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Autore: xjelenas    11/02/2014    2 recensioni
"l'avevo perso. per sempre."
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Justin Bieber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sulla scrivania di una rgazza suicida è stato trovato questo, affianco ad una lametta.
"Conobbi il suo viso per via dei miei genitori, quel giorno di estate mentre ero, come al solito, intenta a leggere chiusa in camera mia con il ventilatore al massimo.
I miei genitori mi avevano chiamato ed io mi alzai di malavoglia, dato che mi aveva disturbato nel cuore di una lettura.
Arrivai in cucina e vidi che avevamo ospiti.
Abbozzai un sorriso alle due persone che avevo davanti: una signora sulla quarantina d'anni, con i capelli marrone scuro corti fino alle orecchie, con gli occhi azzurro mare, si portava molto giovane per la sua età e di fianco a lei un uomo di circa la sua stessa età con i capelli scompigliati e marroni ed occhi scuri a differenza della donna alla sua destra.
Erano entrambi abbastanza alti ed indossavano tutti e due delle magliette smanicate, chi verde, chi rossa.
Mia madre mi fece un cenno di testa in segno di camminare e mi avvicinai ai tizi che mi strinsero la mano.
"Tesoro, ti presento Beth e Simon, sono degli amici di vecchia data di tuo padre e me che ora si sono trasferiti nella nostra città, non li vedevamo da anni!" disse mia madre in modo così tanto allegro che mi veniva voglia di sorridere, ma non lo feci.
All'improvviso si sentì la porta chiudersi ed un ragazzo che non avevo mai visto sbucò dall'entrata sistemandosi la giacca ed entrando mi squadrò.
In effetti non ero nelle mie condizioni migliori: i capelli erano legati, solo qualche ciocca colorata usciva fuori, avevo una smanicata che arrivava fino alle cosce ed un pantaloncino un po' più sotto la maglia ed ero scalza.
Come prima impressione non era stata la migliore, ma chissenefrega?
Conta quello che successe dopo fra me e quel ragazzo.
"Lui è nostro figlio, si chiama Justin." disse la donna dai capelli corti.
Li guardai per un attimo, entrambi avevano gli stessi occhi azzurro mare ipnotici.
"Ciao." mi disse in modo rude ed io risposi lo stesso in altrettanto modo gelido.

Quello fu il primo giorno in cui tutto iniziò.
All'inizio non volevo ammettere di aver instaurato un certo rapporto con quel ragazzo, ma con il tempo dovetti cedere alla pressione.
Andavamo a scuola insieme i primi giorni, ma non ci scambiavamo una parola, io dopotutto ero una invisibile per gli altri, nessuno mi calcolava mai, solo una mia amica che ora era assente perchè aveva la febbre.
Verso ottobre del nuovo anno scolastico ci parlammo per la prima volta a scuola.
Io ero seduta sulle scale della porta sul retro del cortile dove nessuno andava mai, mi piaceva passare il tempo lì da sola, a consumare il mio pranzo o portandomi dietro un bel libro da leggere nelle ore di spacco che trascorrevo sempre lì.
Lui arrivò dal lato destro della scuola, io con il libro davanti agli occhi non lo sentii arrivare.
Quando battè il piede a terra abbassai i libro e lo guardai.
"Non vedi che sto leggendo?" dissi in modo un po' brusco.
"Cosa ci fai qui?" disse ignorandomi.
"Potrei chiederti la stessa cosa. Ci vengo sempre io."
"Io volevo stare solo." disse sedendosi vicino a me.
"Beh, sappi che non me ne vado solo per cederti il posto." dissi controllando l'indice del libro che avevo in mano.
Mi fissò e non disse nulla, c'era silenzio fra di noi.
Continuai a leggere vedendo che non mi parlava.
"Non so come ti chiami." disse.
"Alison." risposi con non curanza senza staccare gli occhi dal mio libro.
Mi mancavano altri sette capitoli per terminare per l'ennesima volta quel libro.
"Che ore sono?" chiesi.
Avevo perso la condizione del tempo.
"Il mio orologio immaginario dicono le undici e venti."
Lo guardai.
"Dovrebbe essere quell'ora." confermò.
Quando parlava nessuna emozione trapelava dai suoi occhi o dalle sue labbra: aveva un'espressione seria che anche se ti raccontasse la barzelletta più divertente al mondo non rideresti.
"Oh, ho ancora tempo." bisbigliai a me stessa.
"Per leggere libri dalla mattina alla sera?" disse inclinando la testa per leggere il titolo.
"Almeno tengo impegnato il tuo tempo, tu come lo utilizzi?"
Abbassò lo sguardò come a sentirsi in colpa e non rispose, sospirò soltando continuando a guardare a terra.
Beh, cosa avevo detto di male? Scoprii dopo il perchè della sua reazione.
Ad un certo punto mi alzai, calcolando mentalmente dovevano essere le undici e trenta e dovevo ritornare in classe.
Misi il segnalibro e riposi il mio tesoro nello zaino.
"Beh, ciao." gli dissi senza dargli il tempo di rispondere e mi incamminai per la mia aula.

