Storie originali > Commedia
Ricorda la storia  |      
Autore: LaClaudietta    19/06/2008    0 recensioni
Questa è la mia seconda "ff", l'ho scritta inizialmente per ricordare una mia amica che è venuta a mancare qualche mese fa (infatti un personaggio che troverete si riferisce a lei)questo mio racconto ha vinto il primo premio di un concorso a scuola....gradirei un vostro commento...grazie alla persona che mi ha fatto notare l'errore di salvataggio. Grazie Claudia
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“3, 2, 1

“3, 2, 1 ... AZIONE!”

 

E’ già passato un mese da quando la mia famiglia ed io ci siamo trasferiti a Borgo Grosso, un paesino della Valle del Sole, circondato dalle montagne. Sinceramente, non l’avevo mai sentito nominare prima e avevo fatto molta fatica a trovarlo sull’atlante.

Il posto è molto bello e, sia mio fratello, Matteo, che io, non abbiamo fatto troppa fatica ad abituarci alla nuova casa e a farci accettare dalla gente del posto.

Uno dei nostri luoghi preferiti è un vecchio ponte di pietra poco distante da casa. E’ il “ponte dei fantasmi”, almeno così tutti lo chiamano, perché si dice che, di sera, quando tutti i lampioni sono accesi e la luna piena si specchia nelle acque del fiume, il regno dei morti si unisce a quello dei vivi.

Che il ponte si popoli di fantasmi a me pare una grandissima burla, ma qui, però, non ci scherzano troppo sopra.

 

Guardo l’orologio che segna le undici e venti di sera.

Libero Darko, il mio cane, per la passeggiata serale. Lui, come un fulmine, si dirige verso il ponte per poi correre in mezzo ai prati.

Arrivata al ponte, mi siedo sul muretto con le gambe a penzoloni sopra fiume e mi metto ad osservare le stelle del cielo che si riflettono nell’ acqua. Mi viene voglia di guardare meglio l’orizzonte, aldilà delle case e degli abeti che fanno da contorno. Mi alzo in piedi sul piccolo e malsicuro parapetto; ho paura di cadere, ma quel panorama splendido che mi si apre davanti ne vale il rischio.

Darko, all’improvviso, incomincia a ringhiare.

Mi giro di scatto e vedo, con mia sorpresa, una folla di persone che cammina e che parla a voce alta come se fosse pieno giorno. Sgrano gli occhi e me li stropiccio per vedere meglio.

Il ponte ora è deserto; non c’è nessuno!

Osservo Darko che è ancora in posizione di allerta. Sento dei passi veloci e avverto un vento gelido che mi sfiora la giacca. Darko riprende ad abbaiare.

Proprio mentre sto per girarmi, perdo l’equilibrio e mi sento cadere. Mi aggrappo istintivamente con una mano al parapetto di pietra che si sbriciola sotto la mia presa e precipito nelle acque fredde del fiume.

Apro lentamente gli occhi, mi trovo sulla sponda del fiume. Mi brucia la fronte; la tasto e la mano si copre di sangue.

Darko mi lecca tutta la faccia. Fà sempre così quando è preoccupato. Lo allontano con la mano  e cerco di tranquilizzarlo, ma, come tutti i cuccioli, si mette a correre in cerchio come un matto, finchè non viene distratto da una lucciola che decide di inseguire.

Mi alzo in piedi. Sono tutta indolenzita. Mi guardo intorno e cerco di realizzare ciò che mi è accaduto, ma non riesco a ricordare niente.

Darko, intanto, si allontana sempre di più finchè non arriva vicino a una panchina illuminta da un grosso lampione. Lo raggiungo e, avvicinandomi, noto che ci sono due ragazzi seduti sulla panchina. Che strano, avrei giurato che non ci fosse nessuno in giro a quest’ora!

“Darko vieni subito qui!”, gli grido severa.

“No, no ... lascialo pure; è così carino!”, mi dice la ragazza.

“Ma stai bene? Hai del sangue sulla fronte!”, mi chiede l’altro, un ragazzo alto e molto magro, biondo e con gli occhi chiari.

“Sì, sì!”, lo rassicuro con un sorriso.

“Ciao! Sono Diego e lei è Elena.”

“Ciao! Io mi chiamo Irene”

Elena prende dalla tasca un pacchetto di sigarette, lo fissa, poi lo ripone in tasca.

“Acc ... è vero; mi scordo sempre”, mi sorride mentre giustifica la sua affermazione: “Sai, sto cercando di smettere ...”

“Capisco ... Ops, ti è caduto qualcosa!” 

Mi abbasso e tra le mani mi ritrovo un plettro con inciso sopra un piccolo scheletro.

“Wow, ma tu suoni!”

“Sì, suono o, meglio, suonavo il basso!”, dice lei tutta orgogliosa.

