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Autore: Hi Fis    13/02/2014    0 recensioni
One shot che amplia la quest "Innocenza Perduta" di Skyrim e ne rielabora alcuni aspetti, come l'avvicinarsi alla Confraternita Oscura da parte del Dovahkiin. Connessa alle mie precedenti oneshot, può anche essere letta separatamente.
Multipli comprimari.
Genere: Azione, Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Dovahkiin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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L'ispirazione per questo pezzo ha una duplice fonte: da una parte il ritrovare a distanza di tempo alcuni "progetti" (chiamiamoli così) che non hanno mai visto la luce della tastiera e il ricordo dell'ottima raccolta di Valpur "Two Steps From Hell", che anche a distanza di tempo mantiene la sua forte carica carismatica.
Questa mia non ne è un tributo purtroppo: troppo corta per potersi confrontare, ma spero che vi piaccia lo stesso e nel caso, fatemi sapere cosa ne pensate.
Buona Lettura!


"Svegliati Costance Michel: questa è l'ultima ora."
Fu un sussurro, versato nel suo orecchio ad un'ora troppo tarda perché fosse ancora notte fonda, ma troppo presto perché il sole iniziasse già a mostrarsi.
Fu un sussurro, ma la svegliò completamente: una lama fredda sulle labbra non le permise di urlare la sua paura.
C'era un uomo chinato su di lei, e Costance seppe che era un uomo solo perché mancavano le curve che l'avrebbero reso una donna: una maschera d'oro sporco gli copriva il volto, una maschera cesellata dall'espressione cupa e grave, con solo due sottili fessure per gli occhi. Troppo spessa perché Costance potesse anche solo immaginare chi, o che cosa, quella maschera nascondesse.
Quando le labbra di Constance ebbero scaldato quel freddo bacio da assassino, solo allora la lama venne ritirata: l'uomo rinfoderò rapidamente il pugnale sotto il corto mantello nero, che gli arrivava appena alle ginocchia. Costance vide per un attimo una divisa di pelle ugualmente nera e una bisaccia dalle molte tasche di traverso sul busto: perfino le sue mani erano nascose dallo stesso tessuto.
Nella notte, Lui sarebbe stato incospicuo e totalmente silenzioso: perfino le vecchie assi del pavimento non avevano cigolato sotto il suo peso.
"Chi sei?" gli chiese, raccogliendosi le ginocchia contro il petto.
Le notti erano fredde a Riften, fredde e umide: il gelo di Skyrim risaliva ogni notte dal canale putrido della città, penetrando attraverso le finestre. Costance non possedeva una coperta per tenerlo lontano e nemmeno un vero letto in cui dormire: solo assi marce e una manciata di paglia. Erano anni che Costance non ci faceva nemmeno più caso, così come non notava più il numero di rammendi che tenevano assieme il suo unico vestito, da tempo ormai frusto e stracciato.
"...Non ci sarebbe verità nella mia risposta." scandì lentamente il suo visitatore, voltandole le spalle e muovendosi lentamente nella stanza. L'unica candela di sego gettava strane ombre su di lui, facendolo sembrare parte di esse.
L'uomo scelse per sé l'unica sedia della stanza, spostandola di fronte a lei: non fece più rumore che una goccia di pioggia.
"...E non ha importanza. Pena e Lutto sono gli attributi di questo volto..." disse sedendosi, battendo un dito contro la maschera che portava: "...usali, se è un nome ciò che cerchi."
Il suo strano modo di parlare impediva a Constance di pensare: tutta l'attenzione della donna era divisa fra il comprendere e il tenere a bada la paura.
"...Sei venuto a uccidermi?"
"La morte è una forma di libertà."
"...Non capisco."
L'uomo sospirò: la maschera che portava distorse quel rumore stranamente, nel leggero sibilo metallico di un serpente enorme.
