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Autore: Acinorev    09/02/2014    15 recensioni
La comunicazione, verbale e non verbale, si basa su cinque assiomi, ovvero cinque principi impliciti e fondamentali. Il primo dice che è impossibile non comunicare: Caren l’ha studiato al liceo, accantonandolo subito dopo perché era troppo impegnata ad uscire con Henry o con Kim.
Eppure, a ventidue anni compiuti, si ritrova a ragionare sul serio su quel piccolo concetto sbiadito dagli anni, perché Lake lo incarna alla perfezione.
Lake non parla molto, perché le parole sono spesso inutili o superflue, ma questo non vuol dire che non comunichi: Caren l’ha capito quando lui le ha accarezzato un braccio con le dita ruvide per svegliarla. Quando ha baciato il suo collo prima di uscire di casa, con la sigaretta pronta ad essere accesa e i capelli in disordine. Quando ha percorso il suo corpo con le dita e le ha dato un confine.
Lake è comunicazione pura in ogni movimento che compie, in ogni respiro trattenuto e in ogni sguardo. Caren l’ha solo compreso in ritardo.
"Lui che dice qualcosa del genere? - domanda l'altra, divertita. Subito dopo scuote la testa e riprende. - No, non mi ha detto niente. Ma poi ti ha guardata, ed io ho capito".
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo venti – Set me free
 
 
Caren scende dall'auto di Enriqua con ancora il sorriso sul volto per la conversazione che si è conclusa da poco riguardo reggiseni push-up e tanga, una conversazione che non pensava avrebbe potuto introdurre di fronte a sua madre, seduta nei sedili posteriori. Dà un'occhiata all'entrata della stazione e sospira tirandosi su i jeans chiari, mentre Marie la segue sul marciapiede ed Enriqua continua a salutarla nonostante lo abbia già fatto tre volte.
«Non c'è bisogno che mi accompagni dentro - esclama Marie, avvicinandosi alla figlia con la borsa sulla spalla. - Il treno passa tra un quarto d'ora» continua, schiarendosi la voce. Ha passato la notte a Worthing, perché alla fine la strampalata amica di Caren le è piaciuta più del previsto e perché si è ritrovata incastrata in un invito a cena che non poteva rifiutare. Caren, dopo quella sincera riappacificazione, semplice quasi quanto il rancore che entrambe avano cresciuto e nutrito ma che è quasi scomparso, ha sentito il bisogno di passare del tempo con lei che non fosse sporcato dal passato, del tempo che potesse riconciliarle nel modo più naturale possibile: e alla fine, ha dormito sul divano per offrirle il proprio letto e avere l'occasione di far colazione con lei la mattina successiva.
«Va bene - sospira Caren, stringendosi nelle spalle coperte dal golfino bordeaux. - Allora ci vediamo tra un po'» aggiunge.
Marie annuisce e i capelli dorati ondeggiano seguendo quel movimento. Ha deciso di non truccarsi, quella mattina, e il viso privo di qualsiasi traccia di ombretto o rossetto è ancora più bello e maturo del solito. «Spero che da oggi in poi ci rivedremo più spesso - confessa, con la voce leggermente più bassa. - Sono sicura che tuo padre sarà felice di venirti a trovare.»
Caren sorride e si sporge in avanti per abbracciare sua madre. «Salutamelo» sussurra ad occhi chiusi. Dopo tutti quegli anni, deve ancora abituarsi al nuovo rapporto rinato dalle ceneri di quello che entrambe hanno rovinato: l'idea di avere i suoi genitori a Worthing non la spaventa più come poco tempo prima, anzi, la rende quasi impaziente.
