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Autore: _Cthylla_    12/02/2014    3 recensioni
[ COMPLETA ]
Occhi di smeraldo, capelli d'ebano e...faccia di bronzo. Riassumibile in due parole: Emerald Lancaster. E questo Kevin Mask lo sa bene.
Dal capitolo3.2:
"«io sono riuscita a convincere mio padre a lasciarmi percorrere la strada che desidero, ed anche a farmi aiutare, diventando tutt’altro da quel che lui avrebbe voluto e continuando comunque ad andare d’amore e d’accordo con lui; tu invece detesti ancora Robin Mask, ma hai finito per diventare, guarda caso, un wrestler della League» osò perfino sorridergli ironicamente «non sei uscito molto dal tracciato».
E poco le importava che l’aria di Kevin stesse diventando pericolosa, Emerald non cedette di un punto.
«né tu né nessun altro avete il diritto di giudicarmi. Chiaro?»
«cristallino. E ribatto col tuo stesso concetto, Kevin Mask; dare giudizi a qualcuno espone al rischio di essere giudicati, anche in modi che possono non piacere. Tienilo a mente, quando parli con me» gli disse lei «perché io non temo di dire le cose in faccia alle persone, anche quando sono due volte più alte e tre volte più pesanti»."
Genere: Commedia, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kevin Mask, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Warsman/Lord Flash
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Occhi di smeraldo'
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«da quanto hai detto che ci fa?»

Il barista tornò a pulire il tavolo dopo aver dato una breve occhiata a quel che intendeva il suo cliente.

«pft. Tre mesi, ormai. Arriva puntuale alle dieci di sera, si mette su quel tavolo appartato, paga in anticipo tutto quello che sa che berrà e ingolla liquori vari fino a crollare lì, dove lo vedi. È capitato che chiudessi il locale con lui ancora dentro, a volte si sveglia da solo e se ne va, ma non sempre. E io in quei casi di certo a svegliarlo non ci vado, tu che dici?»

L’altro annuì. «manco i matti. Certo che fa pietà un uomo ridotto così».

«beh, ha perso il Torneo, ha perso la possibilità di ridare onore al nome della propria famiglia…penso che anche io berrei fino a sfasciarmi».

Il barista non si sbagliava del tutto, ma non era solo per quei motivi che Kevin Mask, anche quella sera, era collassato faccia contro il tavolo.

Quello era un uomo che aveva perso tutto in pochi minuti. Oltre a quel che aveva detto il proprietario del bar infatti c’era:

- il fatto di aver deluso ancora Robin;

- l’angoscia per Emerald, sparita chissà dove e ferita per errore dal suo stesso padre;

- l’angoscia per Lord Flash, o Warsman, portato via dai soldati di Howard Lancaster;

- la conseguente totale solitudine in cui si era ritrovato all’improvviso, e alla quale si era disabituato.

Oltre ad Hammy e Warsman, Kevin Mask non aveva altri amici. Non aveva nessuno con cui parlare, e se anche qualcuno avesse provato ad avvicinarlo probabilmente non avrebbe fatto una bella fine. Era come un animale selvaggio che era stato ferito gravemente ad un passo dall’ottenere l’agognato cibo, la stessa identica cosa.

Tutto il suo impegno non era servito a niente, tutta la sua fatica non era servita a niente, aveva padroneggiato l’Olap e non era bastato, sembrava che Emerald stesse per tornare da lui e invece gliel’avevano portata via…sentiva ancora l’odore del suo sangue -o meglio, gli pareva di sentirlo- vedeva chiazze rosse spiccare contro il candore del tappeto ogni volta che chiudeva gli occhi…e lo stesso valeva per Flash.

Warsman.

Quello che era.

Come stava? Era vivo, era morto? Lancaster aveva terminato l’opera in seguito? O cosa?

Oltre ad Emerald, che nei suoi incubi peggiori veniva colpita al cuore invece che poco più in là, anche Warsman compariva spesso. Ridotto nei modi peggiori. In uno, addirittura, Howard Lancaster gli aveva legato un braccio ad un cavallo, l’altro ad un altro cavallo, e lo stesso aveva fatto con le gambe…poi aveva dato ordine ai fantini -tutti col volto dell’americano!- di partire ognuno in quattro direzioni diverse e…

Con un mugugno lamentoso l’inglese trovò la forza di sollevare il volto dal tavolo e bersi un’altra mezza bottiglia di whisky. Magari alla fine l’alcol avrebbe scacciato quelle orribili immagini, ed avrebbe smesso di chiedersi dov’erano Warsman ed Hammy…

…Hammy…

Aveva il chiodo fisso, ora più che mai, e già prima diciamocelo, non scherzava.

Finì la bottiglia di whisky.

Che cos’avrebbe detto Warsman…Flash…quello che era…vedendolo bere in quel modo, e ridursi in quelle condizioni? Al pensiero…che vergogna.

Stappò un’altra bottiglia di whisky. Beveva per dimenticarsi tutto, Kevin Mask, anche della vergogna di bere!

Finita anche quest’altra bottiglia, la terzultima di tutte quelle che si era fatto portare, afferrò le uniche due rimaste ed uscì barcollando dal bar. Meglio non rimanere lì, o avrebbe finito per pretenderne un’altra dozzina.

Non seppe dire per quanto tempo camminò, o quanti accidenti di chilometri fece. E francamente non gli importava nemmeno, pensava mentre camminando beveva anche una delle altre due bottiglie. No, non gli importava per niente.

Per niente…di niente… perché non c’era più nulla a cui valesse la pena dare importanza, da tre mesi a quella parte.

Aveva persino pensato di farla finita, e non una volta sola, ma non aveva mai trovato il coraggio di fare neanche quello, ed aveva continuato a pensare “non posso uccidermi, e se un giorno dovessero ricomparire? Se un giorno Hammy dovesse ricomparire? Non posso farmi trovare sotto terra”.

Erano solo quelli i motivi per cui prolungava la sua permanenza in quella valle di lacrime, nessun altro. Il Torneo Chojiin non aveva nemmeno cambiato i rapporti con suo padre…anzi, no. Errore. Li aveva peggiorati ulteriormente, tanto che a Kevin era arrivata la notifica di diseredo! …e lui era il suo unico figlio! A chi sarebbero andati i soldi, una volta morto Robin Mask? forse alla Muscle League, o forse nelle casse dello Stato.

Comunque, non a lui.

Kevin Mask camminò e camminò, fino a quando le gambe non lo ressero più e crollò vicino alla (nemmeno sulla!) panchina di un parco. Non aveva nemmeno voglia di rialzarsi, dunque si limitò ad appoggiare la schiena sulla panchina in questione e stappare l’ultima bottiglia che gli rimaneva.

