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Autore: Ruta    14/02/2014    4 recensioni
C’era chi non aveva esitato ad attribuire ogni colpa a John Watson.
John Watson aveva messo una pulce nell’orecchio di Sherlock e si sa cosa si dice delle pulci in generale, no?
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Mary Morstan, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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i sofismi

“Allora, Sherlock.”
Il suo nome pronunciato da John era un unico respiro vibrante.
Era consolatorio – era il termine adatto? – constatare che la dizione del suo nome, escluse le intonazioni e varie inflessioni vocali che lui gli attribuiva a seconda dello stato d’animo, negli anni non fosse mutata.
John e quel suo Sherlock smozzicato in un lungo sospiro di tensione che si scioglieva. Ogni volta che lo sentiva era come un bentornato.  
“Allora, Sherlock.” John si piegò in avanti e batté le mani sulle ginocchia, si schiarì la gola. “U-Uhm. Tu e Molly. È il vostro primo Valentino. Qualche idea su come lo celebrerete?”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I sofismi di un cuore innamorato

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

C’era chi non aveva esitato ad attribuire ogni colpa a John Watson. Era il soggetto più ragionevole da incriminare, un imputato credibilmente in difetto agli occhi più che parziali della giuria.
John Watson aveva messo una pulce nell’orecchio di Sherlock e si sa cosa si dice delle pulci in generale. Brutte bestiole che fanno più danni che bene e che sono piccole quanto un bruscolo. Se l’orecchio in questione apparteneva a Sherlock-faccio-della-polvere-una-questione-di-vita-o-di-morte, per partito preso il tutto appariva destinato al disastro.
C’era chi aveva tirato in ballo la signora Hudson. (Oh, quel ragazzaccio! È stato lui a chiedergli come avrebbero festeggiato. Io gli ho solo fatto notare che quella cara ragazza meritava una serata come si deve. Lavora così tanto, povero tesoro. E Sherlock dovrebbe capire che è davvero fortunato a-)
E John, come un certo Ponzio Pilato prima di lui, se n’era lavato le mani, asserendo che non era colpa sua, nossignore, che era stato Wiggins con quel suo parlare a vanvera di cuori e cioccolatini. (Assumiti le tue colpe. Non ho sposato uno struzzo.)
Wiggins aveva scosso la testa. (Ma mica c’entro! È stato il barbuto, com’è che si chiama? Andy-qualcosa. Lui e quel suo fan-club gli hanno invaso la casa di palloncini e striscioni, per non parlare dei telegrammi cantati.)  
Fatto stava che Sherlock, in qualche modo anomalo e non scontato, aveva scoperto che quel venerdì era San Valentino (“Una festività del tutto fittizia, come il Natale. Innanzitutto considerando l’ovvietà storicamente attendibile che Valentino era un vescovo cristiano martirizzato* e che prima di lui si ha-”
“Sherlock.” Un sospiro di malcontento a troncare il soliloquio. John che si sfregava la fronte. “Non fare i tuoi soliti excursus. Molly merita un San Valentino come si deve. Lo so io come lo sai tu. Perciò rimboccati le maniche e salva il salvabile. Sei ancora in tempo.”).
E Sherlock lo aveva fatto, metaforicamente parlando. Si era rimboccato le maniche.
Nella fattispecie si era perso nel suo palazzo mentale per un quarto d’ora, quindici decisivi minuti di assoluta quiete che erano fruttati a John una tazza di tè e la lettura del Times e un sospiro di beatitudine.
Poi Sherlock era tornato in sé. Le dita a tamburellare davanti al naso come Montgomery Burns e lo sguardo che dichiarava a caratteri cubitali l’eccellenza della risoluzione raggiunta.
“Ho intenzione di prendere adeguati provvedimenti al riguardo, John. Una cena da Sketch vicino Regent Street dovrebbe andare. Tu e Mary siete inclusi nel pacchetto.”
“Tu…” John aveva esitato, allibito. “Un’uscita a quattro? È questo che hai in mente?”
Sherlock aveva sbuffato, roteando gli occhi, nel suo fottuto modo di dire senza esprimerlo davvero: Non essere sciocco, John. È talmente ovvio che - e qui andava aggiunta la considerazione finale del caso.
Sherlock prese lo slancio e balzò in piedi. Iniziò a girare in tondo come una dannata trottola, le mani premute contro le labbra, in fibrillazione, mentre allestiva con riprovevole benevolenza e dovizia le allusioni di uno scenario apocalittico. “San Valentino. Traffico. La City in preda alle luci stroboscopiche di cuori giganti e coriandoli. La pubblica sicurezza più inefficiente del solito. Non capisci? È l’occasione perfetta perché qualunque criminale diventi audace. Lo faccio per la sicurezza tua e di Mary. Venerdì sera non ci sarà posto più protetto in tutta l’Inghilterra.”