"...Io pratico il male necessario, Costance Michel, in nome di un fine assoluto che non ha spazio per rimorsi o coscienza..." Il suo visitatore si chinò verso di lei, guardandola attraverso la sua terribile maschera: "...Io devo essere astuto, crudele e spietato: ma nemmeno io ho mai torturato bambini chiamandola educazione."
"Io...lei..." Il suo visitatore la zittì con un gesto della mano.
"Risparmiami il cumulo marcio delle scuse. I miei occhi hanno visto e le mie orecchie sentito mentre Grelod la Gentile si guadagnava il suo soprannome con le frustate, con i tizzoni, con le catene e con ogni crudeltà e sevizia atta a rendere più miserabili le sue vittime..."
Constance inghiottì a vuoto mentre il veleno di quelle parole la investiva come un'onda di piena.
"...E questa notte, ho preso la sua vita."
Fuori dalla finestra, la pioggia cominciò a cadere su Riften.
"Tu... hai..?"
"Sì. Avrei usato i suoi intestini per strangolarla, ma il pensiero di ciò che Runa, Hroar, Samuel e Francois avrebbero trovato, mi ha fermato. Domani... domani sembrerà una morte naturale: nessuna traccia, nessun sospetto, nessuna paura." disse scuotendo lentamente la testa, mentre una fiala comparve fra le sue mani, una boccetta di metallo molto piccola.
"Un nepente ed un farmaco: una sola goccia dona un sonno incantato, senza sogni o incubi. Più d'una, una morte senza dolore: più di quanto Grelod meritasse."
La fiala tornò a scomparire sotto il mantello, in un abile gesto: quando mostrò di nuovo la mano, c'era nuovamente il pugnale snudato.
"...e questo ci riporta a te, Costance Michel. Cosa farai? Cosa farai ora che Grelod non c'è più? Cosa farai per quei... bambini?"
"...Io... io mi prenderò cura di loro." disse decisa.
"Non basta..." la lama fu di nuovo su di lei, leggera come una farfalla posata sul suo collo: "... conosco la tua storia: ho visto i tuoi polsi."
Costance non rispose, ma cercò di nascondere le cicatrici che portava sotto le maniche: vecchie, orribili e tristi memorie.
"Non basta. So che Grelod ti ha accolta. Ti ha cresciuta, in questo stesso orfanotrofio: non era così hai tempi, era diversa. Era... gentile. Poi qualcosa è cambiato, ma tu sei rimasta: per un malriposto senso di gratitudine, sei rimasta. Per aiutarla. Per salvarla, ti dicevi. E poi sei rimasta per salvare altri da lei..."
"Basta..." sussurrò Costance.
"... Ma non hai mai detto niente. Anche quando Grelod è stata tutt'altro che gentile, le hai offerto solo il tuo silenzio. Ho ucciso Grelod perché dovevo, Costance Michel. Ma perché dovrei lasciarti in vita, tu che sei stata... complice per tutto questo tempo?"
Costance non seppe cosa dire.
"I bambini meritano qualcosa di meglio. Hanno bisogno di qualcuno che sia per loro ciò che il destino gli ha tolto. Una famiglia: per loro e per quelli che il destino porterà qui in futuro. Tu non lo sei stata."
Sarebbe stata quella la sua morte, pensò Constance: l'uomo le afferrò i capelli con la mano libera, come ad un amante, ma il pugnale rimase fermo contro il suo collo.
"Un nuovo responsabile di Honorhall può essere sempre trovato... Tuttavia i bambini sarebbero tristi se tu scomparissi. Non basta prendersene cura. Non basta guarire i segni che Grelod ha lasciato sui loro corpi e sulle loro anime. Dovrai andare oltre tutto questo. Il tuo primo pensiero ogni mattino dovrà essere per loro, e il tuo ultimo prima di addormentarti: fino a quando non ti guadagnerai anche tu il soprannome di Gentile, ma questa volta, sarà dato con sincerità."
"Io non ne ho..."
