Anime & Manga > Digimon
Segui la storia  |       
Autore: monalisasmile    16/06/2008    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 2

Yamato Ishida si chiuse la porta alle spalle, furibondo: aveva aspettato Taichi tutto il pomeriggio e lui non si era fatto vedere. Ma appena l’avesse visto gliene avrebbe dette di cotte e di crude. Insomma, poteva almeno avvertire se non aveva intenzione di venire, no?

-      Yamato, metti da parte quel tuo muso lungo, per favore. Non vorrai spaventare i nostri nuovi vicini? –

Il padre di Yamato era un uomo alto sulla cinquantina, capelli castani e viso dai tratti marcati. Chiunque avesse visto la coppia avrebbe affermato che il ragazzo doveva aver preso tutto dalla madre. Eppure il loro legame era saldo e non litigavano quasi mai: forse perché entrambi impegnatissimi, uno con la scuola e la band e l’altro con gli studi televisivi, oppure perché avevano un carattere molto simile.

-      Onestamente non vedo tutta questa fretta di fare le presentazioni. –

-      Non te l’ho detto? – fece l’uomo.

Dall’espressione del figlio capì di non averne neppure accennato. Ed ecco che emergeva il principale difetto del signor Ishida: a momenti era terribilmente distratto, tanto che colui che si occupava della casa era sempre stato il ragazzo, anziché il genitore.

-      Kitamura è uno dei fotografi più famosi di tutto il Giappone, a mio avviso il migliore in circolazione. Mi è capitato di vedere una mostra delle sue opere: davvero stupefacente! Ha una tecnica sopraffina e il suo stile è ineguagliabile! –

-      Non ti avevo mai sentito lodare tanto il lavoro di qualcuno.- commentò, sarcastico.

L’altro sollevò le spalle: a quanto pare il figlio era proprio di malumore.

-      Beh, te ne accorgerai tu stesso se ci mostrerà qualcosa. – dettò ciò suonò il campanello.

La porta si aprì e sulla soglia si presentò un uomo sorridente. Yamato giudicò che doveva avere su per giù l’età di suo padre e come lui era alto e dai capelli castani, qua e la striati di grigio. Però la somiglianza finiva lì: la persona che avevano davanti aveva un fisico non troppo muscoloso, il viso dai lineamenti delicati coperto da un po’ di barba e caldi occhi nocciola. Sembrava un attore di Hollywood e sorrideva amabilmente. Il signor Ishida fece le presentazioni, velatamente imbarazzato: i convenevoli non erano il suo forte.

-      Ehm, buona sera signor Kitamura, ci scusi se la disturbiamo a quest’ora di sera. Siamo i suoi nuovi vicini e pensavamo di fare un salto per presentarci. Mi chiamo Eichi Ishida e questo è mio figlio Yamato. –

-      Piacere.- salutò educatamente il giovane.

-      Piacere mio, il mio nome è Hiroshi Kitamura. Mi fa piacere che siate venuti. Prego, entrate. –

-      Non vorremmo disturbare… - protestò l’altro, piuttosto debolmente a giudizio del ragazzo.

-      Nessun disturbo! Sarei felice che vi fermaste per un drink o un the. Immagino abbiate già cenato.–

Detto questo li fece entrare.

-      Mi scuso per il momentaneo disordine, ma non c’è ancora stato modo di mettere tutto in ordine. –

-      Si figuri – commentò Yamato – noi ci siamo trasferiti quattro anni fa e abbiamo ancora un paio di scatoloni nascosti nell’armadio! –

Il loro ospite sorrise divertito.

-      Beh, quand’è così…vorrà dire che non dovrò preoccuparmi di invitarvi a cena qualche volta! –

Entrarono nel salotto e Kitamura non fece quasi in tempo ad aprire bocca, che il padre di Yamato si era già avvicinato a una fotografia incorniciata e appesa alla parete.

-      Vedo che le interessano i miei lavori. – commentò il fotografo.

-      Non sono un esperto, ma ammetto di aver visto una sua mostra… e di esserne rimasto affascinato. –

-      La ringrazio del complimento. –

Poi si voltò.

-      E tu che ne pensi, Yamato? –

Evidentemente, pensò il ragazzo, il fotografo era abituato ad interagire col pubblico. Perciò si sforzò di mostrare per le sue opere lo stesso educato interesse che l’ospite aveva manifestato nei suoi confronti. Si avvicinò e osservò l’immagine con attenzione. Raffigurava una distesa d’acqua grigia dai riflessi smorzati, che suscitava una sensazione di freddo. Su tutto incombeva un cielo fatto di nuvole bigie. Il sole era una debole macchia di luce lontana.