Dio. Mycroft avrebbe fatto i salti di gioia.  

 

 

Questo era successo lunedì. Martedì le carte in tavola erano state rimischiate nel mazzo. John lo aveva trovato in posizione di meditazione davanti al notebook, mille depliant sparsi in un ventaglio di caos organizzato attorno a lui, sul pavimento impolverato.
“Cosa diavolo-” aveva iniziato a dire.
Sherlock si era riscosso. “Oh, John. Eccoti qui. I piani sono cambiati. Niente più Regent Street. Zona di fuoco incrociato. Sconsigliabile. Molto meglio il Ballo Georgiano alla British Library.”
“Cosa?” John aveva preso seriamente in considerazione l’ipotesi. Vedere Sherlock in costume d’epoca? Impagabile. L’idea di essere costretto a propria volta in calzoni alla zuava e scarpette di raso gli aveva spento il sorriso, trasformandolo nello scheletro di ciò che era stato. “Sei serio? Voglio dire, le ragazze potrebbero adorarlo, ma tutte quelle persone mascherate, la baraonda. Una serata danzante in maschera. Sembra il preludio di un’opera lirica o un libro giallo.”
“Non dire assurdità, John. Maschere? Chi ha mai parlato di maschere?”
“Davo per scontato che-”
“Esatto. Davi per scontato. Ma hai ragione. Non avevo considerato la bolgia. Per non parlare della babele di anacronismi in cui incapperemmo. Decisamente non all'altezza.”
Non all’altezza di cosa?
La piega di infelice insoddisfazione assunta da Sherlock e la sua posa tragica avrebbero dovuto metterlo in guardia. Di nuovo, John non aveva dato ai segni premonitori la debita importanza. Semplicemente li aveva notati, tralasciandoli. Perché, cosa poteva mai andare storto?
Sherlock era dentro quella storia fino al collo, si stava impegnando a farla funzionare, a far girare gli ingranaggi nel verso giusto una volta tanto.

Tutto, era la stramaledetta risposta.

 

 

Mercoledì sera Sherlock si presentava sul piede di guerra.
I volantini erano aumentati in modo esponenziale, tempestando ogni superficie, in ogni lato: verticale, orizzontale, obliquo; si impegnavano a delegittimare la legge di gravitazione universale.
L’appartamento era stato tappezzato di cartine, locandine, poster di concerti all’aperto, di locali alla moda. Letteralmente, ne era sommerso.
Sherlock era inginocchiato al centro, come un re al cospetto delle sue giubbe di carta. “Un Safari Notturno al Museo di Storia Naturale”, stava leggendo con una smorfia. Appallottolò il foglio con uno scatto irascibile. “Esplorare le attrazioni romantiche del cielo notturno al Planetario. Noioso. Casa di Keats? Molly apprezza le sue poesie. In ultima analisi, dopo il sopralluogo di Wiggins, si è dimostrato troppo esposto a potenziali assalti. Un giro in mongolfiera? Scartato anche quello.”
E John intraprese l’unica linea di condotta adattabile a situazioni di quel genere. Chiamò in soccorso sua moglie.

 

 

Mary arrivò, avvolta fino al naso nella sciarpa lavorata a maglia che Mrs Hudson le aveva regalato per Natale e una scorta di macarons presi alla pasticceria francese sulla Marylebone Road, dai caratteristici sapori: i prevedibili farciti al lampone o al cioccolato per lui e quelli al tè verde matcha o alla marmite per lei.
Sherlock li detestava cordialmente, ma era una delle voglie stravaganti che la gravidanza di Mary aveva manifestato e John li preferiva con un sentimento molto simile alla gratitudine alla ricerca di cose infattibili, come banane nel cuore della notte o quel croissant che abbiamo mangiato in quella stradina laterale a Covent Garden al nostro terzo appuntamento, ricordi?
Sherlock lanciò un’occhiata caustica alla scatola dei dolci, come se disponesse della capacità di incenerirla. John poteva sentirlo dedurre a velocità iperbolica.
Impasto a base di meringhe ottenuto da una miscela di albume d'uovo, sale, farina di mandorle, zucchero a velo. Rivoltante, tenersi alla larga.
Gli scappò una risata.
Mary e Sherlock lo guardarono, entrambi avevano le sopracciglia inarcate.

