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Autore: The queen of darkness    13/02/2014    1 recensioni
Non sempre nella vita prendere i pezzi di quello che è stato e metterli insieme per formare quello che sarà è semplice.
Tuttavia, delle volte ci si riesce.
E se si fallisce, si è pronti a cadere. Ma con la consapevolezza di averci provato, e di essere stati vicini al risultato.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Jane, come sempre in prossimità del periodo natalizio, cominciò freneticamente a sistemare la propria stanza per renderla adatta ai futuri controlli settimanali, studiò forsennatamente fino alla fine degli esami che concludevano il trimestre e si impegnò a fondo per portare avanti la tradizione delle liste per "i propositi dell'anno nuovo".
Era una cosa che tutti i ragazzi erano incoraggiati a fare, visto che gli psicologi nella struttura erano tutti concordi nel dire che questo espediente servisse all'organizzazione delle loro abitudini. Inoltre, forniva una sorta di materiale per studiare i progressi mentali fatti da ognuno di loro, e quanto ancora le perdite dei parenti segnassero le loro vite.
La settimana precedente al venticinque dicembre la passò alla Casa, dividendosi fra l'imparare nozioni e lo spolverare le varie superfici di camera propria. Malcolm l'aveva avvisata che i suoi genitori si erano presi il primo periodo di ferie della loro vita e, per digerire il fatto di essere entrambi bloccati in casa senza nulla da fare, avevano deciso di usufruire di gran parte delle settimane arretrate. Aveva comunque promesso che sarebbe andato a trovarla il giorno di Natale, per portarle il regalo che le aveva comprato e per farle gli auguri.
Lei portava pazienza, pensando a quanto difficile dovesse essere per lui sopportare quelle costanti presenze che, per tutta la vita, aveva imparato a ritenere effimere.
Proprio mentre stava facendo ritorno alla Casa al termine del suo ultimo giorno di scuola, il suo telefono prese a ronzare.
-Sì? - chiese, non riconoscendo il numero.
-Jaaane? Sono io, sono Kim! - cinguettò la bambina.
-Oh, ciao! Come stai?
-Benissimo! - assicurò lei. -Mamma e papà hanno promesso che rimarranno a Natale con noi, sai? Era da tantissimo tempo che non lo facevano più!
La ragazza sorrise fra sé e sé, fingendo di non esserne al corrente. La ascoltò descrivere entusiasticamente la novità, senza interromperla nemmeno per un attimo. Silenziosamente, guardò l'orologio: aveva promesso al signor Barnowsky che sarebbe andata a trovarlo, quel pomeriggio appena dopo scuola (o meglio, lei aveva fatto la proposta e lui aveva grugnito una sorta di assenso, pulendo i pennelli, per poi dirle che tanto valeva che si fermasse a casa sua per pranzare). Probabilmente, pensava, l'uomo sarebbe stato condannato a mangiare un qualcosa di precotto in solitudine ma, con un certo disappunto, le aveva veementemente impedito di cucinargli qualcosa alla sua offerta di preparargli almeno un unico pasto.
Tuttavia aveva risparmiato i soldi guadagnati dal suo lavoro da Kim proprio per fare i regali alle persone più importanti della sua vita di allora, e non avrebbe accettato un rifiuto quando si trattava di doverglielo portare; su questo era riuscita a farlo desistere. Teneva il pacchetto saldamente stretto nella cartella, preda dell'insensato timore che potesse romperlo.
-Quando mi vieni a trovare? - chiese all'improvviso la piccola.
-N...non lo so - rispose la ragazza, presa alla sprovvista. -Spero presto, perché ho un regalo anche per te.
-Che bello! E che regalo è?
-Questo non te lo posso dire; è una sorpresa. 
-Va bene... - concesse, a malincuore, la bambina. -Però vieni presto, perché è da tantissimissimo che non ci vediamo!
Quel tono squillante rischiava di renderla sorda. La ragazza sorrise, e la rassicurò dicendo che si sarebbero viste il prima possibile.
-Adesso devo andare - spiegò Kim, - a papà serve il telefono. 
-Va bene - disse Jane, - ti richiamo io sul telefono di Malcolm prima di Natale, ok?
La bambina si trovò d'accordo, e riattaccò ridacchiando per chissà cosa. Quella telefonata aveva reso Jane più allegra, perché voleva dire che non si era del tutto dimenticata di lei.
Mandò un breve messaggio a Flinn, per chiedergli di avvisare Jeff alla Casa che non avrebbe partecipato al pranzo comune. Si disse che avrebbe dovuto farlo per diverse settimane consecutive ogni giorno, e che per una volta poteva anche saltare; in fondo non si trattava mai di pasti allegri, ed erano per lo più riunioni silenziose dove si cercava di sbocconcellare il più possibile per allontanare i sospetti di una possibile crisi d'alimentazione.
