“Allora,
Sherlock.”
Il
suo nome pronunciato da John era un unico respiro vibrante.
Era
consolatorio – era il termine adatto? – constatare che la dizione del suo nome,
escluse le intonazioni e varie inflessioni vocali che lui gli attribuiva a
seconda dello stato d’animo, negli anni non fosse mutata.
John
e quel suo Sherlock smozzicato in un lungo sospiro di tensione che si
scioglieva. Ogni volta che lo sentiva era come un bentornato.
“Allora,
Sherlock.” John si piegò in avanti e batté le mani sulle ginocchia, si schiarì
la gola. “U-Uhm. Tu e Molly. È il vostro primo Valentino. Qualche idea su come
lo celebrerete?”
I sofismi di un cuore innamorato
C’era
chi non aveva esitato ad attribuire ogni colpa a John Watson. Era il soggetto
più ragionevole da incriminare, un imputato credibilmente in difetto agli occhi
più che parziali della giuria.
John
Watson aveva messo una pulce nell’orecchio di Sherlock e si sa cosa si dice
delle pulci in generale. Brutte bestiole che fanno più danni che bene e che
sono piccole quanto un bruscolo. Se l’orecchio in questione apparteneva a
Sherlock-faccio-della-polvere-una-questione-di-vita-o-di-morte, per partito
preso il tutto appariva destinato al disastro.
C’era
chi aveva tirato in ballo la signora Hudson. (Oh, quel ragazzaccio! È stato lui a chiedergli come avrebbero
festeggiato. Io gli ho solo fatto notare che quella cara ragazza meritava una
serata come si deve. Lavora così tanto, povero tesoro. E Sherlock dovrebbe
capire che è davvero fortunato a-)
E
John, come un certo Ponzio Pilato prima di lui, se n’era lavato le mani,
asserendo che non era colpa sua, nossignore, che era stato Wiggins con quel suo
parlare a vanvera di cuori e cioccolatini. (Assumiti le tue colpe. Non ho
sposato uno struzzo.)
Wiggins
aveva scosso la testa. (Ma mica c’entro! È stato il barbuto, com’è che si
chiama? Andy-qualcosa. Lui e quel suo fan-club gli hanno invaso la casa di
palloncini e striscioni, per non parlare dei telegrammi cantati.)
Fatto
stava che Sherlock, in qualche modo anomalo e non scontato, aveva scoperto che
quel venerdì era San Valentino (“Una festività del tutto fittizia, come il
Natale. Innanzitutto considerando l’ovvietà storicamente attendibile che
Valentino era un vescovo cristiano martirizzato* e che prima di lui si ha-”
“Sherlock.”
Un sospiro di malcontento a troncare il soliloquio. John che si sfregava la
fronte. “Non fare i tuoi soliti excursus. Molly merita un San Valentino come si
deve. Lo so io come lo sai tu. Perciò rimboccati le maniche e salva il
salvabile. Sei ancora in tempo.”).
E
Sherlock lo aveva fatto, metaforicamente parlando. Si era rimboccato le maniche.
Nella
fattispecie si era perso nel suo palazzo mentale per un quarto d’ora, quindici
decisivi minuti di assoluta quiete che erano fruttati a John una tazza di tè e la
lettura del Times e un sospiro di beatitudine.
Poi
Sherlock era tornato in sé. Le dita a tamburellare davanti al naso come Montgomery
Burns e lo sguardo che dichiarava a caratteri cubitali l’eccellenza della
risoluzione raggiunta.
“Ho
intenzione di prendere adeguati provvedimenti al riguardo, John. Una cena da Sketch
vicino Regent Street dovrebbe andare. Tu e Mary siete inclusi nel pacchetto.”
“Tu…”
John aveva esitato, allibito. “Un’uscita a quattro? È questo che hai in mente?”
Sherlock
aveva sbuffato, roteando gli occhi, nel suo fottuto modo di dire senza
esprimerlo davvero: Non essere sciocco,
John. È talmente ovvio che - e qui andava aggiunta la considerazione finale
del caso.
