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Autore: DarkPenn    17/06/2008    3 recensioni
La carne dell'uomo non è che un bozzolo da cui escono mostri. Alcuni di essi sono atroci forme biomeccaniche, ma altri mantengono aspetto umano... Esperimento cyberpunk in due capitoli. A seconda dell'accoglienza si deciderà di proseguire o meno.
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Guts, Puck
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: Contenuti forti
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CAPITOLO 1: SINFONIA DI MORTE


La musica scivolò nel buio elettrico della città, soffocandosi in un silenzio fatto di luci al neon. Quaranta piani sotto di lui, le auto dei nottambuli sfrecciavano sull’asfalto e gruppi di ragazzi e ragazze si agitavano ridendo, ignari di ronzare attorno a quelle luci al neon come falene attorno ad una fiamma viva, ogni momento un momento in meno di vita. Ogni passo un passo più vicino alla morte.
Il cyborg lo sapeva bene, fin troppo bene. Era per questo che si trovava in quella camera d’albergo.
La porta del bagno si aprì. Lei, bionda, bellissima, nuda, si fece avanti con un sorriso malizioso.
Lui sorrise: si cominciava.
Si unirono in un amplesso appassionato, ma entrambi pregustavano ciò che sarebbe accaduto dopo. Fu la donna, al culmine della passione, a gettare la maschera per prima.
Avvinse con cosce fin troppo forti il bacino del cyborg a sé, mentre la sua bocca si allargava, riempiendosi di denti acuminati che uscivano dagli alvei nascosti nelle sue gengive. La sua pelle si fece scagliosa da liscia che era e nei suoi occhi balenò una folle ingordigia. Ben presto, si disse, avrebbe compiuto un altro sacrificio in nome della sua natura mostruosa. Ma, proprio mentre la sua mascella si disarticolava per inglobare il suo amante di quella notte, questi le spinse il suo braccio sinistro, quello meccanico, fino in gola, e sorrise.
Al mattino dopo, il cyborg abbandonò il letto dalle lenzuola disfatte, le pareti annerite di quella che avrebbe dovuto essere la sua tomba e il cadavere ancora fumante di quella che un tempo era una donna. Senza prestarci ulteriori attenzioni, infilò il suo lungo cappotto di pelle, inforcò gli occhiali da sole e si issò sulla schiena la sua iSword. Un altro di quei mostri che l’avevano reso tanto simile a loro aveva cessato di esistere. Era di un passo più vicino alla sua vendetta.

