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Autore: phoenix_esmeralda    13/02/2014    6 recensioni
"Ciò che il Granduca Roman Fedar chiedeva ai baroni e ai conti delle sue nuove terre acquisite era la più completa sottomissione, che si riconduceva all’offerta delle proprie primogenite per il suo già gremito harem. Chiunque negasse il proprio personale contributo, veniva oppresso e schiacciato fino a ridursi a veder morire di fame la propria gente. Così, uno alla volta, tutti i signori si erano ritrovati a cedere e ad offrire le proprie figlie in sacrificio per il bene delle proprie terre; erano rimasti in pochi ancora a resistere e mio padre era stato, fino a pochi giorni fa, tra quelli. Ma la situazione si era fatta insostenibile e, dopo lunghe riunioni familiari, era stato decretato il mio sacrificio.” Quarta classificata allo "Spoon River Contest" di ZKaoru69. Premio Speciale Romance Terza classificata al contest "Love is..." di milla4 Premio Speciale Miglior Personaggio Femminile
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Contesto generale/vago
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16

 

 

L’uomo entrò di prepotenza nella mia stanza, subito dopo la colazione. Era sulla trentina, biondiccio, con le guance scavate e le braccia eccessivamente muscolose.

- Prepara i tuoi bagagli – mi disse, secco – Parti fra mezzora.

Pensai che avesse sbagliato stanza, sbagliato persona.

- Io sono Helaida d’Orca, tu chi cerchi? Sono qua solamente da quattro giorni.

-  E resteranno i tuoi unici quattro giorni, ti riporto a casa. Forza, metti insieme le tue cose!

Io invece rimasi immobile, imbambolata.

- Avanti ragazza, non ho molto tempo da perdere! Il Granduca ci mette a disposizione il calesse con i cavalli più veloci per accelerare i tempi del nostro viaggio: devo tornare il prima possibile per prendere in mano la gestione dell’harem.

- La prendi in mano tu? E... Tristan?

Lui fece un cenno dispersivo con il braccio e mi spinse verso l’armadio.

- Muoviti, adesso, ritorno fra poco.

- Ma se torno a casa, il mio popolo morirà di fame!

-  No, le condizioni resteranno le stesse. E ora sbrigati!

Se ne andò sbattendo la porta e lasciandomi nel più completo stato confusionale.

Andare a casa. Le condizioni non cambiano. Tristan... destituito.

Ma che cosa sta succedendo?

Mettere insieme le mie cose fu questione di qualche minuto: ero arrivata con poco, me ne andavo con ancora meno. Indossai il mio vecchio vestito, ormai ricucito, e legai i capelli con il mio nastro azzurro... ricucito anch’esso. Le altre ragazze però iniziarono ad affollarsi alla mia portafinestra, curiosando, chiedendo prima in modo discreto, poi sempre più diretto.

- Non lo so, non capisco – ripetevo io, stralunata – Non mi ha spiegato niente!

Poi Suhanna fece capolino fra le altre – Ho sentito io delle voci, mentre stamattina ci servivano la colazione... Sembra che Tristan abbia fatto uno scambio con il Granduca, per liberare Helaida.

Trasalii – Quale tipo di scambio?

- Io ho sentito solo questo – rispose, scuotendo la testa - Ieri sera è andato sul tardi nelle stanze di Roman Fedar e hanno stilato un patto. Da quel momento, nessuno ha più visto Tristan.

Non feci in tempo a elaborare la notizia, perché il tizio biondiccio tornò come un ciclone nella mia stanza.

- Sei pronta? I cavalli ci aspettano.

Non mi lasciò neppure il tempo di congedarmi dalle mie compagne, mi appoggiò le dita alla schiena sospingendomi lungo i corridoi e tenendo con l’altra mano la mia borsa semivuota.

- È vero che è stato Tristan a volermi libera? Che cosa gli è successo? – domandavo a ripetizione, ma quell’uomo, di cui neppure conoscevo il nome, mi incitava a fare presto senza dare una sola risposta.

Il calesse ci aspettava con i cavalli già attaccati e, spronata dal mio accompagnatore biondo, stavo per montare, quando dal nulla un ricordo mi attraversò la mente.

“Ogni richiesta, per il Granduca, vale una vita. Ha ucciso mia sorella,, per smettere di torturare me. E poi me l’ha detto, per farmi comprendere che l’avevo ammazzata io. Quindi non chiedergli mai niente, Helaida, non fargli richieste, perché se le esaudirà, vorrà dire che avrai la morte di qualcuno sulla coscienza.”