«Sarà fiero di me per questa storia, e poi si arrabbierà per non avergli detto niente» scherza Marie, accarezzando la schiena della figlia e arretrando di un passo per poterla guardare in faccia. In effetti James è all'oscuro di quello che è successo nelle ultime ventiquattro ore: sua moglie gli ha propinato la scusa di voler andare a trovare una cugina di secondo grado, spinta dal fatto che lui non avrebbe potuto seguirla a causa del lavoro. Non gli ha mentito per cattiveria, ma semplicemente per sicurezza:  sapeva che ammettere di voler chiarire le cose con Caren una volta per tutte avrebbe creato dello scompiglio, e James avrebbe fatto di tutto per seguirla, incoraggiarla o chissà cos'altro, intaccando la sua determinazione già precaria.
«Sì, si arrabbierà di sicuro - conferma Caren, abbozzando una risata con la quale cerca di smorzare la nostalgia per quella del padre. - Fa' buon viaggio e... Be', fammi sapere quando arrivi».
Marie allunga una mano e afferra il braccio della figlia per stringerlo delicatamente in un gesto affettuoso. Non parla però, mentre le sue labbra si inclinano in un sorriso che vale più di mille parole: non sarebbe da lei, che ha già osato troppo mettendosi allo scoperto solo poche ore prima, e non sarebbe da loro. Si scambiano semplicemente uno sguardo complice, che racchiude tutto il loro sollievo e i loro sospiri di realizzazione, l'affetto e la nostalgia.
Caren ricambia il sorriso e, mentre la madre si volta per entrare nella stazione, espira profondamente con gli occhi un po' lucidi mentre la osserva allontanarsi.
Quando rientra in macchina, Enriqua sta canticchiando una canzone che non conosce e sta già ingranando la marcia per ripartire, nonostante il traffico sia intenso e le impedisca di immettersi in strada con facilità.
«Ok, ora posso dirtelo - sbotta la spagnola, afferrando con decisione il volante e abbandonando l'idea di muoversi dal parcheggio. Il piede ancora premuto sulla frizione per non far spegnere il motore e gli occhi vispi fissi di fronte a sè. - È possibile che anche io mi stia innamorando di Bob, no?» chiede a bruciapelo, come se avesse appena visto un fantasma.
Caren corruga la fronte e spalanca gli occhi per la sorpresa: non che sia il contenuto a stupirla, quanto più il modo in cui è salito a galla, così inaspettatamente. Si schiarisce la voce e si muove sul sedile per rivolgersi verso l'amica. «Ehm, sì. Credo proprio di sì» risponde lentamente.
Enriqua disinserisce la marcia e sospira profondamente, scuotendo impercettibilmente il capo per spostare un ciuffo di capelli scuri dal proprio volto. «Il fatto è che non riesco a capire se mi... piaccia così tanto solo perché è bravo a letto, e fidati, è molto bravo-»
«Magari salta questi dettagli» la interrompe Caren, arricciando il naso per quella informazione non cercata. Non è la prima volta che l'amica le parla di queste cose, ma ogni volta si sente a disagio nel ritrarre ciò che per lei è un fratello in certe situazioni.
«Ok, ma comunque hai capito il concetto, no? Voglio dire, a volte penso che sia solo per quello perché quando facciamo sesso sono la persona più felice del mondo e lui mi sembra l'uomo della mia vita: il punto è che mi sento allo stesso modo anche quando siamo vestiti e non ci tocchiamo nemmeno» spiega meglio Enriqua, continuando a guardarsi intorno.
«Vuoi dire che potresti avere un orgasmo anche solo nell'averlo vicino? Perché se è così allora Bob è davvero bravo» scherza Caren, per metterla un po' più a suo agio dato che la vede mordicchiarsi nervosamente le guance.
Enriqua finalmente ride liberamente, piegandosi leggermente in avanti  e tirandole una pacca scherzosa sulla coscia. «Non intendevo quello, idiota» ribatte divertita.
«Lo so - la rassicura Caren, portando una mano sulla sua spalla magra. - Ma ti sei già data la risposta» aggiunge addolcendo il tono di voce.
L'altra si volta a guardarla per la prima volta da quando hanno intavolato quel discorso. «E come funziona? Glielo devo dire? Ma se poi non è così? Se-»
«En, calmati - la interrompe sorridendo. - Non devi dirglielo subito se non ne sei sicura: credo che arriverà un momento in cui non avrai più dubbi e a quel punto sì, a Bob farebbe piacere sentirtelo dire».
