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Autore: Fannie Fiffi    14/02/2014    3 recensioni
[3x02; Sherlolly.]
Con grande sorpresa per la propria capacità di autocontrollo, Sherlock supera la cerimonia, i discorsi dei testimoni e perfino il primo ballo del matrimonio del suo migliore amico. Quando però si guarda intorno, giunge alla conclusione che quello non è affatto il posto per lui; perciò in totale discrezione si allontana dai festeggiamenti, ma non sa che c'è qualcuno che l'ha visto e che con una sola occhiata lo ha compreso. Come sempre, d'altronde.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa OS è stata interamente ispirata dalla seguente immagine:



Feel So Close
 
 




 
La musica, le luci, le persone che ballano e si stringono e urlano e ridono. No, decisamente troppo rumore.
Ci vuole poco perché Sherlock Holmes capisca che quello non è assolutamente il posto per lui e ancora meno perché decida di avviarsi al guardaroba, prendere il cappotto firmato e andarsene.
Ha bisogno di liberarsi al più presto di quell’ irritante fastidio al centro del petto e l’unico modo per farlo è quello di allontanarsi da tutti quegli individui che possono permettersi di essere così spensierati. È ovvio, non  hanno bisogno di pensare, gli suggerisce la vocina interiore che spesso assomiglia incredibilmente a quella di Mycroft. È così facile per le persone ordinarie divertirsi e festeggiare. Ma lui non fa parte di quella porzione, perciò deve rassegnarsi a dover portare il peso di un cervello perennemente funzionante tutto da solo.
Il consulente investigativo si ferma vicino a una panchina, il frastuono di quella maledetta e ridicola musica ancora udibile attraverso le immense vetrate del complesso, e reputa che al momento la miglior opzione sia quella di annerirsi un po’ i polmoni. Tira fuori dalla tasca un portasigarette elegante, ne prende una e ripone nuovamente l’oggetto. I suoi sono movimenti meccanici, freddi, e pensa che nemmeno sciogliersi con qualche dito di scotch possa essere tanto male. Purtroppo per lui, però, non ha alcuna bottiglia con sé. La sigaretta pende ancora dalle sue labbra, ma è spenta e in quel momento si sente come se anche un semplice movimento possa costargli fatica, perciò non l’accende nemmeno.
 Non ha mai desiderato essere normale, non lo desidera neppure ora, tuttavia sente una profonda invidia per tutte quelle persone che sono ancora lì dentro a ballare e a stringersi e a urlare e a ridere, perché hanno qualcuno con cui farlo.
Il matrimonio ti cambia dentro, anche se non vuoi, aveva detto Mrs. Hudson. E al momento non c’è niente di più contrastante tra il suo desiderio di riavere indietro John e quello di dargli la possibilità di essere felice. Felice come lui non l’ha mai reso. Perché in cuor suo lo sa, Sherlock, che quei due desideri non possono coesistere. Lo sa che deve abituarsi a ritornare da solo. Solo che non vuole. Ci potrebbe riuscire, certo. Ha vissuto la sua intera vita a farcela solo con le sue forze, a farsi coraggio solo con la propria volontà. Il punto è che ora non lo desidera più.
Il flusso dei suoi pensieri viene interrotto da dei passi incerti: donna, sessantatre chilogrammi, 175 centimetri con i tacchi.
« Torna dentro, Molly. »
La donna sussulta ma non rimane troppo stupita; ormai lo conosce. « Va bene. Andiamo? »
Sherlock  si volta con un’espressione atona, si limita ad alzare un sopracciglio. « Non intendevo… »
« Lo so che non intendevi questo, Sherlock », dice lei interrompendolo, « ma io sì. Non ho alcuna intenzione di lasciarti qui fuori da solo. Ti ho visto prima, sai? Quando hai finito di parlare con John e Mary ti sei guardato intorno e in un attimo il tuo sorriso è scomparso. Diventi triste quando pensi che lui non ti veda. »
La patologa ha parlato velocemente, gesticolando, forse perché è sempre difficile non sentirsi una stupida quando si ha a che fare con lui. Eppure non demorde, fa un passo avanti. « Ma io ti vedo », sussurra molto più indecisa, e quella piccola dichiarazione riesce in qualche modo a colpire Sherlock.
« E ci sono. »
« Non sono… triste. » afferma lui con una smorfia, rigirandosi la sigaretta spenta fra le mani.
« Perché te ne sei andato, allora? »  Molly lo incalza e, avvicinandosi rapidamente, gli sfila la cicca e la butta a terra.