I nostri discorsi erano freddi e di cose dette in modo diretto, schiettamente.
Dopotutto ero sempre stata una ragazza chiusa, non riuscivo a fidarmi delle persone e tantomento mostravo ciò che provavo, lui era lo stesso, sembrava forte ed arrogante fuori, ma chissà cosa si nascondeva dentro e alle spalle.
Quello lo scoprii dopo e fu lì che iniziò tutto.
Erano passati alcuni mesi dal nostro primo incontro alle scale e ci parlavamo con più frequenza, delle volte riuscivamo anche a ridere insieme e per qualche giorno non ho dovuto portare il libro a scuola, sapendo che avrei passato la ricreazione a parlare con lui.
Mi diceva spesso dei suoi viaggi, ma se chiedevo qualcosa in particolare su di lui diventava subito freddo.
Non faceva mai nessun complimento, nessuna lode o frasi dolci, nulla.
Ed era meglio così perchè a me quelle cose non piacevano.
Ma dopotutto, stava iniziando ad aprirsi con me, mi rivolgeva enormi sorrisi, riuscivamo a ridere a volte e trascorrevamo piacevoli giorante insieme.
Quel pomeriggio la scuola doveva finire alle 4:30.
Ci salutammo all'entrata e ci dividemmo dato che avevamo due abitazioni una opposta alla via dell'altra.
Mentre percorrevo metà strada mi ricordai di aver dimenticato gli appunti di francese sotto il banco e velocizzando il passo arrivai di nuovo all'entrata.
Questa volta non entrai, non perchè i cancelli fossero chiusi, ma perchè vidi una scena che mi fece salire le lacrime agli occhi: c'era Justin che stava comprando una polverina bianca da un tizio con un cappello nero che poi scavalcò il cancello dietro la scuola e andò via.
Justin intanto estrasse una fiala dalla tasca e si iniettò qualcosa nelle vene e successivamente sniffò la polverina bianca.
Droga, era droga.
Justin si stava drogando davanti ai miei occhi ed io non stavo facendo nulla per fermarlo.
I miei occhi si riempirono di lacrime e non riuscii a trattenerle, non vedevo nulla, corsi all'indietro verso casa, fanculo gli appunti di francese.
Mi chiusi in camera, rannicchiata in un angolo del letto.
Quante bugie mi aveva detto, quante risate false mi aveva rivolto, quanti sorrisi falsi, quanto dolore era riuscito a anscondere dietro tutti quei sorrisi che mi sembravano il paradiso.
Mi addormentai con l'obbiettivo di aiutarlo anche a costo di sacrificare la mia vita.

Non mangiavo più, stavo dimagrendo e stavo diventando sempre più debole.
Mamma e papà litigavano sempre, a volte arrivavano anche alle mani, stavo iniziando a perdere i capelli, ad avere costanti mal di testa, stavo cadendo a pezzi.
Ma lui, mi salvò.
Sì, nel vero senso della parola.
Quel giorno andai a casa sua per parlargli di ciò che avevo visto, ma lui non mi permise di iniziare il discorso.
"Sei troppo dimagrita, hai occhiaie enormi e stai perdendo capelli. Non ce la faccio a vederti così, ok?"
Da quel giorno mangiavamo sempre insieme, mi portava ai risporanti, ai pub, ai bar, ai cinema e mi metteva di buon umore quando le mie labbra non volevano più muoversi.
Avevo già meso su qualche chilo, stavo riacquistando forze.
Mi faceva dormire con lui (forse l'unica cosa dolce che abbia mi fatto) per assicurarsi che avessi un sonno tranquillo, cercando di farmi eliminare quelle occhiaie.
I capelli non cadevano più, non ero più così tanto debole e le mie gambe non erano scheletriche, era riuscito a salvarmi da quel periodo di merda, senza mai mollare, senza mai lamentarsi dei miei continui capricci.
 Aveva messo la mia vita fra le sue mani ed era riuscita a salvarla.
Io dovevo fare lo stesso.