Enriqua sbuffa e schiaccia energicamente la frizione per mettere la prima .«Quel dannato ragazzo mi sta rovinando la vita» borbotta.
E lei non lo dice, ma anche quello può essere una conferma per il dubbio dell'amica.

Al "Morning Bar", Caren ha iniziato da poco i quindici minuti a disposizione per la cena: sta facendo un turno diverso dal solito perché la mattina ha dovuto accompagnare la madre alla stazione, quindi finirà più o meno per le nove. È seduta su uno scatolone nel piccolo magazzino nel retro del locale, ha una panino al prosciutto tra le mani e una lattina di thè alla pesca accanto a lei: le luci al neon rivestono tutti gli oggetti accatastati meticolosamente di una patina biancastra, che risalta anche sulle pareti con l'intonaco chiaro un po' rovinato.
Ha appena preso un altro morso di panino quando il telefono le vibra nella tasca dei jeans stretti, quindi si affretta a masticare e si contorce su stessa per riuscire a recuperarlo nonostante l'ostacolo del grembiule. 
Corruga la fronte quando legge chi la sta chiamando e prima di premere il pulsante verde, deglutisce velocemente e tossicchia per schiarirsi la voce, leggermente agitata.
«Eli?» risponde, con un'intonazione che lascia trasparire tutta la sorpresa che la sta invadendo.
«Caren, hey! - risponde l'altro con la spensieratezza che lei aveva un po' dimenticato. La sua voce è leggermente diversa, ma solo perché filtrata dalla linea telefonica. - Come stai? È un po' che non ci si sente» aggiunge. Caren non sa se aspettarsi degli insulti da parte sua per come si sono evolute le cose tra di loro, anche perché, da quanto ne sa, lui non ha sofferto particolarmente per la relazione tra lei e il suo migliore amico: però, se non è questo il motivo della chiamata, a cosa è dovuta?
«Sì, un bel po' - annuisce Caren, discretamente. - E io sto bene, grazie. Tu invece?»
«Oh, non mi lamento: ho appena finito di lavorare e mi si incrociano gli occhi per le ore che ho dovuto passare davanti allo schermo di un computer, ma potrei stare peggio» risponde, sicuramente con un sorriso ampio ad illuminargli il volto olivastro. Le è sempre piaciuto questo suo lato costantemente sereno e disinvolto, pronto a scherzare in qualsiasi momento.
Caren comunque abbozza una risata e «Immagino», commenta. Che razza di risposta è? Alza gli occhi al cielo e trattiene un sospiro, mentre scuote la testa guardando il panino che ha ancora in mano: le domande riguardo la conversazione che stanno avendo le impediscono di concentrarsi sulle più banali regole di socializzazione.
Eli si schiarisce la voce dall'altra parte del telefono e per qualche secondo nessuno dei due parla. «Probabilmente non ti aspettavi una mia chiamata e forse ti sto anche disturbando, o non mi vorresti nemmeno sentire-»
«Non mi disturbi affatto - lo interrompe Caren, pronta a rimediare. - E mi fa piacere che tu abbia chiamato» lo rassicura. Perché in fondo è vero: il loro allontanamento è stato dovuto più ad un certo livello di imbarazzo derivato dalla piega delle cose, che da un'antipatia o chissà cos'altro.
«Oh, ok, meno male allora - ride lui, facendola sorridere apertamente. - Il fatto è che non ho nemmeno chiamato per me stesso: non che io non voglia parlare con te, voglio dire, certo che mi fa piacere parlare di nuovo con te, ma non ho chiamato solo per questo» dice a stento, evidentemente in imbarazzo.
Caren ascolta attentamente e cerca di capire dove lui voglia andare a parare. «Non ti seguo» ammette, ancora sorridendo.
