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Autore: BindaYay    10/02/2014    2 recensioni
[Cast Arrow]
[Colton HaynesxGrant Gustin, lievi riferimenti a Glee e Teen Wolf]
"Non fece in tempo a distendersi che qualcuno cominciò a bussare energicamente alla porta. Quindi si alzò svogliatamente, anche se già s’immaginava chi fosse il misterioso personaggio alla porta. Così, senza chiedere chi era, girò la chiave e, appena la serratura scattò, piegò la maniglia, per poi rimanere immediatamente meravigliato di fronte alla visione che gli si materializzò davanti..."
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Sono un novizia, e questa è la mia prima fanfiction! Anche se ormai è da molto che i millemila fandom di cui faccio parte mi succhiano la vita, ho deciso di iniziare a scrivere fanfiction, dato che ho sempre invidiato tantissimo il talento degli altri autori. Perciò mi sono detta: perchè non provare? Comunque non voglio dilungarmi troppo su roba inutile, spero che vi piaccia questa storia, anche se un pochino breve - forse un giorno riuscirò a scrivere qualcosa che vada oltre le due pagine e mezzo, chissà - e niente, un ringraziamento speciale a quella pazza della mia migliore amica, Mary (EvilMary): senza il suo supporto, non ce l'avrei mai fatta.
Buona Lettura :D 

 


Show Me Your True Colors

“...eee STOP! Ottimo lavoro ragazzi! Per oggi le riprese terminano qua, siete stati tutti fantastici!”
Finalmente, eccole là, le parole che a fine giornata sembrano non arrivare mai abbastanza in fretta. Dopo aver preso un sorso d’acqua dalla bottiglietta alla sua postazione ed aver salutato tutto il resto della crew, Colton cominciò ad avviarsi verso il suo camerino, esausto e fortemente provato da quella interminabile giornata di riprese sul set.  Appena arrivato di fronte alla porta con su scritto “Colton Haynes”, senza guardarsi intorno, si fiondò dentro, chiuse a chiave e si abbandonò sulla sedia davanti allo specchio.
Il suo riflesso gli mostrava di rimando la figura di un bellissimo ragazzo – nessun eccesso d’autostima, se ne rendeva conto anche da solo che era oggettivamente un uomo molto discreto quando si trattava del suo aspetto fisico – con il volto estremamente provato da un lavoro che ormai gli scorreva nelle vene, ma che gli richiedeva comunque tanti sforzi e sacrifici, anche dopo molti anni.
Dopo qualche minuto di riflessione, decise che prima di avviarsi verso casa, si sarebbe riposato qualche minuto sul divanetto di vellutto blu, sistemato nell’angolo vicino alla porta.
Non fece in tempo a distendersi che qualcuno cominciò a bussare energicamente alla porta. Quindi si alzò svogliatamente, anche se già s’immaginava chi fosse il misterioso personaggio alla porta. Così, senza chiedere chi era, girò la chiave e, appena la serratura scattò, piegò la maniglia, per poi rimanere immediatamente meravigliato di fronte alla visione che gli si materializzò davanti: Grant Gustin, acquisto più recente del cast, era proprio lì, appoggiato con un fianco allo stipite della porta, a braccia incrociate e sorridente. Quel sorriso, pensò Colton, che potrebbe illuminare milioni di città di notte e annullare qualunque sensazione negativa.
“Hey! Accidenti, credevo che oggi le riprese non finissero più, sono distrutto!” esclamò Grant, mentre si lanciava sul divanetto.
“Oh, sei tu.” Rispose Colton, freddo e impassibile come al suo solito. Ma la sua era solo una facciata: infatti, nessuno avrebbe mai detto che sotto quel volto contratto si nascondeva in  realtà un ragazzo che stentava a rimanere composto di fronte a tanto splendore.  Del resto, ormai, dopo il loro primo fatidico incontro, Colton si sarebbe dovuto esser già abituato a tutto quello che comportava la presenza di Grant, ma non era così.

