«da
quanto hai detto che ci fa?»
Il barista
tornò a pulire il tavolo dopo aver dato una breve occhiata a
quel che intendeva il suo cliente.
«pft.
Tre mesi, ormai. Arriva puntuale alle dieci di sera, si mette su
quel tavolo appartato, paga in anticipo tutto quello che sa che
berrà e ingolla
liquori vari fino a crollare lì, dove lo vedi. È
capitato che chiudessi il
locale con lui ancora dentro, a volte si sveglia da solo e se ne va, ma
non
sempre. E io in quei casi di certo a svegliarlo non ci vado, tu che
dici?»
L’altro
annuì. «manco i matti. Certo che fa
pietà un uomo ridotto
così».
«beh,
ha perso il Torneo, ha perso la possibilità di ridare onore
al
nome della propria famiglia…penso che anche io berrei fino a
sfasciarmi».
Il barista non
si sbagliava del tutto, ma non era solo per quei motivi
che Kevin Mask, anche quella sera, era collassato faccia contro il
tavolo.
Quello era un
uomo che aveva perso tutto in pochi minuti. Oltre a quel
che aveva detto il proprietario del bar infatti c’era:
- il fatto di
aver deluso ancora Robin;
-
l’angoscia per Emerald, sparita chissà dove e
ferita per errore dal
suo stesso padre;
-
l’angoscia per Lord Flash, o Warsman, portato via dai soldati
di
Howard Lancaster;
- la
conseguente totale solitudine in cui si era ritrovato
all’improvviso, e alla quale si era disabituato.
Oltre ad Hammy
e Warsman, Kevin Mask non aveva altri amici. Non aveva
nessuno con cui parlare, e se anche qualcuno avesse provato ad
avvicinarlo
probabilmente non avrebbe fatto una bella fine. Era come un animale
selvaggio
che era stato ferito gravemente ad un passo dall’ottenere
l’agognato cibo, la stessa
identica cosa.
Tutto il suo
impegno non era servito a niente, tutta la sua fatica non
era servita a niente, aveva padroneggiato l’Olap e non era
bastato, sembrava
che Emerald stesse per tornare da lui e invece gliel’avevano
portata
via…sentiva ancora l’odore del suo sangue -o
meglio, gli pareva di sentirlo-
vedeva chiazze rosse spiccare contro il candore del tappeto ogni volta
che
chiudeva gli occhi…e lo stesso valeva per Flash.
Warsman.
Quello che era.
Come stava? Era
vivo, era morto? Lancaster aveva terminato l’opera in
seguito? O cosa?
Oltre ad
Emerald, che nei suoi incubi peggiori veniva colpita al cuore
invece che poco più in là, anche Warsman
compariva spesso. Ridotto nei modi
peggiori. In uno, addirittura, Howard Lancaster gli aveva legato un
braccio ad
un cavallo, l’altro ad un altro cavallo, e lo stesso aveva
fatto con le
gambe…poi aveva dato ordine ai fantini -tutti col volto
dell’americano!- di
partire ognuno in quattro direzioni diverse e…
Con un mugugno
lamentoso l’inglese trovò la forza di sollevare il
volto
dal tavolo e bersi un’altra mezza bottiglia di whisky. Magari
alla fine l’alcol
avrebbe scacciato quelle orribili immagini, ed avrebbe smesso di
chiedersi
dov’erano Warsman ed Hammy…
…Hammy…
Aveva il chiodo
fisso, ora più che mai, e già prima diciamocelo,
non
scherzava.
Finì
la bottiglia di whisky.
Che
cos’avrebbe detto Warsman…Flash…quello
che era…vedendolo bere in
quel modo, e ridursi in quelle condizioni? Al pensiero…che
vergogna.
Stappò
un’altra bottiglia di whisky. Beveva per dimenticarsi tutto,
Kevin Mask, anche della vergogna di bere!
Finita anche
quest’altra bottiglia, la terzultima di tutte quelle che
si era fatto portare, afferrò le uniche due rimaste ed
uscì barcollando dal
bar. Meglio non rimanere lì, o avrebbe finito per
pretenderne un’altra dozzina.
Non seppe dire
per quanto tempo camminò, o quanti accidenti di
chilometri fece. E francamente non gli importava nemmeno, pensava
mentre
camminando beveva anche una delle altre due bottiglie. No, non gli
importava
per niente.
Per
niente…di niente… perché non
c’era più nulla a cui valesse la pena
dare importanza, da tre mesi a quella parte.
Aveva persino
pensato di farla finita, e non una volta sola, ma non
aveva mai trovato il coraggio di fare neanche quello, ed aveva
continuato a pensare
“non posso uccidermi, e se un giorno dovessero ricomparire?
Se un giorno Hammy
dovesse ricomparire? Non posso farmi trovare sotto terra”.
Erano solo
quelli i motivi per cui prolungava la sua permanenza in
quella valle di lacrime, nessun altro. Il Torneo Chojiin non aveva
nemmeno
cambiato i rapporti con suo padre…anzi, no. Errore. Li aveva
peggiorati
ulteriormente, tanto che a Kevin era arrivata la notifica di diseredo!
…e lui
era il suo unico figlio! A chi sarebbero andati i soldi, una volta
morto Robin
Mask? forse alla Muscle League, o forse nelle casse dello Stato.
Comunque, non a
lui.
Kevin Mask
camminò e camminò, fino a quando le gambe non lo
ressero più
e crollò vicino alla (nemmeno sulla!)
panchina di un parco. Non aveva nemmeno voglia di rialzarsi, dunque si
limitò
ad appoggiare la schiena sulla panchina in questione e stappare
l’ultima
bottiglia che gli rimaneva.
“l’unico
vero amico dell’uomo non è il cane, è
il whisky, che diamine!”
pensò ben poco lucidamente mentre iniziava a bere a grandi
sorsi. E poco gli
importava se la testa stava diventando sempre più pesante, e
se quel cane stava
facendo i suoi bisogni sull’impermeabile…no, un
momento…
«pure
tu mi detesti, cane di merda!» farfugliò
l’inglese alzando un
braccio per spingerlo via. Ma il cane dopo aver fatto quel che doveva
fare -oltre
alla pipì- era già partito «un
cacca-ne. Un cane di cacca…in un mondo di
cacca…con
gente di cacca» bofonchiò buttando in
là l’impermeabile. Finì di scolare la
bottiglia di whisky, e pensò seriamente di addormentarsi
lì…
«santo
cielo…»
Sentì
qualcuno che lo toccava, ed avrebbe reagito malamente se il suo
naso non avesse captato un profumo buono…di
fiori…ma la vista annebbiata gli
faceva vedere solo una confusa figura presumibilmente femminile dai
capelli e
occhi scuri.
Occhi scuri.
Non era Hammy. Forse era anche meglio così, avrebbe
provato vergogna anche se fosse stata lei a vederlo
in quel modo.
«la-lasciami
stare…» borbottò lui.
«non
ti voglio fare niente di male. Adesso fai il bravo e lasciati
aiutare, mh?»
«no,
voglio morire qui…»
«ma
che assurdità…dai, aiutami a tirarti
su» il braccio che si avvolse
attorno alla sua vita era sottile, e morbido. Si, si, era una
donna...una donna
che lo stava aiutando.