Eli sospira. «Si tratta di Lake» annuncia, con un tono grave che non gli si addice per niente e che fa scomparire qualsiasi traccia di serenità dal viso di Caren.
«Lake?» ripete lei, deglutendo a vuoto. È successo qualcosa?
«Sì, be'... Io lo so che non sono affari miei e che non dovrei immischiarmi, ma lui è il mio migliore amico e certe cose me le dice, quindi so bene cosa c'è stato tra di voi e cosa c'è ancora, anche se a volte è un po' imbarazzante - spiega, con la voce leggermente nervosa di chi sta facendo qualcosa che sa non dovrebbe fare. - E anche se non conosco te alla perfezione, dal poco che ho visto so che non sei una cattiva persona».
Caren inarca le sopracciglia ed è sempre più confusa, ma non lo interrompe.
«Non voglio prendere le parti di nessuno, non sarebbe giusto e non ne avrei nemmeno il diritto, ma a prescindere da quello che è successo, so che Lake è un grande testardo e che è davvero dura farlo smuovere quando si mette in testa una cosa» continua, mentre Caren si trova completamente d'accordo su quella descrizione. Da come sta parlando, Eli sembra essere a conoscenza di ciò che è successo con Henry, ma lei non sa ancora se aspettarsi una sgridata per il proprio errore o un incoraggiamento a riappacificarsi con Lake.
«E io vorrei chiederti solo una cosa: ovviamente sei libera di mandarmi a quel paese, visto che non sono proprio affari miei, ma volevo chiederti di insistere - riprende. Caren quasi trattiene il fiato mentre si lascia cullare dal tono rassicurante di Eli, del quale ha dubitato contro ogni logica. - Se tieni a lui, insisti, perché Lake non ha bisogno di molto altro, anche se vuole convincersi del contrario a tutti i costi» conclude.
Caren inspira profondamente e per una manciata di secondi resta in silenzio, rimuginando su quelle parole che in realtà hanno solo espresso un suo presentimento: quante volte ha pensato di intestardirsi e placcare Lake fin quando non sarebbe riuscita a farsi perdonare? E quante volte ha abbandonato l'idea solo per orgoglio e rabbia?
«Caren? - la chiama Eli, esitante. - Stai per attaccarmi il telefono in faccia?» chiede, leggermente preoccupato. E lei scarica un po' di tensione abbozzando una risata sincera.
«No, non ti attaccherò il telefono in faccia - lo rassicura, sorridendo. - Anzi, ti ringrazio per il consiglio. Ho pensato più volte di insistere fino a farlo stancare, ma sono stata troppo stupida nel non insistere abbastanza» confessa piano, abbassando lo sguardo sulle proprie converse bianche e sporche. Sente le mani fremere per la voglia di raggiungere Lake, adesso più che mai.
«Sei ancora in tempo» risponde Eli, a bassa voce.
Caren annuisce lentamente, pensando e ripensando e sentendo il cuore pieno di gratitudine per il gesto di Eli. «Perché lo fai?» gli chiede all'improvviso, senza specificare o scendere nei dettagli, perché sanno entrambi a cosa si stia riferendo. Non molte persone avrebbero avviato quella chiamata se nella sua stessa situazione, perché probabilmente avrebbero fatto prevalere l'egoismo e una punta di rancore.
«Perché Lake parla ancora di meno, e tu sai quanto poco parli già di suo - sospira Eli, divertito. Poi fa una piccola pausa e la sua voce si smorza in serietà. - E perché voglio dimostrarti che non ce l'ho con te per come sono andate le cose tra di noi: era qualcosa che volevo dirti da un bel po' di tempo» ammette, stupendola.
Caren ha seriamente voglia di abbracciarlo, perché è così buono da far risalire a galla tutti i sensi di colpa che aveva soffocato quando le cose tra lei e Lake stavano prendendo forma. «Grazie Eli, davvero - mormora, sincera come mai prima d'ora. - Anche se adesso mi sento una persona ancora più orribile perché non ti ho nemmeno mai chiesto scusa per-»
«Hey, non devi chiedermi scusa: va bene» la interrompe lui, riacquistando la serenità di pochi minuti prima.