Mi bloccai all’improvviso, raddrizzando la schiena e costringendo il mio accompagnatore a lasciarmi.

- Morirà, vero? – gridai – Ha accettato di morire per liberarmi? O è già morto? Oh, ti prego...!

Lui cercò di afferrarmi per le braccia, ma mi dimenai – Dimmi la verità, devo saperlo, ho bisogno di sapere!

- Non è ancora morto – sibilò lui – Ma sì, lo sarà presto: ha fatto uno scambio con il Granduca per poterti liberare. Quindi sii contenta del dono che ti è stato fatto e smettila di agitarti, ti conviene tenere un profilo basso e dartela a gambe il prima possibile.

- Voglio vederlo.

- Dobbiamo partire, Helaida. Il Granduca non mi ha dato molto tempo.

- Ho bisogno di vederlo, altrimenti non partirò! 

Mi scostai da lui e feci per scappare via, ma mi afferrò per il vestito.

- Sei stupida? Qualunque ragazza dell’harem di Roman Fedar pagherebbe con il sangue per salire su quel calesse. Vuoi andartene sì o no?

- Certo che voglio andarmene – dissi, mentre le lacrime iniziavano a inondarmi il viso – Ma non a costo della vita di Tristan. Fammi parlare con lui, fammelo vedere...

I singhiozzi funzionarono più della mia furia, l’uomo si guardò intorno e poi, prendendomi per un braccio, mi guidò lungo le mura del palazzo.

- Seguimi e fai silenzio, ti porterò da lui, ma dovrai salutarlo velocemente.

Mi fece girare lungo le mura, tra l’erba, finché mi indicò alcune fessure nella parte più bassa della parete - Queste sono le feritoie della prigione, ti farò entrare, ma non ti aspetterò a lungo.

Scendemmo alcuni scalini nascosti tra l’erba e aprimmo un piccolo cancelletto cigolante, entrando nei sotterranei della Roccaforte.

Un uomo grosso, dalla fronte alta e arrossata, ci venne incontro.

- Lascia entrare la ragazza – disse il mio accompagnatore – Vuole salutare Tristan.

Lui mi lanciò un’occhiata sbilenca – È la ragazza che ha salvato? La lascio entrare, ma la responsabilità è tua.

Aprì una porta bassa e stretta, pesante quanto scura, facendomi accedere ad una stanzetta minuscola, buia e carica di umidità.

- Tristan?

Un movimento nell’angolo destro attrasse la mia attenzione.

-  ...Helaida?

Lo vidi accartocciato contro il muro, una massa informe, priva di contorni.

- Tieni  – Alle mie spalle, l’uomo biondo mi passò una candela accesa – Ti aspetto fuori.

Appoggiai la candela a terra e osservai la figura di fronte a me farsi pian piano più distinta: i capelli di Tristan, poi i contorni del suo viso, gli occhi, scurissimi a quella poca luce. E il sangue. Sangue sui suoi vestiti e sul pavimento attorno a lui.

Diedi in un gemito strozzato e mi coprii la bocca con le mani, ma le lacrime tornarono a scorrermi a fiumi dagli occhi.

- Helaida, smettila – mormorò lui, in un filo di voce – Ho fatto questo per vederti sorridere, non piangere.

Questo non fece che aumentare i miei singhiozzi, la mia tristezza.

- Basta, piangere – ripeté lui, stavolta con più forza – Non sopporto più di sentir delle ragazze piangere.

Cercai di trattenermi, respirai a fondo e rimangiai i singhiozzi come potei; ma vederlo in quelle condizioni mi straziava più di quanto avessi ritenuto possibile.

- Che cosa hai fatto? – sussurrai – Perché ti ritrovo qui? Perché mi riportano a casa? E tuo fratello, Tristan?

- Ho scambiato la mia vita per la tua liberazione, e ci ho aggiunto una buona dose di sofferenza per la certezza che nessuno avrebbe toccato mio fratello – lo vidi sorridere, ironico nonostante tutto – Non potevo offrire due vite, sai.

- Ma perché?

Allungò una mano verso di me e l’afferrai, stringendola delicatamente perché tutto in lui vibrava di dolore.

- Alla fine ho capito quello che intendevi dire. Ho trascorso gli ultimi anni assimilandomi alla mentalità di Roman Fedar, trasformando la sua verità nella mia, convinto che fosse la strada giusta per sopravvivere, per non soffrire. Ma, così facendo, ho perso il rispetto per me stesso. E me l’hai detto tu, Helaida.

