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Autore: Ale HP    14/02/2014    2 recensioni
Ian Gallagher non si ubriacava spesso, di solito alle feste lui era quello con una canna in mano, non quello con una bottiglia ormai vuota e il sapore amaro del whisky in bocca. [...] Ian Gallagher, però, era diverso in molte cose da qualche mese a questa parte, e quel quattordici di febbraio non era da meno.
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Gallavich a tema San Valentino, senza troppe pretese.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher, Mickey Milkovich, Phillip 'Lip' Gallagher
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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prompt: scrivere su san valentino senza dire le parole "san valentino", "cuore", "amore", "cupido", "freccia".
è stata un'impresa.



 
Quattordici febbraio.

 Ian Gallagher non si ubriacava spesso, di solito alle feste lui era quello con una canna in mano, non quello con una bottiglia ormai vuota e il sapore amaro del whisky in bocca. Di solito faceva un tiro o due, passava a Lip e poi faceva qualche altro tiro, perché altrimenti non arrivava ai livelli degli ubriaconi lì intorno. Qualche volta poteva capitare che bevesse una birra, non di più, perché in genere non gli piaceva dimenticare ciò che aveva fatto la sera prima e assolutamente non voleva fare qualcosa che poi volesse davvero dimenticare.

 Ian Gallagher, però, era diverso in molte cose da qualche mese a questa parte, e quel quattordici di febbraio non era da meno.

 Un anno prima, il quattordici febbraio scorso, l’aveva passato seduto sul tetto di un edificio abbandonato con Mickey Milkovich; avevano bevuto qualche birra, avevano fatto sesso, e avevano fumato sigarette, come un qualsiasi giorno normale, fatta eccezione che Linda aveva chiuso il negozio per un giorno, quindi il luogo di ritrovo era semplicemente diverso.

 Non era in grado di ricordarsi se gli fosse piaciuta o meno quella giornata di quell’anno prima, e non era nemmeno in grado di sapere se quel giorno stesso gli stesse piacendo.

 Sapeva solo che era diverso, e non semplicemente per il luogo di ritrovo.

 Innanzitutto, un anno prima – molto probabilmente – stava indossando una maglia stinta, una felpa non abbastanza calda e dei jeans scuri abbastanza larghi. Invece, in quel momento indossava una canotta di un argento luccicante, dei pantaloni troppo stretti ed era ridicolmente truccato.

 Se un anno prima si fosse visto, probabilmente si sarebbe preso per il culo da solo. E poi l’avrebbe fatto vedere a Mickey, che avrebbe riso e avrebbe detto qualcosa di molto simile ad un “Fottuto finocchio”.

 Ma adesso non ricordava nemmeno com’era un anno prima, non ricordava per lo più nulla.

  Non ricordava nemmeno perché aveva iniziato a voler dimenticare una volta per tutte. A volte si diceva che era perché in quel modo si divertiva molto di più, che non pensare era bello e portava via i problemi di tutti i giorni.

 Il nuovo lavoro gli piaceva, “era pagato per divertisti”, il sogno di almeno la metà degli ubriaconi del Southside, ed era circondato da bei ragazzi gay, ai quali non si doveva avere la paura di chiedere o di dire qualcosa di sbagliato. Non importava, era una vita vissuta all’insegna del divertimento, della nulla facenza e degli aperitivi a qualsiasi ora del giorno.
 
 C’era qualcosa che, però, non andava abbastanza bene. Sentiva come se stesse dimenticando qualcosa di molto importante, qualcosa di cui sentiva l’irrimediabile mancanza.
 
 Lip era venuto quella mattina. Si era presentato a casa sua alle sei di mattina, e nonostante lui stesse dormendo beatamente l’aveva preso di peso e l’aveva portato sotto la doccia per svegliarlo.

  Voleva che tornasse alla sua vecchia vita, voleva che lasciasse Boystown e che tornasse a casa con lui.
Lui aveva replicato che c’era un motivo se se ne era andato, e probabilmente doveva essere bello grosso se aveva fatto di tutto per dimenticarlo.  « Non voglio ricordarlo, grazie » aveva detto, liquidandolo.

 Lip aveva cercato di replicare, ma lui l’aveva semplicemente sbattuto fuori di casa, per poi farsi mezza bottiglia di whisky.

 Era diventato l’alcool che preferiva, anche se ultimamente non faceva tanto caso all’etichetta e probabilmente un giorno di quelli sarebbe potuto persino inciampare in un detersivo e berlo senza prima guardare.

 Il fratello aveva continuato a bussare alla porta per le seguenti ore, e – ad un certo punto – Ian gli aprì, dimenticatosi completamente di averlo già visto quella mattina.

 « Ehi, fratello! » aveva esclamato, porgendo la mano per dargli il cinque.