«Non so sul serio cosa dire» confessa l'altra, stringendosi nelle spalle. Si sente così insignificante di fronte al buon cuore di Eli, che qualsiasi cosa la sua lingua voglia pronunciare sembra completamente banale e futile.
«Non devi dirmi niente, infatti: solo... Cerca di riprenderti Lake o io sarò stato messo da parte per niente» esclama ridendo, anche se forse quella battuta nasconde una verità ben più radicata.
Caren sorride imbarazzata e si passa il dorso di una mano sulla fronte in un gesto nervoso. «Lo farò» assicura semplicemente.

Questa volta ha deciso di avvertire Henry, un po' perché voleva essere sicura di trovarlo in casa e di non dover rimandare ancora il loro incontro, un po' perché si era resa conto di non ricordare poi così bene la strada. Allora gli ha mandato un messaggio, senza anticipare il motivo della sua visita ma mantendendo un atteggiamento distaccato, e ha aspettato che Henry rispondesse velocemente e con poca punteggiatura, come al solito.
Adesso sono le dieci di sera passate, lei non è mai stata così veloce a prepararsi e gli autobus non sono mai stati così puntuali: tutto sembra favorire la fine della storia tra Henry e Caren.
Lei respira a fondo e suona il citofono, senza dover aspettare nemmeno dieci secondi per l'aprirsi diretto del cancelletto in ferro arrugginito agli angoli. Lo richiude dietro di sè e cammina decisa verso il portone, tenendo gli occhi sui propri piedi mentre sale fino al terzo piano. Gradino dopo gradino.
Henry è sulla porta di casa, appoggiato all'uscio con la spalla destra e con indosso un maglione largo e grigio chiaro. È scalzo e i jeans scuri gli stanno leggermente larghi sulle gambe magre. Si passa una mano tra i capelli ramati e disordinati, poi si inumidisce le labbra e le rivolge un cenno di saluto con il capo, ma senza sorridere: ha ancora il labbro inferiore arrossato intorno al taglio causato dal pugno di Lake e un livido violaceo sullo zigomo sinistro.
Caren lo imita, spiazzata dalla mancanza di malizia nei suoi gesti, ed entra nell'appartamento quando lui si fa da parte per farla passare. Si stringe nelle spalle guardandosi intorno e si ferma al centro del piccolo salotto, in attesa di un gesto o di una parola. Henry le passa di fianco dopo aver chiuso la porta, ma non la invita a sedersi nè apre bocca: è diverso, strano, come se fosse vuoto di tutta l'insistenza che le ha sempre dimostrato.
Allora Caren ne approfitta per sfoggiare la sua, di determinazione, senza nemmeno togliersi la giacca di jeans o fare un altro passo in avanti. «Io voglio davvero che tu mi lasci in pace» dice seriamente, guardandolo negli occhi scuri e immobili. In che altro modo potrebbe dirglielo?
Henry serra la mascella e respira profondamente. «È per quel coglione, non è vero?» commenta con le labbra plasmate dal disgusto, dalla rabbia. C'è anche del dolore?  
Lei scuote piano la testa e la voce di risolve in un sussurro. «No» risponde: vuole essere sincera e soprattutto decisa. È vero, Lake è la persona della quale lei ha bisogno, l'unica che brama, ma non si tratta solo di questo: ammettere il contrario vorrebbe dire dare un'altra speranza ad Henry, un altro particolare al quale aggrapparsi, invece deve capire che non è così. Deve capire che è lui il problema, ciò che Caren non vuole più, ma non solo per merito o colpa di qualcun altro.
