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Autore: Imafuckingunicorn    12/02/2014    1 recensioni
Ricordate le ragazze che alcuni chiamavano “strane” solo perché non si vestivano come gli altri, ascoltavano musica diversa dalla solita musica commerciale e non seguivano il solito gruppo ma cercavano di distinguersi?
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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My Peter Pan finally arrived
 

Da quando riesco a ricordare, il mio primo desiderio per il compleanno era stato Peter Pan. Si, avete capito bene, Peter Pan: il ragazzino di circa dodici anni vestito di verde, capelli rossi, quello che viveva sull'Isola che non c'è con i bimbi sperduti. Chi sono i bimbi sperduti? Sono quei bambini che sono caduti dalle carrozzine e se non vengono reclamati dai genitori dopo 24 ore vengono mandati sull'Isola con Peter. Tutti in questo mondo sanno chi è questo bambino che non cresce mai. Quante bambine hanno pregato la mamma o il papà di lasciare la finestra aperta anche durante le notti più fredde perché -Peter questa notte viene e mi porta con lui-? Beh, io ero una di quelle e, sinceramente, la finestra della mia stanza da letto è ancora aperta. Da piccola mi sedevo sul davanzale della finestra, facendo prendere degli spaventi ai miei genitori, aspettando che arrivasse o quando volevo scappare. Crescendo non ho mai dimenticato Peter Pan e alla fine tutti mi conoscevano come quella che viveva sull'Isola che non c'è, ero diventata la ragazza sempre sulle nuvole: avevo le cuffie sempre nelle orecchie che implicitamente dicevano a chi mi si avvicinava -stammi lontano. Non vedi che non voglio parlare? Sono nel mio mondo in questo momento, gira a largo-. Ero quella che aveva il naso sempre in un libro diverso e mi emozionavo pure, come se ci vivessi dentro al libro che leggevo al momento e il brutto era uscire da quel mondo e torna alla mia vita. Ero quella che a quattordici anni leggeva Shakespeare; ero quella che beveva caffé a gogo per rimanere sveglia e non crollare sul banco di scuola.

Ricordate le ragazze che alcuni chiamavano “strane” solo perché non si vestivano come gli altri, ascoltavano musica diversa dalla solita musica commerciale e non seguivano il solito gruppo ma cercavano di distinguersi? Come ci si può immaginare, io ero una di quelle strane. Ma per me, come per le persone come me, essere chiamati “strani” era il complimento più bello che ci potessero mai fare; significava che eravamo riusciti a distinguerci, a essere diverse, a non farci influenzare dal giudizio degli altri. Essere strani per noi era molto meglio che essere monotoni e uguali al gruppo.

Da ragazza sognavo Londra, le vie della moda a Parigi, la facoltà di letteratura inglese a Cambridge. Mi dicevano che sognavo troppo in grande, dovevo ridimensionare i miei desideri; secondo i miei genitori non ce l'avrei fatta, ma loro erano grandi, una generazione diversa dalla mia. La mia classe del liceo aveva un sogno in comune: andare via. Quando avevo quattordici anni l'Italia era nel mezzo di una grave crisi economica e noi non eravamo fuori dal mondo, capivamo cosa succedeva, e sapevamo che ci sarebbero voluti anni per uscirne.

Il mio sogno era diventato una sfìda personale, volevo dimostrare a tutti di potercela fare. Così, una volta finito il liceo un anno prima del previsto, ho preso un anno di pausa in cui ho lavorato per avere un po' di soldi in tasca. Ho preso un aereo destinazione Londra. Con due mie amiche avevamo deciso di andare insieme in modo da dividere l'affitto. Avevo già fatto domanda per una borsa di studio a Cambridge per la facoltà di letteratura inglese. Non so per quale strano scherzo o miracolo mi accettarono all'università! Con tanto impegno e moltissima fatica sono riuscita a laurearmi.

All'università ho conosciuto quello che ora è mio marito. Avevamo dei corsi in comune frequentando la stessa facoltà però lui era tre anni più grande di me. Appena conosciuti ci odiavamo, litigavamo su molti argomenti soprattutto Shakespeare che a lui non piaceva mentre io lo amavo. Dopo tantissimi mesi tra battibecchi e cose varie ci innamorammo. Era diventato il mio Peter Pan: quando mi vedeva chiusa in biblioteca sommersa dai libri fino a tardi faceva di tutto per distrarmi, farmi riposare o farmi staccare cinque minuti.

Dopo l'università avevamo preso casa insieme, io iniziai la mia carriera da scrittrice mentre lui era diventato professore di letteratura a Oxford.

Sono passati così tanti anni che mi stupisco di ricordare ancora tutto. Viviamo in una piccola casa di campagna nello Yorkshire. Mio marito ed io siamo invecchiati insieme tra tanti litigi e riconciliazioni. Ci amiamo ancora nonostante i miei 75 anni e i suoi 78. Amo guardare il cielo stellato la notte sulla veranda di casa, mio marito accanto a me che tiene un suo braccio intorno alla mia spalla ed entrambi teniamo la testa rivolta verso il cielo. Vediamo una stella cadente e mio marito dice di esprimere un desiderio. Ma quello che mio marito non sa è che il mio desiderio si è avverato durante il primo anno di università quando incontrai il mio Peter Pan che finalmente dopo quasi vent'anni era venuto a prendermi.

  
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