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Autore: ale93    09/02/2014    8 recensioni
Gabriele è incazzato col mondo, gli piace stare solo, gli piace essere lasciato in pace, perché ha i suoi equilibri, i suoi modi di fare, ma Simone gli ha sempre un po’ rotto il cazzo da quando si conoscono. Lo tiene al citofono per mezz’ora quando non vuole uscire di casa, lo stordisce di parole se lui non ha niente da dire. E non gli da proprio tanto fastidio. Quando sta con Simone è meno incazzato. Il perché, però, proprio non lo sa. [Linguaggio!]
Vincitrice del concorso Oceano di Carta della SensoInverso Edizioni.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Fuori e dentro il cerchio'
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Cento farfalle in una mano
 
 
 
 
 
 
La camera di Simone è sempre stata un casino totale. I libri di latino gettati alla rinfusa sul pavimento, i vestiti ammucchiati sul letto, la scrivania invasa da mille fogli di carta scarabocchiati. La camera di Simone è un casino, come lui.
«Gabri», dice, stravaccato sullo stomaco di Gabriele con le mani incrociate sotto il mento, «me lo dai un bacio?».
A Gabriele viene da ridere per quelle stronzate. Un bacio. Quant' è scemo, Simone; ha qualcosa che non va nella testa. Lo guarda con gli occhi grandi come se si aspettasse davvero qualcosa. Poi soffia verso l’alto con un broncio sulla bocca, le sopracciglia aggrottate, cercando di mandare via i capelli dagli occhi; certe volte a Gabriele sembra così bello. Allora deve girarsi per forza, dargli le spalle e schiacciare bene la faccia al cuscino.
«Simo non rompere», sbuffa Gabriele con il sapore del cotone in bocca.
Simone sorride allegro e appoggia la fronte tra le sue scapole, con le dita gli solletica i fianchi e poi solleva un po’ la maglia. «Eddai, Simo. Sei freddo. Va’ via», ma Simone non si sposta, risale con i polpastrelli fino al petto di Gabriele e gli si stringe addosso.
«Lo so. E tu sei caldissimo», strofina il naso contro la sua schiena e Gabriele vorrebbe sul serio allontanarsi da lì, dirgli che a lui ‘ste cazzate danno fastidio, loro non sono mica fidanzati, che c’entrano i baci e le carezze?
«Levati, dai.»
Simone ride. Ride, ride, ride. Si strofina con l’indice un lato del naso, proprio dove ci sono almeno un miliardo di lentiggini minuscole, una vicino all’altra come se ci fosse un disegno là sotto.
«Dai, Gabri, ti vergogni? Ieri non sembrava», soffia nel suo orecchio. Gabriele si gira a guardarlo e lo trova così, con quella faccia a presa di culo che non sopporta.
Prende il mento di Simone tra due dita e gli lascia un bacio veloce sulla bocca. Prima di allontanarlo affonda i denti nelle sue labbra. «Fottiti, cretino»
E Simone ricomincia a ridere, però ha le guance un po’ rosse.
 
Quando lo guarda così, allungato sul letto con i capelli tutti sparsi sul viso, Gabriele pensa a quando da piccoli giocavano a pallone sotto i portici all’angolo della strada. Pensa a come Simone si gettava per terra solo per parare un tiro e alle smorfie che faceva quando si sbucciava le ginocchia. Da allora, Simone non è mai cambiato. Ha ancora quella faccia da bambino un po’ sbattuta e l’espressione di chi combina guai continuamente.
«Gabri», lo chiama ancora, mentre Gabriele fissa il soffitto.
«Mmh.»
«Mi piace quando mi baci.»
Gabriele è incazzato col mondo, gli piace stare solo, gli piace essere lasciato in pace, perché ha i suoi equilibri, i suoi modi di fare, ma Simone gli ha sempre un po’ rotto le palle da quando si conoscono. Lo tiene al citofono per mezz’ora quando non vuole uscire di casa, lo stordisce di parole se lui non ha niente da dire. E non gli dà proprio tanto fastidio. Quando sta con Simone è meno incazzato. Il perché, però, proprio non lo sa.
«Quanto sei appiccicoso, Simo», però lo bacia ancora, a bocca aperta; la lingua di Simone sulla sua. E di nuovo deve nascondere la faccia nel cuscino, dopo.
«Appiccicoso… dici così?»
Simone si mette cavalcioni sui suoi fianchi e Gabriele, con la pancia premuta sul materasso, sente le sue mani che gli sollevano del tutto la maglia. Simone si abbassa sulla sua schiena per assaggiarla con la lingua.
«Oh, Simo.»
 