Sherlock
prese lo slancio e balzò in piedi. Iniziò a girare in tondo come una dannata
trottola, le mani premute contro le labbra, in fibrillazione, mentre allestiva
con riprovevole benevolenza e dovizia le allusioni di uno scenario
apocalittico. “San Valentino. Traffico. La City in preda alle luci stroboscopiche
di cuori giganti e coriandoli. La pubblica sicurezza più inefficiente del
solito. Non capisci? È l’occasione perfetta perché qualunque criminale diventi
audace. Lo faccio per la sicurezza tua e di Mary. Venerdì sera non ci sarà
posto più protetto in tutta l’Inghilterra.”
Dio. Mycroft avrebbe
fatto i salti di gioia.
Questo
era successo lunedì. Martedì le carte in tavola erano state rimischiate nel
mazzo. John lo aveva trovato in posizione di meditazione davanti al notebook,
mille depliant sparsi in un ventaglio di caos organizzato attorno a lui, sul
pavimento impolverato.
“Cosa
diavolo-” aveva iniziato a dire.
Sherlock
si era riscosso. “Oh, John. Eccoti qui. I piani sono cambiati. Niente più
Regent Street. Zona di fuoco incrociato. Sconsigliabile. Molto meglio il Ballo
Georgiano alla British Library.”
“Cosa?”
John aveva preso seriamente in considerazione l’ipotesi. Vedere Sherlock in costume
d’epoca? Impagabile. L’idea di essere costretto a propria volta in calzoni alla zuava e scarpette di raso gli aveva
spento il sorriso, trasformandolo nello scheletro di ciò che era stato. “Sei
serio? Voglio dire, le ragazze potrebbero adorarlo, ma tutte quelle persone
mascherate, la baraonda. Una serata danzante in maschera. Sembra il preludio di
un’opera lirica o un libro giallo.”
“Non dire assurdità, John. Maschere? Chi ha mai
parlato di maschere?”
“Davo per scontato che-”
“Esatto. Davi per scontato. Ma hai ragione. Non
avevo considerato la bolgia. Per non parlare della babele di anacronismi in cui
incapperemmo. Decisamente non all'altezza.”
Non all’altezza di cosa?
La piega di infelice insoddisfazione assunta da
Sherlock e la sua posa tragica avrebbero dovuto metterlo in guardia. Di nuovo,
John non aveva dato ai segni premonitori la debita importanza. Semplicemente li
aveva notati, tralasciandoli. Perché,
cosa poteva mai andare storto?
Sherlock era dentro quella storia fino al collo, si
stava impegnando a farla funzionare, a far girare gli ingranaggi nel verso
giusto una volta tanto.
Tutto, era la stramaledetta risposta.
Mercoledì sera Sherlock si presentava sul piede di
guerra.
I volantini erano aumentati in modo esponenziale,
tempestando ogni superficie, in ogni lato: verticale, orizzontale, obliquo; si
impegnavano a delegittimare la legge di gravitazione universale.
L’appartamento era stato tappezzato di cartine,
locandine, poster di concerti all’aperto, di locali alla moda. Letteralmente,
ne era sommerso.
Sherlock era inginocchiato al centro, come un re al
cospetto delle sue giubbe di carta. “Un Safari Notturno al Museo di Storia
Naturale”, stava leggendo con una smorfia. Appallottolò il foglio con uno
scatto irascibile. “Esplorare le attrazioni romantiche del cielo notturno al
Planetario. Noioso. Casa di Keats?
Molly apprezza le sue poesie. In ultima analisi, dopo il sopralluogo di
Wiggins, si è dimostrato troppo esposto a potenziali assalti. Un giro in
mongolfiera? Scartato anche quello.”
E John intraprese l’unica linea di condotta adattabile
a situazioni di quel genere. Chiamò in soccorso sua moglie.
Mary arrivò, avvolta fino al naso nella sciarpa
lavorata a maglia che Mrs Hudson le aveva regalato per Natale e una scorta di
macarons presi alla pasticceria francese sulla Marylebone Road, dai
caratteristici sapori: i prevedibili farciti al lampone o al cioccolato per lui
e quelli al tè verde matcha o alla marmite per lei.
Sherlock li detestava cordialmente, ma era una delle voglie stravaganti
che la gravidanza di Mary aveva manifestato e John li preferiva con un
sentimento molto simile alla gratitudine alla ricerca di cose infattibili, come
banane nel cuore della notte o quel
croissant che abbiamo mangiato in quella stradina laterale a Covent Garden al
nostro terzo appuntamento, ricordi?