Avrebbe tanto
voluto che fosse sua madre, peccato che invece Alisa
fosse morta ormai da un pezzo. Forse se lei avesse vissuto la sua vita
sarebbe
stata del tutto diversa, migliore. E invece era andata a finire nel
cesso.
«purtroppo
dovrai accontentarti del divano, e…ah. Credo che
l’impermeabile vada portato in lavanderia. Ok, lo
farò dopo» disse la donna tra
sé e sé aiutandolo a camminare «fortuna
che la lavanderia è vicino a casa…»
:: il mattino dopo
::
Sembrava essere
cominciata come una qualunque giornata estiva, per
Roxanne. Aveva già pianificato tutto nel dettaglio:
svegliarsi alle otto, fare
colazione, preparare il cestino del picnic, partire con Trixie e Chichi
per il
mare e rimanere lì fino a sera. Presumibilmente avrebbero
trovato lì anche i
ragazzi, Terry, Kid…tutti quanti.
Si, sarebbe
stata una giornata rilassante, quasi perfetta.
Quasi.
Perché
ad un certo punto, come succedeva da tre mesi a quella parte,
qualcuno avrebbe parlato di Hammy ed avrebbero provato a contattarla
senza
successo alcuno.
“no,
Emerald non è qui a casa…no, non ne sappiamo
nulla neanche noi. Ci dispiace”.
“il
numero da lei chiamato è inesistente”.
“l’indirizzo
e-mail non è valido”.
A quel punto
avrebbero provato di nuovo a chiamare tutti quelli che
conoscevano per sapere se avevano qualche notizia di lei, e non
avrebbero
ottenuto alcun risultato neanche così.
Allora si
sarebbero messi a fare congetture, una peggiore
dell’altra…
Sospirò.
Anche lei avrebbe voluto che Emerald perlomeno si facesse
viva, anche solo con una telefonata per dire a tutti “sto
bene”. Non era
chiedere troppo, no?
Uscì
dalla propria stanza, percorse il corridoio, attraversò il
salotto
nel quale Kevin Mask stava dormendo steso sul divano, andò
in cucina, prese il
latte e…
Voltò
pian piano la testa.
Wait a minute.
Kevin Mask. Nel
suo salotto. A
dormire sul suo divano.
«maaaaaaaamma…»
chiamò Roxanne con gli occhi sgranati. Miss Mary
rientrò in casa dal giardino.
«si?»
«mamma…c’è…qualcuno
sul divano…» farfugliò la ragazza.
«lo
so, Kevin. Lo trovato ieri mentre tornavo a casa dal lavoro,
ubriaco fradicio, crollato accanto ad una delle panchine del parco
e…pare che
un cane avesse fatto i bisogni sul suo
impermeabile…l’ho lavato in lavanderia e
messo ad asciugare, dopo aver svuotato le tasche ovviamente. Spero che
non se
la prenda. In fin dei conti non potevo certo lasciare tutto
lì in quelle
condizioni, no?» lavò le mani «povero
ragazzo. Credo che abbia proprio bisogno
di parlare con qualcuno, soprattutto a giudicare da quel che diceva
ieri
sera…“voglio morire qui”…poi
si è messo a parlare di Emerald, del suo allenatore,
e ha farfugliato qualcosa sull’essere stato diseredato ma non
ci posso
giurare».
Roxanne volse
lo sguardo verso il divano. In tutti quei mesi
effettivamente né lei né i suoi amici avevano mai
pensato a come dovesse
sentirsi Kevin, che tra tutti era quello che aveva perso di
più in tutti i
sensi. Il fatto era che lui, beh…non aveva mai voluto legare
con loro. Li aveva
sempre trattati del tipo “Kevin: superiore, Kid &
Cricca: inferiori”, per
dirla come quel robot del quale non ricordava il nome*. Quindi per
brutto che
fosse era abbastanza naturale che nessuno di loro si fosse detto
“andiamo a
vedere come sta Kevin”. Per non parlare del fatto che lui si
era sempre
mostrato come l’uomo forte di qua, il lupo solitario di
là…le risultava
difficile pensare ad un Kevin diverso, nonostante dai racconti di
Emerald
sapesse per certo che c’era, e tutti quanti -dai racconti che
Kid aveva fatto
loro dopo l’incontro- fossero via via venuti a conoscenza di
tutto quel che
c’era sotto: il patto, le bugie, i ricatti, tutto quanto.
«mi
fa un certo effetto vederlo in quel modo…mi sento anche un
po’in
colpa. Io e tutti gli altri non abbiamo mai pensato a come stesse. Per
quanto
sia convinta che se anche l’avessimo fatto probabilmente ci
avrebbe trattati in
malo modo, una delle poche cose che so davvero di lui è che
è molto
orgoglioso…» lo sentì mugugnare
qualcosa «oh cavolo, si sta svegliando…»
L’inglese
socchiuse leggermente gli occhi. Dannato mal di testa.
Guardò
il soffitto. Voltò la testa. Vide le due donne che lo
osservavano.
…non
si era mai vergognato tanto in tutta la sua vita.
L’unica
consolazione era potersi rifugiare a Sottocopertalandia, visto
che la madre della due codini lì lo aveva coperto con un
plaid nonostante
fossero in estate.
Il nascondiglio
però non doveva essere molto efficace, visto che
qualcuno lo picchettò delicatamente sulla spalla attraverso
la coperta. Riuscì
a sentire il profumo di fiori della sera prima. Odiò
ricordare ogni dettaglio
anche di quell’ennesima sbronza, e tutte le parole impastate
che aveva detto a
-ora aveva capito chi era stata ad aiutarlo- Miss Mary.
«aspirina.
Credo che tu ne abbia bisogno…»
Non
riuscì nemmeno a risponderle dal troppo imbarazzo.
Riuscì giusto a
tirare fuori la mano, prendere il bicchiere e tornare completamente
nascosto.
Non riusciva
nemmeno ad immaginare di uscire di lì e guardarla in
faccia. E nemmeno di guardare in faccia l’amichetta di Kid
Muscle…amichetta,
fidanzata, vattelapesca.
Perfino uno
come quello aveva la ragazza, e alla sua avevano sparato
prima che riuscissero a mettersi insieme come si deve.
Cristo.
Prese
l’aspirina e rese il bicchiere a Miss Mary, iniziando ad
escogitare un modo qualunque per fuggire via di lì senza
essere costretto a
vederle in faccia...
Roxanne intanto
guardava la scena allibita, gesticolando nervosamente
alla madre ed indicandole il wrestler sotto la coperta. La donna le
fece cenno
di stare tranquilla ed avere pazienza. Era come cercare di avvicinare
un gatto
selvatico, bisognava fare tutto pian piano.
«come
ti senti? Mal di testa a parte, naturalmente».
Ma
perché quella donna rendeva tutto tanto difficile?!,
pensò Kevin
cercando di farsi coraggio.
«…bene»
bofonchiò da sotto la coperta.