"... la forza? Ma vorresti averla? Devi dirmelo, Costance Michel, perché l'unica alternativa questa notte, la sola altra scelta che hai è morire: questa è l'ultima ora del resto della tua vecchia vita."
"...Io.. Io... Io vorrei." disse infine e Costance Michel scoprì di non avere più paura: "Io lo voglio." ripeté decisa, guardando la maschera dell'assassino.
 "Bevi." disse, facendo ricomparire la boccetta e facendo cadere una sola goccia sulle labbra di Costance Michel: il farmaco era insapore, ma la donna lo sentì agire subito. Il sonno l'avvolse rapidamente facendole diventare le palpebre pesanti.
"...Ricorderai tutto questo come un incubo, ma non lo sono stato. Congratulazioni, Costance Michel: questa è la prima ora della tua nuova vita."
 
Fu facile scomparire: l'assassino spense la candela soffocando lo stoppino tra tre dita e gettando la stanza nell'oscurità. Col buio e nel silenzio, si fece strada fra i letti dell'orfanotrofio, fermandosi solo un momento per aggiustare una coperta, un cuscino o raccogliere un giocattolo. Erano così strani quei cuccioli d'uomo, ma erano innocenti: per quanto oscuro e terribile lui potesse diventare, quello non sarebbe cambiato.
Il cortile dell'orfanotrofio era piccolo e sporco, ma l'albero vizzo nell'angolo fu la sua scala verso il tetto: da lì fu facile passare inosservato alle guardie, percorrendo la via area e saltando da un tetto all'altro, usando il buio e il silenzio come alleati. Nessuno lo vide mentre entrava nel cimitero di Riften, avvicinandosi al più vecchio e decrepito dei mausolei: una tomba dimenticata e sepolta dalle erbacce. Con la pratica acquisita dall'abitudine, trovò subito il simbolo nascosto: un cerchio chiuso in una losanga: una leggera pressione e la tomba si spostò di lato, scorrendo su cardini nuovi e ben oliati.
Restava solo una cosa da fare: con mano ferma, snudò il suo pugnale, stracciandosi il mantello e graffiandosi la corazza e infine, se lo piantò nella carne fino all'elsa.
Il dolore era sopportabile, anche se la ferita era solo a due dita dal fegato: un grugnito tradì il suo dolore, ma nessuno lo sentì.
Prima di procedere, spezzò la lama sulla pietra, lasciando cadere i frammenti negli interstizi delle vere tombe lì attorno: nessuno li avrebbe mai più trovati. L'elsa finì in una delle sue bisacce, come ultima prova da nascondere: se ne sarebbe liberato in un secondo tempo. Finalmente, si lasciò cadere nel tunnel segreto, richiudendo il passaggio dietro di lui: la galleria di pietra di pietra era buia come una notte senza luna o stelle, ma lui conosceva la strada a memoria. Appoggiandosi al muro, si trascinò per lo stretto passaggio, lasciando sgorgare il suo sangue dalla ferita: era grave, ma il suo corpo non gli avrebbe permesso di morire per così poco.
 
Lo accolsero mani amiche, mani fidate e voci piene di sincera preoccupazione: era facile uccidere la gente. Usarla richiedeva una mente capace: era più facile manipolare qualcuno se si perdeva tempo a conoscerlo, ma inevitabilmente questo creava affetto e simpatie, che lui cercava di ignorare il più possibile. Non ci riusciva mai del tutto: specie quando quei sentimenti erano corrisposti.
"...Capo!" urlò qualcuno vedendolo uscire dalla botola e attirando l'attenzione di tutti.
"Sto... sto bene Tonilia."
"Stai sanguinando."
Il Dovahkiin si concesse un sorriso, del tutto falso, ma convincente:
"Eh! Dovresti vedere l'altro..."
"Vipir, dammi una mano!" disse la donna, mentre si faceva passare il suo braccio sulle spalle.