- Ero arrabbiata, quando te l’ho detto – protestai.

- Ma tu non lasci mai che la rabbia inquini le tue parole. Ho capito che avevi ragione, quando ho visto come affrontavi il Granduca, i suoi tormenti... e  persino i miei. Non voglio più vivere come ho fatto finora, voglio riguadagnare il rispetto di me stesso, la mia dignità.

- Non è  necessario morire, per ottenere questo!

-  “Nel sacrificio c’è onore, poiché si offre la propria vita per il bene altrui.”  Sono parole tue, lo ricordi? Aspiro a questo... e non solo.

Fece una pausa, respirando velocemente per tenere a bada il dolore che sentiva.

O forse, soltanto per trovare le parole giuste. Quelle che seguirono.

- Non sopporto che il Granduca ti sfiori. Voglio saperti al sicuro con la tua famiglia... Quella tua famiglia pazza che crede che il bene produca altro bene, che il perdono sia più importante dell’odio e che un nastro di poco prezzo valga quanto un tesoro inestimabile. È là che devi restare: amata, inviolata... E fare del bene come solo tu lo sai fare, Helaida.

Altre lacrime cominciarono a uscire, il cuore mi faceva male come se qualcuno mi martellasse il petto con un sasso acuminato.

- Avevi ragione tu, vedi? – riprese – Persino da me, ti ritorna quel bene che mi hai dato. Da me, che ero diventato vuoto e freddo e sterile.

Scossi la testa, quasi senza respiro.

- Come faccio ad andarmene lasciandoti qui? Senza sapere per quanto dovrai soffrire o fino a quando vivrai?

- Pensa che sono in pace, solo quello.

- Non avrei dovuto parlarti, non avrei dovuto dirti niente!

Un po’ di quell’antico scherno gli comparve sul volto – Vedo che avere ragione non ti dà proprio soddisfazione - Allungò un braccio e mi accarezzò il viso – Se hai voglia di fare qualcosa per ringraziarmi, lasciami quel nastro.

Annuii fra le lacrime e me lo sfilai dai capelli, poi lo girai attorno al polso di Tristan una, due, tre volte e lo fermai con un nodo.

Lui lo osservò qualche istante e poi si chinò in avanti, slacciandosi dalla caviglia quella benda di stoffa che gli avevo legato solo la sera prima. Era ancora pulita, perché la sua gamba era ormai guarita; me la porse e io mi acconciai i capelli con quella.

Non c’era altro che potessimo offrirci l’un l’altra, in ricordo di un legame nato in silenzio e d’improvviso così intenso, così importante da valere una vita.

- Ragazza, sbrigati, dobbiamo partire! – urlò la voce del tizio biondo, appena fuori dalla porta.

L’ansia mi sopraffece.

- Le tue ferite...posso fare qualcosa per te? Posso...

- Helaida – la sua voce era grave, ma gli occhi lo tradivano – Non hai intenzione di andartene senza baciarmi, vero?

Scossi il capo, sbigottita.

Con cautela mi accostai a lui; sapevo che doveva sentir male, ma mi strinse, imbrattandomi di polvere e sangue. Non ero mai stata abbracciata con tanta forza e non avevo idea che il corpo di un uomo potesse essere così solido, così vigoroso e  nel contempo trasmettere protezione... e dolcezza.

Lo baciai, o mi baciò lui, non compresi bene ciò che accadde, ma ci perdemmo in sensazioni  violente, così struggenti da squarciarmi il petto.

- Adesso è proprio ora di andare! – tuonò il mio accompagnatore biondo, piombando nella cella.

Ci staccammo a fatica, il corpo di Tristan sembrava essersi incollato al mio.

- Ti prego, sii contenta, Helaida – mi sussurrò, lasciandomi andare – Voglio pensarti felice.

Annuii, ricacciando il nodo d’angoscia dalla gola allo stomaco... E poi qualcuno mi prese per le braccia e all’improvviso ero fuori di lì, fuori dalla cella e fuori dalla Roccaforte, in bilico su un calesse lanciato a tutta velocità.

Per molte ore, il cuore mi rotolò nel petto così dolorosamente da offuscarmi la vista e il pensiero. Mi accucciai, nella notte, tenendomi aggrappata a quella fascia che Tristan mi aveva lasciato e, nell’oscurità, non mi accorsi di nulla di insolito.

Solo alla luce del sole, il mattino dopo, vidi che non era esattamente come quando gliel’avevo data.

 

 

  
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