«Ti ho amato molto, Henry, lo sai - riprende, con il cuore a disagio nell'immergersi nei ricordi di una felicità che hanno condiviso e costruito pezzo dopo pezzo. - Ti ho amato più di me stessa, ma ora non è più così e Lake non c'entra niente: si tratta solo di me e te. Io non posso dimenticare quello che abbiamo passato, nè quello che ci ha divisi, ed evidentemente non voglio nemmeno farlo. Mi hai detto di essertene andato perché non mi amavi più e perché non sapevi come dirmelo: io me ne sto andando per lo stesso motivo, ma te lo sto dicendo» aggiunge, con i pugni stretti lungo i fianchi. Non può nascondere un certo dolore all'altezza del petto, ma non se ne vergogna: non è un dolore legato ad un sentimento, ma ad un capitolo della sua vita che è stato più lungo e importante del previsto, allo sguardo che Henry le sta rivolgendo.
«Se lui non ci fosse stato, tu saresti tornata da me» insiste Henry a denti stretti, sull'orlo di urlare. Caren ricorda il modo in cui lui si arrabbia, riconosce i segnali e sa anche come gestirli in qualche modo.
Fa un passo avanti ed espira velocemente. «Perché ti ostini a metterlo in mezzo? Te l'ho già detto: si tratta di noi, di te. Io... Io non riesco nemmeno a riconoscere la persona della quale mi ero innamorata» ribatte Caren. Non vede più gli occhi scherzosi e dolci di Henry, quelli che le avevano chiesto di uscire la prima volta o che l'avevano guardata innumerevoli volte mentre era nuda nel suo letto. Non vede più la sua premura, il sorriso che l'aveva legata indissolubilmente ad un amore più forte della sua resistenza iniziale. Non vede più il suo Henry, ma solo qualcuno che ha il suo stesso profumo e le sue stesse mani, qualcuno che ha preso il suo posto scalzandolo con la forza.
«E perché non ci riesci, secondo te? - sbotta Henry, gesticolando e alzando la voce, mentre la vena del suo collo si ingrossa leggermente ad ogni parola. - Ma non capisci, cazzo? Eri tu che mi rendevi così! Eri tu a rendermi migliore! E guarda adesso cosa è rimasto!»
Caren indietreggia di un passo a quelle parole, agli occhi che le stanno davanti. Si confronta con quella nuova verità e cerca di metabolizzarla, di accettarla e valutarla. «Hai fatto tutto da solo - sussurra, ancora spiazzata. - Non è colpa mia se sei cambiato» aggiunge. In fondo è stato lui ad allontanarsi, è stato lui a rendersi peggiore con le proprie mani.
«Io ho bisogno di te per tornare quello di prima» mormora Henry, avvicinandosi con le iridi che lasciano trasparire del tormento. È così fragile rispetto alle altre volte in cui si sono confrontati, da confondere. Che tutti i suoi assurdi tentativi di riconquistarla fossero solo un disperato bisogno di riaverla?
«Henry, no - dice lei piano, fin tropo flebilmente. - Devi smetterla, devi andare avanti, ma senza di me».
Lui fa un altro passo e le arriva praticamente di fronte. «Per favore.»
«No - ripete Caren, appoggiandogli le mani sul petto caldo e spingendole via delicatamente. Non sa quale reazione scatenerà ciò che sta per dire, ma è necessario. - Io sono migliore senza di te».
Henry schiude le labbra sottili e la guarda in silenzio, evidentemente ferito da quelle parole, e Caren sa di doverne approfittare: per quanto le faccia male doverlo spingere oltre il suo limite - nonostante tutto - deve infierire sulla sua debolezza prima che si trasformi in forza.
«Lasciami andare» continua, con la voce rotta perché per un attimo ha visto nelle sue iridi il vecchio Henry e perché allo stesso tempo la possibilità di essere di nuovo libera è totalizzante.
Henry vorrebbe dire qualcosa o forse urlarla, glielo si legge in faccia: tutti i suoi muscoli sono tesi, nervosi, e il suo respiro è più veloce e profondo del normale. Non è ancora chiaro il perché non si stia comportando come la solito: forse dentro di sè sa che questo addio è definitivo, forse si sta arrendendo pian piano, forse anche lui si è reso conto di non poter fare più niente per riavere l'amore di Caren perché ha già fatto troppo per perderlo.