Dio mio.
John biascicò uno ‘scusate’ e si dileguò per andare a preparare tè per tutti.
Sentì Mary che chiedeva di Molly, Sherlock che rispondeva con un più che prevedibile: “Barts.”
“E non la infastidisce navigare in questo mare di carta?”
“Perché dovrebbe?”
Un silenzio lapidario. “Fai scomparire tutto prima che rincasi.”
Sherlock fece un verso poco accondiscendente, a metà strada tra uno sbuffo e un sospiro. “Mrs Hudson viene ad avvertirmi un’ora prima.”

Oh, bene. Perfetto. Anche quello.
E lui non era stato minimamente sfiorato dall’idea.

 

 

Il tè era stato servito, i macarons assaggiati - o divorati, nel caso di Mary; i fogli fatti eclissare preventivamente. Wiggins era comparso e aveva dato il suo contributo, poi era scappato via per questioni della massima e inderogabile urgenza. Uno sguardo d’intesa con Sherlock, un ‘Io vado’ carico di significati sottintesi. 
John ci rimuginò sopra finché la curiosità non lo fece scoppiare. “Cosa intendeva dire?”
Sherlock si limitò a rivolgergli una solenne occhiata da gufo impagliato.
“Wiggins”, chiarì John. “Poco fa. Dove è andato? O meglio, lo hai mandato a fare cosa, di preciso?”
“Su mia commissione ha l’incarico di sorvegliare Molly a vista. Quando io non ne sono in grado le è di supporto sulla strada di casa.”
“Oh, ma certo! Sera tardi. Buio, eventuali malintenzionati dietro ogni angolo”, intervenne Mary.
Sherlock la ricompensò con un cenno. 
“E Molly ne è al corrente?”
“Certo che sì. Ha sviluppato una sorta di simpatia corrisposta nei suoi riguardi.” Lo disse come se fosse una cosa incresciosa e irragionevole, figlia di una catena sfortunata di eventi ugualmente seccanti. 
Una volta di più, John dovette nascondere un sorriso dietro il palmo aperto della mano. Anche quello da considerare increscioso, nessun dubbio in merito.
“Parliamo di cose serie”, disse tra il serio e il faceto. Qualcuno doveva pure attaccare il filo del discorso e Mary non sembrava disposta a farsene carico. “Ti rendi conto, vero, che la situazione ti sta sfuggendo di mano?”
Mary finse un colpo di tosse.
John lo interpretò come un invito a proseguire.
Il volto di Sherlock era accuratamente privo di espressione, gli occhi appena più sgranati del solito.
“Insomma, basta contare il numero esorbitante di proposte che hai scartato. Tra parentesi, ho molto apprezzato la bocciatura del Ballo Georgiano.”
“Io non ti sono grata, Sherlock”, asserì Mary. “Ho sempre desiderato stringermi in un bustino, anche se dubito che sarei stata una visione affascinante. Magari tra qualche mese.”
“C’è il Ballo di Cristallo a Praga”, disse lui con un sorriso-ghigno. “Vi ho preso parte tre anni fa. Te lo raccomando.”
“Il che è una ragione sufficiente per non partecipare”, si intromise John.
Mary gli riservò un’occhiata. Aveva il gomito piegato sul bracciolo della poltrona, il mento poggiato sulla mano. “Sai essere terribilmente scoraggiante quando vuoi.”
“Che è giusto quello a cui aspiro.”
Gli sguardi di Sherlock e Mary si incrociarono per un secondo, poi entrambi pronunciarono all’unisono: “No-io-so.”

