La piastrina del probatio gli pesa sul torace, grava come un macigno sul petto bianco. Una ciocca chiara, biondissima, gli copre l'occhio sinistro. È bagnata, sporca di fango.
Ottaviano, dodici anni appena compiuti e le lacrime agli occhi, con le ginocchia strette al petto, piange sommessamente e stringe i denti rabbioso. Non sopporta quegli sguardi pieni di pietà e i mormorii che ne conseguono, ma sono la sua unica chance di sopravvivere. Quindi ascolta, esasperato, chinando la testa all'umiliazione quotidiana.
"Guarda come piange, il probatio.
Uuh, chiamate la sua mamma!
Doveva stare nella Quinta.
Dopo un anno non ha neanche una cicatrice-"
È inciampato durante la marcia, e adesso batte i pugni a terra frustrato, le ginocchia graffiate e i jeans strappati. Fissa le sbucciature con occhi vuoti.
«... aiuto» mormora, soffocando malamente un singhiozzo, «Aiuto...»
Ma nessuno interviene. Qualcuno lo indica ridendo, altri lo ignorano, o almeno si sforzano di farlo (scorge la pietà nei loro occhi, e non riesce a mandarla giù) . Molti sono semplicemente passati dritti, al seguito dei nuovi pretori. Loro sì che piacciono a tutti. Loro, che non l'hanno degnato di uno sguardo. Gocce di pioggia nuova, fredda, bagnano il cuoio della corazza esageratamente grande che gli tortura le spalle.
E Ottaviano lo capisce, finalmente.
Che può fidarsi solo di se stesso.