 Lip si morse il labbro, cercando di calmarsi. Continuava a ripetersi che quello era ancora Ian, che lì da qualche parte doveva esserci il ragazzo con cui litigava ogni mattina per la doccia, quel ragazzo che se si svegliava nel bel mezzo della notte per qualsiasi motivo e vedeva uno dei suoi fratelli con la coperta caduta la riprendeva, perché sapeva che avrebbero avuto freddo.

 « Ti va di fare un giro? » gli chiese, allora. Ci provava ad essere vago, a sorridergli come se nulla fosse e a dargli numerose pacche sulle spalle.

 Ian scrollò le spalle, alzando le braccia in segno di scusa. « Devo andare a lavoro, mi dispiace ».

 Fece per andarsene, ma Lip lo bloccò, prendendolo per un braccio.

 « Mickey » disse. « Te ne sei andato perché Mickey si è sposato. Te ne sei andato perché fingeva di non tenerci a te. Te ne sei andato perché eri stanco di quella situazione ».

 Ian lo aveva guardato confuso, prima di correre via.

 Improvvisamente suo fratello aveva portato la sua mente alla realtà, l’aveva reso di nuovo vulnerabile, gli aveva fatto ricordare perché aveva molte delle cicatrici che non ricordava di avere, gli aveva fatto capire cos’era che mancava in quel posto quella sera.

 Ma aveva preferito dimenticarlo di nuovo, perché anche solo quell’assaggio di realtà l’aveva ferito troppo, e il nuovo Ian Gallagher non comprendeva le lacrime o la semplice tristezza.

 Il nuovo Ian Gallagher doveva essere sorridente, superficiale e frivolo. Frivolo, quella era proprio la parola adatta per descriverlo.

 « Cosa desideri, tesoro? » chiedeva a chiunque si avvicinasse al bancone, flirtando vergognosamente con ognuno di loro, che puntualmente gli dava il proprio numero, e lui prometteva di richiamare – cosa assolutamente falsa perché, primo, l’avrebbe sicuramente dimenticato, e secondo, non aveva un telefono da quando… da quando qualcuno gli aveva continuato a mandare dei messaggi che per qualche motivo non voleva ricevere.

 Qualcuno di loro rispondeva anche qualcosa molto simile a «Fare sesso con te, ecco cosa desidero » e lui rispondeva con un occhiolino e un « Sto lavorando ». In realtà avrebbe potuto tranquillamente farsi qualcuno lì dentro, ma la sua testa gli diceva che non poteva e basta, perché non si scopa sul lavoro.

 « Una volta non la pensavi così » disse qualcuno, al suo ennesimo “Sto lavorando”. Lo disse un ragazzo dai capelli neri e due occhi azzurri che brillavano alle luci della discoteca, un ragazzo che non era nemmeno quello che gli aveva chiesto di fare sesso, ma che semplicemente si trovava lì di fianco.

 Ian non ci aveva nemmeno fatto caso a ciò che aveva detto quel ragazzo, non l’aveva nemmeno degnato di uno sguardo: era troppo nel suo mondo per prestare attenzione a tutto e a tutti.

 Il ragazzo restò lì tutta la serata, cercando di parlare con Ian, ma non era la cosa più facile al mondo. Lo notò solo verso la fine, quando si era reso conto che c’era questa figura immobile seduta sullo stesso sgabello dall’inizio della serata.

 « Ehi, tizio cupo e tenebroso » lo chiamò, « vuoi qualcosa? »

 Quest’ultimo alzò lo sguardo, e richiamò a sé tutta la forza che aveva per guardare il barista negli occhi. Era assurdo. Mickey non poteva credere che il ragazzo che aveva di fronte era Ian.

 Certo, lui era sempre stato più “così” che lui, Ian non aveva mai avuto paura di essere gay, non aveva mai negato di esserlo a se stesso, si era sempre accettato. Ma Mickey si ripeteva che quello che aveva davanti non era l’Ian che si accettava e che lo accettava per quello che era, Mickey vedeva un pazzo, un fuori di testa con una fottuta matita sotto gli occhi e una canotta attillata e luminosa. Non lo riusciva nemmeno a trovare figo in quel modo, e – andiamo – quello era Ian Gallagher e lui era Mickey Milkovich.

 « Possiamo parlare? » chiese, quando trovò il coraggio.

 Ian lo guardò incuriosito. « Sei il primo qui dentro che me lo chiede ».

 « Non ti ricordi? » chiese ancora, sperando con tutto se stesso che bastasse, che non dovesse dire altro e che quello che si trovava davanti tornasse all’improvviso l’Ian che conosceva.

 Ma questi lo guardò solo interrogativo.

 « Mickey Milkovich » disse e Ian fece cadere la bottiglia di Tequila che aveva in mano.
 
 
 


 Ian Gallagher aveva decisamente avuto migliori quattordici di Febbraio nella sua intera esistenza, mentre quello – quasi sicuramente – era il peggiore della sua vita.