“l’unico vero amico dell’uomo non è il cane, è il whisky, che diamine!” pensò ben poco lucidamente mentre iniziava a bere a grandi sorsi. E poco gli importava se la testa stava diventando sempre più pesante, e se quel cane stava facendo i suoi bisogni sull’impermeabile…no, un momento…

«pure tu mi detesti, cane di merda!» farfugliò l’inglese alzando un braccio per spingerlo via. Ma il cane dopo aver fatto quel che doveva fare -oltre alla pipì- era già partito «un cacca-ne. Un cane di cacca…in un mondo di cacca…con gente di cacca» bofonchiò buttando in là l’impermeabile. Finì di scolare la bottiglia di whisky, e pensò seriamente di addormentarsi lì…

«santo cielo…»

Sentì qualcuno che lo toccava, ed avrebbe reagito malamente se il suo naso non avesse captato un profumo buono…di fiori…ma la vista annebbiata gli faceva vedere solo una confusa figura presumibilmente femminile dai capelli e occhi scuri.

Occhi scuri. Non era Hammy. Forse era anche meglio così, avrebbe provato vergogna anche se fosse stata lei a vederlo in quel modo.

«la-lasciami stare…» borbottò lui.

«non ti voglio fare niente di male. Adesso fai il bravo e lasciati aiutare, mh?»

«no, voglio morire qui…»

«ma che assurdità…dai, aiutami a tirarti su» il braccio che si avvolse attorno alla sua vita era sottile, e morbido. Si, si, era una donna...una donna che lo stava aiutando.

Avrebbe tanto voluto che fosse sua madre, peccato che invece Alisa fosse morta ormai da un pezzo. Forse se lei avesse vissuto la sua vita sarebbe stata del tutto diversa, migliore. E invece era andata a finire nel cesso.

«purtroppo dovrai accontentarti del divano, e…ah. Credo che l’impermeabile vada portato in lavanderia. Ok, lo farò dopo» disse la donna tra sé e sé aiutandolo a camminare «fortuna che la lavanderia è vicino a casa…»

 

 

 

:: il mattino dopo ::

 

 

Sembrava essere cominciata come una qualunque giornata estiva, per Roxanne. Aveva già pianificato tutto nel dettaglio: svegliarsi alle otto, fare colazione, preparare il cestino del picnic, partire con Trixie e Chichi per il mare e rimanere lì fino a sera. Presumibilmente avrebbero trovato lì anche i ragazzi, Terry, Kid…tutti quanti.

Si, sarebbe stata una giornata rilassante, quasi perfetta.

Quasi.

Perché ad un certo punto, come succedeva da tre mesi a quella parte, qualcuno avrebbe parlato di Hammy ed avrebbero provato a contattarla senza successo alcuno.

“no, Emerald non è qui a casa…no, non ne sappiamo nulla neanche noi. Ci dispiace”.

“il numero da lei chiamato è inesistente”.

“l’indirizzo e-mail non è valido”.

A quel punto avrebbero provato di nuovo a chiamare tutti quelli che conoscevano per sapere se avevano qualche notizia di lei, e non avrebbero ottenuto alcun risultato neanche così.

Allora si sarebbero messi a fare congetture, una peggiore dell’altra…

Sospirò. Anche lei avrebbe voluto che Emerald perlomeno si facesse viva, anche solo con una telefonata per dire a tutti “sto bene”. Non era chiedere troppo, no?

Uscì dalla propria stanza, percorse il corridoio, attraversò il salotto nel quale Kevin Mask stava dormendo steso sul divano, andò in cucina, prese il latte e…

Voltò pian piano la testa.

Wait a minute.

Kevin Mask. Nel suo salotto. A dormire sul suo divano.

«maaaaaaaamma…» chiamò Roxanne con gli occhi sgranati. Miss Mary rientrò in casa dal giardino.

«si?»

«mamma…c’è…qualcuno sul divano…» farfugliò la ragazza.

«lo so, Kevin. Lo trovato ieri mentre tornavo a casa dal lavoro, ubriaco fradicio, crollato accanto ad una delle panchine del parco e…pare che un cane avesse fatto i bisogni sul suo impermeabile…l’ho lavato in lavanderia e messo ad asciugare, dopo aver svuotato le tasche ovviamente. Spero che non se la prenda. In fin dei conti non potevo certo lasciare tutto lì in quelle condizioni, no?» lavò le mani «povero ragazzo. Credo che abbia proprio bisogno di parlare con qualcuno, soprattutto a giudicare da quel che diceva ieri sera…“voglio morire qui”…poi si è messo a parlare di Emerald, del suo allenatore, e ha farfugliato qualcosa sull’essere stato diseredato ma non ci posso giurare».

Roxanne volse lo sguardo verso il divano. In tutti quei mesi effettivamente né lei né i suoi amici avevano mai pensato a come dovesse sentirsi Kevin, che tra tutti era quello che aveva perso di più in tutti i sensi. Il fatto era che lui, beh…non aveva mai voluto legare con loro. Li aveva sempre trattati del tipo “Kevin: superiore, Kid & Cricca: inferiori”, per dirla come quel robot del quale non ricordava il nome*. Quindi per brutto che fosse era abbastanza naturale che nessuno di loro si fosse detto “andiamo a vedere come sta Kevin”. Per non parlare del fatto che lui si era sempre mostrato come l’uomo forte di qua, il lupo solitario di là…le risultava difficile pensare ad un Kevin diverso, nonostante dai racconti di Emerald sapesse per certo che c’era, e tutti quanti -dai racconti che Kid aveva fatto loro dopo l’incontro- fossero via via venuti a conoscenza di tutto quel che c’era sotto: il patto, le bugie, i ricatti, tutto quanto.

«mi fa un certo effetto vederlo in quel modo…mi sento anche un po’in colpa. Io e tutti gli altri non abbiamo mai pensato a come stesse. Per quanto sia convinta che se anche l’avessimo fatto probabilmente ci avrebbe trattati in malo modo, una delle poche cose che so davvero di lui è che è molto orgoglioso…» lo sentì mugugnare qualcosa «oh cavolo, si sta svegliando…»

L’inglese socchiuse leggermente gli occhi. Dannato mal di testa.

Guardò il soffitto. Voltò la testa. Vide le due donne che lo osservavano.

…non si era mai vergognato tanto in tutta la sua vita.

L’unica consolazione era potersi rifugiare a Sottocopertalandia, visto che la madre della due codini lì lo aveva coperto con un plaid nonostante fossero in estate.

Il nascondiglio però non doveva essere molto efficace, visto che qualcuno lo picchettò delicatamente sulla spalla attraverso la coperta. Riuscì a sentire il profumo di fiori della sera prima. Odiò ricordare ogni dettaglio anche di quell’ennesima sbronza, e tutte le parole impastate che aveva detto a -ora aveva capito chi era stata ad aiutarlo- Miss Mary.

«aspirina. Credo che tu ne abbia bisogno…»

Non riuscì nemmeno a risponderle dal troppo imbarazzo. Riuscì giusto a tirare fuori la mano, prendere il bicchiere e tornare completamente nascosto.

Non riusciva nemmeno ad immaginare di uscire di lì e guardarla in faccia. E nemmeno di guardare in faccia l’amichetta di Kid Muscle…amichetta, fidanzata, vattelapesca.