-      È bella. – commentò.

-      E a cosa ti fa pensare? – lo incalzò l’altro, gentilmente.

-      Suppongo che rappresenti un mare d’inverno e che il suo intento fosse di trasmettere sensazioni fredde, forse la solitudine. Tuttavia non è a questo che mi fa pensare… piuttosto mi dà una sensazione di pace e piacevole silenzio. –

Kitamura parve soddisfatto, perché gli sorrise. Suo padre si guardò attorno, percorrendo la stanza con gli occhi, fino a che il suo sguardo si fermò.

-      Mi scusi, ma quelle fotografie… -

Si avvicinarono e qualcosa in Yamato fremette.

-      I paesaggi sono il mio lavoro – spiegò, osservando la figura con un’espressione d’affetto sul volto – ma nel tempo libero, anche se poco, amo ritrarre il mio soggetto preferito. –

Il giovane, dal canto suo, distolse lo sguardo, turbato: quell’immagine aveva scosso qualcosa dentro di lui. Istintivamente si ritrovò a parlare.

-      Preferisco le foto dei paesaggi. Sono più sinceri e… immacolati. –

-      Cosa vorresti insinuare?! –

Yamato si voltò e trattenne a stento la sorpresa nel ritrovarsi di fronte il soggetto che stava contemplando sulla parete giusto un attimo prima.

-      Vi presento la mia musa ispiratrice, nonché mia figlia. Rumiko, questi sono… -

-      Non mi interessa chi sono. – sbottò lei alterata – Voglio sapere che intendeva dire questo arrogante. –

-      Sono sicuro che il nostro vicino non… -

-      Ah, è pure un vicino! Quando si dice la fortuna… – commentò.

-      Se te la prendi tanto è perché sai che ho ragione. –

-      C- cos’hai detto, scusa?! –

-      Yamato… - tentò il padre, ma il ragazzo lo ignorò.

-      Io ho solo dato la mia opinione, non ti conosco perciò non vi è nulla di personale. – disse, e in parte era vero.

-      Mi stai dando dell’ipocrita?! – ora era davvero livida.

-      Non ho detto questo – le fece notare.

-      Ma è quel che pensavi, non è vero?! –

-      E chi lo sa? –

Lei tremò per la rabbia repressa, il bel volto leggermente arrossato. Poi parve avere un’illuminazione.

-      Ora ho capito chi sei: ti chiami Yamato Ishida, vero? Il cantante. –

-      Devo dedurne che sei una mia fan? – la pizzicò lui.

-      Non t’illudere – sorrise lei, malignamente – Ho solo sentito parlare di te in TV qualche tempo fa. –

-      Sembra che ti sia rimasto impresso bene nella mente. – le sorrise, provocatorio.

-      Yamato, smettila di… -

-      Non tu, ma la tua canzone. Ricordo che ho pensato “non capisco come abbia potuto raggiungere un simile successo con simile musica ”. – disse con un velo di disgusto.

-      Che vuoi dire? – si fece serio.

-      Che i gusti musicali devono essere davvero bassi da queste parti, se c’è qualcuno che apprezza la tua musica. –

-      E tu che ne sai? Sei forse un critico musicale? –

-      Ti assicuro che ho viaggiato abbastanza da farmi un buon bagaglio culturale e musicale. Ed è ovvio che la tua popolarità deriva solo dal tuo bel faccino, visto che di musica ci capisci ben poco. –

-      Rumiko! – la richiamò il padre, ma lei continuò imperterrita.

-      Pensi che comporre significa solo mettere insieme due note che rendano il pezzo orecchiabile e scribacchiare una canzoncina piena di frasi fatte? Non avessi parlato della nascita del gruppo avrei pensato fossi un idol uscito da un programma spazzatura. –

-      Ma senti chi parla: miss “nel stamparmi un sorrisetto carino in faccia e prendere in giro il mondo intero sono una professionista”! –

-      Non accetto simili offese da uno che fa lo spaccone con musica da schifo! –

-      Se non altro non indosso una maschera di ipocrisia che nemmeno il solvente per unghie potrebbe levarmi dalla faccia! –

-      Invece dicono che agli sbruffoni la levi in un secondo! Ne ho una boccetta in bagno, proviamo?! –

-      Ora basta Rumiko! –

-      Anche tu Yamato! Vi state comportando come bambini! –

Nel sentirsi riprendere in quel modo, i ragazzi si bloccarono d’improvviso, ancora scossi per la litigata. Lei si morse le labbra, sentendosi umiliata, si voltò e si chiuse nella sua stanza. Subito dopo fu il turno dell’altro abbandonare il salotto, le mascelle contratte, chiudendosi il portone numero 17 alle spalle.
Rimasti soli, i due genitori sospirarono.