Oltre quei due strani, chi poteva desiderare di partecipare ad un Ballo potenzialmente pericoloso? Io, io ci voglio andare. John spense la voce della coscienza con fastidio. “Scusate se boicotto il vostro divertimento,” ribatté con una smorfia, “ma mi sembrava che la questione riguardasse Molly.”
Li vide smettere le maschere comiche per altre di diversa natura.
“La questione non riguarda Molly, ma come Sherlock reagisce alla quotidianità che la sua relazione con Molly prevede. Una quotidianità basata tra le altre cose su ricorrenze e anniversari”, disse Mary. “Prima di iniziare questa tua crociata al romanticismo, hai almeno chiesto a Molly se avesse dei programmi o avesse intenzione di averli?”
“Oh, andiamo!” esclamò John. Con la coda dell’occhio vide Sherlock estrarre il cellulare dalla tasca della vestaglia, scrivere un messaggio. “È il giorno di San Valentino! È ovvio che si aspetti qualcosa. Molly è un tipo sentimentale per natura, sensibile e gentile.”
“Stai descrivendo te stesso.” Sherlock aveva posato il cellulare. “C’è chi non ama celebrare i sentimenti a comando, solo perché una stupida ricorrenza lo prescrive”, fece notare con il tono di ovvietà che gli era abituale.
“Persone come te?” domandò John, ironico.
“E come tua moglie.”
“No, Mary non- accidenti!”
Mary si era nascosta la faccia dietro la sciarpa. Sillabò uno “scusa” con aria metà divertita metà mortificata.

Maledetta la tua anima empirica, Sherlock.
Lo stesso Sherlock che in quel momento era balzato in piedi e sostava davanti alla finestra, un’ombra mobile e scattante contro la tenda scura. “Molly non è il problema, ma il problema del problema.”
“Illuminami, Sherlock.”
Sherlock voltò la testa e aprì la bocca per ribattere, ma il tempismo, come molte altre cose, non era mai stato il suo forte. In quel momento la figura vivace di Molly comparve sulla soglia dell’appartamento, seguita a breve distanza da quella allampanata di Wiggins.
E qualunque fosse stato ciò che voleva dire, gli morì sulle labbra.
Ma non nello sguardo.

Dannazione.

 

 

 

 


N/a:

Sono un essere incostante e spesso cado in stati di insoddisfazione semi-permanente per quanto concerne ciò che scrivo.
Le mie idee sono fondamentalmente semplici. Diventano complicate nel momento in cui le metto su carta e poi sul monitor. Allora ci sono passaggi che no, nella testa erano chiari, ma qui diventano incomprensibili e oscuri. Pensare per immagini localizzate, immaginare è facile, ma trasporlo in parole, ohimè, è un passaggio che assiste a morti cruente e dolorose.
Pubblico questa storia – di cui manca la seconda parte – perché oltre che incostante e cronicamente disordinata sono una gran pigraccia/maleducata. Da quando ho cominciato a scrivere di Sherlock e Molly e John e Mary e l’indimenticabile Mrs Hudson, sono stata graziata dai vostri pareri, dalla vostra gentilezza, da rassicurazioni e blandizie che mi hanno scaldato il cuore in un modo che non è possibile descrivere, ma si può esprimere solo con un “Aw” che è un po’ il verso soffiato che fa la mia coniglietta quando la coccolo.   
Per questo: grazie, grazie, GRAZIE. Di cuore, davvero.
E questa era per voi, spero solo che sia valsa la lettura. Il pensiero, lo giuro, era dei migliori; la resa effettiva, spero, almeno passabile.             
* La battuta del Vescovo Valentino è rubata spudoratamente al Dottor Sheldon Cooper di Big Bang Theory. La mia migliore amica non fa altro che ripeterla da una settimana a questa parte. Dovevo schiodarla in qualche modo dalla mia testa e così l’ho imbrattata qui.
Qui sotto le varie iniziative di cui accennato sopra, tutte reali, se potete andate al sito del locale Sketch, il secondo link (sarà amore a prima vista, prometto).
Un abbraccio e buona festa del ‘ti voglio bene’, come dice mio cugino.

http://www.bl.uk/whatson/exhibitions/georgiansrevealed/events/event156277.html

http://sketch.uk.com/venue_Glade.php?menu=1

http://www.nhm.ac.uk/visit-us/whats-on/events/programs/nhm/night_safari_with_mastercard_-_valentine's_special.html

http://www.rmg.co.uk/whats-on/events/valentines14

  
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