Perfino uno come quello aveva la ragazza, e alla sua avevano sparato prima che riuscissero a mettersi insieme come si deve.

Cristo.

Prese l’aspirina e rese il bicchiere a Miss Mary, iniziando ad escogitare un modo qualunque per fuggire via di lì senza essere costretto a vederle in faccia...

Roxanne intanto guardava la scena allibita, gesticolando nervosamente alla madre ed indicandole il wrestler sotto la coperta. La donna le fece cenno di stare tranquilla ed avere pazienza. Era come cercare di avvicinare un gatto selvatico, bisognava fare tutto pian piano.

«come ti senti? Mal di testa a parte, naturalmente».

Ma perché quella donna rendeva tutto tanto difficile?!, pensò Kevin cercando di farsi coraggio.

«…bene» bofonchiò da sotto la coperta.

Si rendeva conto benissimo di starsi comportando peggio di un bambino, e che la buona creanza avrebbe voluto che uscisse da Sottocopertalandia e ringraziasse Miss Mary come si deve, ma non era mica facile. E poi c’era la due codini! Chissà quanto avrebbe goduto a spettegolare con la sua amica bionda e quell’altra sciatta “sapete che è successo? Kevin Mask si è ubriacato e mia madre l’ha portato in casa!”…e da lì l’avrebbero saputo anche Kid Muscle e gli altri, e da lì tutti quelli che loro conoscevano e…

Meglio non pensarci!

La logica di Kevin Mask: andava bene sfasciarsi davanti a tutti in un bar senza farsi problemi ad essere visto, ma non andava bene essere soccorso da gente che lo “conosceva”. That’s coherence!

«ho lavato il tuo impermeabile. Era sporco dei bisogni di quel cane, non potevo lasciarlo in quel modo…»

La notizia per qualche motivo lo fece riemergere da sotto il plaid. «le…le nocciole, c’erano delle nocciole nelle tasche, non-»

«non ho gettato via niente, non mi sarei mai permessa, e ho rimesso tutto dov’era. Tra poco l’impermeabile sarà asciutto».

Lui alzò brevemente lo sguardo, per poi puntarlo in uno spazio indefinito della stanza. Vedendo quella reazione, vedendolo preoccuparsi in primis delle nocciole, Roxanne capì una volta di più quanto dovesse star soffrendo la mancanza di Emerald.

E sia lei che sua madre si sorpresero quando l’inglese si alzò di scatto ed andò dritto in giardino, prese l’impermeabile che era a stendere e cominciò a correre via.

«aspetta, non correre così!...» lo inseguì Miss Mary «resta almeno a mangiare qualcosa!»

«no grazie, sto benissimo» ribatté lui continuando a correre.

E quella sempre dietro.

«non è vero che stai bene, altrimenti non ti saresti ubriacato a quel modo. Guarda che io ho una figlia all’incirca della tue età, li capisco gli adolescenti…»

Nada. Continuava a tallonarlo.

«ho detto che sto bene!!!»

«da quel che mi hai detto ieri sera non sembrava, io lo so che ti manca Emerald, così come ti manca il tuo allenatore, o qualcuno vicino in generale!»

L’inglese frenò bruscamente, e si voltò verso di lei. «senta…la ringrazio per l’aiuto, ma non voglio la sua pietà né quella di nessuno, io sto bene, e se anche bevessi tutti gli alcolici di questo mondo non la riguarderebbe».

«non credo che a lei piacerebbe vederti ridotto come ieri sera» continuò testardamente Mary.

«e lei che ne sa di cosa Emerald vorrebbe o non vorrebbe?! Che ne sa?! Non lo sa! Lei non lo sa, io non lo so, e per gentile concessione di quel dannato bastardo che le ha sparato addosso forse neanche lo saprà mai più nessuno!!!» stava quasi gridando, effetto di tutto quel tempo trascorso a pensare quelle cose senza poterle dire a nessuno.

«capisco come ti sen-»

«no che non lo capisce. Non lo capisce per niente, come tutti quanti. Ho perso la Corona Chojiin, mio padre prima mi detestava ed ora mi ha diseredato, il mio allenatore probabilmente è morto e non ho la più pallida idea di come stia Emerald, se sia viva, se non lo sia, non la sento da tre mesi, ho provato a contattarla in tutti i modi senza riuscirci, e mi chiedo perché se sta bene non mi ha fatto sapere niente! Io non faccio che pensare a tutto questo e lei…lei viene a dirmi che mi capisce?! No che non capisce!!!»

Detto questo fuggì via, correndo talmente veloce che stavolta Miss Mary non riuscì a stargli dietro. Roxanne arrivò da lei poco dopo, col fiatone.

«mamma…»

«è andato. Non sono riuscita a convincerlo a restare, ma mi dispiace sempre di più per quel povero ragazzo» guardò la via dove Kevin era sparito «e se Emerald è ancora viva come spero che sia, sarebbe proprio il caso che si facesse sentire con lui» spazzolò via la povere dai pantaloni «io comunque non mi do per vinta. Per caso sai dove abita Kevin?»

«saperlo lo so ma a che ti serve?»

«voglio portargli da mangiare. Non oso pensare alla sua alimentazione in questi tre mesi, e mi è parso molto dimagrito…»

Roxanne non poté dargli torto, da quel poco che aveva visto in effetti Kevin doveva aver perso diversi chili. Facile che avesse mangiato poco e bevuto troppo per tutto il tempo.

«dubito che lui voglia».

«il fatto che sia troppo testardo per accettare aiuto non significa che non ne abbia bisogno. Cederà, prima o poi!»

 

 

 

::Londra::

 

 

La primissima cosa che aveva fatto Janice Lancaster nel rivedere il marito era stata tirargli contro il libro che stava leggendo, per poi alzarsi dalla poltrona con aria assassina ed andare verso lui e la figlia, che avevano la stessa identica aria colpevole.

«ahi…»

«voi due!!!» strillò Janice «e soprattutto TU, Howard Hogan Robert John Lancaster!!! TU!!! hai sparato a nostra figlia!!!»

«mamma… è stato solo un incidente, mica voleva colpire me, sono stata io a mettermi in mezzo…» lo difese Emerald, beccandosi anche lei la sua occhiataccia.

«Janice…»

«Janice un corno!!!»

«mamma…»

«e anche “mamma” un corno!!!»

«quel che è successo è stato un imprevisto, è stato un errore! Lo sai che io volevo soltanto uccidere quella bestia per averle messo le mani addosso…»

«ED HAI QUASI UCCISO LEI!!!»

Come se non lo sapesse benissimo. Howard in tutti quei tre mesi aveva dormito poco e niente nonostante le rassicurazioni della figlia sul fatto che non ce l’aveva minimamente con lui. Il senso di colpa probabilmente l’avrebbe perseguitato vita natural durante. Era stato quasi sul punto di perdere la sua principessa, pochi centimetri più in là e l’avrebbe uccisa lui stesso!