Si rendeva
conto benissimo di starsi comportando peggio di un bambino,
e che la buona creanza avrebbe voluto che uscisse da Sottocopertalandia
e
ringraziasse Miss Mary come si deve, ma non era mica facile. E poi
c’era la due
codini! Chissà quanto avrebbe goduto a spettegolare con la
sua amica bionda e
quell’altra sciatta “sapete che è
successo? Kevin Mask si è ubriacato e mia
madre l’ha portato in casa!”…e da
lì l’avrebbero saputo anche Kid Muscle e gli
altri, e da lì tutti quelli che loro conoscevano
e…
Meglio non
pensarci!
La logica di
Kevin Mask: andava bene sfasciarsi davanti a tutti in un
bar senza farsi problemi ad essere visto, ma non andava bene essere
soccorso da
gente che lo “conosceva”. That’s
coherence!
«ho
lavato il tuo impermeabile. Era sporco dei bisogni di quel cane,
non potevo lasciarlo in quel modo…»
La notizia per
qualche motivo lo fece riemergere da sotto il plaid.
«le…le nocciole, c’erano delle nocciole
nelle tasche, non-»
«non
ho gettato via niente, non mi sarei mai permessa, e ho rimesso
tutto dov’era. Tra poco l’impermeabile
sarà asciutto».
Lui
alzò brevemente lo sguardo, per poi puntarlo in uno spazio
indefinito della stanza. Vedendo quella reazione, vedendolo
preoccuparsi in
primis delle nocciole, Roxanne capì una volta di
più quanto dovesse star
soffrendo la mancanza di Emerald.
E sia lei che
sua madre si sorpresero quando l’inglese si alzò
di
scatto ed andò dritto in giardino, prese
l’impermeabile che era a stendere e
cominciò a correre via.
«aspetta,
non correre così!...» lo inseguì Miss
Mary «resta almeno a
mangiare qualcosa!»
«no
grazie, sto benissimo» ribatté lui continuando a
correre.
E quella sempre
dietro.
«non
è vero che stai bene, altrimenti non ti saresti ubriacato a
quel
modo. Guarda che io ho una figlia all’incirca della tue
età, li capisco gli
adolescenti…»
Nada.
Continuava a tallonarlo.
«ho
detto che sto bene!!!»
«da
quel che mi hai detto ieri sera non sembrava, io lo so che ti manca
Emerald, così come ti manca il tuo allenatore, o qualcuno
vicino in generale!»
L’inglese
frenò bruscamente, e si voltò verso di lei.
«senta…la
ringrazio per l’aiuto, ma non voglio la sua pietà
né quella di nessuno, io sto
bene, e se anche bevessi tutti gli alcolici di questo mondo non la
riguarderebbe».
«non
credo che a lei piacerebbe vederti ridotto come ieri sera»
continuò testardamente Mary.
«e
lei che ne sa di cosa Emerald vorrebbe o non vorrebbe?! Che
ne sa?! Non lo sa! Lei
non lo sa, io non lo so, e per gentile concessione di
quel dannato bastardo che le ha sparato addosso forse neanche lo
saprà mai più
nessuno!!!» stava quasi gridando, effetto di tutto quel tempo
trascorso a
pensare quelle cose senza poterle dire a nessuno.
«capisco
come ti sen-»
«no
che non lo capisce. Non lo capisce per niente, come tutti quanti. Ho
perso la Corona Chojiin, mio padre prima mi detestava ed ora mi ha
diseredato,
il mio allenatore probabilmente è morto e non ho la
più pallida idea di come
stia Emerald, se sia viva, se non lo sia, non la sento da tre mesi, ho
provato
a contattarla in tutti i modi senza riuscirci, e mi chiedo
perché se sta bene
non mi ha fatto sapere niente! Io non faccio che pensare a tutto questo
e
lei…lei viene a dirmi che mi capisce?! No che non
capisce!!!»
Detto questo
fuggì via, correndo talmente veloce che stavolta Miss Mary
non riuscì a stargli dietro. Roxanne arrivò da
lei poco dopo, col fiatone.
«mamma…»
«è
andato. Non sono riuscita a convincerlo a restare, ma mi dispiace
sempre di più per quel povero ragazzo»
guardò la via dove Kevin era sparito «e
se Emerald è ancora viva come spero che sia, sarebbe proprio
il caso che si
facesse sentire con lui» spazzolò via la povere
dai pantaloni «io comunque non
mi do per vinta. Per caso sai dove abita Kevin?»
«saperlo
lo so ma a che ti serve?»
«voglio
portargli da mangiare. Non oso pensare alla sua alimentazione in
questi tre mesi, e mi è parso molto
dimagrito…»
Roxanne non
poté dargli torto, da quel poco che aveva visto in effetti
Kevin doveva aver perso diversi chili. Facile che avesse mangiato poco
e bevuto
troppo per tutto il tempo.
«dubito
che lui voglia».
«il
fatto che sia troppo testardo per accettare aiuto non significa che
non ne abbia bisogno. Cederà, prima o poi!»
::Londra::
La primissima
cosa che aveva fatto Janice Lancaster nel rivedere il
marito era stata tirargli contro il libro che stava leggendo, per poi
alzarsi
dalla poltrona con aria assassina ed andare verso lui e la figlia, che
avevano
la stessa identica aria colpevole.
«ahi…»
«voi
due!!!» strillò
Janice «e soprattutto TU, Howard Hogan
Robert John Lancaster!!! TU!!! hai sparato a nostra
figlia!!!»
«mamma…
è stato solo un incidente, mica voleva colpire me, sono
stata
io a mettermi in mezzo…» lo difese Emerald,
beccandosi anche lei la sua
occhiataccia.
«Janice…»
«Janice
un corno!!!»
«mamma…»
«e
anche “mamma” un corno!!!»
«quel
che è successo è stato un imprevisto,
è stato un errore! Lo sai
che io volevo soltanto uccidere quella bestia per averle messo le mani
addosso…»
«ED
HAI QUASI UCCISO LEI!!!»
Come se non lo
sapesse benissimo. Howard in tutti quei tre mesi aveva
dormito poco e niente nonostante le rassicurazioni della figlia sul
fatto che
non ce l’aveva minimamente con lui. Il senso di colpa
probabilmente l’avrebbe
perseguitato vita natural durante. Era stato quasi sul punto di perdere
la sua
principessa, pochi centimetri più in là e
l’avrebbe uccisa lui stesso!
Poteva vedere
ancora le immagini di quei momenti nitidissime…il colpo,
la bestia a terra, la chiazza di sangue che si allargava sul vestito
verde
smeraldo di sua figlia, la sua caduta, le sue parole. E quei ricordi lo
portavano anche a rivivere tutte le sensazioni che aveva provato in
quel
momento.
Orribile,
orribile.
Talmente
orribile che dopo l’accaduto era volato negli Stati Uniti con
Hammy, nella sua clinica più avanzata, e si era dimenticato
di tutto il resto
per due intere settimane.
Anche di non
aver dato a Connors -che era rimasto in Giappone con gli
altri soldati- ordini precisi su cosa fare di quel russo.
Era stata
Emerald stessa a ricordargli di Warsman, ed era stato un
sollievo per Howard sapere che l’unica iniziativa che aveva
preso Connors era
stata far rimpatriare Miss McGreene. Per fortuna non era un ragazzo
sciocco, e
inoltre Howard sapeva che se lui diceva “salta” la
risposta di Connors sarebbe
stata “sissignore, quanto in alto”?.