"È solo un graffio." ripeté debolmente.
"Quindi per te sanguinare è un passatempo? Per la barba di Shor, se pesi." grugnì Vipir, afferrandolo per la vita e aiutandolo a camminare.
"Un uomo deve pur avere qualche vizio."
"Di solito si accontenta di alcool, ricchezze e donne lascive, senza offesa Tonilia."
"Non mi stupisco che Sapphire non ti consideri, idiota e sporco come sei..."
Lo scaricarono sul primo letto che incontrarono, mentre il resto della Gilda si stringeva loro attorno. Mani abili lo spogliarono della sua corazza e il Dovahkiin li lasciò fare: sarebbe bastato uno dei suoi semplici incantesimi di taumaturgia per chiudere la ferita, ma aveva imparato che a volte, è importante far sentire le persone indispensabili. Inoltre, mostrare la sua taumaturgia al resto della Gilda avrebbe sollevato più di una domanda inopportuna.
Vex e Herluin arrivarono rapidamente e la ladra cominciò a pulire la ferita, mentre l'alchimista preparava uno dei suoi nauseabondi impacchi: il Bretone era un discreto preparatore di pozioni e veleni, ma un pessimo cerusico. Nonostante questo, metà della Gilda si serviva da lui quando poteva.
"Largo, fate largo, muovete quelle tasche vuote...Bene, bene: questo è nuovo:..." anche senza vederlo, la voce nasale di Delvin Mallory lo fece riconoscere mentre fendeva la folla. Un uomo robusto, pelato e col naso storto, ma un abile truffatore e un contabile fedele alla Gilda.
"...Sembra che il boss abbia finalmente trovato qualcuno in grado di metterlo in difficoltà." disse, sedendosi pesantemente sul letto e offrendo al Dovahkiin una caraffa piena di liquore: "Bevi." ordinò.
"...Dannazione, cosa c'è dentro Mallory? Biancheria sporca?"
"Solo per dargli un po' di sapore." rispose Delvin facendo spallucce.
"Spero almeno che tu abbia restituito il doppio di quanto hai ricevuto, capo..." sibilò Vex mentre cominciava a ricucirlo: "...sarebbe un disonore, altrimenti."
"Almeno una costola... AH! Vex dove diavolo hai imparato a ricucire? Non sono una bambola di stracci, maledizione."
"Strano, ti lamenti proprio come una bambina."
"Allora perché dopo non mi fai le trecce?"
Stranamente Vex non gli rispose male come al solito.
"... E si è portato via il mio pugnale nella coscia. Figlio di un cane."
"È scappato?"
"Sì... mi ha colto di sorpresa fuori da Honorall. Mai visto prima. Un Altmer, ma era troppo buio per vederlo in faccia."
"...Ha colto te di sorpresa, capo?" Brynjolf, un nord con una chioma color sangue emise un fischio di ammirazione: "Non qualcuno che mi piacerebbe incontrare."
"Lascialo a me. Una freccia dall'angolo più buio é il solo preavviso che avrà."
"Karliah! Non sapevo che fossi già tornata."
La bella elfa scura dagli occhi viola sembrava sempre comparire dove meno era attesa: aveva ancora addosso la sua armatura da Nightingales, i leali servitori di lady Nocturnal, Principe Daedrico della notte e della fortuna. Per una volta, aveva lasciato i suoi capelli castani liberi dal cappuccio che sembrava portare sempre:
"Sono venuta appena ho saputo. Fatti da parte Vex, ci penso io da qui." La donna rispose con uno sbuffo, ma obbedì.
"...È solo un graffio." ripeté debolmente il Dovahkiin, ma Karliah scosse la testa mentre chinava su di lui:
"Per le Ombre... ci sei andato davvero troppo vicino."
"Ma sto bene. Sono qui."
"E adesso cosa facciamo capo?"