Poteva vedere ancora le immagini di quei momenti nitidissime…il colpo, la bestia a terra, la chiazza di sangue che si allargava sul vestito verde smeraldo di sua figlia, la sua caduta, le sue parole. E quei ricordi lo portavano anche a rivivere tutte le sensazioni che aveva provato in quel momento.

Orribile, orribile.

Talmente orribile che dopo l’accaduto era volato negli Stati Uniti con Hammy, nella sua clinica più avanzata, e si era dimenticato di tutto il resto per due intere settimane.

Anche di non aver dato a Connors -che era rimasto in Giappone con gli altri soldati- ordini precisi su cosa fare di quel russo.

Era stata Emerald stessa a ricordargli di Warsman, ed era stato un sollievo per Howard sapere che l’unica iniziativa che aveva preso Connors era stata far rimpatriare Miss McGreene. Per fortuna non era un ragazzo sciocco, e inoltre Howard sapeva che se lui diceva “salta” la risposta di Connors sarebbe stata “sissignore, quanto in alto”?.

Così, una volta firmato l’atto -a detta dell’americano lo aveva fatto appena gli era stato chiesto nonostante la “difficoltà nel reggere la penna”…frase che lasciava intendere parecchio sul trattamento che gli avevano riservato!- Warsman era stato lasciato andare, ed i soldati erano arrivati in blocco lì negli Stati Uniti.

Da quel momento, il destino del russo sarebbe stato nelle mani del russo stesso…

«lo so, e non finirò mai di sentirmi in colpa per questo».

«papà, ma te l’ho detto che io non ce l’ho affatto con te. La colpa è stata mia, non tua!»

Probabilmente ad Hammy il mito di suo padre non sarebbe mai crollato, succedesse quel che succedesse.

«…e come se non bastasse siete spariti chissà dove tre mesi!!! TRE! MESI! Maledizione!!!» urlò Janice «vi costava tanto dirmi dov’eravate?!! Non vi rendete conto di quanto mi avete fatta stare in ansia?! Tre mesi senza sapere dove foste, se tu, Emerald, fossi viva o morta!»

«ma che mi ha presa alla spalla si è visto benissim…ma’? Mamma? Dove vai?!» esclamò Hammy vedendola lasciare il salotto.

«vado dove mi pare!!! Tanto con voi due non si può parlare!!!» urlò la donna «e se voi sparite tre mesi io posso sparire per il resto della giornata!!! CHIARO?!»

E se ne andò via sbattendo la porta.

Padre e figlia si guardarono.

«fa bene ad avercela con me, ma spero che le passi in fretta» disse Howard, sinceramente dispiaciuto ed allarmato. Non era che a lui star via tre mesi non avesse pesato, tutt’altro; amava la moglie, accidenti. Solo che per garantire la totale sicurezza di Emerald, specialmente considerando che il periodo di degenza era stato così lungo non solo a causa della ferita, era stato praticamente necessario.

«ma si…il tempo di svuotare un paio di negozi Chanel e tre di Jimmy Choo e sarà tutto a posto. Magari ti terrà il muso due o tre giorni» Emerald fece spallucce «insomma, se non ce l’ho con te IO…perché dovrebbe avercela lei?»

No, Emerald non riusciva proprio a capire perché sua madre l’avesse presa così male. In fin dei conti era stata via insieme a suo padre, mica insieme a chissà chi, si diceva.

La verità è che, come detto, Hammy voleva bene a tutta quanta la sua famiglia.

Ma a suo padre, di più.

«mi sa che non riesci a capire il punto di vista di tua madre…ma volevo che il luogo della tua degenza restasse il più segreto e protetto possibile. E se l’avessimo detto a tua madre lo avrebbe detto alle tue nonne, e le tue nonne l’avrebbero detto a tutto il club di bridge…»

«e addio segretezza, già. Solo che io riesco a capirlo, mamma invece n-»

«PAZZI INCOSCIENTI!!!»

Quella era una giornata da urla e da botte per il “povero” Howard, che dopo la librata della moglie si prese anche le ombrellate di madre e suocera.

«non solo le fai beccare un proiettile nella spalla, ma sparite pure tre mesi!!!» urlò Phoebe «ma sei scemo?!»

«e dai mamma, ragioniamo un att-» avviò a dire Howard, ma un’altra ombrellata lo zittì.

«la mia Janice era terribilmente preoccupata!!! Come tutti noi! E voi due nemmeno una telefonata?!» abbaiò Verbena «…e tu sei dimagrita ancora!!!»

«nonna sono giusto un paio di chili, non è nient-» tentò di difendersi la ragazza, ma nonna Verbena riuscì a cacciarle in bocca quattro biscotti ed interromperla.

«da stasera a dieta ferrea, signorina! Dopo quel che hai passato hai bisogno di nutrirti! Di mangiare come si deve!!! Tantissimo pesce, tantissima carne, pasta, legumi, dolci!» sentenziò «e non sento scuse, tu mangerai tutto e basta…»

«ma chi le ha mai cercate le fcufe…?» farfugliò Emerald con ancora i biscotti in bocca «io quel che mi dai mangio…»

«allora ti è rimasto un minimo di buonsenso! Cosa che invece non si può dire di tuo padre!» sbottò Phoebe dando l’ultima ombrellata alla testa del figlio «…se il mio povero Hogan fosse stato ancora vivo gli avrei ordinato di spellarti il sedere a cinghiate!»

«mamma! Piantala!...mi sento già abbastanza in colpa per conto mio…»

«non sarà mai “abbastanza”!» concluse Phoebe.

«nonna, guarda che la colpa è mia, non di papà. Quel tipo mi aveva messo le mani addosso, e lui voleva…beh…mettersi in pari» disse Hammy in modo stentato mettendosi tra sua nonna e suo padre «io lo capisco».

«perché tu sei troppo buona con questo zuccone!» borbottò Verbena «e io infatti non mi spiego ancora perché se è vero che quel tipo ti ha messo le mani addosso non hai lasciato che tuo padre lo uccidesse, sarebbe stato corretto».

«non valeva la pena che papà diventasse un assassino per uccidere un uomo come quello» ribattè la ragazza.

«non uomo, ragazza mia: bestia» lo corresse Phoebe «considerando che voleva strangolarti, su questa definizione concordiamo tutti con tuo padre. L’unica cosa in cui ci ha azzeccato però! Disgraziato!!!»

Howard stavolta evitò le ombrellate, evidentemente si era rotto le scatole di quella sceneggiata nonostante riconoscesse di meritarsela tutta.

«si, sono un disgraziato, va bene!» alzò le braccia «sono tutto quello che volete, va bene, non posso darvi torto dopo quel che è successo…»

«e soprattutto per questi tre mesi!!! Si può sapere dove siete stati?!» tornò a domandare Verbena con la classica irruenza.

«in America, nella migliore delle mie cliniche» ribatté Howard.

«e vi costava tanto informarci?»