Così,
una volta firmato l’atto -a detta dell’americano lo
aveva fatto
appena gli era stato chiesto nonostante la
“difficoltà nel reggere la
penna”…frase che lasciava intendere parecchio sul
trattamento che gli avevano
riservato!- Warsman era stato lasciato andare, ed i soldati erano
arrivati in
blocco lì negli Stati Uniti.
Da quel
momento, il destino del russo sarebbe stato nelle mani del
russo stesso…
«lo
so, e non finirò mai di sentirmi in colpa per
questo».
«papà,
ma te l’ho detto che io non ce l’ho affatto con te.
La colpa è
stata mia, non tua!»
Probabilmente
ad Hammy il mito di suo padre non sarebbe mai crollato,
succedesse quel che succedesse.
«…e
come se non bastasse siete spariti chissà dove tre mesi!!!
TRE!
MESI! Maledizione!!!» urlò Janice «vi
costava tanto dirmi dov’eravate?!! Non vi
rendete conto di quanto mi avete fatta stare in ansia?! Tre
mesi senza
sapere dove foste, se tu, Emerald, fossi viva o morta!»
«ma
che mi ha presa alla spalla si è visto
benissim…ma’? Mamma? Dove
vai?!» esclamò Hammy vedendola lasciare il salotto.
«vado dove mi
pare!!! Tanto con voi due non si può
parlare!!!»
urlò la donna «e se voi sparite tre mesi io posso
sparire per il resto della giornata!!! CHIARO?!»
E se ne
andò via sbattendo la porta.
Padre e figlia
si guardarono.
«fa
bene ad avercela con me, ma spero che le passi in fretta»
disse
Howard, sinceramente dispiaciuto ed allarmato. Non era che a lui star
via tre
mesi non avesse pesato, tutt’altro; amava la moglie,
accidenti. Solo che per
garantire la totale sicurezza di Emerald, specialmente considerando che
il
periodo di degenza era stato così lungo non solo a
causa della ferita, era
stato praticamente necessario.
«ma
si…il tempo di svuotare un paio di negozi Chanel e tre di
Jimmy
Choo e sarà tutto a posto. Magari ti terrà il
muso due o tre giorni» Emerald
fece spallucce «insomma, se non ce l’ho con te
IO…perché dovrebbe avercela lei?»
No, Emerald non
riusciva proprio a capire perché sua madre
l’avesse
presa così male. In fin dei conti era stata via insieme a
suo padre, mica
insieme a chissà chi, si diceva.
La
verità è che, come detto, Hammy voleva bene a
tutta quanta la sua
famiglia.
Ma a suo padre,
di più.
«mi
sa che non riesci a capire il punto di vista di tua madre…ma
volevo
che il luogo della tua degenza restasse il più segreto e
protetto possibile. E
se l’avessimo detto a tua madre lo avrebbe detto alle tue
nonne, e le tue nonne
l’avrebbero detto a tutto il club di
bridge…»
«e
addio segretezza, già. Solo che io riesco a capirlo, mamma
invece
n-»
«PAZZI
INCOSCIENTI!!!»
Quella era una
giornata da urla e da botte per il “povero” Howard,
che
dopo la librata della moglie si prese anche le ombrellate di madre e
suocera.
«non
solo le fai beccare un proiettile nella spalla, ma sparite pure
tre mesi!!!» urlò Phoebe «ma
sei scemo?!»
«e
dai mamma, ragioniamo un att-» avviò a dire
Howard, ma un’altra
ombrellata lo zittì.
«la
mia Janice era terribilmente preoccupata!!! Come tutti noi! E voi
due nemmeno una telefonata?!» abbaiò Verbena
«…e tu sei dimagrita ancora!!!»
«nonna
sono giusto un paio di chili, non è nient-»
tentò di difendersi
la ragazza, ma nonna Verbena riuscì a cacciarle in bocca
quattro biscotti ed
interromperla.
«da
stasera a dieta ferrea, signorina! Dopo quel che hai passato hai
bisogno di nutrirti! Di mangiare come si deve!!! Tantissimo pesce,
tantissima
carne, pasta, legumi, dolci!» sentenziò
«e non sento scuse, tu mangerai tutto e
basta…»
«ma
chi le ha mai cercate le fcufe…?»
farfugliò Emerald con
ancora i biscotti in bocca «io quel che mi dai
mangio…»
«allora
ti è rimasto un minimo di buonsenso! Cosa che invece non si
può
dire di tuo padre!» sbottò Phoebe dando
l’ultima ombrellata alla testa del
figlio «…se il mio povero Hogan fosse stato ancora
vivo gli avrei ordinato di
spellarti il sedere a cinghiate!»
«mamma!
Piantala!...mi sento già abbastanza in colpa per conto
mio…»
«non
sarà mai “abbastanza”!»
concluse Phoebe.
«nonna,
guarda che la colpa è mia, non di papà. Quel tipo
mi aveva
messo le mani addosso, e lui voleva…beh…mettersi
in pari» disse Hammy in modo
stentato mettendosi tra sua nonna e suo padre «io lo
capisco».
«perché
tu sei troppo buona con questo zuccone!» borbottò
Verbena «e io
infatti non mi spiego ancora perché se è vero che
quel tipo ti ha messo le mani
addosso non hai lasciato che tuo padre lo uccidesse, sarebbe stato
corretto».
«non
valeva la pena che papà diventasse un assassino per uccidere
un
uomo come quello» ribattè la ragazza.
«non
uomo, ragazza mia: bestia» lo corresse
Phoebe «considerando
che voleva strangolarti, su questa definizione concordiamo tutti con
tuo padre.
L’unica cosa in cui ci ha azzeccato però!
Disgraziato!!!»
Howard stavolta
evitò le ombrellate, evidentemente si era rotto le
scatole di quella sceneggiata nonostante riconoscesse di meritarsela
tutta.
«si,
sono un disgraziato, va bene!» alzò le braccia
«sono tutto quello
che volete, va bene, non posso darvi torto dopo quel che è
successo…»
«e
soprattutto per questi tre mesi!!! Si può sapere dove siete
stati?!»
tornò a domandare Verbena con la classica irruenza.
«in
America, nella migliore delle mie cliniche»
ribatté Howard.
«e vi
costava tanto informarci?»
«la
parola d’ordine era massima segretezza…»
«tu e
la segretezza!» sbottò Phoebe
«…come tuo padre. Sei come lui,
sei. Identico! E tu sei come loro due, signorina»
indicò Emerald «vergogna,
farci stare tutti così in ansia! Lo sai quanta gente ha
chiamato cercandoti?!»
«soprattutto
quel ragazzo con cui sei venuta qui tempo fa. Quello
carino, non il tizio che hai sbaciucchiato in
televisione…» puntualizzò
Verbena.
«il
“tizio” adesso lavora per me, peraltro»
disse Howard, anche se
c’entrava poco, e comunque venne del tutto ignorato.
«…il
biondino con quella cosa di ferro blu sulla testa,
com’è che si
chiama? Ah, Kevin. E poi ha telefonato
l’attore…»
«eh?»
Emerald la guardò perplessa.