"Garthar: non ti ho voluto nella Gilda per il tuo aspetto. Cerca almeno di usare quel cervello che hai in mezzo alle orecchie." abbaiò Vex: l'imperiale era collerica e aspra, ma sembrava più turbata del solito.
"Buoni voi due... adesso? Adesso aspettiamo il mattino Garthar. E non appena il sole è sorto vi voglio fuori di qui a cercare informazioni: Vex, vedi se riesci a trovare qualche pista attorno alla città, prima che la pioggia lavi via tutto."
La donna assentì col capo, scattando in piedi e correndo verso il tunnel segreto.
"E quando lo troviamo?" chiese Thrynn scrocchiandosi le nocche: l'ex bandito aveva già bene in mente cosa fare. Le vecchie abitudini sono dure a morire.
"Se lo troviamo, gli chiediamo di unirsi a noi..." Il Dovahkiin alzò la mano in un gesto pacificatore per zittire tutti quanti:
"Sapete bene che solo Karliah potrebbe cogliermi di sorpresa..." uno svagato colpo di tosse lo interruppe: "...E forse Brynjolf, se sono ubriaco."
Prima di continuare, lasciò che le risate si quietassero:
"Qualcuno che riesce a cogliermi di sorpresa potrebbe essere un gran nuovo elemento, ma per trovarlo ci servono informazioni... Dannazione Mallory: non ho mai bevuto qualcosa di così schifoso, portami qualcosa che non sia letteralmente sudore della tua fronte... frugate ogni taverna e ogni stalla. Battete le strade secondarie e mettete una taglia ragionevole su ogni informazione su un Altmer che si trovava a Riften questa notte. Voglio sapere chi era e cosa faceva a Honorhall: se è un ladro non affiliato che non ha ancora saputo che la Gilda è di nuovo in azione, un residuo delle Ombre di Sommerset o qualcosa d'altro. E adesso aria gente: chi non ruba, non guadagna."
Solamente Karliah e Brynjolf rimasero indietro, mentre il resto della piccola folla si disperdeva:
"Continuo a pensare che sia stupido e inutile." disse l'elfa senza preamboli.
"È qualcosa che devo fare."
"O è qualcosa che pensi di dover fare, capo?"
"... C'è differenza? E non chiamarmi capo Brynjolf. Non ero interessato alla carica quando sono entrato, e non lo sono adesso che ho rimesso in piedi la Gilda."
"Senti, so che il Dovahkiin ha il suo destino e tutte le leggende.... ma siamo ladri: il destino del mondo non dovrebbe riguardarci."
"Io sono il Dovahkiin, Brynjolf: non posso permettermi di pensare a me stesso come a qualcos'altro. Con voi sono stato sincero fin da quando Karliah ha deciso di fare di noi Nightingales: mi servivano spie capaci di passare da una parte all'altra degli schieramenti nemici di questa Guerra Civile. La Gilda dei Ladri era perfetta per lo scopo. Diventarne capo è stato un effetto collaterale, ma non ho mai cercato il posto: mi è piovuto addosso."
"Fortuna che sai nuotare." borbottò il Nord.
"...Quello che Brynjolf è troppo timido per dire è che nonostante questo ti abbiamo nominato come capo della Gilda."
"E continuo a non capire perché..."
"Guardati attorno!" disse il Nord, gettandosi le mani nei capelli: "Sono un ladro da anni, ma prima che arrivassi tu non sono stato capace di accorgermi che Mercer rubava dai nostri forzieri. O di rimettere in sesto la Gilda dopo che l'abbiamo ucciso. E adesso vuoi andare a infilarti nella tana della..." Brynjolf non osò dire quel nome.
"...Chiamiamoli i nostri fratelli in rosso. E secondo il vecchio Delvin, c'è almeno un motivo per cui devo farmi invitare nel loro santuario."