«la parola d’ordine era massima segretezza…»

«tu e la segretezza!» sbottò Phoebe «…come tuo padre. Sei come lui, sei. Identico! E tu sei come loro due, signorina» indicò Emerald «vergogna, farci stare tutti così in ansia! Lo sai quanta gente ha chiamato cercandoti?!»

«soprattutto quel ragazzo con cui sei venuta qui tempo fa. Quello carino, non il tizio che hai sbaciucchiato in televisione…» puntualizzò Verbena.

«il “tizio” adesso lavora per me, peraltro» disse Howard, anche se c’entrava poco, e comunque venne del tutto ignorato.

«…il biondino con quella cosa di ferro blu sulla testa, com’è che si chiama? Ah, Kevin. E poi ha telefonato l’attore…»

«eh?» Emerald la guardò perplessa.

«Dick Van Dyke!»

Emerald fece un sospiro. «Dik Dik Van Dik, nonna…»

«eeeh, è uguale, che differenza fa?! E poi un tizio che si chiama Teresa, abbreviato Terry…»

«è Terry e basta» sospirò Howard, stavolta.

«un altro ragazzo con l’accento tedesco, un certo Wally e delle ragazze, ha telefonato perfino la sorella di quell’uomo bruttissimo che sembra il jack di cuori».

«che?! Jackie MacMatta ha telefonato per sapere come stavo?» si stupì Emerald. Non se lo sarebbe mai aspettato. Probabilmente lo aveva fatto sperando che lei fosse morta, si disse.

«altri?»

«si, uno…conosci un certo Humbert Humbert?»

Emerald lì per lì non rispose. «è uno dei miei fan, niente di che».

«Humbert Humbert, come quello di “Lolita”? curioso» commentò Howard.

«al mondo ce n’è di gente strana, si sa».

Hammy aveva minimizzato, ma in realtà quel che c’era da capire l’aveva capito più che bene. Solo che crederci le risultava complicato, soprattutto dopo aver saputo che colui che si celava dietro quell’ “Humbert Humbert” era stato per due settimane nelle mani di un Michael Connors che non avendo ricevuto l’ordine né di ucciderlo né di liberarlo si era di certo sbizzarrito con le torture. Purtroppo.

Lei aveva detto di farlo liberare fin da quando era stata colpita, dopo avergli fatto firmare il foglio naturalmente, ma suo padre se n’era dimenticato preso com’era dalle sue condizioni, e Connors

- primo, era da suo padre che prendeva ordini;

- secondo, se anche avesse sentito quel che lei aveva detto avrebbe fatto orecchie da mercante aspettando gli ordini del “boss” approfittandosi dei tempi morti per divertirsi.

Emerald lo conosceva, era fatto così.

«comunque…quanto tempo fa ha chiamato?»

«un mese, su per giù».

Invece che involarsi l’aveva cercata.

Invece che lasciarla perdere aveva perfino chiamato a casa sua, ma era stupido?!

“psicotico d’un russo, adesso sei libero, perché non la smetti? Perché non torni da Kevin, almeno tu?”

«capito. Adesso vedrò un po’che fare…»

«rilassarti, in primis» le disse Howard «ce ne staremo qui per un po’».

Ma Emerald non era esattamente della stessa idea.

«papà, tu tra dieci giorni devi incontrare quei signori in Venezuela…» gli ricordò. Lui sbuffò, seccato all’idea.

«che vadano al diavolo, non-»

«papà, tu devi lavorare, e io adesso sto…oh, probabilmente sto meglio di quanto sia mai stata. Mi sei stato vicino per tutti questi tre mesi trascurando il lavoro…»

«era il minimo!» esclamarono in coro Howard e le due nonne.

«…adesso devi riprendere il ritmo. Sto bene, sul serio. Tant’è che credo che ripartirò anche io  tra un paio di settimane…»

Howard la guardò a lungo. «Tokyo?»

Tradotto: “torni da Kevin Mask”? domandona.

Sulla cui risposta Emerald aveva molti dubbi.

Se Kevin le mancava? Certo, era innamorata persa di lui.

Ma lei gli aveva creato talmente tanti problemi…problemi che lui non si meritava…che aveva iniziato a pensare che forse Kevin sarebbe stato meglio senza lei intorno. Che meritasse una vita più serena, e non sapeva dire se lei avrebbe potuto dargliela.

Non aveva capito proprio niente.

Non aveva capito che Kevin avrebbe preferito avere tutti i problemi del mondo, portati da lei, piuttosto che NON averla accanto.

Emerald esitò parecchio a rispondere. «si. No. Forse. Non lo so. Non credo. Voglio staccare un po’, andare tipo…non so…»

«sai che puoi andare ovunque tu voglia. Per non parlare del fatto che abbiamo almeno una casa in ogni Stato in cui valga la pena averne una, non ci sono problemi» la rassicurò suo padre «solo…non vorrei che tra due settimane sia presto…»

Lei scosse la testa. «secondo me no».

Altra lunga occhiata da parte di Howard Lancaster. «va bene. L’aereo privato se proprio vuoi che vada in Venezuela serve a me, ma con la compagnia aeronautica che ti ho comprato non avrai problemi per spostarti…se sei proprio convinta di voler partire».

Continuava a sperare di no, naturalmente. Fino a quel momento Howard H.R.J. Lancaster non aveva mai avuto problemi col fatto che la figlia avesse lasciato il nido, e non le avrebbe impedito di rifarlo, ma ciò non toglieva che avrebbe vissuto la cosa con più apprensione.

«ma perché non resti un mese, due, tre…» disse Phoebe «eh, Hammy?»

«due settimane nonna. Poi riparto. Ho deciso così» le sorrise.

«potevi anche venire con me in Venezuela, no?» tornò alla carica Howard «avrei potuto introdurti un altro po’nel giro. Avevo perfino trovato il primo della tua scorta speciale».

«oh, ma già in clinica appena ha potuto mi ha fatto un’ottima guardia…lui è qui in casa vero?»

«lui chi? Quell’antipatico di un americano?» storse il naso Verbena, alla quale Connors piaceva ben poco. Ad essere sinceri probabilmente gli unici in famiglia a cui piaceva Connors erano Lancaster padre e Lancaster figlia.

«non è Connors. Comunque certo, è qui in casa. Puoi chiamarlo col cercapersone…no faccio io» concluse Mr.Lancaster.

Tovarich Turbinskii, con un corpo non solo sano ma anche più potente di prima grazie alla tecnologia estremamente avanzata della clinica di Lancaster, arrivò in un lampo.

«sempre disponibile signore».

«eccolo qui. Tovarich Turbinskii» Howard lo presentò a Phoebe e Verbena «uomo di fiducia, di cui ho la certezza assoluta che farebbe tutto ciò che è necessario per proteggere la nostra Hammy».

«ma è quello con cui si è sbaciucchiata in tv!» esclamò Verbena «ecco che intendevi…»

«più che proteggermi però mi tiene compagnia» puntualizzò Emerald.

«quello se vuoi sempre, zajchik moj».

“coniglietto mio”. Avrebbe mai smesso di chiamarla in quel modo? Probabilmente no.