 « Ho passato mesi di merda » stava dicendo il ragazzo di fronte a sé. « Nessuno sapeva dove cazzo eri, poi è arrivato l’esercito a cercarti e tu che fai? Te ne stai qui a fare la fottuta checca davanti a tutti ».

 Lui non replicava, lasciava che Mickey facesse tutto il lavoro, anche perché, sinceramente, non è che stesse capendo molto.
 
 « Tu dicevi che per te quel fottuto pezzo di carta contava. Dicevi che ti importava che io stessi sposando una fottuta puttana per salvare il culo di tutti e due. Dicevi che ti serviva che ammettessi cosa provavo per te. Non era abbastanza, cazzo? Già te l’avevo detto, io non sono uno di quelli che dice al mondo se sta bene o no, non sono uno che urla “Ehy, sono gay e amo questo fottuto coglione qui”! »

 Mickey non sapeva com’è che era riuscito a dirlo. Forse era per la decina di birre che aveva bevuto o per la rabbia che provava dentro di sé in quel momento.  Ma ormai si era anche scocciato di far finta di non importarsi di Ian, si era scocciato di provare a non ammettere che ci tenesse, era semplicemente dovuto scendere a patti con se stesso. In realtà l’aveva fatto da molto tempo, da quando era entrato di nascosto nella stanza di Mandy per rubare la foto di lei ed Ian, per poi tagliarci via la sorella.

 Era successo quando la mancanza di Ian si iniziava a sentire troppo e lui si sentiva terribilmente in colpa. Era successo quando l’unico pensiero che gli passava per la testa era “sei un coglione, sei un coglione e sei un coglione” e non faceva sesso da quando Ian si era presentato al suo matrimonio. Nel senso, sesso vero: qualche volta ci aveva anche provato con Svetlana, ma si scocciava come minimo un secondo dopo.

 « Che dovrei dire? » chiese Ian, con un sorriso inappropriato sulle labbra.

 « Qualcosa, cazzo! » urlò l’altro. « Per due e più anni, mi hai rotto le palle perché non mi aprivo, perché non chiacchieravo come facevi tu. Ora lo sto facendo, cazzo! »

 Ian scrollò le spalle.

 « Vai a casa, allora! Fai qualcosa! Non startene lì impalato. Tua sorella – come si chiama… - Debbie, lo sai che viene ogni giorno a bussare alla tua porta e tu non le apri mai? »

 « Non posso tornare a casa, se me ne sono andato… » Ormai quelle frasi Ian le sapeva a memoria, gli uscivano persino naturali ogni volta che sentiva la parola “casa” e il verbo “andare” nella stessa frase.

 « Te ne sei andato per colpa mia, okay? Torna, io non ti parlo nemmeno più » disse, « ma torna ».

 Lui scosse la testa.

 « Una anno fa eri diverso ».

 Era luminoso per essere febbraio, era luminoso e Ian era felice. Non sapeva perché lo era, e non sapeva nemmeno perché stesse seguendo Mickey verso quel palazzo abbandonato.

« Un anno fa non mi divertivo così tanto, evidentemente » replicò lui.

 Ian rideva, mentre Mickey si rovesciava la birra sulla maglia, e lo prendeva in giro. A Mickey non dava nemmeno fastidio, perché ormai quello era Ian e Ian poteva persino permettersi di prenderlo in giro.

 « Ma davvero? »

 Avevano fatto sesso per ore, alternandosi e alternando il sesso alle loro chiacchierate senza senso, quelle che non portavano a niente e che non avevano nemmeno un argomento preciso.
 Avevano mangiato, avevano bevuto e si erano divisi delle sigarette, perché non c’era nient’altro da fare e andava bene così.

 « No? » chiese Ian, sincero.

 Mickey annuì.

 Mickey aveva riso come non mai, aveva fatto finta che i panini che aveva fatto Ian fossero buoni – più che altro perché aveva fame – e si era scolato birre su birre.

 « E dovrei venire? » chiese. Mickey non aveva mai visto lo sguardo di Ian così vuoto, non avrebbe mai detto che Ian gli mancasse più ora che lo aveva di fronte che prima quando realmente non c’era.

 Annuì di nuovo.

 « Allora forse dovrei venire per davvero ».

 « Sì ».

 Ian era tornato a casa felice, quella sera, felice di aver passato quel quattordici di febbraio con Mickey, nonostante lui dicesse che era soltanto perché non aveva nulla di meglio da fare il motivo per cui erano stati assieme. E ne era felice, perché Mickey era un pessimo bugiardo.
 







note: spero di non essere andata troppo occ con Ian. In quest'ultima puntata l'ho interpretato un po' così, contradditorio e completamente diverso dal solito. 
E niente, anche se è quasi finito, buon San Valentino a tutti!
   
 
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