Uno di quei giorni in cui eravamo ad un ristorante gli raccontai tutto ciò che avevo visto.
Lui mi spiegò che aveva avuto un'infanzia difficile ed il cambiamento di città aveva causato problemi non indifferenti.
Gli giurai solennemente quella sera che l'avrei aiutato, lui si era sempre preoccupato della mia salute, quasi come se mi amasse.
Ma per ora fra di noi c'era solo amicizia.
Lui al quel mio giuramento rise scuotendo la testa.
Lui lo riteneva impossibile, ma io ci sarei riuscita, avrei fatto ciò che lui aveva fatto con me: l'avrei salvato.
Iniziai a stare tutto il tempo con lui, dalla mattina alla notte.
Dormivo con lui per assicurarmi che non uscisse a drogarsi, lo stringevo con un braccio a me e non l'avevo mai visto districarsi dalla mia presa.
La mattina poi, quando mi svegliavo, indossavo qualche sua maglia e gli preparavo la colazione.
A scuola stavo attenta a non farlo parlare con qualcuno di poco raccomandabile e lo tenevo sempre sotto controllo, a parte nelle ore in cui non eravamo in classe insieme.
Tutto questo continuò.
Perfino il pomeriggio e la sera lo costringevo a rimanere con me, un po' per aiutarlo un po' perchè essendo sola non avevo mai nessuno con cui stare, ma lui mai si rifiutò di stare con me.
Io stavo rischiando tutto: il consenso dei miei genitori, i bei voti a scuola, la mia vita sociale, i miei amatissimi libri, stavo facendo tanti sacrifici e lui lo sapeva.
Sapeva che stavo facendo tutto quello per lui, infatti avemmo una discussione su questo:
"Dovresti smetterla di preoccuparti per me, Alison."
"No, che non smetto. Ricordi quando era magra quanto uno stuzzicadente? Tu mi hai aiutatam Justin, mi hai salvata nel vero senso della parola, hai fatto di me una ragazza migliore, mi hai aiutato a sopravvivere e successivamente a vivere, quello che sto facendo non sarà mai abbastanza."
"Ma che senso ha? Potresti anche andartene da un momento all'altro invece di preoccuparti di questo cosa."
"Ma io non lo faccio, ok?"
Sembrò quasi sorridere.
"Mi stai dicendo che non mi lascerai?"
"No, mai!" dissi in modo solenne. "Tu non mi hai abbandonata. Ed io non lo farò, ok? Nemmeno se tutto andrà una merda ed anche se sarò costretta ad iniziare tutto da capo. Tu lo hai fatto."
"L'ho fatto solo perchè ti amavo, Alison, e vedere la persona che ami in uno stato pessimo non è bello, anzi ti distrugge. Io volevo salvarti, volevo farti sentire speciale, cosa che mai nessuno ha fatto."
"Ed io ti ringrazio, dal più profondo del cuore. Ma hai detto 'ti amvo', ora non più?"
chiesi con il cuore in gola.
"No, ora non sono più innamorato, ora dipendo da te, ora tu sei tutto ciò di cui ho bisogno."
Fu quella la prima volta che ci baciammo, posso ancora sentire il calore delle sue labbra sulle mie, posso ancora sentire le sue mani sui miei fianchi, posso ancora vedere quei suoi occhi azzurro mare, posso risentire tutte le emozioni che mi ha fatto provare in un vortice devastante.