«za-CHE? Che ha detto?...ma questo non parla, impasta» borbottò Verbena.

«…perché tu e Turbinskii non fate una passeggiata nel giardino?» propose Howard.

“…‘giardino’! È una tenuta immensa” pensò il russo “con tanto di lago, fiume e sorgente sotterranea che Mr.Lancaster ha fatto in modo che passasse attraverso -e fuoriuscisse da- un blocco di roccia di venti metri importato dal Monte Rosa. Alla faccia del giardino!”

«buona idea…»

«guarda che il discorsetto non l’abbiamo ancora finito noi tr-»

Troppo tardi, sia Hammy, che Turbinskii che Howard si diedero ingloriosamente e precipitosamente alla fuga, chi all’interno della casa -Howard- e chi, invece, verso le stalle -Hammy e Turbinskii-.

«almeno finalmente vedrò i tuoi cavalli» disse il russo.

La stalla era grande, luminosa, arieggiata quanto serviva e pulitissima. I Lancaster tenevano moltissimo al benessere dei loro cavalli, nonché a quello dei cani da caccia che si trovavano altrove.

«ti avevo fatto una testa così con loro, in effetti» ammise Hammy «eccoli qua».

Turbinskii li osservò. Il palomino, i purosangue inglesi, gli arabi bianchi di Emerald, i frisoni morelli di Mr.Lancaster, due puledrini di shire horse…

«ma non avrebbero dovuto essere dieci?»

Emerald sorrise.

«Abraxas non ci viene nella stalla. Vive libero nella tenuta. A tal proposito, sarà bene cercarlo così che possa annusarti; se verrai qui spesso è bene che conosca il tuo odore, così ti eviterà invece che tentare di ucciderti».

Il russo rise. Smise vedendo che Hammy non lo faceva.

«…ma sei seria? Andiamo, è un cavallo, non un dobermann».

«è molto peggio di un dobermann, da’ retta. Perfino gli altri cavalli si tengono alla larga da lui» disse la ragazza facendo uscire dal box il suo stallone arabo, Sirio, salendoci sopra e facendolo trottare fuori dalla stalla.

«addirittura…mh» la guardò «allora è vero che sai cavalcare senza usare briglie e sella».

«pensavi di no? Stammi dietro!» esclamò, per poi partire al galoppo.

«ma Emerald…!...o beh…» iniziò a fluttuare in aria e volò velocemente dietro a lei, senza nemmeno trasformarsi in aeroplano. Non ne aveva più bisogno.

Lancaster Technology© strikes again!

Galopparono -e volarono- a lungo. Guardandosi attorno Turbinskii pensò di non aver mai visto posto più bello. Sembrava di essere in uno di quei luoghi incantati delle favole tra i boschi, le valli fiorite…il lago in particolare, con quella piccola casetta in legno vicino, era uguale identico a quello che si vedeva ad un certo punto ne “Il castello errante di Howl”. Che fosse voluto? Probabile. In quel paradiso “naturale” non c’era quasi nulla in cui Howard H.R.J. Lancaster non avesse messo le mani; tutto per la sua bambina, ovviamente. Suo padre Hogan non aveva mai badato troppo al terreno attorno, mentre invece lui aveva preteso che fosse il luogo da sogno che una principessa come la sua Emerald meritava.

E c’era riuscito.

Da quando aveva lasciato la League ed aveva iniziato a fare veramente i soldi, poi, non ne parliamo.

Fu poco lontano dal lago che trovarono Abraxas, intento a mangiare i fiori sul prato. Sirio si accorse della presenza dell’altro cavallo prima di loro, tanto da fermarsi e rifiutarsi di andare avanti.

«ok, abbiamo trovato Abraxas» commentò Emerald scendendo «torna alle stalle, Sirio».

Il bell’arabo bianco non se lo fece dire due volte, e galoppò via.

«è veramente immenso!» allibì Turbinskii «ma di che razza è?»

«frutto di incroci specifici nel tentativo di papà di ricreare un tipo migliorato di equus magnus» disse Hammy «tu rimani qui».

«e tu dove vai?...Emerald!»

Troppo tardi, si era già messa a correre verso quel cavallo mastodontico.

«Abraxas!» gli arrivò a tre metri «perdi colpi, neh? Non ci avevi sentiti arrivare o te ne sei fregato?»

Era la seconda.

Il cavallo smise di brucare, camminò verso la ragazza e dopo aver nitrito si impennò agitando le zampe. Turbinskii temendo il peggio stava per intervenire, ma Emerald rimase ferma lì dov’era, ed il cavallo invece che schiacciarla ricadde a destra rispetto a lei.

“era…un saluto?”

Pareva di si, perché fatto questo Abraxas si piegò sulle quattro zampe permettendo ad Emerald di salirgli in groppa.

«bravo. Adesso andiamo laggiù, c’è qualcuno che devo farti conoscere» bisbigliò la ragazza al possente equino che, come se avesse capito quel che gli era stato detto, si diresse al passo verso Turbinskii.

«mi pare quasi assurdo» commentò il russo, un po’inquieto. Se Abraxas avesse voluto attaccarlo come avrebbe fatto Hammy a fermarlo? Era così minuscola in confronto a lui!

«ah, macché. Adesso fermo, così può annusarti».

Turbinskii obbedì. Dopo avergli dato un’annusata il cavallo emise uno sbuffo e…gli diede una testata tale da farlo crollare a terra!

«ma che accidenti…?!»

«ok, da adesso ti conosce ufficialmente» rise la ragazza «adesso ci facciamo una bella corsa, eh Abraxas?»

Non fece in tempo a finire la frase che il cavallo si voltò ed iniziò a galoppare ad una velocità inaudita.

Anche lui evidentemente aveva voglia di correre, come Emerald sulla quale andare a cavallo aveva un effetto ben più terapeutico della vodka nel dimenticarsi le faccende scomode, come scegliere quale fosse per Kevin il male minore, per esempio.

 

 

 

:: undici giorni dopo ::

 

 

Pazzo?

Si. Si, senza dubbio.

O almeno, Warsman -ancora nei panni di Flash- si sentiva tale.

Il buonsenso gli avrebbe suggerito di lasciar perdere, di andare via definitivamente o di tornare da Kevin. Ma lui non aveva dato retta al buonsenso, e dopo oltre tre mesi passati a cercare notizie della sua arcinemica eccolo lì, nell’immenso terreno attorno alla villa dei Lancaster in Inghilterra. Riuscire ad entrare gli era costata parecchia fatica fisica e soprattutto mentale, considerando tutto quello che aveva dovuto aggirare per riuscirci.

Per non parlare di quel che significava dal punto di vista psicologico infilarsi nella tana del lupo di sua spontanea volontà.

Ad ogni passo che muoveva era perseguitato dai ricordi di quel che era successo nell’incontro di tre mesi prima, dal ricordo di lei con quel fiore rosso sangue a sbocciargli poco lontano dal cuore, da…

…da tutto quello che aveva subìto nelle due settimane seguenti…

Alla fine era stato liberato, vero, ma …alla fine, appunto.

