introduceva in casa,
accettava
delle cose chiamate condoglianze e
offriva qualcosa da mangiare – anche se, da mangiare, non
avevano già niente –,
dopo un po’ Primrose si ritrovò annoiata e decise
di scappare nella propria stanza
a giocare con le sue bambole. Proprio sue, non lo erano. Facevano parte
delle
cose che, da Katniss, erano passate a lei. Ma alla biondina le bambole
piacevano proprio per questo. Erano appartenute a sua sorella maggiore,
che era
diventata così forte e bella, anche se aveva solo undici
anni, che per Primrose
era essenziale seguire le sue orme. Le pareva quasi anomalo il fatto
che, solo
pochi anni prima, anche la sua eroina
giocava con quelle stesse, identiche, bambole.
Improvvisò una storia
d’amicizia tra un bambolotto
e un orsacchiotto, che riuscivano ad essere migliori amici nonostante
le
differenze e i diversi gusti in fatto di cibo – in fondo, a
chi importa se un
orso ti mangia? Magari, dopo il banchetto, è abbastanza
buono per essere il tuo
migliore amico. Sempre se lo superi, il banchetto –, ma la
piccola aveva solo
sette anni. Chi non ha mai fatto storielle assurde a
quell’età? Quando non
esisteva la pioggia – era solo acqua che il cielo mandava ai
più poveri – e
c’erano solo gli arcobaleni – un giorno, Primrose,
avrebbe sicuramente trovato
la tanto ambita pentola d’oro! –.
Dopo un’oretta passata
così, decise di alzarsi e
sistemò le sue bambole e pupazzi. Si guardò allo
specchio e sorrise nel notare
il modo in cui era vestita. Una bellissima treccia bionda che le cadeva
sulla
schiena, l’abito azzurrino corto e le scarpette
anch’esse azzurrine. Non sapeva
perché sua sorella l’avesse vestita di tutto
punto, ma le piaceva. Sembrava una
principessa.
Oh,
piccola,
ma tu sei una principessa! La voce di suo
padre le risuonò in testa e arrossì a quel
complimento, che aveva solo
immaginato.
Amava così tanto il suo
papà: egli era buono,
amabile e gentile. Abbracciava sempre la propria secondogenita e le
diceva che
era bella, esattamente come la primula
della sera.
«Prim, posso
entrare?» la dolce voce di sua sorella
era diversa, così diversa che la bambina quasi
pensò di non aprirle la porta.
Era così strano sentire il timbro della ragazza velato di
tristezza. Insomma,
parliamo di Katniss: anche se era una ragazzina di soli undici anni, il
suo
essere fredda e impassibile la caratterizzava già.
Primrose aprì la porta e
lasciò entrare sua sorella
che l’abbracciò di slancio. Ricambiò
con tenerezza e sorrise, felice di quel
piccolo contatto con la sorella, anche se quest’ultima la
riempiva sempre di
dolci attenzioni. Una volta ritrovatasi faccia a faccia con sua
sorella, notò
le lacrime scendere da quegli occhi grigi tipici del Distretto 12 e,
istantaneamente, anche il volto della primula
si intristì.
«Ho bisogno di parlarti,
Prim.» sussurrò con voce
compatta la ragazzina e le porse la mano che l’altra
accettò senza esitare.
Andarono in salotto e Primrose notò che gli invitati si
erano decimati. Anzi,
ne erano anche di meno. La sorella salutò i restanti,
scusandosi per la
sfacciataggine che aveva nel lasciare soli gli ospiti e uscì
di casa.
L’altra non sapeva dove
stessero andando, non
conosceva molto bene quella strada del Giacimento, ma aveva
l’impressione che
la sorella la facesse ogni giorno. Una volta arrivate, capì
dove l’aveva
portata: era il bosco. Comunque non si fermarono, anzi, accelerarono di
poco il
passo. Katniss doveva parlare. Il fatto era che non era brava con le
parole:
aveva un carattere troppo distaccato per sapersi esprimere con tatto. A
pensarci,
però, questo era un problema che poteva avere con persone
estranee alle sue
vicende, non con chi viveva la sua stessa situazione. Così
pensò a ciò che
avrebbe voluto sentirsi dire e lasciò che le parole
fuoriuscissero dalle sue
labbra.
«Tu studi un
po’ di geometria, giusto?» domandò la
sorella più grande. La seconda annuì, senza
fiatare. «Sai dirmi cos’è un
segmento?»
Primrose fu allibita da tale
domanda, ma annuì
ciononostante. «È una
linea che ha un
inizio ed una fine.»
«Sì, Prim.
Esattamente. Sai, noi persone siamo un
po’ come i segmenti. Abbiamo un inizio che è la
nostra nascita, poi c’è la
fine.»
Poteva fare di meglio, avere un
po’ più di tatto. Per
l’amor del cielo, le stava annunciando la morte di suo padre
paragonando la sua
vita ad un segmento?
«La fine? La fine di
cosa?» chiese in un sussurro
la piccola, confusa.
Alla primogenita si strinse il
cuore, chiedendosi
come avrebbe fatto a darle quella dolorosa notizia. Si fermò
di scatto e si
abbassò alla sua altezza, accarezzandole dolcemente il
visino latteo.
«La fine della nostra
esistenza.» forse questo
è un po’ troppo esplicito! –
pensò Katniss, letteralmente nel pallone e subito
provò a correggersi. «Ma non
è così male, forse ... vedila un po’
come l’inizio di un’avventura tutta nuova,
un viaggio infinito.»
«Perché mi
dici questo, Katniss?» domandò ancora
Prim, incuriosita.
«Perché
papà ha cominciato questo viaggio.»
Allora capì. Aveva sette
anni, ma non era stupida.
Non lo era mai stata, forse era troppo ottimista per conoscere
realmente il
significato di morte, ma non era di certo una sciocca: non avrebbe
ancora
saputo quanto e come il padre avesse sofferto nella tragica conclusione
della
sua vita e così doveva essere, perché alla fine a
sette anni chi può capire la
morte? Capisci che una persona non fa più parte della tua
vita, capisci che non
la vedrai più. Ma capisci davvero il concetto di morte in
sé?
Si sedette sulla terra calda e
pianse. Però era
diverso dal solito: non era il pianto che una bambina fa quando si
sbuccia il
ginocchio, tantomeno quello che fa quando un’amichetta le
ruba una bambola. Era
un pianto reale, un pianto di mancanza e di dolore, un pianto
d’addio.
«La supereremo,
Prim.» sussurrò Katniss fra le
lacrime silenziose, strappando con delicatezza dei fiorellini e
intrecciandoli
fra i capelli color oro della sorellina. Erano i fiori da cui Primrose
prendeva
il nome, le Primule della Sera.
«La
supereremo insieme, come sempre.»
Dopo trenta o quaranta minuti, i
singhiozzi si
erano placati. Gli occhi erano ancora lucidi e il viso umido,
però riuscivano
finalmente a controllarsi. Così uscirono dal bosco e
s’incamminarono per casa
loro.
«Katniss,»
chiamò Primrose «quando rivedrò
papà?»
Katniss aspettò
qualche secondo prima di
rispondere, non sicura della risposta da darle. Si sporse verso la
sorellina e
le baciò la fronte, con tenerezza. «Quando
comincerai anche tu questo viaggio
infinito.»