«Dick
Van Dyke!»
Emerald fece un
sospiro. «Dik Dik Van Dik, nonna…»
«eeeh,
è uguale, che differenza fa?! E poi un tizio che si chiama
Teresa, abbreviato Terry…»
«è
Terry e basta» sospirò Howard, stavolta.
«un
altro ragazzo con l’accento tedesco, un certo Wally e delle
ragazze, ha telefonato perfino la sorella di quell’uomo
bruttissimo che sembra
il jack di cuori».
«che?!
Jackie MacMatta ha telefonato per sapere come stavo?» si
stupì
Emerald. Non se lo sarebbe mai aspettato. Probabilmente lo aveva fatto
sperando
che lei fosse morta, si disse.
«altri?»
«si,
uno…conosci un certo Humbert Humbert?»
Emerald
lì per lì non rispose. «è
uno dei miei fan, niente di che».
«Humbert
Humbert, come quello di “Lolita”?
curioso» commentò Howard.
«al
mondo ce n’è di gente strana, si sa».
Hammy aveva
minimizzato, ma in realtà quel che c’era da capire
l’aveva
capito più che bene. Solo che crederci le risultava
complicato, soprattutto
dopo aver saputo che colui che si celava dietro quell’
“Humbert Humbert” era
stato per due settimane nelle mani di un Michael Connors che non avendo
ricevuto l’ordine né di ucciderlo né di
liberarlo si era di certo sbizzarrito
con le torture. Purtroppo.
Lei aveva detto
di farlo liberare fin da quando era stata colpita, dopo
avergli fatto firmare il foglio naturalmente, ma suo padre se
n’era dimenticato
preso com’era dalle sue condizioni, e Connors
- primo, era da
suo padre che prendeva ordini;
- secondo, se
anche avesse sentito quel che lei aveva detto avrebbe
fatto orecchie da mercante aspettando gli ordini del
“boss” approfittandosi dei
tempi morti per divertirsi.
Emerald lo
conosceva, era fatto così.
«comunque…quanto
tempo fa ha chiamato?»
«un
mese, su per giù».
Invece che
involarsi l’aveva cercata.
Invece che
lasciarla perdere aveva perfino chiamato a casa sua, ma era
stupido?!
“psicotico
d’un russo, adesso sei libero, perché non la
smetti? Perché
non torni da Kevin, almeno tu?”
«capito.
Adesso vedrò un po’che fare…»
«rilassarti,
in primis» le disse Howard «ce ne staremo qui per
un po’».
Ma Emerald non
era esattamente della stessa idea.
«papà,
tu tra dieci giorni devi incontrare quei signori in
Venezuela…»
gli ricordò. Lui sbuffò, seccato
all’idea.
«che
vadano al diavolo, non-»
«papà,
tu devi lavorare, e io adesso sto…oh, probabilmente sto
meglio
di quanto sia mai stata. Mi sei stato vicino per tutti questi tre mesi
trascurando il lavoro…»
«era
il minimo!» esclamarono in coro Howard e le due nonne.
«…adesso
devi riprendere il ritmo. Sto bene, sul serio.
Tant’è che
credo che ripartirò anche io
tra un paio
di settimane…»
Howard la
guardò a lungo. «Tokyo?»
Tradotto:
“torni da Kevin Mask”? domandona.
Sulla cui
risposta Emerald aveva molti dubbi.
Se Kevin le
mancava? Certo, era innamorata persa di lui.
Ma lei gli
aveva creato talmente tanti problemi…problemi che lui non si
meritava…che aveva iniziato a pensare che forse Kevin
sarebbe stato meglio
senza lei intorno. Che meritasse una vita più serena, e non
sapeva dire se lei
avrebbe potuto dargliela.
Non aveva
capito proprio niente.
Non aveva
capito che Kevin avrebbe preferito avere tutti i problemi del
mondo, portati da lei, piuttosto che NON averla accanto.
Emerald
esitò parecchio a rispondere. «si. No. Forse. Non
lo so. Non
credo. Voglio staccare un po’, andare tipo…non
so…»
«sai
che puoi andare ovunque tu voglia. Per non parlare del fatto che
abbiamo almeno una casa in ogni Stato in cui valga la pena averne una,
non ci
sono problemi» la rassicurò suo padre
«solo…non vorrei che tra due settimane
sia presto…»
Lei scosse la
testa. «secondo me no».
Altra lunga
occhiata da parte di Howard Lancaster. «va bene.
L’aereo
privato se proprio vuoi che vada in Venezuela serve a me, ma con la
compagnia
aeronautica che ti ho comprato non avrai problemi per
spostarti…se sei proprio
convinta di voler partire».
Continuava a
sperare di no, naturalmente. Fino a quel momento Howard
H.R.J. Lancaster non aveva mai avuto problemi col fatto che la figlia
avesse
lasciato il nido, e non le avrebbe impedito di rifarlo, ma
ciò non toglieva che
avrebbe vissuto la cosa con più apprensione.
«ma
perché non resti un mese, due, tre…»
disse Phoebe «eh, Hammy?»
«due
settimane nonna. Poi riparto. Ho deciso così» le
sorrise.
«potevi
anche venire con me in Venezuela, no?» tornò alla
carica Howard
«avrei potuto introdurti un altro po’nel giro.
Avevo perfino trovato il primo
della tua scorta speciale».
«oh,
ma già in clinica appena ha potuto mi ha fatto
un’ottima
guardia…lui è qui in casa vero?»
«lui
chi? Quell’antipatico di un americano?» storse il
naso Verbena,
alla quale Connors piaceva ben poco. Ad essere sinceri probabilmente
gli unici
in famiglia a cui piaceva Connors erano Lancaster padre e Lancaster
figlia.
«non
è Connors. Comunque certo, è qui in casa. Puoi
chiamarlo col
cercapersone…no faccio io» concluse Mr.Lancaster.
Tovarich
Turbinskii, con un corpo non solo sano ma anche più potente
di
prima grazie alla tecnologia estremamente avanzata della clinica di
Lancaster,
arrivò in un lampo.
«sempre
disponibile signore».
«eccolo
qui. Tovarich Turbinskii» Howard lo presentò a
Phoebe e Verbena
«uomo di fiducia, di cui ho la certezza assoluta che farebbe
tutto ciò che è
necessario per proteggere la nostra Hammy».
«ma
è quello con cui si è sbaciucchiata in
tv!» esclamò Verbena «ecco
che intendevi…»
«più
che proteggermi però mi tiene compagnia»
puntualizzò Emerald.
«quello
se vuoi sempre, zajchik moj».
“coniglietto
mio”. Avrebbe mai smesso di chiamarla in quel modo?
Probabilmente no.
«za-CHE?
Che ha detto?...ma questo non parla, impasta»
borbottò
Verbena.
«…perché
tu e Turbinskii non fate una passeggiata nel giardino?»
propose Howard.
“…‘giardino’!
È una tenuta immensa” pensò il russo
“con tanto di lago,
fiume e sorgente sotterranea che Mr.Lancaster ha fatto in modo che
passasse
attraverso -e fuoriuscisse da- un blocco di roccia di venti metri
importato dal
Monte Rosa. Alla faccia del giardino!”