« Perché non trovo affatto divertente dimenarsi e dibattersi come dei cani in calore. »
La patologa fa finta che Sherlock non abbia detto niente e formula un pensiero che l’ha sfiorata da quando ha sentito il suo emozionato – per quanto anche piuttosto crudele – discorso: « Senti già la mancanza di John, non è vero? Pensi che questo matrimonio lo allontanerà da te e che per questo ti dimenticherà, ma non sarà così. Non avere paura. »
« Non parlare senza cognizione di causa, Molly Hooper, e soprattutto non parlare senza sapere assolutamente nulla. Non ti si addice. » Il consulente alza la voce e le dà le spalle, probabilmente sperando che dopo averla tratta in quel modo se ne sarebbe andata.
« E tu, Sherlock Holmes, non sperare che trattar male me potrà farti sentire meglio. Non capisci che voglio solo aiutarti? »
« Molly. » il suo tono di voce è tanto fermo e impassibile da sembrare esasperato.
« Sherlock. »
« Non ho bisogno del tuo aiuto! » inveisce alzando le braccia in aria e guardandola in modo inasprito, poi aggiunge in tono più basso: « Non ho bisogno di niente. »
Molly lo guarda negarle e negarsi la verità e vorrebbe trovare un modo per fargli capire che con lei non deve fingere, non deve mentire. Con lei non deve essere niente.
Se ne stanno lì, in silenzio, a fissarsi per alcuni istanti; Molly vorrebbe distogliere lo sguardo, non l’ha mai fissato così a lungo e i suoi occhi sembrano scrutarla in profondità e attirarla in un luogo che le dà i brividi.
« Non abbiamo ancora ballato. » C’erano tante cose che avrebbe potuto proporre per distoglierlo dai suoi pensieri, ma questa è la prima che le viene in mente e si sente anche piuttosto banale subito dopo averla detta. Se solo potesse entrare nella sua testa e capirlo, aiutarlo, liberarlo da tutte le catene che si autoimpone. Se solo non fosse così geniale, così perfetto, se solo la sua fosse una mente normale allora potrebbe dire di poterlo salvare. Ma questo non è possibile, e forse non lo amerebbe come lo ama ora se non fosse così terribilmente complicato. O chissà, lo amerebbe allo stesso modo.
« Cosa? Non hai sentito come la penso riguardo al ballo? »
La patologa continua a guardarlo mentre compie tre passi in avanti e si avvicina incerta, i passi leggeri e titubanti, finché non riesce a notare i suoi occhi verdazzurri brillare sotto la luce del lampione. Sono vicini, abbastanza vicini da sfiorarsi – se solo lo volessero – e lei cerca di reprimere il pensiero che quella è la prima volta che lo vede da così poca distanza.
Sherlock registra mentalmente ogni minima espressione nel volto di Molly e il leggero tremolio della sua mano destra mentre la solleva e l’avvicina alla sua spalla. La lascia sospesa per qualche istante e poi la poggia sul tessuto pregiato del suo completo. È la prima volta che lo tocca così intimamente, pur trattandosi di un’ innocente carezza, ed entrambi sembrano star trattenendo il respiro.
Non riesce a capire come faccia ad essere così intraprendente, come se fossero amici di vecchia data che non si vedono da tanto tempo o come se ci fosse una certa confidenza e familiarità fra loro. Sarà forse colpa dei  tre bicchieri di champagne che Mary e John l’hanno obbligata a bere?
 La sua mano sinistra, invece, scivola lentamente sul suo braccio e raggiunge quella di Sherlock, intrecciando le proprie dita alle sue. Lui è totalmente immobile, guarda sopra la sua testa e non accenna a ricambiare quel semplice contatto.
« Lasciati andare. » lo esorta Molly.
Il consulente investigativo rimane in una posizione totalmente statica per diciotto secondi, poi pare svegliarsi da una specie di incantesimo, abbassa il volto verso il suo – nonostante i tacchi ci sono ancora diversi centimetri di differenza fra i due – e la scruta ancora per qualche attimo. Sherlock non sa cosa gli passi per la testa, non conosce il motivo per il quale stia concedendo alla donna il momento che lei ha sognato per tanto tempo – a giudicare dallo scintillio nei suoi occhi – eppure prende la consapevole decisione di smettere di pensare a qualsiasi cosa. Così come fa quando ha la necessità di entrare nel suo Mind Palace, l’investigatore si estranea completamente dall’ambiente circostante, dai rumori e da quel fastidio al petto e semplicemente agisce.