“ Come mai hai smesso?”, le chiedo incuriosita.

“ Ehm ... praticamente ... cioè ...”

Elena è in difficoltà e così cambia discorso: “E’ da tanto che abiti qui?”

“No, in verità è solo un mese circa; abito in quella villetta laggiù in fondo!” e intanto indico la direzione con il dito.

Guardo l’orologio; è tardissimo e così decido di salutare i due ragazzi e di tornare a casa.

Mentre mi allontano, Diego dice ad Elena: “Dici che ci metterà molto a capire?”

“Per me no, sembra molto sveglia, la ragazza!”

La nebbia scende fitta sul “ponte fantasma”, ricoprendo i ragazzi e lasciandoli come due sagome lontane.

 

Mi giro nelle coperte, non riesco a prendere sonno. Mi alzo di scatto e vedo una luce in fondo al corridoio. Vado in quella direzione mentre un vento fresco mi scompiglia i capelli. Al posto della scala c’è un prato verde. Mi osservo e noto che, invece del pigiama, indosso un vestito in stile ottocento. Vedo una persona dietro ad un albero che mi fà cenno di seguirla. Incuriosita, mi dirigo verso l’albero, ma, improvvisamente, il sole, che dava forma e colore ad ogni cosa, sparisce.

Mi si presenta una scena molto triste: tre persone, che mi voltano le spalle, piangono. Intuisco che di fronte a loro ci sia una lapide.

Uno di loro si volta; ha un viso molto familiare. Ma, sì, è Matteo! Con gli occhi gonfi per il pianto mi fissa. Avanzo verso di lui, ma è come se non mi vedesse. Così incomincio a chiamarlo a voce alta; ma niente da fare!

Poi anche gli altri si voltano: sono papà e la mamma. Si allontanano.

Io continuo a gridare per richiamare la loro attenzione, ma nessuno si accorge della mia presenza.

 Mi avvicino alla lapide. Non si riesce a leggere niente tanto è ricoperta di fango. Con la gonna cerco di ripulirla ed ecco che incominciano a comparire delle lettere sulla lapide. Le leggo lentamente una dopo l’altra. La parola che riesco a leggere è ... il mio nome!

“Oh, no! Sono morta!”

Sento il terreno muoversi sotto i miei piedi; abbasso lo guardo e osservo, terrorizzata, spuntare un braccio che si aggrappa al mio vestito e che mi tira con forza verso il basso.

“Nooooo!!!”

Apro gli occhi. Mi trovo ancora nel letto. Guardo la radiosveglia: segna le dieci e mezzo.

Darko è ancora lì, raggomitolato ai piedi del mio letto, e dorme nella cuccia.

Mi alzo e, con mio grande stupore, mi accorgo di essermi addormentata ancora vestita. Sollevo lentamente le tapparelle e la stanza viene inondata da un sole tiepido.

Sento suonare il campanello della porta. Nessuna va alla porta per aprire.

“Devono essere già usciti tutti”, penso.

 Scendo velocemente le scale e apro la porta.

Sono Elena e Diego.

“Ciao, Irene, disturbiamo?”, chiede Diego con un sorriso.

“No, no! Anzi, mi fate compagnia. Sono da sola perchè sono già usciti tutti. Volete che vi prepari qualcosa? Sapete, mi sono svegliata da poco e devo fare ancora colazione.”

“No, grazie, noi non mangiamo” risponde Diego.

Elena gli tira una gomitata e lo corregge: “Scusalo, sai, ma è dislessico. Comunque, no, grazie, abbiamo già fatto colazione”

Li guardo un po’ perplessa. Si comportano in modo strano.

“Va bene” – penso – “fatti loro!” e poi chiedo: “Ma, voi due, siete fratelli?”

“Sì, certo!” risponde Diego.

“Assolutamente no!”, gli fa subito eco Elena, mentre guarda Diego con aria di rimprovero.

 “Scusate, ma io non ci capisco più nulla. Siete fratelli, o no?”

Elena lancia un’altra occhiataccia a Diego. Poi si schiarisce la gola, prende un lungo respiro e dice: “In verità, siamo così amici che a volte ci sembra proprio di essere come due fratelli. Vero, Diego?”

Lui annuisce.

“O.K., ma – scusate - a cosa devo questa visita?”, li interrompo.

Ma loro non fanno in tempo a rispondermi che Darko corre giù dalle scale e, scodinzolando, incomincia a fargli le feste.

“E’ vero, devo portarlo fuori; che sciocca che sono!”, dico, portando la mano alla fronte.

“Dai! Vieni con noi e andiamo a fare quattro passi”, mi propone Elena, mentre accarezza Darko.