 
 
 
 
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Tornando a casa, Gabriele pensa alla prima volta che Simone gliel’ha preso in bocca. Erano ad una festa, l’alcol bruciava nella gola e una ragazza stava parlando nel suo orecchio, gli toccava la spalla con la punta delle dita.
Quando Simone l’aveva trascinato in uno dei bagni della discoteca e lo aveva spintonato, Gabriele era troppo stordito per capire che volesse. Simone non s’incazzava mai.
«Gabriele», gli aveva detto invece quella volta. Gabriele per intero, non più Gabri. «Non capisci mai un cazzo».
Poi l’aveva premuto contro il muro ed era rimasto a respirargli affannato sulla faccia, guardandogli le labbra.  L’aveva baciato pianissimo, Simone, anche se fino a un attimo prima stava urlando come un pazzo, anche se lui gli graffiava le spalle e i polsi.
All’inizio Gabriele aveva cercato di allontanarlo, ma poi era precipitato dentro la bocca di Simone ed era stato un casino: c’era solo caldo ed eccitazione e qualcosa di dolce sulla lingua. Allora se l’era tirato più vicino, gli aveva stretto i fianchi fino a lasciare segni rossissimi. Gli era venuto duro in un attimo.
«Ma che cazzo combini», aveva detto Gabriele senza fiato, con la voce arrochita.
Le mani di Simone erano sotto la camicia, sui jeans, sotto l’orlo dei boxer. E il suo odore nel naso, il suo sapore di mojto e sigarette in bocca, il suo fiato sul collo. Simone dappertutto. Gabriele non c’aveva capito niente, sapeva solo che si stava strusciando sulla gamba del suo migliore amico e che, alla fine, Simone gli aveva aperto il pantaloni.
 
Quando Gabriele pensa a Simone inginocchiato tra le sue gambe deve smettere di fare qualsiasi cosa. Perché, se si fissa troppo su quel pensiero, sente la sua lingua che gli lecca la punta e il bordo dei denti che lo fa ansimare fortissimo. Simone è un tarlo da sempre; Simone ha la pelle bianchissima, piena di efelidi dorate e Gabriele ha sempre avuto voglia di passarci sopra la bocca. Da quella volta nel cesso della discoteca non riesce a smettere di pensarci mai, proprio mai. E' come un’ossessione Simone, un respiro sempre caldo addosso.
Uno squillo fastidioso gli tortura le orecchie.
Afferra il cellulare dalla tasca ringhiando, strappato a forza dalle sue fantasie.
«Gabri.»
È diverso quando non è Simone a chiamarlo così, si rende conto che è un diminutivo così stupido.
«Bianca. Che vuoi?»
Sente sua sorella ridere dall’altra parte. Ha la voce roca e spezzata. «Sei un amore come sempre. Che stai facendo che c’hai il fiatone?»
«Niente. Me lo dici o no, che vuoi?», le chiede con il telefono incastrato tra la spalla e l’orecchio, cercando di sfilare le chiavi dalla tasca.
«Sono in stazione. Ti va di vederci?»
Bianca studia all’università di Roma, è là da due anni, torna a casa solo ogni tanto e solo per vedere Gabriele. Non vuole incontrare la mamma, non dopo che si è scopata il suo professore di matematica del liceo, non dopo che papà li ha abbandonati tutti per colpa sua.
Gabriele sbuffa.
«Come vuoi. Ci vediamo a casa.»
 
 
 
 
 