E dire che gli era parso di sentire Emerald dire al padre di farlo liberare, prima che i soldati lo portassero via.

E anche l’americano doveva averla sentita. Ma non gli era importato.

“dato che non ho ordini precisi del capo di liberati o di ucciderti vorrà dire che ci divertiremo un po’fino a che questi non arriveranno, che ne dici?...tu sei uno resistente, vero?...”

Si. Era resistente, e quel figlio di puttana era stato bene attento a non ammazzarlo nonostante tutto quel che gli aveva fatto.

Ma in una classifica di tutto quel che di peggio il russo aveva subìto in vita sua, Michael Connors con quel che gli aveva fatto aveva raggiunto addirittura il secondo posto.

Aveva passato due settimane d’inferno.

Aveva maledetto più volte Connors, Howard Lancaster, e Dio stesso…per poi riscoprire la fede in quest’ultimo quando finalmente era arrivato l’ordine di liberarlo.

“se un animale come te crede in Dio, ringrazialo. Non so per quale assurdo motivo miz Lancaster ti voglia vivo, ma è così. Quella ragazza è troppo buona. Ti salva la vita, ti fa liberare…ne vale la pena? Secondo me no, ma gli ordini sono ordini. Firma quest’accidenti di foglio se ti riesce di tenere la penna in mano e poi sparisci”.

No, Connors non era stato contento di doverlo lasciare andare. Ma non avrebbe mai disobbedito ad un ordine diretto del suo capo.

E così era stato lasciato libero.

Bisognoso di cure mediche, ridotto uno straccio, ma libero.

Appena si era ripreso un po’aveva iniziato a cercare notizie sulle attività dei Lancaster, ma non aveva ottenuto niente. Dai discorsi di Connors che era riuscito ad origliare sapeva che Howard ed Emerald avevano lasciato il Giappone, e che una volta che lei si fosse ripresa sarebbero presumibilmente tornati in Inghilterra.

Dunque aveva potuto escludere a priori le due nazioni in questione.

Aveva continuato a tenersi aggiornato.

Era passato del tempo. Parecchio, tempo.

Ad un certo punto aveva deciso di andare a Londra, ed aveva fatto la follia di chiamare a casa Lancaster da una cabina telefonica venendo a sapere che no, Emerald non era ancora tornata. Questo lo aveva portato a pensare che forse…forse…era morta…

Non sarebbe stato giusto. Non solo per lui stesso -erano arcinemici, se mai doveva essere lui a finirla, no?- ma soprattutto per Kevin.

Aveva pensato parecchio anche a lui. Aveva pensato spesso di lasciar perdere e tornare da quel ragazzo. Ma poi si era detto che l’avrebbe fatto solo e soltanto insieme ad Emerald, sapendo che tanto senza di lei Kevin non sarebbe mai stato davvero “bene”.

Era perfino andato a trovare Robin. E lì era successo un fatto che gli aveva lasciato l’amaro in bocca…

Si, il suo vecchio amico era stato lieto di rivederlo vivo. E si era stupito che indossasse ancora i panni di Lord Flash, accogliendo con perplessità la risposta del russo che “dopo undici anni un nome vale l’altro e un abito vale l’altro, Warsman, Lord Flash, è la stessa cosa”.

Lo aveva accolto bene, gli aveva offerto perfino di rimanere lì da lui.

Peccato che poi…

“l’ho diseredato”.

“mh?”

“Kevin”.

Era stata una doccia fredda. Ma come, perché l’aveva fatto, possibile che non avesse riconosciuto il grande lavoro che aveva svolto Kevin, l’impresa nella quale era riuscito di padroneggiare l’Olap? Esposto ciò a Robin aveva ricevuto una risposta che lo aveva gelato del tutto, altro che doccia.

“pensa un po’, l’ha padroneggiata ed è riuscito comunque a perdere”.

“avrebbe vinto se Lancaster…”

non parlarmi di lui!

Avevano finito per discutere, e lui a trovarsi un motel, indignato per quell’ingiustizia.

Un bel giorno, poi, aveva sentito del ritorno dei Lancaster nella tenuta.

E aveva atteso ancora.

Howard era ripartito.

L’occasione perfetta.

Doveva rivederla, doveva parlarle. Aveva una sorta di debito con lei, che gli aveva salvato la vita. Doveva sentire cosa aveva intenzione di fare, anche con Kevin, e…

Insomma, eccolo lì.

«io sono un pazzo» sentenziò il russo parlando tra sé e sé mentre camminava. Il posto era bello come lo ricordava, se non altro. C’era una pace quasi innaturale in tutto quel…

Come non detto.

Dopo un potente nitrito uno zoccolo di dimensioni spaventose finì quasi ad abbattersi su di lui, che riuscì ad evitarlo per pura fortuna.

«m-ma che diavolo…?!! Un cavallo?!» esclamò guardandolo con gli occhi sbarrati.

No, quello non era un cavallo. Quello era IL cavallo, il padre di tutti i cavalli! Ma quanto accidenti era grosso?! E pure aggressivo!

…e lui di quelle bestie aveva paura da quando uno di loro lo aveva colpito con uno zoccolo quando aveva solo cinque anni…

Il bestione nero nitrì e tentò di colpirlo ancora, ancora, ed ancora.

Alla fine Flash iniziò a correre come mai in vita sua.

«ma tutti quelli che c’entrano con i Lancaster ce l’hanno con me?!» sbottò mentre correva «adesso anche un cavallo assassino!»

Correndo e correndo arrivò fino ai margini del bosco attorno a quella che sembrava una mini-montagna dalla quale si vedeva chiaramente uscire una specie di cascata, ma di quello al momento non gli importava visto che il cavallo continuava ad inseguirlo.

«e adesso ti frego» sibilò infine arrampicandosi sulla cime di un albero decisamente alto «ah! Voglio vedere che fai!»

Allibì quando gli parve -ma non era possibile!- di vedere il cavallo con un sorrisetto maligno sul muso. Questo si impennò, ed iniziò a dare potenti colpi di zoccolo contro l’albero con tutto l’intento di abbatterlo!

«ma…ma maledizione, io li odio questi animali!» sbottò Flash, saltando sui rami dell’albero vicino e poi di quell’altro albero, ripetendo il gesto per un numero infinito di volte.

Ed il cavallo nemmeno a dirlo, lo tallonava.

«proprio un cavallo da guardia dovevo beccarmi?!» si lagnò facendo un salto più lungo degli altri tra un albero e l’altro.

Errore.

Perché anche il suo inseguitore equino saltò, acchiappandolo per la giacchetta blu. Lo tenne tra i denti e lo sbatté come fanno i cani con i pupazzi, per poi inchiodarlo a terra con una zampa e preparandosi a schiacciargli la testa con l’altra.

“che fine indegna. Sopravvissuto a tutto, ma non ad un cavallo pazzo!” pensò il russo.