Sembrava andare tutto bene, ma tutto gli causava stress, si sentiva in colpa per i sacrifici che stavo facendo solo per salvarlo e fu in una di quelle occasioni che mi ricordo cosa mi disse "cosa me ne faccio di quella polverina quando la mia droga sei tu?".
Ma erano tutte bugie, il giorno dopo lui non c'era.
Fu portato in ospedale urgentemente ed ogni mio tentativo di aiutarlo risultò vano.
Piansi notti intere nei suoi 25 giorni di coma, oh li ricordo bene, furono 25 giorni infernali in cui l'unica cosa che potevo fare era pregare dio e stringergli la mano.
Non ci fosse giorno in cui non andassi a trovarlo, con il sole, neve, con la febbre a 38, io ero sempre lì, vicino a lui, gli dicevo di essere forte.
La mattina del 26 giorno il dottore mi annunciò che le dosi di cocaina e droga avevano superato di molto quelle che il corpo può conservare e che dopo quei giorni di interventi non si era riuscito a fare nulla.
L'avevo perso.
Per sempre.
Vedendo le mie lacrime il dottore si ricordò di una cosa.
"Sei Alison tu vero?"
"Sì...Cosa sa il mio nome?" chiesi cercando di fermare il lago di lacrime.
"Oh, lo ha detto Justin un giorno prima di morire. Ha detto 'grazie Alison, ti amo', proprio così." e poi se ne andò lasciandomi con la mia frustrazione, con il mio dolore che lentamente mi stava squarciando il cuore.
Avevo amato quel ragazzo, con tutta me stessa, ci eravamo amati come nelle favole, avevamo vissuto momenti indimenticabili, avevamo riso insieme, avevamo condiviso tante esperienze.
E potevamo fare di più, ma purtroppo ora non ci era più permesso.
Tornai in camera sua, lo guardai per l'ultima volta.
Il viso del ragazzo che mi aveva salvata, il viso con cui mi svegliavo ogni mattina e con cui mi addormentavo ogni sera.
Le palpebre erano chiuse, non potevo vedere i suoi bellissimi occhi azzurro mare.
Mi chiesi cosa avrei fatto.
Non avevo più motivo di vivere.
I ricordi con tanti piccoli coltelli mi trafissero la testa, dal primo giorno che arrivò in casa, all'ultimo giorno in cui lo vidi sorridere.
Se l'avrei saputo, l'avrei baciato con tutto l'amore del mondo e non l'avrei lasciato andare.
Dopotutto era tutta colpa mia, l'avevo stressato troppo, aveva sensi di colpa su tutto quello che stavo facendo...l'avevo ucciso io non la droga.

Era impossibile non piangere in quei giorni.
La stanza era vuota senza di lui, il letto matrimoniale poteva anche essere bruciato, nulla aveva più senso.
Sapevo solo che non avrei mai amato un ragazzo nel modo in cui avevo amato lui.
E lasciai che la sua perdita mi distruggesse lentamente, giorno dopo giorno.
Non è possibile eliminare il suo ricordo, non è possibile eliminare tutto ciò che avevamo passato.
Non mangiavo di nuovo, non parlavo con nessuno.
Avrei solo voluto che mia madre entrasse prima o poi sorridendo e dicendomi: "Ali, c'è Justin."
Ma mamma non entrò mai, Justin non entrò mai, non poteva farlo più ormai.
E cosa dovevo fare ora?
Vivere? Continuare?
Per ora stavo solo sopravvivendo.
Ricordai gli ultimi attimi, le sue ultime parole dette.
Se mi amava non mi avrebbe mai lasciato, non se ne sarebbe andato, avrebbe continuato a rimanere al mio fianco a dormire abbarcciato a me.
Le giornate in camera aumentavano, non accendevo mai la luce, le mie guance erano sempre umide, il cuscino più bagnato di una maglia in lavatrice e i ricordi sempre vivi.
Justin mi aveva salvata in tutte le maniere in cui una persona può essere salvata ed io non avevo fatto lo stesso con lui, non me lo sarei perdonata mai.
Era lui il mio eroe, ed io non avevo potuto fare nulla per salvarlo dopo tutto quello che lui aveva fatto per me.
Mi odiavo, odiavo il fatto che lui non fosse più lì.
Ma dopotutto ora che senso ha?
Lo ricordo ancora sorridente, nonostante siano passati solo due settimane.
Due settimane d'inferno, ma io non posso più farcela.
Questo dolore è troppo grande da portare dietro.
Ed ora ho deciso di raggiungerlo, magari mi sta aspettando, magari possiamo ritrovarci e stare insieme.
Di certo non l'avrò salvato, ma sono sicura che potrei di nuovo riabbracciarlo senza la paura che mi scappi via.
Justin, aspettami, arrivo da te."
 

ciao ragazzeeeeeeeeei.
diciamo che questa one shot  mi è venuta in mente quando ero un po' malinconica (un po' troppo) ed ho deciso di conretizzare la mia malinconia in una one shot:)
cosa ne pensate? se lasciate qualche recensione, sarebbe gradevole, vvb.

ps. so che justin non ha gli occhi azzurri, ma ho deciso di farli di quel colore, perché coincidevano con l'andamento della storia:)
  
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