Chiudo la porta di casa e ci dirigiamo verso il prato che c’è subito dopo avere attraversato il “ponte dei fantasmi”. Ma, proprio mentre stiamo attraversando il ponte, mi blocco di colpo: sul ponte c’è un’auto della polizia, un’ambulanza e una folla di curiosi.

“Ma, che è successo?” chiedo stupita.

“Oh, diavolo!”, dice Elena e poi sussura qualcosa all’orecchio di Diego che, rapidamente, mi prende con forza sotto braccio e mi strattona, allontanandomi dal ponte.

“Senti, Irene”, mi dice con voce controllata “perchè non andiamo da un’altra parte?”

“Va bene! Ma perchè tutta quella gente? E la polizia con l’ambulanza? Cosa è successo?”

“Eh, ti abituerai! Capita sempre qualcosa di strano su questo ponte ... Spesso si trovano scarichi di immondizia nel fiume. Che schifo!”

“Beh”, interviene Elena, interrompendo Diego, “ora, dove andiamo?”

“Scusa, Elena, ma ... l’ambulanza, che c’entra con i rifiuti nel fiume?”, chiedo con aria perplessa.

“Uffa ... certo! Di sicuro, ci sarà qualcuno che si sarà sentito male per la puzza”, cerca di giustificarsi lei.

“Tutto ciò è molto poco convincente”, penso; però, non riesco a fare altre domande anche perchè Elena e Diego si sono già allontanati con Darko.

Li trovo seduti sull’erba mentre Elena tira fuori di tasca il pacchetto di sigarette.

Stessa scena di ieri sera: Elena guarda il pacchetto delle sigarette con aria triste e poi lo caccia in fondo alla tasca con un sospiro di rassegnazione.

“Dai, Elena, vedrai che riuscirai a vincere questa mania del fumo!” e le metto una mano sulla spalla, ma la mano sprofonda nella sua giacca. Ritraggo subito la mano inorridita e fisso Elena con sguardo pietrificato.

Lei, invece, non appare sorpresa, nè imbarazzata da quello che mi è successo.

“Porca zozza!”, esclama Diego e incomincia a prendersi a schiaffi.

Elena, muta e ora con gli occhi bassi, incomincia a piangere silenziosamente. Delle lacrime brillanti le scendono, lente, sulle guance di porcellana; poi, con un filo di voce, confessa: “Irene, ti devo dire una cosa ... anzi, mi correggo, ti “dobbiamo” dire una cosa. Noi siamo... fantasmi! E tu sei... uno di noi!”

“Sono un fantasma? Vuoi dire che sono morta?”

Incomincio ad avere una crisi di risata isterica.

Diego, nel tentativo di confortarmi, mi sussurra: “Ieri sera, quando eri in piedi sul parapetto del ponte, hai assistito, senza rendertene conto, al fenomeno soprannaturale che accade qui. Quando il campanile rintocca le undici e mezza della sera, il ponte si popola di spiriti. Tu pensavi di avere avuto un’allucinazione, invece è successa una disgrazia.”

Diego si blocca e, con aria triste, mi guarda; poi guarda Elena che, a sua volta, guarda me e aggiunge: “Scusami, Irene, sono stata io a spingerti giù dal ponte. Non volevo ... te lo giuro! Credevo che volessi buttarti dal ponte e così ti ho afferrato per la giacca, ma, quando il tuo cane mi ha visto e ha cercato di assalirmi, mi sono spaventata, ho mollato la presa e tu sei precipitata nel vuoto.”

Ora, finalmente, sono riuscita a ricostruire tutti i particolari di ciò che mi è accaduto ieri sera.

“Non è vero!!!”, urlo verso di loro, “ditemi che è un incubo ... soltanto un incubo!”

E scoppio in un pianto liberatorio che non riesco a dominare.

“No, purtroppo! Potevamo benissimo scappare nel buio, dal quale siamo venuti, ma non ci sembrava giusto fuggire come degli assassini e così abbiamo cercato di metterci in contatto con te, fingendo un incontro casuale ben sapendo che, prima o poi, la verità sarebbe venuta inevitabilmente a galla”, conclude Diego.

“Ma, la mia famiglia? Io mi sono trovata questa mattina nel mio letto. Questo me lo ricordo!”

“La tua famiglia sa come sono andate le cose; infatti erano con te nell’ ambulanza e penso che siano a vegliarti all’ ospedale. Adesso, però, essendo tu un fantasma, nessuno ti può vedere o sentire, a meno che ...”

“A meno che ... che cosa?”, dico arrabbiata.

“A meno che, con uno sforzo di coordinazione tra la mente e il corpo non riesci a materializzarti e così riuscire a stabilire un contatto con il mondo dei vivi”, mi risponde Elena.

In effetti, il racconto di Diego ed Elena sembra filare via diritto senza fare una piega anche se mi risulta difficile.