L'unica cosa che fa, invece, è avvicinarsi di nuovo a lei ma molto lentamente, quasi con cautela. Le respira per un attimo sul volto e poi la circonda con le braccia forti e tanto familiari, immergendo il volto tra i suoi capelli e respirando fra di essi, mentre Caren si muove solo dopo qualche secondo di sorpresa, stringendogli il maglioncino sulla schiena e chiudendo gli occhi.
«Scusa - sussurra Henry al suo orecchio, con quel tono di voce che significa solo arrendevolezza. - Scusa per tutto quello che ti ho fatto passare». E Caren ha gli occhi lucidi anche se coperti dalle palpebre che fanno da sipario, il cuore che batte un po' più veloce e la porta della gabbia che l'ha imprigionata fino ad ora che vacilla.
«Non l'hai mai meritato» aggiunge Henry in un soffio, stringendola un po ' di più.
Caren trattiene un sommesso singhiozzo e affonda il viso sul suo petto. «Grazie» riesce a dire, finalmente libera. Poi si alza sulle punte e gli bacia una guancia, prolungando volutamente il contatto con la sua pelle.
Henry la svincola da quell'abbraccio - dal passato - e le sta di fronte con gli occhi che non rimangono un attimo fermi, correndo sul suo viso come se volessero assorbirne ogni più piccolo dettaglio.
«Ciao, Henry» sussurra lei, stringendosi nelle spalle.
L'altro non risponde, ma annuisce piano.
Caren si volta con le spalle e il cuore leggeri e cammina lentamente fuori dall'appartamento, lontano da Henry, pronta a tuffarsi in qualcosa di nuovo che porta un altro nome e un altro paio d'occhi.




 
 

Buongiorno!!
Capitolo appena finito di scrivere e che spero davvero che vi sia piaciuto!! Cercherò di essere breve perché ho del lavoro da sbrigare:
1. Enriqua è sempre la solita e vabbè, prima o poi riuscirà ad essere un po' meno ninfomane hahah
2. Eli! Avevo detto che sarebbe ricomparso e infatti eccolo qui: spero abbiate apprezzato il suo gesto, anche se può sembrare un po' da impiccioni. Il fatto è che ha un grande cuore e questo è il risultato: senza contare che un parere da una persona tanto legata a Lake non può di certo dispiacere alla nostra Caren! In più, ci sono diversi motivi per cui ha agito così: per aiutare il suo amico, per dimostrare a Caren di non covare rancore e anche perché se i due si lasciano lui si è "sacrificato" per niente hahah Che ne fite?
3. HENRY! So che lo odiate, ormai me l'avete detto in tutte le salse: a me invece piace, forse perché è un po' la mia creatura hahaha Non so se ci sono riuscita, ma ho cercato di far trasparire quanto lui sia cambiato rispetto a quando stava con Caren: lei stessa non lo riconosce più e anche voi più volte mi avete chiesto come abbia potuto innarmorarsi di una persona come lui! Le sue azioni così estreme sono state dettate un po' dalla sua imprudenza menefreghista, un po' da un vero bisogno di Caren. Ma su questo non mi esprimo oltre perché vorrei sapere cosa pensate voi! Ho preferito non inscenare l'ennesimo litigio tra di loro perché credo che sarebbe stato troppo forzato, quando in realtà non ce n'era bisogno: spero non vi sia dispiaciuto!
Mi scuso per l'assenza di Lake, ma GIURO che nel prossimo capitolo verrà compensata :)

Vi ringrazio di tutto come sempre: siete sempre di più a seguire questa storia (il prossimo è l'ultimo capitolo DDD:) e ho notato che lo scorso capitolo vi è piaciuto molto, quindi sappiate che mi rendete sempre molto felice e soddisfatta :) E niente, vi lascio i miei contatti, per qualsiasi cosa:
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Un bacio,
Vero.
 
  
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