Sherlock lanciò un’occhiata caustica alla scatola dei dolci, come se disponesse
della capacità di incenerirla. John poteva sentirlo dedurre a velocità
iperbolica. Impasto a base di meringhe ottenuto da una miscela di albume d'uovo,
sale, farina
di mandorle,
zucchero
a velo. Rivoltante, tenersi alla larga.
Gli scappò una risata.
Mary e Sherlock lo guardarono, entrambi avevano le sopracciglia inarcate.
Dio
mio.
John biascicò uno ‘scusate’ e si dileguò per andare a preparare tè per
tutti.
Sentì Mary che chiedeva di Molly, Sherlock che rispondeva con un più che prevedibile:
“Barts.”
“E non la infastidisce navigare in questo mare di carta?”
“Perché dovrebbe?”
Un silenzio lapidario. “Fai scomparire tutto prima che rincasi.”
Sherlock fece un verso poco accondiscendente, a metà strada tra uno
sbuffo e un sospiro. “Mrs Hudson viene ad avvertirmi un’ora prima.”
Oh,
bene. Perfetto. Anche quello.
E lui non era stato minimamente sfiorato dall’idea.
Il tè era stato servito, i macarons assaggiati - o divorati, nel caso di
Mary; i fogli fatti eclissare preventivamente. Wiggins era comparso e aveva
dato il suo contributo, poi era scappato via per questioni della massima e inderogabile urgenza. Uno sguardo d’intesa con
Sherlock, un ‘Io vado’ carico di significati sottintesi.
John ci rimuginò sopra finché la curiosità non lo fece scoppiare. “Cosa
intendeva dire?”
Sherlock si limitò a rivolgergli una solenne occhiata da gufo impagliato.
“Wiggins”, chiarì John. “Poco fa. Dove è andato? O meglio, lo hai mandato
a fare cosa, di preciso?”
“Su mia commissione ha l’incarico di sorvegliare Molly a vista. Quando io
non ne sono in grado le è di supporto sulla strada di casa.”
“Oh, ma certo! Sera tardi. Buio, eventuali malintenzionati dietro ogni
angolo”, intervenne Mary.
Sherlock la ricompensò con un cenno.
“E Molly ne è al corrente?”
“Certo che sì. Ha sviluppato una sorta di simpatia corrisposta nei suoi
riguardi.” Lo disse come se fosse una cosa incresciosa e irragionevole, figlia
di una catena sfortunata di eventi ugualmente seccanti.
Una volta di più, John dovette nascondere un sorriso dietro il palmo
aperto della mano. Anche quello da
considerare increscioso, nessun dubbio in merito.
“Parliamo di cose serie”, disse tra il serio e il faceto. Qualcuno doveva
pure attaccare il filo del discorso e Mary non sembrava disposta a farsene
carico. “Ti rendi conto, vero, che la situazione ti sta sfuggendo di mano?”
Mary finse un colpo di tosse.
John lo interpretò come un invito a proseguire.
Il volto di Sherlock era accuratamente privo di espressione, gli occhi
appena più sgranati del solito.
“Insomma, basta contare il numero esorbitante di proposte che hai
scartato. Tra parentesi, ho molto apprezzato la bocciatura del Ballo Georgiano.”
“Io non ti sono grata,
Sherlock”, asserì Mary. “Ho sempre desiderato stringermi in un bustino, anche
se dubito che sarei stata una visione affascinante. Magari tra qualche mese.”
“C’è il Ballo di Cristallo a Praga”, disse lui con un sorriso-ghigno. “Vi
ho preso parte tre anni fa. Te lo raccomando.”
“Il che è una ragione sufficiente per non partecipare”, si intromise
John.
Mary gli riservò un’occhiata. Aveva il gomito piegato sul bracciolo della
poltrona, il mento poggiato sulla mano. “Sai essere terribilmente scoraggiante
quando vuoi.”
“Che è giusto quello a cui aspiro.”
Gli sguardi di Sherlock e Mary si incrociarono per un secondo, poi
entrambi pronunciarono all’unisono: “No-io-so.”