«buona
idea…»
«guarda
che il discorsetto non l’abbiamo ancora finito noi
tr-»
Troppo tardi,
sia Hammy, che Turbinskii che Howard si diedero
ingloriosamente e precipitosamente alla fuga, chi all’interno
della casa -Howard-
e chi, invece, verso le stalle -Hammy e Turbinskii-.
«almeno
finalmente vedrò i tuoi cavalli» disse il russo.
La stalla era
grande, luminosa, arieggiata quanto serviva e
pulitissima. I Lancaster tenevano moltissimo al benessere dei loro
cavalli,
nonché a quello dei cani da caccia che si trovavano altrove.
«ti
avevo fatto una testa così con loro, in effetti»
ammise Hammy
«eccoli qua».
Turbinskii li
osservò. Il palomino, i purosangue inglesi, gli arabi
bianchi di Emerald, i frisoni morelli di Mr.Lancaster, due puledrini di
shire
horse…
«ma
non avrebbero dovuto essere dieci?»
Emerald sorrise.
«Abraxas
non ci viene nella stalla. Vive libero nella tenuta.
A
tal proposito, sarà bene cercarlo così che possa
annusarti; se verrai qui
spesso è bene che conosca il tuo odore, così ti
eviterà invece che tentare di
ucciderti».
Il russo rise.
Smise vedendo che Hammy non lo faceva.
«…ma
sei seria? Andiamo, è un cavallo, non un
dobermann».
«è
molto peggio di un dobermann, da’ retta. Perfino gli altri
cavalli
si tengono alla larga da lui» disse la ragazza facendo uscire
dal box il suo
stallone arabo, Sirio, salendoci sopra e facendolo trottare fuori dalla
stalla.
«addirittura…mh»
la guardò «allora è vero che sai
cavalcare senza usare
briglie e sella».
«pensavi
di no? Stammi dietro!»
esclamò, per poi partire al
galoppo.
«ma
Emerald…!...o beh…» iniziò a
fluttuare in aria e volò velocemente
dietro a lei, senza nemmeno trasformarsi in aeroplano. Non ne aveva
più
bisogno.
Lancaster
Technology© strikes
again!
Galopparono -e
volarono- a lungo. Guardandosi attorno Turbinskii pensò
di non aver mai visto posto più bello. Sembrava di essere in
uno di quei luoghi
incantati delle favole tra i boschi, le valli fiorite…il
lago in particolare,
con quella piccola casetta in legno vicino, era uguale identico a
quello che si
vedeva ad un certo punto ne “Il castello errante di
Howl”. Che fosse voluto?
Probabile. In quel paradiso “naturale” non
c’era quasi nulla in cui Howard
H.R.J. Lancaster non avesse messo le mani; tutto per la sua bambina,
ovviamente. Suo padre Hogan non aveva mai badato troppo al terreno
attorno,
mentre invece lui aveva preteso che fosse il luogo da sogno che una
principessa
come la sua Emerald meritava.
E
c’era riuscito.
Da quando aveva
lasciato la League ed aveva iniziato a fare veramente
i soldi, poi, non ne parliamo.
Fu poco lontano
dal lago che trovarono Abraxas, intento a mangiare i
fiori sul prato. Sirio si accorse della presenza dell’altro
cavallo prima di
loro, tanto da fermarsi e rifiutarsi di andare avanti.
«ok,
abbiamo trovato Abraxas» commentò Emerald
scendendo «torna alle
stalle, Sirio».
Il
bell’arabo bianco non se lo fece dire due volte, e
galoppò via.
«è
veramente immenso!» allibì Turbinskii
«ma di che razza è?»
«frutto
di incroci specifici nel tentativo di papà di ricreare un
tipo
migliorato di equus magnus» disse Hammy
«tu rimani qui».
«e tu
dove vai?...Emerald!»
Troppo tardi,
si era già messa a correre verso quel cavallo
mastodontico.
«Abraxas!»
gli arrivò a tre metri «perdi colpi, neh? Non ci
avevi
sentiti arrivare o te ne sei fregato?»
Era la seconda.
Il cavallo
smise di brucare, camminò verso la ragazza e dopo aver
nitrito si impennò agitando le zampe. Turbinskii temendo il
peggio stava per
intervenire, ma Emerald rimase ferma lì dov’era,
ed il cavallo invece che
schiacciarla ricadde a destra rispetto a lei.
“era…un
saluto?”
Pareva di si,
perché fatto questo Abraxas si piegò sulle
quattro zampe
permettendo ad Emerald di salirgli in groppa.
«bravo.
Adesso andiamo laggiù, c’è qualcuno che
devo farti conoscere»
bisbigliò la ragazza al possente equino che, come se avesse
capito quel che gli
era stato detto, si diresse al passo verso Turbinskii.
«mi
pare quasi assurdo» commentò il russo, un
po’inquieto. Se Abraxas
avesse voluto attaccarlo come avrebbe fatto Hammy a fermarlo? Era
così
minuscola in confronto a lui!
«ah,
macché. Adesso fermo, così può
annusarti».
Turbinskii
obbedì. Dopo avergli dato un’annusata il cavallo
emise uno
sbuffo e…gli diede una testata tale da farlo crollare a
terra!
«ma
che accidenti…?!»
«ok,
da adesso ti conosce ufficialmente» rise la ragazza
«adesso ci
facciamo una bella corsa, eh Abraxas?»
Non fece in
tempo a finire la frase che il cavallo si voltò ed
iniziò a
galoppare ad una velocità inaudita.
Anche lui
evidentemente aveva voglia di correre, come Emerald sulla
quale andare a cavallo aveva un effetto ben più terapeutico
della vodka nel
dimenticarsi le faccende scomode, come scegliere quale fosse per Kevin
il male
minore, per esempio.
:: undici
giorni dopo ::
Pazzo?
Si. Si, senza
dubbio.
O almeno,
Warsman -ancora nei panni di Flash- si sentiva tale.
Il buonsenso
gli avrebbe suggerito di lasciar perdere, di andare via
definitivamente o di tornare da Kevin. Ma lui non aveva
dato retta al
buonsenso, e dopo oltre tre mesi passati a cercare notizie della sua
arcinemica
eccolo lì, nell’immenso terreno attorno alla villa
dei Lancaster in
Inghilterra. Riuscire ad entrare gli era costata parecchia fatica
fisica e
soprattutto mentale, considerando tutto quello che aveva dovuto
aggirare per
riuscirci.
Per non parlare
di quel che significava dal punto di vista psicologico
infilarsi nella tana del lupo di sua spontanea volontà.
Ad ogni passo
che muoveva era perseguitato dai ricordi di quel che era
successo nell’incontro di tre mesi prima, dal ricordo di lei
con quel
fiore rosso sangue a sbocciargli poco lontano dal cuore, da…
…da
tutto quello che aveva subìto nelle due settimane
seguenti…
Alla fine era
stato liberato, vero, ma …alla fine, appunto.
E dire che gli
era parso di sentire Emerald dire al padre di farlo
liberare, prima che i soldati lo portassero via.
E anche
l’americano doveva averla sentita. Ma non gli era importato.
“dato
che non ho ordini precisi del capo di liberati o di ucciderti
vorrà dire che ci divertiremo un po’fino a che
questi non arriveranno, che ne
dici?...tu sei uno resistente, vero?...”