Camminando velocemente riuscì a raggiungere la casa del professore relativamente in anticipo. Era stanca e, nonostante avesse voglia di parlare con lui e l'idea di fermarsi a mangiare lì la emozionava, non vedeva l'ora di potersi accasciare da qualche parte e dormire.
Come sempre, l'uomo ci mise qualche secondo prima di aprire il portone d'ingresso e darle la possibilità di salire. Aveva come l'impressione, ogni volta che gli faceva capire di essere arrivata, che lui la facesse aspettare qualche minuto di proposito, forse per darsi il tempo di sistemare le ultime cose, di dare i ritocchi finali. Oppure, più semplicemente, era solo un suo modo di fare; lasciare l'ospite in attesa fino alla fine.
-Buongiorno! - esclamò dalla cucina. Aveva lasciato aperta la porta d'ingresso.
-Buongiorno - rispose Jane. Nello stesso istante, il cellulare nella sua tasca vibrò come a farle capire che Flinn le aveva risposto.
Ignorò il messaggio e seguì la scia di profumo. La scena che le si presentò davanti suonò inaspettata: Barnowsky, con uno spesso e liso grembiule giallastro stretto il vita, si stava affaccendando davanti al piano cottura immerso in un vero e proprio caos di tegami, padelle e utensili da cucina.
-Le serve una mano?
-Eh? No, assolutamente, ho tutto sotto controllo. Prego, accomodati. È tutto pronto, devo solo farcelo stare sul piatto.
La ragazza obbedì. Il piccolo tavolo circolare era stato coperto da una tovaglia ricamata dall'aspetto vissuto con un paio di bicchieri dallo stelo lungo posati sopra, due piatti di ceramica e una coppia di posate d'argento. Avevano un aspetto sorprendentemente delicato e familiare, come se appartenessero ad un'altra vita.
-Se non mi trovo in fretta un altro lavoro rischierò di diventare una casalinga coi fiocchi - borbottò l'uomo. Le posò davanti agli occhi una porzione straripante di qualcosa di indefinibile, ma dall'odore invitante.
-Ha un odore delizioso - osservò Jane, sporgendosi verso la pietanza nel tentativo di capire di cose si trattasse.
-Ed é delizioso - aggiunse il professore, servendosi a sua volta e accomodandosi di fronte a lei. - Si chiamano "quiche lorraine", un piatto francese. Me le faceva sempre mia madre, ma queste fanno parte della mia personalissima ricetta personale.
-Non le ho mai sentite nominare prima. Dalla Francia, ha detto?
Barnowsky, dopo averle augurato un buon appetito, annuì. -Dalla Lorrena, come puoi ben immaginare; la vena francese della mia famiglia è sempre stata molto affezionata alle sue tradizioni culinarie. Ho creduto che le uova si chiamassero omelette fino all'età di tre anni.
La ragazza accennò una risatina. Prese la forchetta ma, inaspettatamente, constatò che non le serviva l'uso del coltello: quei cuscinetti che sembravano fatti di pasta sfoglia erano incredibilmente morbidi; appena ne prese un piccolo angolo vide subito il formaggio filante fuoriuscire dalla quiche.
Il sapore era davvero squisito. Non avrebbe mai immaginato che dei gusti così semplici come quello del formaggio e del prosciutto potessero assumere un retrogusto così delicato e aromatico insieme. L'uomo dovette indovinare la sua sorpresa, perché fece un sorriso compiaciuto.
-Buone?
-Spettacolari - assentì Jane. -Sono di gran lunga la cosa migliore che io abbia mai mangiato.
Barnowsky masticò e mandò giù il boccone. -Il problema di voi giovani è che non sapete apprezzare le cose semplici. O meglio; le cose casalinghe. Vi piacciono da morire quelle schifezze da fast food, ma molto spesso dimenticate che ci sono piatti decisamente più buoni, e sani, anche in quelle che ritenete ricette da vecchi.
-Non tutti - intervenne Jane. -Io, ad esempio, ho sempre considerato la cucina una forma d'arte, anche se non sono mai stata particolarmente portata. Mia nonna mi ha cresciuto con la passione per il buon cibo, per le ricette articolate e per i piatti saporiti.
-Era una donna saggia, evidentemente - osservò Barnowsky. -Con me non sono state altrettanto accondiscendenti, visto che ero un uomo; gli ebrei considerano la cucina una roba da donne, e non hanno tutti i torti, visto tutte le limitazioni che hanno quando si parla di mangiare.