Diego si avvicina all’orecchio di Elena per sussurarle qualcosa, ma io, infuriata, lo blocco: “Diego, piantala! Non tenetemi più niente nascosto! Chiaro??? Perciò, se hai qualche cosa da dire, dilla a voce alta!”

“O.K. ... O.K.! Come, forse, saprai, noi anime morte, che non siamo ancora del tutto trapassate, vorremmo subito arrivare in paradiso. Purtroppo, quando Elena ed io ci presentiamo al suo ingresso, l’angelo custode ci blocca, ripetendo che Elena ha un conto in sospeso sulla terra. Io, volendo, potrei entrare, ma, essendo suo amico, non voglio lasciarla sola a vagare”, mi spiega Diego.

Elena si fa triste in viso e le sue guance, prendono un colorito rosso vivo: “Ehm ... il fatto è che non si tratta proprio di un conto in sospeso, ma non voglio abbandonare definitivamente la terra perchè mia madre è molto malata e io non ho il coraggio di dirle addio per sempre.”

Mi avvicino ad Elena e la guardo diritta nei suoi grossi occhi nocciola: “Se tu riuscissi a metterti in contatto con lei, non pensi che stareste meglio tutte e due?”, le propongo.

Mi fà cenno di voltarmi.

C’è Matteo sul ponte che piange disperato. Vicino a lui c’é Darko, che cerca di consolarlo allungandosi contro di lui sulle due zampe. Mi avvicino cautamente a Matteo.

Darko scodinzola e mi viene incontro abbaiando. Lui è l’unico che in grado di percepire la mia presenza e questo spiega perchè mi sia stato vicino dopo la mia caduta dal ponte.

“Darko, piantala!”, urla Matteo, rabbioso.

Io accarezzo il pelo lucido di Darko che si tranquillizza e si siede, buono, buono, vicino ai miei piedi.

“Come ha detto, Diego? Ah, sì ... coordinazione, ci vuole coordinazione!” Prendo un grosso respiro e mi avvicino sempre di più a Matteo. Gli sono vicinissima; allungo la mia mano sulla sua spalla ... Lui fà uno scatto indietro, si volta verso di me, rimanendo muto. Non so se mi può vedere ... Intanto, io gli sorrido.

“Irene? Ma sei tu?!”

“No! ... tua nonna! Certo che sono io!”, gli rispondo subito.

 Lui mi guarda serio ma poi scoppiamo tutti e due in una fragorosa risata.

Stooop! No! No! E poi no! Ma, porca Asdrubala, Roberta! La scena era perfetta!!!”,  urla il regista.

“Scusa, Ezio, mi è scappata la battuta!”, rido divertita. 

Pausa caffè ... Cinque minuti e poi si ricomincia!” urla l’altoparlante.

Mi allontano con il ragazzo che interpreta Matteo; è davvero simpatico.

“Allora, Robertina, sempre con le tue battute, eh?”

“Eh, Davide, se non ci penso io qua, tutti sarebbero delle maschera di cera. La storia è già triste di suo ... figurati il resto!”

Arrivano anche i due co-protagonisti che interpretano Elena e Diego.

“Rita e Alessio, vi va un thè?”, chiedo.

“Sì, grazie!” rispondono in coro.

Rimaniamo lì, davanti alla macchinetta del caffè, finchè non ci raggiunge Ezio, il regista, con la sua solita faccia da scienziato pazzo.

“Ragazzi, ho un’idea per la scena che gireremo dopo. Roberta preparati per essere attaccata alle funi perchè ti toccherà fluttuare sul ponte e anch...”

La nosta conversazione viene fermata da uno “SBANG” fortissimo.

Il cartonato dello sfondo con il ponte si stacca dalla parete e cade per terra.

Ma, nooo! Ancora! Voglio subito qui Cesare, Giulio e Marzia! Vi dò tempo dieci minuti e lo rivoglio sistemato come era prima. Chiaro?!?”

Ezio dà le direttive agli operatori che arrivano trafelati sul posto dove è successo l’incidente.

Io e gli altri ci guardiamo, ridendo sotto i baffi.

Bene, ragazzi! Tutti in scena!”, urla l’aiuto regista.

Tutti torniamo sul set.

Chissà cosa accadrà ancora ... Di sicuro bisognerà ripetere qualche scena, ma le risate non mancheranno mai!!!

 

Dunque, si parte dalla vita tranquilla di una famiglia qualunque , per poi trovarsi coinvolti in una storia triste e irreale e, poi, ... puff! Colpo di scena: tutti scoprono la verità. Un film, una semplice striscia di filmato!

“Ma che film la vita”, cantavano i Nomadi.

Hanno ragione? Beh, di sicuro, questa è un’altra storia ...

 

 

Un grazie speciale a tutti i miei amici che mi hanno ispirato, consigliato ed incoraggiato.

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: LaClaudietta