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Mamma non tornerà prima dell’ora di cena, ecco perché Bianca sale tranquillamente le scale fino al terzo piano e si fionda oltre la porta di casa che Gabriele ha lasciato aperta per lei.
Quando attraversa il corridoio per entrare nella sua camera, Gabriele l’aspetta seduto a gambe incrociate sul pavimento e la guarda con occhi piatti. E’ minuta, ha le spalle strette e i capelli lunghi fino ai fianchi quasi, il naso un po’ sciocco sulla punta e le labbra viola di rossetto.
Bianca lancia il borsone in un angolo e si getta addosso a Gabriele, gli stringe le braccia al collo, gli bacia la guancia venti volte.
«E mollami, oh.»
«Gabri, ma quanto sei bello, guardati.»
Si sdraia per terra e posa la sua testa sulle gambe di Gabriele. Lo guarda dal basso con un sorriso acceso, gioca con le dita del fratello, ogni tanto se le porta alle labbra. «Mi sei mancato. ‘Sta volta ci ho messo tanto a tornare.»
Gabriele allontana la mano di Bianca con uno strattone. Poi si accorge che con la sinistra le sta spostando distrattamente i capelli dalla fronte già da un bel po’. Lei ride. È una risata diversa da quella di Simone, è strascicata, scoppia e poi si ritrae come un singhiozzo.
«Hai lo sguardo da triglia. Simone come sta?»
«E mo’ Simone che c’entra?»
Bianca strizza l’occhio e con l’indice gli accarezza una guancia. «C’entra perché fai la faccia da triglia solo quando stai pensando a lui. Dovrei sentirmi offesa, sono appena tornata!»
Gabriele guarda i vetri della finestra rigati di pioggia. «Non dire cazzate. Non sto pensando proprio a niente», soffia tra i denti.
Bianca gli stringe le braccia intorno al busto e appoggia la testa al suo stomaco, fa le fusa come un gatto. «Gabri, madonna quanto sei pesante. E dillo… tanto ormai l’avrà capito anche lui.»
«Ma dire che?»
 
Bianca lo guarda sconsolata e lo spinge via.
«Lascia perdere», sbuffa, poi si mette in piedi e gli dice «la vuoi vedere una cosa?», alzandosi la t-shirt e mostrandogli un tatuaggio proprio sotto al reggiseno, sulla destra.
Gabriele pensa che Bianca sia un po’ come i personaggi che Simone disegna di continuo su quei fogli che poi butta alla rinfusa sulla scrivania. Colorata, caotica, con le labbra troppo piene e un corpo così piccolo che a momenti si spezza. Bianca è senza senso.
«Che cos’è?»
«Come che cos’è, Gabri? E’ una farfalla.»
«Che schifo. Ma perché te la sei tatuata poi?»
Sua sorella s’inginocchia in un angolo della sua vecchia camera, là dove si ricorda di aver lasciato uno stereo. Gabriele non lo usa da quando se n’è andata, non sa nemmeno se funziona ancora.
Ma Bianca armeggia per un po’ e poi la musica parte. Ci sono i Pink Floyd. A soul in tension that’s learning to fly. Condition grounded, but determined to try1, canticchia lei stonata muovendo i fianchi. Lo guarda con gli occhi più belli che Gabriele abbia mai visto, occhi tristi, forse anche impauriti, chissà.
‘Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura’, pensa Gabriele; è così che sembra Bianca: persa da qualche parte.
«Gabri, voglio imparare a volare pure io», gli dice in un orecchio, tirandolo su per ballare con lui.
Gabriele un po’ si scansa, si dimena. Non gli piace la gente che si lascia andare in quel modo. Perdere il controllo lo innervosisce.
«Non ti capisco proprio, Bianca.»
«Te la posso dire una cosa?»
«Che c’è?»
Bianca si morde la bocca, la saliva lava via un po’ del suo rossetto e adesso sembra più piccola. Anche con quegli occhi un po’ lividi, le labbra secche e piene di tagli, con quello sguardo quasi da pazza. «Tu sai volare, secondo me. Io no, io devo imparare. Ecco perché mi sono fatta sto tatuaggio del cazzo. Ma tu sei capace, lo sai?»
Gabriele la guarda a lungo e poi le schiaffeggia il braccio che tiene attaccato al suo collo. Spegne lo stereo. «Ti sei fatta di nuovo, Bianca.»
Lei non risponde. Non dice né sì, né no, ma lui lo sapeva dall’inizio, Bianca è quasi sempre strafatta e Gabriele vorrebbe proprio prenderla a ceffoni quando fa così. Bianca gli fa un sorriso un po’ furbetto e solleva le spalle, Gabriele scommette che sta pensando e allora? «Non m’hai risposto. Lo sai o no?»
«Non ha senso quello che stai dicendo. Di che ti sei fatta? Dimmi che è solo una cazzo di canna.»
Bianca fa schioccare la lingua contro il palato, lo ignora. «Sì, che ha senso. Quando ti dico che c’hai lo sguardo da triglia stai proprio volando, capito?»
«Bianca stasera dormi a casa.»
Lei s’è già stesa sul letto, con un braccio si copre gli occhi cerchiati di nero e Gabriele non sa se vorrebbe prenderla e portarla in qualche clinica o tenersela in camera per sempre. «Non darmi ordini, piccino», dice sbadigliando a bocca aperta. «Comunque è per Simone. È Simone che ti fa volare, Gabri. Questo gli devi dire.»
Due secondi dopo è precipitata in un sonno profondissimo. Gabriele si stende accanto a lei.
 