-Lei è ebreo? - chiese Jane, sorpresa. Subito dopo arrossì violentemente.
L'altro annuì. -In parte ebreo francese, in parte ebreo polacco. Una strana mescolanza. Non sono mai stato parte molto attiva della vita religiosa, comunque...l'ebraismo, per me, è sempre stato solo fonte di studio. Appena arrivato in America ho ricominciato daccapo.
Per qualche tempo nessuno disse nulla, e mangiarono in silenzio. Jane rimuginò su quanto aveva appena sentito; a stupirla particolarmente era stata l'idea che Barnowsky avesse letteralmente rinunciato alle proprie origini per inseguire una passione, senza rimorsi, come sembrava.
La prima volta che lo aveva visto, al corso d'arte, non lo avrebbe mai immaginato capace di tale coraggio. Tuttavia, ora che aveva imparato a guardarlo sotto un altro aspetto, le veniva più facile capire i suoi comportamenti, le sfaccettature più recondite del suo animo. Tutti quegli strani pomeriggi passati a dipingere in assoluto silenzio le avevano permesso di svelare lati nascosti dell'animo dell'uomo che non avrebbe mai pensato di essere in grado di vedere.
-A proposito... - continuò, dopo qualche attimo, il professore - ...come va con il pianista?
Jane, che stava prendendo un sorso d'acqua, per poco non si soffocò. Si coprì la bocca con le mani, tossendo e cercando di recuperare un certo contegno, sotto quello sguardo completamente impassibile.
-B...bene...
-Uhm - replicò il padrone di casa. - Ne sei proprio sicura?
Recuperando fiato e lucidità, lei annuì. -Certo. Purtroppo non ci siamo visti molto ultimamente, ma mi ha promesso di venire a farmi gli auguri a Natale.
-Ah, quindi frequenta casa tua? - interrogò.
Jane arrossì. -Sto in una Casa Famiglia, non c'è granché privacy.
Per la prima volta dopo diverso tempo, Barnowsky sembrò essere improvvisamente in imbarazzo. -Mi dispiace, non sapevo che...
-Non si preoccupi, non gliel'avevo detto - rispose, alzando le spalle. Bevve un po' d'acqua.
-Se non sono troppo indiscreto...non c'è mai stata la possibilità di una famiglia affidataria?
Aveva abbassato la voce, cercando di parlare con la delicatezza necessaria di quei temi particolarmente difficili; forse per il buon cibo, oppure per la compagnia rilassante dell'uomo, a Jane non sembrò affatto gravoso dare una risposta e, per la prima volta, si sentì libera di parlarne.
-Quando si è più piccoli ci sono maggiori possibilità di venire adottati in modo vero e proprio. Anche con me c'era stata quest'occasione, ma era stata scelta la famiglia sbagliata...e così sono tornata alla Casa.
Lo sguardo che ricevette fu indescrivibile. Ci fu un lungo silenzio.
-Mi dispiace.
-Non c'è bisogno, davvero. In fondo mi trovo piuttosto bene, qui. Sono vicina ai miei genitori...per il resto non mi importa poi molto.
Barnowsky, a causa dei documenti scolastici, sapeva che i parenti di Jane erano rimasti uccisi in un incidente, ma evidentemente ignorava la questione della Casa Famiglia; ora che gliel'aveva detto sembrava piuttosto a disagio, ma cercò di mascherare la sua espressione pulendosi discretamente la bocca con un tovagliolo.
-Eri tanto piccola quando...? - chiese, senza guardarla.
Lei annuì, decisa a chiudere il discorso. -Sufficientemente da venirne segnata.
-Capisco - commentò. Vedendo che entrambi avevano finito, prese silenziosamente i piatti e li portò sul lavello, poggiandoli sul bordo; tirò via i tovaglioli e le posate.
-Vuole una mano? - chiese prontamente Jane. Lui scosse il capo.
-Me ne occuperò dopo...lavare i piatti mi rilassa. Piuttosto...mi sono permesso di farti un regalo. Una cosa stupida, eh, nulla di che... - borbottò.
Jane lo guardò, sinceramente stupita. Gli aveva detto di avergli comprato qualcosa, ma non si aspettava di certo che lui avrebbe ricambiato il gesto; doveva ammettere, però, che questa cosa la faceva sentire bene, la lusingava. Per la prima volta non c'era nessun tipo di sottinteso viscido nel comportamento di un adulto nei suoi confronti, e la cosa si presentava rigenerante ai suoi occhi.
Le porse un piccolo pacchetto incartato, una scatola delle dimensioni di un astuccio per gioielli, avvolto da carta verde.
-La ringrazio... - mormorò, osservando l'oggetto - ...ma davvero non c'era bisogno di...
