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mi appartengono
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Gold’N’Fish
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«Saresti potuto venire, la torta era ipocalorica.»
Mycroft dubita che una qualsiasi
torta nuziale contempli la possibilità di essere ipocalorica –Fa parte dell’intrinseca,
ricciolosa, zuccherina bontà delle torte nuziali, è una condizione sine qua non. Al tempo stesso, dubita anche
che Lestrade l’abbia chiamato al solo fine di sfoggiare un’imbarazzante
ignoranza circa la differenza tra ipocalorica
e subdoli tentativi di farmi mancare
la dieta, quindi poco ci vuole prima che l’esordio venga sbriciolato e
nascosto sotto il tappeto persiano della propria mente.
«Come ho già opportunamente detto al
mio caro fratellino» replica, mentre sistema il nodo della cravatta con due
dita e si adagia contro lo schienale «Dubito che gli ora coniugi Watson
avrebbero apprezzato la mia presenza.»
Un grugnito soffocato dall’altra parte
del telefono, il maggiore dei fratelli Holmes si concede il lusso di alzare l’angolo
della bocca in un sogghigno divertito.
«Bhè, sarebbe stata più apprezzata
del…» un istante, un breve tentennamento, un calcolo numerico approssimativo ostacolato
da una soffusa ubriachezza «Dell’ennesimo flute che ho appena afferrato.»
«Oh, andiamo. Si tratta solo di qualche
bicchiere.»
«I pesci rossi non nuotano così bene nell’alcool, te lo hanno mai
detto?»
Una risata sfugge al controllo, canzonando ogni contegno, e
nell’istante in cui gli abbandona le labbra, Mycroft accavalla le
gambe, le dita a tamburellare sul ginocchio.
«Pensavo la trovassi una storiella
divertente.»
«Si vede che l’ho dimenticato: la
memoria dei pesci rossi dura soltanto cinque secondi, lo sapevi?»
Un sospiro esasperato nel scuotere la
testa; le spalle dell’uomo si sollevano in un gesto così genuino che è quasi un
peccato Lestrade non sia lì a goderselo –E a rinfacciarglielo.
«E’ solo una diceria informatica,
Gregory» ribatte, reclinando la nuca contro la curva morbida della poltrona;
sposta un poco il capo, la guancia sfiora appena il tessuto color borgogna e
gli occhi sorvolano noncuranti i passettini baluginanti della luce sul
pavimento «Sherlock se n’è già andato, non è vero?»
«Involato nella notte come un dannato
pipistrello col cappotto.»
C’è una nota distinta e amara nella
voce di Lestrade, un reflusso sintomatico di bile, un non-detto ringhioso,
tagliente, semi-nascosto dietro le sillabe smozzicate.
Mycroft socchiude le palpebre, una
ruga s’affila a segnare la linea immaginaria che attraversa la congiunzione
delle sopracciglia; la bocca s’apre un poco, prima di serrarsi ed ingoiare il
pronto ribattere ad un dialogo a botta–e-risposta, la cui inutilità è
abbastanza palese da rendere necessario sopprimerlo sul nascere.
«Gli avevo detto di non farsi
coinvolgere» commenta, invece, le dita che camminano lente a disegnare il
profilo della rotula.
«Già.» l’amarezza si fa frustrazione,
il tono gelido «Tu sei piuttosto bravo in questo genere di cose.»
Una simile constatazione sorprende
Mycroft quel tanto che basta a fargli drizzare la schiena. Il collo scatta a
posizionare la testa su un vigile At-tenti!,
la mascella si contrae, illividisce.
«Gregory, sei ubriaco?» indaga con fredda,
giocosa facezia; l’espressione sul volto si è congelata, cristallizzata in
vibrante fastidio.
«Forse.» il maggiore degli Holmes può
ritenere senza dubbio alcuno che un ghigno obliquo, incolore, ha appena
tagliato i lineamenti perfettamente squadrati di Lestrade «Ma sono un pesce
rosso, no? Cinque secondi e l’avrò già dimenticato.»
Quando la telefonata si chiude,
Mycroft abbassa il braccio e lo distende sulla coscia. Impugna il cellulare tra
le dita, lo fa dondolare un paio di volte, sostiene il mento tra il pollice e l’indice
della mano libera, il medio sospeso sul labbro inferiore.
La luce balbetta notturna contro la
finestra e Mycroft comincia a contare.
Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque.
Lestrade non richiama, il telefono è
cocciuto, zitto, muto.
Ah, già, considera fra sé il maggiore
degli Holmes, E’ solo una diceria informatica.