Si. Era
resistente, e quel figlio di puttana era stato bene attento a
non ammazzarlo nonostante tutto quel che gli aveva fatto.
Ma in una
classifica di tutto quel che di peggio il russo aveva subìto
in vita sua, Michael Connors con quel che gli aveva fatto aveva
raggiunto
addirittura il secondo posto.
Aveva passato
due settimane d’inferno.
Aveva maledetto
più volte Connors, Howard Lancaster, e Dio
stesso…per
poi riscoprire la fede in quest’ultimo quando finalmente era
arrivato l’ordine
di liberarlo.
“se
un animale come te crede in Dio, ringrazialo. Non so per quale
assurdo motivo miz Lancaster ti voglia vivo, ma
è così. Quella ragazza è
troppo buona. Ti salva la vita, ti fa liberare…ne vale la
pena? Secondo me no,
ma gli ordini sono ordini. Firma quest’accidenti di foglio se
ti riesce di
tenere la penna in mano e poi sparisci”.
No, Connors non
era stato contento di doverlo lasciare andare. Ma non
avrebbe mai disobbedito ad un ordine diretto del suo capo.
E
così era stato lasciato libero.
Bisognoso di
cure mediche, ridotto uno straccio, ma libero.
Appena si era
ripreso un po’aveva iniziato a cercare notizie sulle
attività dei Lancaster, ma non aveva ottenuto niente. Dai
discorsi di Connors
che era riuscito ad origliare sapeva che Howard ed Emerald avevano
lasciato il
Giappone, e che una volta che lei si fosse ripresa sarebbero presumibilmente
tornati in Inghilterra.
Dunque aveva
potuto escludere a priori le due nazioni in questione.
Aveva
continuato a tenersi aggiornato.
Era passato del
tempo. Parecchio, tempo.
Ad un certo
punto aveva deciso di andare a Londra, ed aveva fatto la
follia di chiamare a casa Lancaster da una cabina telefonica venendo a
sapere
che no, Emerald non era ancora tornata. Questo lo aveva portato a
pensare che
forse…forse…era morta…
Non sarebbe
stato giusto. Non solo per lui stesso -erano arcinemici, se
mai doveva essere lui a finirla, no?- ma soprattutto per Kevin.
Aveva pensato
parecchio anche a lui. Aveva pensato spesso di lasciar
perdere e tornare da quel ragazzo. Ma poi si era detto che
l’avrebbe fatto solo
e soltanto insieme ad Emerald, sapendo che tanto senza di lei Kevin non
sarebbe
mai stato davvero “bene”.
Era perfino
andato a trovare Robin. E lì era successo un fatto che gli
aveva lasciato l’amaro in bocca…
Si, il suo
vecchio amico era stato lieto di rivederlo vivo. E si era stupito
che indossasse ancora i panni di Lord Flash, accogliendo con
perplessità la
risposta del russo che “dopo undici anni un nome vale
l’altro e un abito vale
l’altro, Warsman, Lord Flash, è la stessa
cosa”.
Lo aveva
accolto bene, gli aveva offerto perfino di rimanere lì da
lui.
Peccato che
poi…
“l’ho
diseredato”.
“mh?”
“Kevin”.
Era stata una
doccia fredda. Ma come, perché l’aveva fatto,
possibile
che non avesse riconosciuto il grande lavoro che aveva svolto Kevin,
l’impresa
nella quale era riuscito di padroneggiare l’Olap? Esposto
ciò a Robin aveva
ricevuto una risposta che lo aveva gelato del tutto, altro che doccia.
“pensa
un po’, l’ha padroneggiata ed è riuscito
comunque a perdere”.
“avrebbe
vinto se Lancaster…”
“non
parlarmi di lui!”
Avevano finito
per discutere, e lui a trovarsi un motel, indignato per
quell’ingiustizia.
Un bel giorno,
poi, aveva sentito del ritorno dei Lancaster nella
tenuta.
E aveva atteso
ancora.
Howard era
ripartito.
L’occasione
perfetta.
Doveva
rivederla, doveva parlarle. Aveva una sorta di debito con lei,
che gli aveva salvato la vita. Doveva sentire cosa aveva intenzione di
fare,
anche con Kevin, e…
Insomma, eccolo
lì.
«io
sono un pazzo» sentenziò il russo parlando tra
sé e sé mentre
camminava. Il posto era bello come lo ricordava, se non altro.
C’era una pace
quasi innaturale in tutto quel…
Come non detto.
Dopo un potente
nitrito uno zoccolo di dimensioni spaventose finì quasi
ad abbattersi su di lui, che riuscì ad evitarlo per pura
fortuna.
«m-ma
che diavolo…?!! Un cavallo?!» esclamò
guardandolo con gli occhi
sbarrati.
No, quello non
era un cavallo. Quello era IL cavallo, il padre di tutti
i cavalli! Ma quanto accidenti era grosso?! E pure aggressivo!
…e
lui di quelle bestie aveva paura da quando uno di loro lo aveva
colpito con uno zoccolo quando aveva solo cinque anni…
Il bestione
nero nitrì e tentò di colpirlo ancora, ancora, ed
ancora.
Alla fine Flash
iniziò a correre come mai in vita sua.
«ma
tutti quelli che c’entrano con i Lancaster ce
l’hanno con me?!»
sbottò mentre correva «adesso anche un cavallo
assassino!»
Correndo e
correndo arrivò fino ai margini del bosco attorno a quella
che sembrava una mini-montagna dalla quale si vedeva chiaramente uscire
una
specie di cascata, ma di quello al momento non gli importava visto che
il
cavallo continuava ad inseguirlo.
«e
adesso ti frego» sibilò infine arrampicandosi
sulla cime di un
albero decisamente alto «ah! Voglio vedere che fai!»
Allibì
quando gli parve -ma non era possibile!- di vedere il cavallo
con un sorrisetto maligno sul muso. Questo si impennò, ed
iniziò a dare potenti
colpi di zoccolo contro l’albero con tutto
l’intento di abbatterlo!
«ma…ma
maledizione, io li odio questi animali!» sbottò
Flash, saltando
sui rami dell’albero vicino e poi di quell’altro
albero, ripetendo il gesto per
un numero infinito di volte.
Ed il cavallo
nemmeno a dirlo, lo tallonava.
«proprio
un cavallo da guardia dovevo beccarmi?!» si lagnò
facendo un
salto più lungo degli altri tra un albero e
l’altro.
Errore.
Perché
anche il suo inseguitore equino saltò, acchiappandolo per la
giacchetta blu. Lo tenne tra i denti e lo sbatté come fanno
i cani con i
pupazzi, per poi inchiodarlo a terra con una zampa e preparandosi a
schiacciargli la testa con l’altra.
“che
fine indegna. Sopravvissuto a tutto, ma non ad un cavallo
pazzo!”
pensò il russo.
Fortuna sua il
cavallo in questione cambiò idea dopo aver annusato
qualcosa nell’aria, riprendendolo tra i denti e dirigendosi
al passo verso la
montagna in miniatura, precisamente lì dove sgorgava la
cascata.
Per un attimo
quel che vide gli fece dimenticare del cavallo.