 
Era un afoso pomeriggio di luglio di qualche anno fa e come al solito, a Colton era toccata la postazione all’entrata del negozio. Ormai, tutti parlavano di questo nuovo negozio in cui modelli bellissimi - gli  uomini  a torso nudo e le ragazze in mise decorosa ma comunque provocante -  si facevano fotografare con gli avventori; quindi l’affluenza di clienti e turisti stava raggiungendo picchi esorbitanti e, come al solito, a lui spettava il ruolo più ingrato. Sorrisi falsi, pose forzate, ogni volta i medesimi gesti che si ripetevano all’infinito ogni giorno, indistintamente dalla persona che ti ritrovavi di fronte. Era proprio questo ciò che lo disturbava maggiormente di questo lavoro: la monotonia e il non poter fare differenze con i vari clienti – che, ovviamente, erano per la maggior parte di sesso femminile.
Così Colton trascorreva le sue giornate, scandite solo dai click della polaroid; quando, in un giorno qualunque, si vide arrivare davanti al portone d’entrata un ragazzo dalla bellezza disarmante, circondato da un’aura di freschezza e vitalità. Gli occhi del ragazzo s’ illuminarono e cominciarono ad esaminare l’ambiente del negozio con curiosità – probabilmente era la prima volta che ci andava – ,finché il suo sguardo non si posò su Colton e il suo fisico statuario in bella mostra; così, quando la modella gli propose di fare la foto con lei, lui rifiutò gentilmente e passò oltre. Nessuno si sarebbe aspettato quello che stava per accadere: infatti, lo strano ragazzo si stava dirigendo proprio verso Colton, e con voce ferma e il perenne sorriso sulle labbra dichiarò:
“ E’ con lui che voglio fare la foto.” Colton non poteva credere alle sue orecchie.
La modella, spaesata, aspettò che i due si mettessero in posa, scattò la polaroid e appena la foto uscì dalla macchina, la infilò nella bustina blu, per poi darla al ragazzo. Lui la prese e, senza aspettare che l’immagine diventasse nitida, tolse la foto e con un pennarello indelebile scribacchiò qualcosa sul retro; la porse a Colton, e poi se ne andò, come se nulla fosse accaduto.
Colton si stupì nel ritrovarsi fra le mani il numero e il nome del ragazzo: si chiamava Grant Gustin. Ma la cosa più strana era che la foto non era come tutte le altre: il neutro sorriso di Colton era sparito, lasciando il posto a uno sguardo incuriosito accompagnato da un sorriso scherzoso diretto verso il ragazzo vicino a lui, che sorrideva all’obbiettivo. Era la cosa più naturale e spontanea che avesse mai visto.
 Di certo, non avrebbe mai immaginato che il suo destino e quello di Grant si sarebbero incrociati di nuovo, un giorno.

 
“Come sta andando? Ti  stai ambientando con il resto del cast, novellino?” Colton adorava stuzzicarlo. Grant rotolò su se stesso per guardare Colton mentre gli rispondeva: “Beh, sai, qui sono tutti molto gentili e disponibili, mi aiutano un sacco!” Accidenti, pensò Colton, il suo entusiasmo è a dir poco contagioso.
“Quindi? Che si fa di solito dopo le riprese qua a Los Angeles?”
Colton lo guardò di rimando e sconcertato rispose :“Mah, di solito nessuno ha mai la forza di fare qualcosa a fine giornata, quindi ce ne andiamo sempre ognuno per i fatti propri. Dove la trovi tutta questa energia, spiegamelo?”
“E’ la mia natura, sono fatto così.” Tagliò corto Grant, sorridendo di nuovo, poi continuò: “Andiamo, forza, usciamo a fare un giro insieme!”
“No, ecco, veramente io avrei da fare…” Colton non era mai stato una cima nel raccontare balle, e ovviamente Grant se ne accorse subito. “Niente scuse, tu adesso ti cambi, veloce, che io mi avvio fuori alla macchina. Non voglio storie.”
“Ma Grant, davvero, proprio non…” Con un movimento fulmineo, Grant era già in piedi, di fronte a Colton, pronto a zittirlo; delicatamente, poggiò il suo indice perfetto sulle labbra altrettanto perfette di Colton, e sussurrò: “Non ammetto obiezioni. Muoviti!” e ridacchiando, uscì dal camerino, veloce come era entrato.
Colton si prese 5 minuti buoni per ricomporsi, catapultandosi nel piccolo bagnetto del camerino: si guardò allo specchio, era paonazzo e i battiti del suo cuore non accennavano a decelerare. Era sconvolto, quel Grant gli toglieva il respiro, e lui non aveva idea di come comportarsi: sembrava che Grant sapesse che in realtà lui non era il freddo e distaccato androide senza emozioni che dava a vedere, ma che avesse capito che il vero Colton era un ragazzo pieno di insicurezze e molto sensibile. Tutto questo lo spaventava e al tempo stesso lo incuriosiva; c’era una certa chimica, una strana attrazione tra loro, che lo  spingeva a voler sapere di più sul nuovo arrivato del set. Beh, si disse tra sé e sé, questa potrebbe essere la serata buona per conoscerlo meglio.
Appena realizzò la natura dei suoi pensieri, Colton scosse la testa e si impose di tornare alla realtà; quindi si dette una sciacquata e si cambiò i vestiti. Nemmeno un quarto d’ora dopo era pronto per lasciare l’edificio, con ai piedi le sue lucide Dr. Martens nere, jeans, camicia e il suo inseparabile giubbotto di pelle nero. Un’ultima occhiata allo specchio prima di uscire, con tanto di occhiolino di apprezzamento, e se ne andò verso il parcheggio.
 
