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Autore: Shora    16/02/2014    1 recensioni
Carissimi, questa storia non fa veramente paura ma siccome ho citato gli zombi ho dovuto metterla qui. È piuttosto deprimente. Fatemi sapere che ne pensate e spero vi piaccia XD.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non tutte le storie hanno “il lieto fine”:

Stava lì, ad assaporare il venticello sulla faccia in quella bella mattina di Luglio. Non sapeva esattamente cosa faceva nel suo giardino, tutta sola, così presto. Normalmente non si sarebbe avventurata lì fuori, era troppo pericoloso. Chiuse gli occhi un momento. Sedici anni. Erano sedici anni che era in vita e non si sarebbe mai immaginata un simile incubo. Le fronde del alberi sospiravano al lieve vento che muoveva le loro foglie, mentre il sole ci filtrava attraverso, formando strane chiazze di luce sull’erba verde brillante del suo prato. Piccole farfalle svolazzavano da un fiore all’altro con innaturale grazia, come se non avessero peso e fossero sospese nel vuoto grazie a quella brezza sottile. Stava assaporando tutto, ogni singolo istante, ogni singolo minuto passato al sole sulla bella panchina in mezzo al prato. Si alzò piano e cercando di fare il minimo rumore rientrò in casa. La sua calda cucina l’accolse facendole scappare un sorriso… quanti ricordi che aveva collezionato. Era proprio necessario farlo? Dopotutto era così giovane… Fece vagare lo sguardo per la sua amata cucina, ricordò per un attimo sua mamma ai fornelli, che cucinava quelle deliziose frittelle che lei e sua sorella Anna amavano tanto. Ma ora non c’era più nulla e il suo ricordò si frantumò scontrandosi con la realtà. La triste realtà. Le risa sue e di sua sorella si fecero prepotentemente vive nella sua mente. Emise un leggero sospiro, tutto andato, tutto finito. Tutti morti. Aprì la porta della cucina, trovandosi così nella sala da pranzo. Era stata, da quando si ricordasse, la stanza più fretta della casa. Il pavimento di marmo non aiutava di certo. Sul tavolo erano riposte ordinatamente tre foto: quella di sua madre, quella di suo padre e quella di Anna. Le guardò una ad una, assaporò i loro sorrisi così innocui, così sinceri… spensierati. Chi si sarebbe mai aspettato tutto quel casino, in così poco tempo poi? Si voltò verso la mensola appesa al muro, alla sua destra. Ne prese una sua foto. La osservò. Anche lei sorrideva felice, era la vera felicità, quella pura, quella che non hai paura di mostrare in pubblico, quella che ti fa scappare le risate più sincere che ricorderai per una vita. E infatti era così. Mise l’istantanea vicino a quella di sua sorella e sorrise teneramente alla vista del volto rilassato e non tirato dalla paura, quando tutto era cominciato. Si voltò, la bella scala a chiocciola la chiamava nel salirla. Seguì il suo invito. Si avvicinò e con la mano poggiata sul corrimano, liscio, di legno chiaro ben levigato, cominciò la scalinata, osservando il pavimento di marmo allontanarsi ad ogni suo passo. Si trovò davanti al lungo corridoio di sempre, ma mai come in quel momento le era sembrato così vivo, così pullulante di ricordi. Memorie che le stingevano il cuore. Mosse un passo, leggero ed impercettibile. I muri erano tappezzati di foto. Il matrimonio di mamma e papà, la sua nascita e quella di sua sorella, i loro compleanni festosi e felici. Tutto finito. Non avrebbe mai più visto una di quelle splendide torte che preparava sua madre il giorno prima del compleanno. Non avrebbe mai più atteso con trepidazione lo scarto dei regali del compleanno o di Natale, perché non ci sarebbe mai più stato nulla di simile. La prima porta che le si apriva sulla destra era la camera sua e di sua sorella. Avrebbe potuto colmare pagine, raccontando i ricordi raccolti in quella stanza come tutte le litigate, le gioie, i giochi assieme, le lacrime e anche le grandi risate, quelle che solo a ripensarci ti strappano un sorriso nostalgico e triste ma che ti farà sempre ricordare la felicità di quel momento perché, anche se è solo un ricordo, ne porta il profumo. Avanzò ancora e si soffermò a guardare il bagno azzurro. Sorrise tristemente. Quante volte ci si era rifugiata a piangere per poi guardarsi allo specchio e riprendere a sorridere? Quante volte aveva riempito i lavandini d’acqua e ci aveva fatto navigare le sua brachette giocattolo? Ne aveva perso il conto ma, in bocca, sentiva l’amarezza di dover abbandonare tutto. L’ultima stanza che le si fece viva sulla sinistra era quella dei suoi genitori. Il loro letto era rifatto nel modo più impeccabile che avesse mai visto. Si scattò una chiara immagine del loro copriletto a righe gialle e arancioni in testa, era l’ultima volta che l’avrebbe visto. Entrò. La loro era l’unica stanza con il balcone che dava sulla strada una volta molto frequentata. Già, una volta… Si riempì le narici del buon profumo di vaniglia di quella stanza. Poi aprì uno dei cassetti dove papà teneva i calzini e ne tirò fuori un sacchettino, lo avvicinò al naso. Lavanda. Era da sempre il suo fiore preferito per l’intenso profumo che emanava. Osservò il disegno fatto da lei e sua sorella Anna incorniciato e appeso sopra il letto dei suoi genitori. Allora le salì il primo singhiozzo. Fece in modo che le si fermasse in gola e rimase in contemplazione della stanza. Sentì un rumore i vetri provenire da sotto e capì che se la voleva fare finita doveva farlo ora o non ne avrebbe avuto più la forza. Prese un gran respiro e aprì le porte finestre del balcone. Si affacciò e guardò giù. Una serie di uomini ciondolanti faceva il suo ingresso in casa sua. La sentivano, sentivano il suo sangue, il suo odore di carne fresca. La volevano, come avevano fatto con la sua famiglia. Si sporse un po’ di più, versi osceni le giungevano alle orecchie e solo quando il primo di loro fu nella camera dei suoi genitori si decise. Chiuse gli occhi e con l’ultima briciola di coraggio rimastagli in corpo, si spinse verso il vuoto e si lasciò cadere, immaginando di poter fluttuare come le farfalle del suo giardino. Per pochi istanti le sembrò di tornare indietro nel tempo, a quelle giornate dove tutto era normale, dove la paura più grande era di rimanere senza dolce per cena non dove temevi non poter rimanere in vita. Dove la sua famiglia era unita e sorridente. Dove loro non esistevano. Dove nessuno si sarebbe mai sognato di trovarsi faccia a faccia con uno zombi e morire per sempre.
  
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