Stesa su una
roccia piatta e liscia c’era Emerald in costume, intenta a
prendere quel poco di sole che filtrava tra i rami degli alberi.
L’acqua le
scorreva addosso, i capelli su muovevano come se fossero stati vivi, ed
aveva
gli occhi chiusi. E da quel che Warsman poteva vedere, non aveva
addosso una
cicatrice che fosse una. Era perfetta, una perfetta ninfa dei boschi.
“Lolita,
luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima
mia!” pensò, va’ a capire
perché “…ma che diavolo…ah,
non importa”.
Magari aveva
fatto il collegamento tra “ninfa dei boschi” e
“ninfette”?
magari c’entrava qualcosa il film visto insieme? Mah.
Il cavallo
emise uno sbuffo, la ragazza riaprì gli occhi. «Abraxas,
sei venuto a farmi visit…»
Sgranò
gli occhi.
Non ci poteva
credere.
Si
alzò in piedi sulla roccia, uscì
dall’acqua, gli andò vicino.
«ma
sei completamente coglione?!»
Prevedibile
accoglienza.
«di’
a questa cosa di mettermi giù!»
La ragazza
accarezzò il cavallo, che evidentemente sentendo il suo
odore lì vicino aveva portato l’intruso da una
delle uniche due persone delle
quali riconoscesse l’autorità. «lascia,
Abraxas…»
Il cavallo
obbedì.
«era
ora…»
«che
diavolo ci fai qui?! Sei pazzo a ficcarti nella tana del lupo, ti
ho salvato la pelle una volta ma non credo che ci riuscirei una seconda
sai?!...e non è detto che voglia farlo, comunque»
aggiunse «che vuoi?»
Lui si rimise
in piedi. «ti trovo bene. Come mai non sei da Kevin,
allora?»
«e
come mai non ci sei tu? Almeno uno di noi due
dovrebbe
rimanere».
Lui la
guardò a lungo. «…che vuol dire? che
non intendi tornare?»
Lei
sbuffò, recuperò i pantaloncini corti
sull’argine e se li rimise.
«fatti miei».
«fammi
capire bene, dopo tutto quel che è successo tu vorresti
piantarlo
in asso? Ho capito bene?»
Lei
incrociò le braccia davanti al petto.
«è proprio per tutto quel che
è successo che forse lasciarlo andare è la cosa
migliore, l’ho fatto soffrire
troppo. Sta’contento: avevi ragione. La mia presenza, per
lui, è solo dannosa»
disse lei con amarezza immensa e grande tristezza negli occhi
smeraldini «anche
la tua, neh, ma non ai livelli miei».
«Kevin
non starà mai bene se lo abbandonerai, lo capisci o no?!
Nemmeno
a me questa faccenda piace. E si, sono ancora di
quell’opinione. Però lui ha
bisogno di te, è un dato di fatto, se lo ami agisci di
conseguenza!»
Lei scosse la
testa. «è quel che faccio, non capisci proprio
eh?»
«sei
tu quella che non capisce, qui, non io. Kevin adesso è solo,
e
Robin l’ha perfino diseredato…»
«COME
COME?!»
«già.
Ha perso, ed è solo quello che conta, per lui.
Emerald…non puoi
abbandonarlo. Non anche tu. Se non sono ancora da lui è solo
perché volevo
tornare insieme a te. E perché…» la
guardò «volevo anche vedere se stavi
bene».
«quello
l’avevo intuìto, “Humbert
Humbert”. Ma perché? Era la tua
occasione per lasciarmi perdere».
«e
quella di tre mesi fa era la tua occasione per uccidermi»
ribatté
lui «perché non gliel’hai lasciato
fare?»
La ragazza
lì per lì non rispose.
Poi, col
braccio destro, lo spinse a terra con una forza che prima
decisamente non aveva, bloccandolo contro il
terreno dopo essergli
andata sopra.
«perché
tu sei il mio nemico numero uno. Mio.
E quando
finirti lo decido io» disse seria seria per poi fargli un
sorrisetto «per non
parlare del fatto che poi, con chi avrei ballato il tango?»
«…tu
sai che questa è una posizione pericolosa,
vero…»
«ah-ha».
«e
che il cavallo ci guarda».
«tanto
non te la do, che credevi?»
«sempre
fine-agh!» esclamò quando
tentò di rialzarsi e lei
glielo impedì, sempre inchiodandolo a terra con quel braccio.
«non
noti niente?»
Il russo la
guardò attentamente. No, niente cicatrici addosso.
Però…quel braccio…non aveva tanta
forza, prima.
E se…
«il
colpo che ho preso ha fatto diversi danni alla mia spalla. Anche
una volta guarita non sarebbe stato più come prima. Ma ho
potuto scegliere. Spalla
e braccio più forti o meno forti. Ovviamente ho scelto la
prima opzione».
Lampo di
comprensione.
«non
dirmi che…non ci credo».
«ci
somigliamo un po’di più. Micro innesti in nano
tecnologia semi
organica su ossa e tessuti di braccio e spalle. Praticamente invisibile
e
dannatamente efficaci, benedetta la clinica di papà, e non
ho nemmeno la
cicatrice del colpo di pistola».
Ironia della
sorte aveva voluto che Howard, che tanto aveva denigrato
Flash per essere un mezzo robot, si fosse trovato con una figlia che
aveva
comprensibilmente deciso di farsi innestare quella roba. Ecco
perché ci avevano
messo tre mesi, ed anche un altro motivo per tutta quella segretezza;
le nano
tecnologie organiche usate non erano esattamente legali.
Perfettamente
sicure. Ma legali no.
«certo
che potevano anche farmeli adesso quegli esperimenti, se la
tecnologia di adesso permette cose come questa»
borbottò lui «lasciami adesso,
dobbiamo parlare ancora».
«io
il mio punto di vista te l’ho detto».
«ma
sbagli. Davvero, è bene che torni da lui, e per dirlo io
dev’essere
così per forza.».
Hammy si
rialzò, lasciando che lo facesse anche lui.
«non
sono convinta».
«lo
ami o no?»
«ovvio,
si».
«e
allora non fare l’idiota».
«io
tra quattro giorni parto per l’Argentina. Ho bisogno di
staccare».
«tu
non-»
«anche
tu hai bisogno di staccare, vero?»
Silenzio. Dove
voleva andare a parare?
«adesso
che possiedo una compagnia aeronautica potremmo viaggiare
gratis e far vedere agli argentini come si balla il tango, poi in Cina
ad
insegnarlo ai cinesi, a Città del Capo ad insegnarlo ai
sudafricani…mentre via
via tenterai di convincermi che tornare da Kevin col rischio di farlo
soffrire
ancora è la cosa giusta».
Ecco che
l’aveva preso in contropiede un’altra volta.
Loro due
insieme a Buenos Aires, e in Cina, e a Città del Capo, e poi
chissà dove!
«immagino
che papino abbia casa in tutti questi posti».
«yes
dear».
«e tu
hai una compagnia aeronautica».
«di
tempo per convincermi ne avresti».
…era
poi tanto sbagliato conciliare il dovere col piacere?
«il
diavolo su come tentare la gente, da te, ha solo da imparare».