 

 
Esattamente davanti al cancello del parcheggio, con la musica a tutto volume, Colton lo individuò subito: seduto al volante della sua auto “vintage”, come gli piaceva definirla – unico modo per dare un briciolo di dignità a quel vecchio macinino –, Grant cantava a squarciagola, completamente immerso nella performance. Era talmente preso che quando Colton arrivò, passarono almeno un paio di minuti prima che si accorgesse di lui; allora si piegò verso la portiera del passeggero, e mentre la apriva si sentì arrivare le scuse di Grant: “ Oh cavolo, scusami, non mi ero accorto che tu fossi già qua! Ahahahah!” Quella sonora risata, cristallina ma potente, che avrebbe sovrastato anche milioni di decibel, era il suono più soave che Colton avesse mai udito. Anche se, appena lo sentì canticchiare, dovette ricredersi: il modo in cui Grant stava intonando “Glad You Came” dei The Wanted era qualcosa di celestiale, quasi da far impallidire un usignolo.
Mentre cantava, gli occhi verdi di Grant brillavano ed erano messi in risalto dalla t-shirt rossa, che gli calzava a pennello sotto alla giacca sportiva grigia. Il look era completato da un paio di jeans neri e le sneakers colorate, dalle quali Grant difficilmente si separava. Inconsciamente, Colton aveva sviluppato una passione nascosta per quelle sneakers; chissà per quale strano motivo, ma era convinto che nessun altro al mondo avrebbe saputo portarle come lui.
La voce di Grant richiamò la sua attenzione: “Insomma, hai pensato a un posto dove andare?” chiese speranzoso. Colton, da parte sua, era in piena confusione dal momento esatto in cui Grant si era affacciato al suo camerino, quindi, a corto d’idee, propose il primo posto che gli venne in mente: “Potremmo andare su, alla zona del faro, ci sono un sacco di locali alla moda là.”
“D’accordo, aggiudicato!” e detto ciò, ingranò la marcia e dopo un rumore assordante, la macchina partì.
La musica che proveniva dalla radio riempiva il silenzio sospeso tra i due ragazzi, quando Grant di punto in bianco abbassò il volume, e chiese a Colton: “ Ti mancano, non è vero?”
Colton, dal canto suo, rivolse uno sguardo confuso a Grant, che continuò: “I ragazzi del tuo vecchio cast. Si vede benissimo che sul set non ti senti veramente, beh…tu. Se vuoi parlarne, con me puoi farlo: anche io sento moltissimo la mancanza di quei pazzi dei miei ex compagni.”
Qualcosa scattò nella testa di Colton: Tyler, Dylan, Holland, Crystal… All’improvviso le loro facce gli apparvero davanti agli occhi e gli annebbiarono la vista per un attimo. Ma subito riacquisì il suo solito contegno e, facendo il superiore, rispose: “Nah, se la cavano benissimo anche senza di me, e io ormai ho voltato pagina. Oh, ci siamo, accosta là per parcheggiare.”
Quand’ebbe tirato il freno a mano, Grant gli rivolse uno sguardo risentito, pieno di disapprovazione; Colton non ci fece caso e, uscito dall’abitacolo, iniziò ad avviarsi verso il locale dall’altro lato della strada, ma qualcosa lo trattenne. Inaspettatamente, la mano di Grant lo aveva afferrato ed inizò a trascinarlo in direzione del faro con fare brusco.
“Hey, ma mi spieghi che caz…”
“Fidati e non fiatare”, tagliò corto l’altro.
Con passo spedito, Grant lo portò davanti alla porta del faro, ma non si fermò lì; entrò dentro all’edificio e lo trascinò su per la stretta scalinata a chiocciola, finché non giunsero alla sommità dell’alta torre, dove la luce intermittente lampeggiava regolare.