Oltre
quei due strani, chi poteva desiderare di partecipare ad un Ballo potenzialmente
pericoloso? Io, io ci voglio andare. John spense la voce della coscienza
con fastidio. “Scusate se boicotto il vostro divertimento,” ribatté con una
smorfia, “ma mi sembrava che la questione riguardasse Molly.”
Li vide smettere le maschere comiche per altre di diversa natura.
“La questione non riguarda Molly, ma come Sherlock reagisce alla
quotidianità che la sua relazione con Molly prevede. Una quotidianità basata
tra le altre cose su ricorrenze e anniversari”, disse Mary. “Prima di iniziare
questa tua crociata al romanticismo, hai almeno chiesto a Molly se avesse dei
programmi o avesse intenzione di averli?”
“Oh, andiamo!” esclamò John. Con la coda dell’occhio vide Sherlock
estrarre il cellulare dalla tasca della vestaglia, scrivere un messaggio. “È il
giorno di San Valentino! È ovvio che si aspetti qualcosa. Molly è un tipo
sentimentale per natura, sensibile e gentile.”
“Stai descrivendo te stesso.” Sherlock aveva posato il cellulare. “C’è
chi non ama celebrare i sentimenti a comando, solo perché una stupida
ricorrenza lo prescrive”, fece notare con il tono di ovvietà che gli era
abituale.
“Persone come te?” domandò John, ironico.
“E come tua moglie.”
“No, Mary non- accidenti!”
Mary si era nascosta la faccia dietro la sciarpa. Sillabò uno “scusa” con
aria metà divertita metà mortificata.
Maledetta la tua anima empirica, Sherlock.
Lo stesso Sherlock che in quel momento era balzato in piedi e sostava davanti
alla finestra, un’ombra mobile e scattante contro la tenda scura. “Molly non è
il problema, ma il problema del problema.”
“Illuminami, Sherlock.”
Sherlock voltò la testa e aprì la bocca per ribattere, ma il tempismo,
come molte altre cose, non era mai stato il suo forte. In quel momento la
figura vivace di Molly comparve sulla soglia dell’appartamento, seguita a breve
distanza da quella allampanata di Wiggins.
E qualunque fosse stato ciò che voleva dire, gli morì sulle labbra.
Ma non nello sguardo.
Dannazione.
N/a:
Sono un essere incostante e spesso cado in stati di
insoddisfazione semi-permanente per quanto concerne ciò che scrivo.
Le mie idee sono fondamentalmente semplici. Diventano
complicate nel momento in cui le metto su carta e poi sul monitor. Allora ci
sono passaggi che no, nella testa erano chiari, ma qui diventano
incomprensibili e oscuri. Pensare per immagini localizzate, immaginare è
facile, ma trasporlo in parole, ohimè, è un passaggio che assiste a morti
cruente e dolorose.
Pubblico questa storia – di cui manca la seconda
parte – perché oltre che incostante e cronicamente disordinata sono una gran
pigraccia/maleducata. Da quando ho cominciato a scrivere di Sherlock e Molly e
John e Mary e l’indimenticabile Mrs Hudson, sono stata graziata dai vostri
pareri, dalla vostra gentilezza, da rassicurazioni e blandizie che mi hanno
scaldato il cuore in un modo che non è possibile descrivere, ma si può
esprimere solo con un “Aw” che è un
po’ il verso soffiato che fa la mia coniglietta quando la coccolo.
Per questo: grazie, grazie, GRAZIE. Di cuore, davvero.
E questa era per voi, spero solo che sia valsa la
lettura. Il pensiero, lo giuro, era dei migliori; la resa effettiva, spero,
almeno passabile.
* La battuta del Vescovo Valentino è rubata
spudoratamente al Dottor Sheldon Cooper di Big Bang Theory. La mia migliore
amica non fa altro che ripeterla da una settimana a questa parte. Dovevo schiodarla
in qualche modo dalla mia testa e così l’ho imbrattata qui.
Qui sotto le varie iniziative di cui accennato
sopra, tutte reali, se potete andate al sito del locale Sketch, il secondo link
(sarà amore a prima vista, prometto).
Un abbraccio e buona festa del ‘ti voglio bene’,
come dice mio cugino.
http://www.bl.uk/whatson/exhibitions/georgiansrevealed/events/event156277.html