Un muro di pietra, con incise le rune della lingua dei draghi. Perché non importava quanti dei suoi "fratellastri" il Dovahkiin avesse ucciso fino a quel momento, divorandone le anime: ancora non sentiva di avere il potere sufficiente per sfidare Alduin, il primo dei Draghi, il maggiore dei figli di Akatosh. E quindi il Sangue di Drago raccoglieva ogni goccia di potere che c'era a Skyrim, inseguendo miti e leggende, cercando antichi ed arcani segreti.
"E dimentichi che non è la prima volta che faccio qualcosa del genere..."
"A proposito: perché un Altmer?"
"Una Altmer... " rispose il Dovahkiin facendogli l'occhiolino: "...Ho bisogno di cambiare d'abito: questo comincia a starmi stretto."
Non era la prima volta che il Sangue di Drago cambiava identità: il Collegio di Winterhold era una accademia separata dal mondo esterno dalla paura che i Nord di Skyrim nutrivano per la magia. Raramente notizie di qualche tipo giungevano fino alle sue mura e quindi non era stato necessario iscriversi in incognito per studiare la magia. I problemi erano venuti dopo: l'Araldo dei Compagni non avrebbe mai potuto mischiarsi alla gilda dei Ladri e così il Dovahkiin aveva assunto un nuovo aspetto e una nuova identità: una potente illusione alimentata dagli incantesimi racchiusi nell'orecchino che portava, che gli dava un volto insolente e beffardo, occhi azzurri e capelli ricci neri di un meticcio fra un Nord ed un Imperiale e che rispondeva al nome di Marcus Ala Nera, un tempo un marinaio, ora un ladro.
A parte il circolo dei Nightingales, nessuno sapeva che Marcus Ala Nera era in realtà un Argoniano, che ora si apprestava a cambiare ancora identità per infiltrarsi nella Gilda degli Assassini, alla disperata ricerca di qualcosa che potesse indicargli una strada verso la sconfitta di Alduin.
"...Ma non ho intenzione di rinunciare alla Gilda: continuerò a mandare i doppioni di ogni chiave su cui metterò le mani e mappe per i nostri archivi."
"Così come ogni artefatto magico va al collegio di Winterhold."
"E le mie frequenti visite a Whiterun." completò il Dovahkiin: "A proposito Karliah: più tardi questo mese, apri un credito presso Maven Rovo Nero usando la mia parte dei bottini. Assegna Sapphire alla sua gestione contabile e fa in modo che versi un quantitativo di non meno di... 600 septim d'oro pagati subito all'orfanotrofio di Honorhall, e altri 200 ogni mese più una piccola parte per eventuali emergenze. Da parte di un... anonimo benefattore."
"È uno spreco. E Maven vorrà sapere perché la Gilda versa soldi all'orfanotrofio."
"Meno di quanto pensi: i soldi non ci mancano più Brynjolf. E tempo di fare qualcosa di stupido... e disinteressato con essi. E metti Delvin a controllare in segreto che i versamenti vengano fatti: Sapphire dovrebbe aver perso la voglia di tentare di aggirare la Gilda, ma voglio esserne sicuro." aggiunse il Dovahkiin pensieroso.
"La piccola Sapphire ci rubava in cassa?"
"Diciamo che era un modo creativo di non pagare il tributo a Mercer Frey. Se ha perso davvero il vizio, promuovila fra... cinque, sei mesi: potrebbe affiancare Vex nei lavori di infiltrazione, se perdesse il vizio di accoltellare la gente quando commette un errore."
"E per Maven?"
"Dovrai usare tutto il tuo fascino Brynjolf, ma sono sicuro che riuscirai a convincerla: dille che sarà un bene per l'immagine della sua famiglia o qualcosa del genere. Con suo figlio in prigione e sua figlia che si addestra per diventare un'avvelenatrice, sono sicuro che non incontrerai grosse resistenze. I soldi non sono loro, ma ne avranno tutti i benefici: questo dovrebbe bastare a frenare la sua curiosità. Oppure digli che è per verificare l'onestà di Delvin..." concluse a voce più alta, mentre il tozzo contabile e truffatore, ed ex assassino, si avvicinava di nuovo a loro portando una bottiglia panciuta con sé.