 
 
 
 
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Bianca se n’era andata quando Gabriele s’era appisolato con una mano sulla sua fronte. Mamma torna dal lavoro tutte le sere alle otto e mezza, allora lei era uscita di casa alle otto, lasciando un foglietto sotto al naso di Gabriele.
Non potevo restare, lo sai. Scusami, Gabri. Comunque mi sento meglio adesso, dormo da un’amica. Ci vediamo la prossima volta, gli ha scritto.
Ci pensa ancora Gabriele, il giorno dopo nel cortile scuola. Pensa a dove sia finita Bianca in quel momento e in generale, si chiede dove s’è persa sua sorella. E crede che forse con lei s’è un po’ perso pure lui.
Sono le domande come quelle che lo fanno sentire incazzato, perché se comincia a chiedersi queste cose viene trascinato in un vortice che non è suo e tutto diventa confuso e buio. Gabriele non ci vuole stare in mezzo a questa merda.
Guarda Simone succhiare forte dal filtro della sigaretta, il suo profilo strano, con quelle labbra rosse e quel collo teso verso il cielo scuro di nuvole.
«Che c’hai?», dice Simone con la sigaretta all’angolo della bocca e le labbra piegate in un sorriso preoccupato.
«Niente», soffia via brusco, sedendosi su un gradino. Simone incassa come sempre e lo guarda con la coda dell’occhio. Gabriele respira un po’ più forte e cede, «Ieri è venuta mia sorella».
Gli occhi azzurri di Simone si allargano, quasi la sigaretta gli scivola via dalla bocca. Gabriele si dà del coglione mentre pensa ancora e ancora e ancora che Simo è bello, forse bellissimo, anche quando fa quelle facce buffe. Soprattutto quando fa quelle facce. E finalmente le sue spalle si rilassano.
«Come sta?»
«Una merda, Simo.»
Simone fa una smorfia contrariata; butta via il mozzicone e si siede vicino a Gabriele, la testa sulla sua spalla.
Per un attimo Gabriele pensa di scrollarselo di dosso, ché sono a scuola e se qualcuno s’affaccia alle finestre sono cazzi, però il calore di Simone gli fa bene in qualche modo e allora sta zitto.
«Gabri.»
«Eh.»
«Posso darti un bacio?»
Gabriele ride di nuovo, perché davvero, Simone con la testa non ci sta.
«E smettila. Stai sempre a chiedermi baci.»
«Ieri lo volevo io, ma oggi tu ne hai bisogno», dice corrucciato, con la faccia concentrata di chi sta per tradurre una versione di greco.
«Non dire cazzate, dai. Se ci vedono…»
Simone si sporge all’improvviso e per un attimo Gabriele pensa che stia per baciarlo lo stesso, anche se chiunque può vederli, anche se qualcuno potrebbe urlare ‘froci’, perché Simone è un po’ così, se ne fotte di tutto. Invece preme la fronte sulla sua e lo guarda in fondo agli occhi.
È Simone che ti fa volare.
Ci pensa Gabriele, si chiede per un folle momento se sia vero. Non s’è mai domandato se è amore, quella cosa che hanno, ma sa che forse Bianca un po’ di ragione ce l’aveva, anche se era strafatta.
«Che fai, Simo?»
«Ti guardo. Tu le cose non le dici mai con la bocca. Parli con questi qua», dice Simone, baciandogli le palpebre schiuse.
Gabriele prova l’impulso di guardare da un’altra parte, perché che la gente provi a capirlo lo fa sentire analizzato come un libro d’antologia e non gli piace, lui vuole stare per cazzi suoi, vuole riempire i suoi buchi come può, vuole respirare un po’ più forte quando gli serve. Ma quello è Simone, Simone, e se c’è lui il vuoto che c’ha dentro non si riempie del tutto, ma sembra più piccolo, meno spaventoso.
«Oh, ma quanto parli con questi occhi, Gabriè?», ride Simone sulla sua faccia. E Gabriele pensa che con Simone le farfalle –come quella sotto il seno di Bianca- non le sente nello stomaco, ma nelle mani. Uno sfarfallio contro i palmi di chi vuole volare, solo volare. Basta tenere aperte le dita.
«Simo?»
«Mmh.»
«Smettila di dire cazzate e dammi sto bacio, va’.»





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Note1Sono i versi della canzone Learn to fly dei Pink Floyd.
   
 
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