Più tardi, quella stessa giornata, la monorotaia magnetica scaricò il suo carico di persone alla solita fermata della periferia della città, dove si incontravano gli spacciatori per vendere la loro merce e i rapinatori per organizzare i loro colpi. Tra la folla però c’era un volto nuovo, che non tardò ad attirarsi gli sguardi diffidenti di coloro che, lavorando nei locali e nelle fabbriche clandestine di quella zona, non sapevano se sarebbero tornati a casa vivi. Tuttavia quella gente aveva imparato sulla propria pelle a non impicciarsi degli affari altrui, specialmente quando questi coinvolgevano cyborg alti quasi un metro e novanta dall’aria truce.
Anche se non era mai stato in quel quartiere della città, il cyborg sapeva bene dove doveva dirigersi per ottenere le informazioni che gli servivano.
Il bar più malfamato della zona era anche l’unico la cui insegna al neon non era stata vandalizzata dagli sgherri delle varie bande che infestavano quella fogna, e per una ragione ben precisa: era il loro preferito, pagava bene per la protezione e offriva molti divertimenti per chi sapeva cercare bene.
Il cyborg vi entrò circospetto: sapeva per esperienza di potersi aspettare di tutto in un posto del genere. Solcando il mare fatto da prostitute, spacciatori e perditempo, arpionò uno sgabello e si appostò al bancone, tendendo le orecchie. Ben presto sentì qualcosa che gli avrebbe potuto interessare.
Una voce acuta e un po’ stridula innalzava alte grida da un tavolo poco distante. Attorno, un gruppetto di ragazzi in giacca di pelle stava ridendo sguaiatamente.
“Per favore, smettetela!” gridò ancora quella voce.
“Adesso sta’ a vedere,” bofonchiò uno dei ragazzi, digitando rapidamente qualcosa su un portatile. Un rumore ridicolo uscì dalle casse, subito seguito da un gemito scandalizzato e disperato da parte della voce tormentata.
“Un vero spasso questi programmini!” ululò un altro dei tormentatori.
“Non sono un programma qualsiasi!” ribatté stizzita la voce, che non sembrava essersi persa d’animo. “Sono un elfo!”
“Sì, e io sono il principe azzurro!” la canzonò un terzo uomo, atteggiandosi in maniera ridicola e suscitando la volgare ilarità dei compagni.
“Questi sono per il locale,” disse il cyborg, posando sul bancone alcuni crediti e alzandosi in piedi.
“Dai, Igor, ora facciamola finita con questo cosino e troviamoci qualcosa di più divertente da fare,” si lamentò il primo che aveva parlato.
“D’accordo, d’accordo,” fece il più grosso del gruppo, sgranchendosi le dita delle mani metalliche. “Gli faccio un ultimo hacking e ce ne andiamo. Senza offesa, insetto…”
Dallo schermo del portatile si levò un grido acutissimo, ma le dita di Igor non raggiunsero mai la tastiera. Una fila di proiettili sottili come aghi attraversò il cranio del criminale e si conficcò nel muro dall’altra parte, allargando un festone di materia cerebrale nello spazio vuoto che aveva attraversato. Igor barcollò qualche attimo prima di accorgersi di essere morto e di stramazzare al suolo. I suoi compagni si girarono attoniti verso l’origine di quell’attacco fulmineo quanto inaspettato. Il cyborg, senza una sola parola, abbassò la mitragliatrice fissata sopra il suo braccio meccanico.
“Bastardo!” gridò uno degli amici di Igor ma, più velocemente di quanto un occhio umano naturale potesse vedere, fu crivellato da un’altra salva di proiettili da parte del tizio con il cappotto scuro. Gli altri estrassero i loro mitra, ma la velocità del cyborg era qualcosa di sovrannaturale: evidentemente montava un acceleratore di riflessi di ottima qualità, tale che in meno di dieci secondi ebbe avuto ragione dei suoi avversari.
“Wow…” sospirò l’elfo, che aveva visto tutto tramite la webcam incorporata nel portatile. Solo uno della banda era ancora in piedi, tremante come una foglia. Fece per allungare una mano verso una granata appoggiata vicino al computer ma un dardo gli si conficcò nel naso, facendolo urlare per il dolore e la sorpresa. Il cyborg gli fu subito addosso, afferrò la parte di dardo che sporgeva e la spinse violentemente contro il tavolo, costringendo l’individuo a piegarsi per non vedersi strappare il naso dalla faccia.
“Rispondimi,” disse l’uomo in nero, “sei uno degli sgherri di Koca?”
“S-sì,” fece con un’assurda voce acuta la sua vittima. “Se lo sai… S-saprai anche cosa ti aspetta… per questo attacco!”
“Non mi spaventano le tue minacce, pezzo di merda!” fu la risposta del cyborg, mentre imprimeva una torsione al dardo per convincere il suo interlocutore che sarebbe stato meglio parlare solo quando interrogato. “Riferisci al tuo capo,” aggiunse quando i gemiti di dolore si furono placati, “che il Guerriero Nero è arrivato. Tutto qui.”
Dette queste parole, lasciò la presa. Un movimento alle sue spalle attirò l’attenzione dei presenti, abituati alla violenza ma non ad un tale grado, troppo atterriti per reagire. Solo l’elfo, dal suo schermo, ebbe la presenza di spirito per intervenire. “Alle tue spalle!” gridò.
Forse il cyborg si era già accorto del tizio che, solamente ferito, stava puntando contro la sua schiena un grottesco incrocio tra un fucile anticarro ed un braccio, o forse no. Ma la reazione fu ugualmente fulminea. Da sotto il cappotto nero si alzò un enorme blocco di ferro che si abbatté senza pietà sull’uomo, tranciandolo in due e spargendo interiora e sangue tutto intorno, con la generosità di una fiera di paese. Nessuno urlò, neppure chi era rimasto inondato dal contenuto di quel corpo diviso in due. Il cyborg premette un pulsante sull’impugnatura di quella che, ora era evidente a tutti i presenti, era una gigantesca spada a vibrazione, e l’impulso molecolare che la rendeva in grado di tagliare la pietra come se fosse carta si spense con un ronzio. Senza degnare di uno sguardo i presenti, il Guerriero Nero si issò sulle spalle l’arma e si infilò nelle orecchie due auricolari, prima di uscire dal locale trasformato in un macello. Addirittura l’elfo era rimasto senza parole di fronte a quello spettacolo.
  
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