Things
never go as planned
Nella
quiete di un pomeriggio assolato, il cielo di Namimori viene
improvvisamente
sferzato da un colpo di frusta, subito seguito da un debole lamento e
da un
colpo più sordo dato dal cozzare del metallo di un tonfa non
propriamente
amichevole contro le ossa di un braccio tatuato.
Il
possessore del suddetto braccio arretra di un passo, lamentandosi
piano,
conscio che, il giorno dopo, nel punto colpito ci sarà un
glorioso livido,
prima di tornare all’attacco, brandendo la sua fidata frusta
per vendicare l’onta
subita, scagliandosi sul suo avversario che, dal suo canto, piega le
labbra in
qualcosa che ricorda terribilmente un ghigno divertito, fiero di essere
riuscito a mettere in difficoltà l’uomo che si
trova di fronte.
Poco
distante, appoggiato alla balaustra del tetto che è teatro e
spettatore di
quello spettacolo ricorrente, se ne sta un uomo dai capelli scuri e i
baffi
neri che osserva lo scontro da dietro le lenti degli occhiali con negli
occhi
un misto di divertimento, rassegnazione e preoccupazione.
Quando
Romario aveva accettato di seguire il suo giovane Boss in Giappone,
sotto
chiaro ordine di Reborn, non si aspettava certo questo.
Riteneva
che l’addestrare uno dei futuri Guardiani della Famiglia a
capo della loro
alleanza fosse, senza alcun dubbio, un onore e un privilegio per la
Famiglia
Cavallone e mai era stato così orgoglioso del suo Boss come
nel momento in cui
era stato chiamato dal Bambino degli Arcobaleno per ricoprire quel
ruolo.
Tuttavia
aveva pensato che, una volta riusciti a far sopravvivere il ragazzino
allo
scontro ravvicinato con i Varia, tutto si sarebbe sistemato e loro
sarebbero
potuti tornare in Italia tranquillamente.
Ma
le cose non erano andate esattamente così.
Per la precisione le cose non erano andate minimamente
come previsto fin dall’inizio.
Il
Braccio Destro dei Cavallone si era immaginato, durante
l’interminabile viaggio
in aereo per raggiungere quella terra straniera, che
l’allievo del suo stupido
Boss fosse qualcuno non molto diverso dallo stesso Dino: si immaginava
una persona
solare, calma e un po’ imbranata, ma disposta a tutto per gli
amici, con una
forza nascosta che stava tutta in quel sorriso che riusciva a
rasserenare anche
il cielo più buio.
Hibari
Kyouya non era esattamente così.
Quel
tipo non si poteva certamente definire una persona allegra e la soglia
della
sua pazienza rasentava il ridicolo, dal momento che sembrava perdere le
staffe
con la stessa facilità con cui Dino inciampava nei suoi
piedi. Scontroso,
arrogante e solitario, Romario si era convinto che quel ragazzino
problematico
non aveva mai imparato a sorridere in tutta la sua vita.
Nonostante
ciò era forte, intelligente e incredibilmente sveglio, una
combinazione che,
unite alla sua brama di forza, avrebbero potuto farlo diventare il
più
pericoloso e il più forte Guardiano che i Vongola avessero
mai visto dai tempi
della prima generazione.
Così aveva sospirato, si era armato di pazienza -e una buona
dose di cerotti- e
aveva cominciato ad assistere Dino in quell’allenamento, dove
guardare e
pregare che tutto andasse per il verso giusto era tutto quello che
poteva fare.
E
i risultati, incredibilmente, c’erano stati davvero.
Lo
spaventoso ragazzino dagli occhi di ghiaccio era diventato, se
possibile,
ancora più forte e Dino sembrava un papà
orgoglioso.
Ma
le cose non quadravano.
O
per meglio dire, il suo istinto gli suggeriva che c’era
qualcosa che non andava
e lui si fidava del suo istinto: non era sopravvissuto per tutti quegli
anni
nel mondo mafioso per nulla.
Aveva
capito che le cose si stavano evolvendo in maniera poco consona dopo un
paio di
giorni dall’incontro con quel pazzo del Presidente del
Comitato Disciplinare:
sembrava che Hibari fosse diventato l’unico argomento di
conversazione ritenuto
degno da Dino. Quando non era insieme al ragazzo, il giovane Boss
continuava a
parlare di lui a chiunque lo stesse ad ascoltare.
Così,
in una litania assordante di “Kyouya ha fatto
questo”, “Kyouya ha fatto
quell’altro”, “Oggi Kyouya mi ha parlato
civilmente” e svariate altre varianti,
Romario non solo era venuto a conoscenza di ogni minimo segno di
miglioramento
del ragazzo, ma anche di qualcosa che avrebbe preferito non fosse mai
nata.
Sperava
solo di essersi fortemente sbagliato, per una volta.
Così,
quando lo scontro con i Varia si era concluso con una vittoria
schiacciante, Romario
aveva disperso il suo sollievo in un sospiro un po’
rassegnato e aveva già
cominciato a preparare le valige per tornare a casa quando la doccia
fredda era
arrivata.
Ricordava
chiaramente quel giorno come il più funesto dei giorni:
aveva appena finito di
sistemare le ultime cose ed era già pronto ad andare a
sistemare l’inevitabile
casino che il suo Boss stava sicuramente combinando nel cercare di
infilare
tutti i suoi abiti nelle valigie quando, all’improvviso, la
porta si era aperta
e un Dino Cavallone tutto sorridente si era presentato al suo cospetto.