Davanti ai loro sguardi meravigliati, si stendeva la moltitudine infinita delle luci della città, che la facevano sembrare una creatura viva e pulsante; ma se si continuava a guardare,  proseguendo verso sinistra si poteva ammirare la distesa piatta dell’oceano, sul quale la luna piena proiettava macchie guizzanti di luce. Era impossibile trovare le parole adatte per descrivere questo spettacolo.
“ Oh mio dio… Wow…” sussurrò con un filo di voce Colton.
“Finalmente, era proprio questo quello che volevo.” Grant stava sorridendo dolcemente, quando continuò: “E’ così che si fa, Colton. Le emozioni, le sensazioni, sono fatte per essere espresse. Tu ti imponi di reprimerle, quando in realtà vorresti solo trovare qualcuno con cui condividerle. Non trattenerti. Sii te stesso. Puoi farlo. Qui, adesso, con me.”
Colton era sconvolto; era stato scoperto, i suoi muri erano stati abbattuti, e per giunta, proprio dal quel novellino con gli occhi brillanti. In uno spasmo d’ira, scattò verso di lui, immobilizzandolo contro la parete dove la lampada continuava imperterrita a lanciare segnali luminosi.
Puntò i suoi occhi infuriati in direzione di quelli di Grant che, ad intervalli costanti, comparivano per poi scomparire subito dopo, illuminati ad intermittenza dai lampi di luce. Grant sostenne il suo sguardo, restituendogliene uno altrettanto determinato e convinto, quasi provocatorio. Gradualmente, la rabbia di Colton si affievolì, e pian piano si calmò. Fu in quell’esatto momento che comprese che era tutto vero: da quando aveva abbandonato i suoi compagni di Teen Wolf, si sentiva solo, anche se aveva cercato di abituarsi a convivere con i suoi nuovi colleghi con tutte le sue forze. Ma non era lo stesso, non riusciva a ricreare quell’atmosfera familiare che lo faceva sentire protetto e amato; non gli rimaneva che isolarsi nella sua solitudine. Ma il suo orgoglio aveva ignorato questo sentimento per tutto il tempo, cercando di nascondere le sue vere debolezze dietro quella facciata da duro che si era creato.
E adesso, improvvisamente, quel novellino lo aveva smascherato… Non sapendo più come comportarsi, decise di seguire il suo istinto e di lasciarsi guidare dai suoi sentimenti, per una volta.
Lo baciò. Lo baciò con rabbia, perché si sentiva debole e vulnerabile di fronte a lui. Poi lo baciò con dolcezza, perché finalmente era riuscito a trovare qualcuno con cui aprirsi ed essere se stesso. Quando si staccarono, Grant lo guardò storto, con uno strano sorriso , ed esordì: “Tu mi avevi riconosciuto. Eppure non hai detto niente. Perché non mi hai mai chiamato, dopo il giorno della foto?”
Colton, con un rinnovato calore nella voce, rispose: “Non ne avevo il coraggio… Ero convinto che fosse solo uno scherzo, e se dopo averti chiamato avessi scoperto che mi volevi solamente prendere in giro, ne sarei stato devastato. Tu mi hai colpito subito, sin dal primo istante in cui hai infilato le tue stupide sneakers dentro all’ingresso del negozio.”
La dichiarazione di Colton generò un sorriso particolare sul volto di Grant: il sorriso di chi già sapeva, ma che non poteva più contenere tutta l’emozione che vi si celava dietro ormai da tanto tempo.
Tornarono verso la macchina tenendosi per mano; nessuno dei due accennò ad allentare la presa, neanche quando giunse il momento di risalire in macchina. Alla fine però, i due si divisero e si rimisero in marcia, verso chissà quale meta.
Senza farsi vedere da Grant, che era di nuovo immerso in una delle sue solite performance canore, Colton estrasse una polaroid stropicciata dal borsello.  Aprì il finestrino e lasciò che il vento la portasse via con sé.
Adesso non mi servi più, pensò. Avevano tutto il tempo di questo mondo per immortalare le loro espressioni serene, insieme
  
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