"Bah... ti sei fatto accoltellare come uno stupido. E dovrò delegare un sacco di lavori a Vex, mentre tu rimani ad ingrassare e a farti riverire come una vecchia duchessa." disse passandogli al volo una bottiglia, che Marcus afferrò al volo.
"Delvin, mi ferisci: la mia vita non sarà mai interessante come gli aneddoti del tuo passato. Ah! Brandy di Cyrodill... ti costava poi molto tirarlo fuori subito?"
Per tutta risposta, Delvin gli fece un gestaccio con una mano, andando a cercare sollievo alla Caraffa Rotta, la taverna delle fogne che era il fronte più pubblico della Gilda dei Ladri.
Non appena se ne fu andato per la seconda volta, il Dovahkiin prese la fiala che aveva già mostrato a Costance quella notte e ne versò una goccia nel brandy: era troppo chiedere un sonno senza sogni, incubi, visioni o rimorsi? Era troppo chiedere un sonno ristoratore?
Il Dovahkiin cadde addormentato prima ancora di aver finito il secondo sorso, cominciando a russare sonoramente: toccò a Bryonjolf togliere gli stivali al suo capo, e stendere un mantello sopra di lui.
Il latrocinio gli scorreva nelle vene, questo era poco ma sicuro: tuttavia il Nord non lo invidiava affatto. Probabilmente, era nel destino del Dovahkiin eccellere in tutto senza provare soddisfazione in niente: una vita disperata, ma cosa poteva fare lui, un ladro mortale, per aiutarlo? Brynjolf scosse la testa guardandolo: erano pensieri futili a quell'ora.
"Che ore sono?" chiese a Karliah.
"Sara presto tra poco." rispose l'elfa.
"...una nottata di buon sonno sprecata. Me ne vado a dormire almeno per un paio d'ore... vieni anche tu?"
"Devo sistemare il mio bottino..."
Brynjolf rispose con un lungo sbadiglio, scompigliandosi i capelli rossi:
"Ci sarà anche domani, 'Liah."
"Non ci metterò molto..."
"Come vuoi, ma prima o poi dovrai dirmi a che progetto tu e ... Marcus state lavorando."
"Un vecchio cimelio senza importanza."
"uh uh..." rispose il Nord, trascinandosi verso il proprio letto.
"...Solo un vecchio cimelio di famiglia." sussurrò Karliah, guardando Marcus dormire.
Che strano... prima di incontrarlo, la sua famiglia non aveva mai avuto importanza per lei: ma da quando lui le aveva mostrato le gemme della corona di Barenziah... qualcosa era scattato.
Karliah aveva sempre saputo che sua nonna materna era stata la più famosa regina Dunmer di tutti i tempi, ma il fatto che lui l'avesse aiutata a provare la sua innocenza di fronte alla gilda e la stesse aiutando ora a recuperare le gemme di quella corona, e che ormai ne mancasse solo una per completare la serie ... Karliah si chinò su di lui per osservarlo da vicino, insicura su cosa stesse per fare.
il Dovahkiin, che cercava sempre di fare il bene quando poteva, accontentando anche le più stupide richieste che nulla gli avrebbero fatto guadagnare: non avrebbe mai potuto accettarlo, ma Karliah, Brynjolf e chissà quanti altri, erano pronti a testimoniare che il Dovahkiin era una persona migliore di quanto pensasse di essere, vittima di un destino che non aveva scelto e che lo costringeva a farsi carico di un peso che sembrava troppo grande per portarlo da solo...
"...Brelyna." borbottò Marcus nel sonno.
Karliah si allontanò senza fare rumore: quando venne il mattino, Brynjolf la trovò ancora sveglia a contare il suo bottino.
  
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