Un brivido sconvolge la schiena di Molly nel punto in cui Sherlock posa la mano sinistra, mentre con la destra stringe delicatamente le dita della donna; quest’ultima sorride ancora e, seppur non ci sia alcuna melodia nell’aria, comincia a ondeggiare piano, quasi al ricordo di una armonia antica.
Il silenzio è sempre stato una costante certa nel loro rapporto, come quando si ritrovano a esaminare un cadavere o ad analizzare delle prove in laboratorio, perciò entrambi sono a loro agio nella quiete di quel momento. La patologa tiene il viso chinato e gli occhi puntati sulla cravatta color panna, sa che ora come ora non riuscirebbe a reggere lo sguardo glaciale dell’uomo che la tiene stretta fra le sue braccia. Lui, d’altro canto, poggia lievemente il mento sulla sua fronte e tiene gli occhi socchiusi, semplicemente beandosi di quel momento e del calore umano di cui ha tanto bisogno, anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce.
« Sherlock », è semplicemente un sussurro quasi inudibile, « so perfettamente di non essere… John. Insomma, so che… che…»
« Molly. »
Lei annuisce e prende un respiro, poi parla ancora più piano: « Posso essere qualsiasi cosa tu voglia. »
Sherlock si allontana di qualche centimetro per guardarla negli occhi, un sopracciglio alzato in espressione interrogativa.
« Non voglio che tu sia qualsiasi cosa », prende una piccola pausa, « voglio che tu sia tu. »  
« Il fatto che John non vivrà più con te… Non vuol dire che tu sia solo. Tu non… Non sei mai stato solo. »
In quell’istante la sensazione di fastidio sparisce dal petto di Sherlock. Ci sono ancora tanti pensieri che affollano la sua mente, le informazioni continuano a circolare caoticamente nel suo Mind Palace come non era mai successo prima, eppure un piccolo tassello in una piccola stanza di quell’immensa struttura va al suo posto e lui può permettersi di tirare un sospiro di sollievo.
« Perché sei così gentile con me? Non merito affatto la tua premura, soprattutto perché non ti ho mai riservato lo stesso trattamento. »
Molly continua a guardarlo con un accenno di sorriso sulle labbra e non sembra offendersi di quello che ha appena detto. « Non ho bisogno che tu sia gentile con me. Non è un…un meccanismo per ottenere qualcosa in cambio. »
Sherlock stringe ancora di più la sua schiena e la patologa, sfiorando la sua guancia con la propria, appoggia il mento contro il braccio che avvolge ancora le sue spalle larghe. È la cosa più simile ad un abbraccio che il consulente abbia mai provato, perciò sembra quasi felice di quel contatto.
« Dopo tutti gli errori che ho commesso… » è un sussurro che va a disperdersi fra i capelli di Molly, ma lei riesce a sentirlo chiaramente. In esso può percepire senso di colpa e dispiacere, due emozioni che mai si sarebbe immaginata di potergli associare.
« Io ti amo, Sherlock Holmes », le lacrime ormai sono in agguato, sembrano aggrapparsi alle ciglia e attendere il momento più imbarazzante per scivolarle giù lungo le guance, e la sua voce trema e si spezza come poche volte nella sua vita, « tu non puoi sbagliare ai miei occhi. »
 In quel momento Molly Hooper è grata di non doverlo guardare in viso, perché non riuscirebbe a sopportare di vedere i suoi incantevoli lineamenti irrigidirsi e tramutarsi in un silenzioso rifiuto – nel migliore dei casi –; attende con ansia il momento in cui lui capirà di essersi esposto troppo e si allontanerà, probabilmente riservandole quell’espressione indifferente che assume ogni volta che parlano. Sa che ora dovrà affrontare l’idea di non vederlo più, dovrà accettare in silenzio il suo allontanamento, eppure non riesce a pentirsi di ciò che ha appena detto. È qualcosa che avrebbe voluto pronunciare dalla prima volta in cui i suoi occhi glaciali le si sono posati addosso; una frase che le ha sfiorato le labbra ancora prima di conoscerlo, persino prima di sapere che persona brillante, singolare e splendida sia.
Tuttavia i secondi passano e quel momento non arriva, Sherlock non sembra avere nessuna intenzione di separarsi da lei e, quando Molly sta per scusarsi di quello stupido attimo di debolezza, finalmente mormora un’unica parola, un lemma che ha usato davvero poche volte nella vita e che mai come in quel momento è stato più sincero: « Grazie. »

 
  
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