-Che
stai facendo Romario? È ora di andare a scuola! Se arriviamo
in ritardo Kyouya
ci morderà a morte!-
Lo
aveva detto ridacchiando, con una genuina sorpresa negli occhi alla
vista dei
bagagli pronti tanto che, all’inizio l’uomo non
aveva saputo come reagire ne
cosa rispondere.
Aveva
alzato appena le sopracciglia, in un eloquente gesto confuso, prima di
rivolgersi al giovane uomo con la calma che si usa per far capire le
cose ai
bambini.
-Boss…il
volo parte tra qualche ora.-
Dino
lo aveva guardato smarrito per un istante, poi i suoi occhi si erano
offuscati
con nubi temporalesche e aveva abbassato lo sguardo.
-Io
non parto.-
Aveva
detto, col tono di chi sta facendo di tutto per non scoppiare a
piangere.
Romario
non aveva saputo far altro che sussurrare il suo nome in cerca di una
risposta
che, non senza sorpresa, andò a confermare ancora una volta
l’infallibilità del
suo istinto.
-Non
posso lasciarlo…non voglio.-
Le
mani di Dino, strette in pugni, tremavano appena vicino ai suoi fianchi.
Ancora
una volta le cose non erano andate come previso. Sapeva perfettamente
che,
chiunque fosse stato il suo allievo, Dino si sarebbe affezionato -lo
aveva
messo in conto, prima d partire-, ma non aveva mai neanche mai
lontanamente
pensato che le cose si sarebbero potute evolvere in un modo
così pericoloso.
Non
aveva messo in conto che Dino si sarebbe innamorato.
Romario
sospirò, realizzando che nulla di quello che avrebbe detto o
fatto avrebbe potuto
cambiare la situazione.
Rimasero
in silenzio per qualche istante, l’uno a fissare con molto
interesse la trama
del tappeto e l’altro a chiedersi cosa si fosse rotto in
quella dannata testa
bionda.
Anche
se forse il problema era da cercare nel cuore.
Sospirando,
il Braccio Destro dei Cavallone si passò una mano nei
capelli prima di
rassegnarsi all’inevitabile.
-Andiamo
allora…-
Aveva
detto, in un borbottio sommesso e contrariato, giusto per far capire a
Dino che
no, non approvava del tutto quella scelta, ma che se era questo che
voleva non
si sarebbe opposto.
Il
ragazzo, in risposta, gli aveva sorriso e lo aveva abbracciato, pima di
trascinarlo verso quella dannata scuola.
Poi
il tempo era passato e il loro soggiorno di “poche
settimane” si era trasformato
in un soggiorno da “qualche mese”.
Ma
le cose non erano cambiate granché.
Romario
era ancora appoggiato alla balaustra del tetto, mentre Dino e Hibari
ancora si
stavano picchiando in quello che loro chiamavano
“allenamento”.
Tuttavia
qualcosa di diverso c’era.
La
frusta del giovane Boss fece un movimento fluido, a metà tra
il volontario e il
casuale, andando ad incatenare il polso del suo proprietario a quello
dell’altro ragazzo.
-Per
oggi basta, Kyo-chan-
Pur
non essendo una domanda alle orecchie di Romario suono come tale,
facendolo
sorridere tra se e scuotere la testa davanti alla maniacale delicatezza
con cui
Dino trattava il suo allievo, nonostante non lo avrebbe mai ammesso.
In
risposta, Hibari grugnì qualcosa di non meglio definito ma
che nel suo
particolare linguaggio sembrava essere una sorta di assenso, dato che
l’uomo
sorrise e lascio la presa.
Ci
furono altri borbottii non meglio definiti da parte di Hibari e qualche
frase
biascicata troppo in fretta e troppo a bassa voce per essere normale da
parte
di Dino, che lui non riuscì a capire.
Poi
il biondo si voltò sorridendo come non mai verso Romario.
-Noi
andiamo, Romario. Puoi tornare in albergo se vuoi.-
L’interpellato
rimase fermo immobile nel cercare di capire cosa fosse appena successo,
mentre
osservava la mano di Dino appoggiarsi delicatamente sul fianco del
ragazzino
senza venire brutalmente scacciata, in una sorta di guida verso la
porta che
dava l’accesso alla scuola.
Restò
ancora per qualche istante ad osservare la porta, prima di affacciarsi
verso il
cortile.
I
due non ci misero molto ad apparire e Dino non ci mise molto a
rischiare di
finire faccia a terra a causa della sua imbranataggine cronica.
Tuttavia
l’impatto col terreno non avvenne.
Sembrava
che Hibari avesse afferrato per il braccio lo “Stupido
Erbivoro”, come lo stava
interpellando in quel momento, e che ora non avesse poi molta voglia di
lasciarlo andare.
Dino,
felice come non mai, rideva.
Anche
Romario sorrise.
No,
decisamente le cose non andavano mai come dovevano, ma, dopotutto,
andava bene
così.
°Blablabla
vari°
Mamma
mia! È una vita che non prendo in mano nulla di questo
fandom e si vede!
Credevo
fosse impossibile peggiorare, ma mi sbagliavo.
Salve
bella gente, sono ancora viva per la vostra gioia (?) e,
com’è risaputo, vengo
in nome della D18.
Questa
volta dal punto di vista di Romario…l’avevo fatto
dal punto di vista di
Kusakabe, quindi mi sembrava giusto bistrattare anche
lui…solo non sono sicura
di aver scritto qualcosa di sensato (e credo di aver perso la mano
sull’IC dei
personaggi lalalù)
Ad
ogni modo avevo bisogno di scrivere, specialmente sui miei trottolini
amorosi,
quindi eccomi qui.
Perdonatemi
ancora una volta.
Ossequi,
Seki