-Ma certo che c'era - replicò, - altrimenti non ti avrei dato niente. Avanti, aprilo.
Fra sé e sé, lei ridacchiò: sempre il solito scorbutico. Prima di scartare il regalo, però, gli diede quello che aveva pensato per lui, un rettangolo ricoperto di carta azzurra tenuta ferma da due vistosi pezzetti di scotch.
-Come vede è stato incartato in modo un po' casalingo, però...
-Però è bello - concluse lui. Sembrava stupito tanto quanto lei.
Come di comune accordo, si misero ad aprirli all'unisono, ognuno intento a cercare di non rovinare troppo la carta con mosse maldestre; Jane, con crescente stupore, prese in mano una scatola di smalto giallo, delicatissima e leggera, con apertura a scrigno. Le bastò premere con il pollice perché l'apertura scattasse e rivelasse, al suo interno, un bellissimo pendaglio dorato con una catenina finissima che passava sopra l'apertura.
-Che meraviglia! - esclamò. 
Era un gioiello con minuziose decorazioni sul dorso arrotondato, di forma ovale, con un impalpabile gancetto per poter essere indossato. Lo prese con tocco attento e lo guardò preda di un qualche sortilegio.
Il professore la stava guardando, compiaciuto e al tempo stesso malinconico.
-Signor Barnowsky... - disse lei, - ...davvero, è bellissimo, ma non posso accettare...
Lui scosse la testa. -Sciocchezze. Quel ciondolo sembra fatto apposta per te, Jane. Se voglio che ora lo abbia tu, dopo tanto tempo che è in questa casa, c'è un motivo, no? Diciamo che è giusto che tu lo abbia. Non voglio sentire discussioni.
-La ringrazio moltissimo, allora - disse, ancora esterrefatta.
Lui sbuffò, prima di scoprire il contenuto del suo incarto. Si trattava di una scatola rettangolare e piatta in cui erano contenuti diversi pennelli professionali di differenti misure; viste le condizioni in cui versavano gli utensili del professore, le pareva adeguato fargli un dono che fosse coerente con i suoi bisogni (non avendo la minima idea di cos'altro fargli), ma in confronto a quello che le era stato dato le pareva una cosa decisamente troppo misera.
Al contrario delle sue aspettative, Barnowsky fece un sorriso felice e accennò ad una risata. -Fantastico! - esclamò, - Era dagli anni novanta che non mi compravo dei nuovi pennelli....e devo dire che se avessi potuto avrei scelto questa marca. Grazie di cuore.
Jane fece un piccolo sorriso. -Si figuri. Sono contenta che le siano utili.
-Molto - confermò.
Passarono qualche altro minuto a parlare del più e del meno, ma vedendo il sole che già cominciava a calare Jane fu costretta a ritirarsi prima del previsto. Dopo un altro diniego all'offerta di dargli una mano con i piatti, la ragazza ringraziò nuovamente, indossando il nuovo ciondolo, e salutò, congedandosi.
Sulla strada del ritorno non le sfiorò nemmeno la mente di guardare il messaggio ricevuto da Flinn, né di chiamare alla Casa per avvisare del suo ritorno. Non c'era motivo per farlo, visto che non rientrava nelle loro consuetudini.
Passando davanti al cimitero, però, decise di fermarsi un attimo; aveva bisogno di parlare un po' con sua madre. Ci fu un attimo di indecisione; poi, ripensando a quel pranzo, superò il cancello in ferro battuto e promise a sé stessa che avrebbe fatto presto.
E che non si sarebbe fatta prendere dalla malinconia.


NOTA DELL'AUTRICE:
Allora, prima di scusarmi come mio solito per questa catena di ritardi, mi sembra giusto fare una piccola precisazione sulla "quiche lorraine". In pratica è una torta salata di pasta sfoglia con dentro prosciutto e formaggio (ovviamente si possono trovare anche altri ingredienti, ma questa é la ricetta principale). La variante che ho inserito qui sta nella forma: invece di una torta a spicchi, si tratta di una sorta di involtino, nulla di più :)
Come ho accennato sopra, mi dispiace davvero tantissimo di avervi mancato di rispetto in questo modo, ma purtroppo si tratta di una catena di eventi che non posso controllare, e vari impegni impossibili da spostare; me ne dispiaccio moltissimo. Confido nelle prossime vacanze (che arriveranno a breve) per postare il prossimo capitolo! 
Se avete qualche minuto, mi piacerebbe che leggesse la mia nuova bio; mi sembra corretto farvelo sapere.
Un sacco di "Dark Kisses"e un abbraccio,
The Queen.


  
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