-      Mi spiace, signor Ishida. Mia figlia è una brava ragazza, glielo assicuro, ma quando perde le staffe non c’è modo di fermarla. –

-      Non si deve scusare. Yamato non avrebbe dovuto provocarla in quel modo. –

-      Beh, diciamo che è stato uno scambio di idee piuttosto… -

-      Assordante. –

Sospirarono ancora e poi si salutarono, concordando che l’invito a cena era da rimandare a quando le acque si fossero calmate.

Yamato era seduto per terra, nella penombra della sua stanza. Non ricordava quando era stata l’ultima volta che si era infuriato a tal punto.
Chi diavolo credeva di essere quella per parlargli in quel modo? E poi che cavolo andava a sparare sentenze, lei che di musica non ci capiva di sicuro più della sua professoressa di fisica? Lei, che non era altro che una ragazzina viziata e ipocrita, in grado di mentire perfino all’obiettivo di suo padre.
Guardando quell’immagine, infatti, il ragazzo si era accorto della falsità di quel sorriso. Bastava osservare lo sguardo. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima: ebbene, quelle iridi viola gli erano parse… sporche, come se fossero state contaminate da qualcosa. Quando se l’era trovata davanti, poi, ne aveva avuto la conferma: la rabbia che aveva mostrato non era altro che un modo per dissimulare il turbamento che le sue parole avevano generato. Una via di fuga.
Storse la bocca. Si era fatto insultare da una bugiarda e per di più codarda. Aveva permesso che criticasse la musica, la sua musica. Ma se era la guerra che voleva, allora l’avrebbe accontentata.
Serrò i pugni fino a far sbiancare le nocche. Non avrebbe dovuto farlo arrabbiare.

Rumiko era stesa sul letto, il viso rivolto al soffitto.
Come si era permesso di dirle quelle cose? L’aveva giudicata, esprimendo il suo pensiero sulla base di una fotografia. Non ne aveva alcun diritto. Non la conosceva, non sapeva niente, niente!
Una morsa le attanagliò il cuore. Era già abbastanza doloroso così convivere con quei ricordi, ingoiando ogni lacrima, figuriamoci se ci si metteva di mezzo un vicino presuntuoso e sputa sentenze. L’aveva guardata dall’alto in basso, l’aveva umiliata davanti a suo padre… e per questo lo odiava. Per questo, e perché sapeva che aveva ragione, le suggerì una vocina petulante nella sua testa.
Però anche lei aveva detto il vero: la sua musica era orecchiabile, nulla di più. Non era in grado di suscitare alcuna emozione e per questo era vuota. Lei glielo aveva detto e lui era saltato su, poiché quello doveva essere il suo punto debole: l’incapacità di scuotere i cuori della gente attraverso le sue canzoni. C’era chi non ne era in grado e chi aveva paura di farlo, temendo che i propri pensieri e le proprie emozioni non venissero accettati. Lui, evidentemente, apparteneva alla seconda categoria, altrimenti non avrebbe reagito a quel modo. Ricordava ancora di esser rimasta piuttosto contrariata dalla sua esecuzione, del tutto impersonale, ma aveva supposto che si trattasse di una persona estremamente arida e non fosse capace di molto di più. Invece il giovane che si era trovata di fronte le era sembrato l’esatto opposto: un tumulto di emozioni, anche se a suo avviso estremamente caotiche.
L’aveva accusata di essere falsa, lui che ogni volta che saliva sul palco e strimpellava qualche canzoncina melensa abbindolava centinaia di ragazze!
Sorrise, senza allegria. Una cosa era certa: quello schifoso sbruffone, sputa sentenze, ingannatore di masse non l’avrebbe passata liscia! Non avrebbe avuto pace, finché non l’avesse implorata di perdonarlo per le offese che le aveva rivolto. Magari l’avrebbe costretto a comporre una squallida canzoncina di scuse!

Ridacchiò. In fondo l’aveva detto anche a Taichi: con era una buona idea mettersi contro di lei.

 


Continua…



 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon / Vai alla pagina dell'autore: monalisasmile