Fortuna sua il cavallo in questione cambiò idea dopo aver annusato qualcosa nell’aria, riprendendolo tra i denti e dirigendosi al passo verso la montagna in miniatura, precisamente lì dove sgorgava la cascata.

Per un attimo quel che vide gli fece dimenticare del cavallo.

Stesa su una roccia piatta e liscia c’era Emerald in costume, intenta a prendere quel poco di sole che filtrava tra i rami degli alberi. L’acqua le scorreva addosso, i capelli su muovevano come se fossero stati vivi, ed aveva gli occhi chiusi. E da quel che Warsman poteva vedere, non aveva addosso una cicatrice che fosse una. Era perfetta, una perfetta ninfa dei boschi.

“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia!” pensò, va’ a capire perché “…ma che diavolo…ah, non importa”.

Magari aveva fatto il collegamento tra “ninfa dei boschi” e “ninfette”? magari c’entrava qualcosa il film visto insieme? Mah.

Il cavallo emise uno sbuffo, la ragazza riaprì gli occhi. «Abraxas, sei venuto a farmi visit…»

Sgranò gli occhi.

Non ci poteva credere.

Si alzò in piedi sulla roccia, uscì dall’acqua, gli andò vicino.

«ma sei completamente coglione?!»

Prevedibile accoglienza.

«di’ a questa cosa di mettermi giù!»

La ragazza accarezzò il cavallo, che evidentemente sentendo il suo odore lì vicino aveva portato l’intruso da una delle uniche due persone delle quali riconoscesse l’autorità. «lascia, Abraxas…»

Il cavallo obbedì.

«era ora…»

«che diavolo ci fai qui?! Sei pazzo a ficcarti nella tana del lupo, ti ho salvato la pelle una volta ma non credo che ci riuscirei una seconda sai?!...e non è detto che voglia farlo, comunque» aggiunse «che vuoi?»

Lui si rimise in piedi. «ti trovo bene. Come mai non sei da Kevin, allora?»

«e come mai non ci sei tu? Almeno uno di noi due dovrebbe rimanere».

Lui la guardò a lungo. «…che vuol dire? che non intendi tornare?»

Lei sbuffò, recuperò i pantaloncini corti sull’argine e se li rimise. «fatti miei».

«fammi capire bene, dopo tutto quel che è successo tu vorresti piantarlo in asso? Ho capito bene?»

Lei incrociò le braccia davanti al petto. «è proprio per tutto quel che è successo che forse lasciarlo andare è la cosa migliore, l’ho fatto soffrire troppo. Sta’contento: avevi ragione. La mia presenza, per lui, è solo dannosa» disse lei con amarezza immensa e grande tristezza negli occhi smeraldini «anche la tua, neh, ma non ai livelli miei».

«Kevin non starà mai bene se lo abbandonerai, lo capisci o no?! Nemmeno a me questa faccenda piace. E si, sono ancora di quell’opinione. Però lui ha bisogno di te, è un dato di fatto, se lo ami agisci di conseguenza!»

Lei scosse la testa. «è quel che faccio, non capisci proprio eh?»

«sei tu quella che non capisce, qui, non io. Kevin adesso è solo, e Robin l’ha perfino diseredato…»

«COME COME?!»

«già. Ha perso, ed è solo quello che conta, per lui. Emerald…non puoi abbandonarlo. Non anche tu. Se non sono ancora da lui è solo perché volevo tornare insieme a te. E perché…» la guardò «volevo anche vedere se stavi bene».

«quello l’avevo intuìto, “Humbert Humbert”. Ma perché? Era la tua occasione per lasciarmi perdere».

«e quella di tre mesi fa era la tua occasione per uccidermi» ribatté lui «perché non gliel’hai lasciato fare?»

La ragazza lì per lì non rispose.

Poi, col braccio destro, lo spinse a terra con una forza che prima decisamente non aveva, bloccandolo contro il terreno dopo essergli andata sopra.

«perché tu sei il mio nemico numero uno. Mio. E quando finirti lo decido io» disse seria seria per poi fargli un sorrisetto «per non parlare del fatto che poi, con chi avrei ballato il tango?»

«…tu sai che questa è una posizione pericolosa, vero…»

«ah-ha».

«e che il cavallo ci guarda».

«tanto non te la do, che credevi?»

«sempre fine-agh!» esclamò quando tentò di rialzarsi e lei glielo impedì, sempre inchiodandolo a terra con quel braccio.

«non noti niente?»

Il russo la guardò attentamente. No, niente cicatrici addosso. Però…quel braccio…non aveva tanta forza, prima.

E se…

«il colpo che ho preso ha fatto diversi danni alla mia spalla. Anche una volta guarita non sarebbe stato più come prima. Ma ho potuto scegliere. Spalla e braccio più forti o meno forti. Ovviamente ho scelto la prima opzione».

Lampo di comprensione.

«non dirmi che…non ci credo».

«ci somigliamo un po’di più. Micro innesti in nano tecnologia semi organica su ossa e tessuti di braccio e spalle. Praticamente invisibile e dannatamente efficaci, benedetta la clinica di papà, e non ho nemmeno la cicatrice del colpo di pistola».

Ironia della sorte aveva voluto che Howard, che tanto aveva denigrato Flash per essere un mezzo robot, si fosse trovato con una figlia che aveva comprensibilmente deciso di farsi innestare quella roba. Ecco perché ci avevano messo tre mesi, ed anche un altro motivo per tutta quella segretezza; le nano tecnologie organiche usate non erano esattamente legali. Perfettamente sicure. Ma legali no.

«certo che potevano anche farmeli adesso quegli esperimenti, se la tecnologia di adesso permette cose come questa» borbottò lui «lasciami adesso, dobbiamo parlare ancora».

«io il mio punto di vista te l’ho detto».

«ma sbagli. Davvero, è bene che torni da lui, e per dirlo io dev’essere così per forza.».

Hammy si rialzò, lasciando che lo facesse anche lui.

«non sono convinta».

«lo ami o no?»

«ovvio, si».

«e allora non fare l’idiota».

«io tra quattro giorni parto per l’Argentina. Ho bisogno di staccare».

«tu non-»

«anche tu hai bisogno di staccare, vero?»

Silenzio. Dove voleva andare a parare?

«adesso che possiedo una compagnia aeronautica potremmo viaggiare gratis e far vedere agli argentini come si balla il tango, poi in Cina ad insegnarlo ai cinesi, a Città del Capo ad insegnarlo ai sudafricani…mentre via via tenterai di convincermi che tornare da Kevin col rischio di farlo soffrire ancora è la cosa giusta».

Ecco che l’aveva preso in contropiede un’altra volta.

Loro due insieme a Buenos Aires, e in Cina, e a Città del Capo, e poi chissà dove!

«immagino che papino abbia casa in tutti questi posti».

«yes dear».

«e tu hai una compagnia aeronautica».

«di tempo per convincermi ne avresti».

…era poi tanto sbagliato conciliare il dovere col piacere?

«il diavolo su come tentare la gente, da te, ha solo da imparare».

   
 
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