“3, 2, 1 ...
AZIONE!”
E’
già passato un mese da quando la mia famiglia ed io ci siamo trasferiti a Borgo
Grosso, un paesino della Valle del Sole, circondato dalle montagne.
Sinceramente, non l’avevo mai sentito nominare prima e avevo fatto molta fatica
a trovarlo sull’atlante.
Il
posto è molto bello e, sia mio fratello, Matteo, che io, non abbiamo fatto
troppa fatica ad abituarci alla nuova casa e a farci accettare dalla gente del
posto.
Uno
dei nostri luoghi preferiti è un vecchio ponte di pietra poco distante da casa.
E’ il “ponte dei fantasmi”, almeno così tutti lo chiamano, perché si dice che,
di sera, quando tutti i lampioni sono accesi e la luna piena si specchia nelle
acque del fiume, il regno dei morti si unisce a quello dei vivi.
Che
il ponte si popoli di fantasmi a me pare una grandissima burla, ma qui, però,
non ci scherzano troppo sopra.
Guardo
l’orologio che segna le undici e venti di sera.
Libero
Darko, il mio cane, per la passeggiata serale. Lui, come un fulmine, si dirige
verso il ponte per poi correre in mezzo ai prati.
Arrivata
al ponte, mi siedo sul muretto con le gambe a penzoloni sopra fiume e mi metto
ad osservare le stelle del cielo che si riflettono nell’ acqua. Mi viene voglia
di guardare meglio l’orizzonte, aldilà delle case e degli abeti che fanno da
contorno. Mi alzo in piedi sul piccolo e malsicuro parapetto; ho paura di
cadere, ma quel panorama splendido che mi si apre davanti ne vale il rischio.
Darko,
all’improvviso, incomincia a ringhiare.
Mi
giro di scatto e vedo, con mia sorpresa, una folla di persone che cammina e che
parla a voce alta come se fosse pieno giorno. Sgrano gli occhi e me li
stropiccio per vedere meglio.
Il
ponte ora è deserto; non c’è nessuno!
Osservo
Darko che è ancora in posizione di allerta. Sento dei passi veloci e avverto un
vento gelido che mi sfiora la giacca. Darko riprende ad abbaiare.
Proprio
mentre sto per girarmi, perdo l’equilibrio e mi sento cadere. Mi aggrappo
istintivamente con una mano al parapetto di pietra che si sbriciola sotto la
mia presa e precipito nelle acque fredde del fiume.
Apro
lentamente gli occhi, mi trovo sulla sponda del fiume. Mi brucia la fronte; la
tasto e la mano si copre di sangue.
Darko
mi lecca tutta la faccia. Fà sempre così quando è preoccupato. Lo allontano con
la mano e cerco di tranquilizzarlo, ma,
come tutti i cuccioli, si mette a correre in cerchio come un matto, finchè non
viene distratto da una lucciola che decide di inseguire.
Mi
alzo in piedi. Sono tutta indolenzita. Mi guardo intorno e cerco di realizzare
ciò che mi è accaduto, ma non riesco a ricordare niente.
Darko,
intanto, si allontana sempre di più finchè non arriva vicino a una panchina
illuminta da un grosso lampione. Lo raggiungo e, avvicinandomi, noto che ci
sono due ragazzi seduti sulla panchina. Che strano, avrei giurato che non ci
fosse nessuno in giro a quest’ora!
“Darko
vieni subito qui!”, gli grido severa.
“No,
no ... lascialo pure; è così carino!”, mi dice la ragazza.
“Ma
stai bene? Hai del sangue sulla fronte!”, mi chiede l’altro, un ragazzo alto e
molto magro, biondo e con gli occhi chiari.
“Sì,
sì!”, lo rassicuro con un sorriso.
“Ciao!
Sono Diego e lei è Elena.”
“Ciao!
Io mi chiamo Irene”
Elena
prende dalla tasca un pacchetto di sigarette, lo fissa, poi lo ripone in tasca.
“Acc
... è vero; mi scordo sempre”, mi sorride mentre giustifica la sua
affermazione: “Sai, sto cercando di smettere ...”
“Capisco
... Ops, ti è caduto qualcosa!”
Mi
abbasso e tra le mani mi ritrovo un plettro con inciso sopra un piccolo
scheletro.
“Wow,
ma tu suoni!”
“Sì,
suono o, meglio, suonavo il basso!”, dice lei tutta orgogliosa.
“
Come mai hai smesso?”, le chiedo incuriosita.
“
Ehm ... praticamente ... cioè ...”
Elena
è in difficoltà e così cambia discorso: “E’ da tanto che abiti qui?”
“No,
in verità è solo un mese circa; abito in quella villetta laggiù in fondo!” e
intanto indico la direzione con il dito.
Guardo
l’orologio; è tardissimo e così decido di salutare i due ragazzi e di tornare a
casa.
Mentre
mi allontano, Diego dice ad Elena: “Dici che ci metterà molto a capire?”
“Per
me no, sembra molto sveglia, la ragazza!”
La
nebbia scende fitta sul “ponte fantasma”, ricoprendo i ragazzi e lasciandoli
come due sagome lontane.
Mi giro
nelle coperte, non riesco a prendere sonno. Mi alzo di scatto e vedo una luce
in fondo al corridoio. Vado in quella direzione mentre un vento fresco mi
scompiglia i capelli. Al posto della scala c’è un prato verde. Mi osservo e
noto che, invece del pigiama, indosso un vestito in stile ottocento. Vedo una
persona dietro ad un albero che mi fà cenno di seguirla. Incuriosita, mi dirigo
verso l’albero, ma, improvvisamente, il sole, che dava forma e colore ad ogni
cosa, sparisce.
Mi si
presenta una scena molto triste: tre persone, che mi voltano le spalle,
piangono. Intuisco che di fronte a loro ci sia una lapide.
Uno di loro
si volta; ha un viso molto familiare. Ma, sì, è Matteo! Con gli occhi gonfi per
il pianto mi fissa. Avanzo verso di lui, ma è come se non mi vedesse. Così
incomincio a chiamarlo a voce alta; ma niente da fare!
Poi anche
gli altri si voltano: sono papà e la mamma. Si allontanano.
Io continuo
a gridare per richiamare la loro attenzione, ma nessuno si accorge della mia
presenza.
Mi avvicino alla lapide. Non si riesce a
leggere niente tanto è ricoperta di fango. Con la gonna cerco di ripulirla ed ecco
che incominciano a comparire delle lettere sulla lapide. Le leggo lentamente
una dopo l’altra. La parola che riesco a leggere è ... il mio nome!
“Oh, no!
Sono morta!”
Sento il
terreno muoversi sotto i miei piedi; abbasso lo guardo e osservo, terrorizzata,
spuntare un braccio che si aggrappa al mio vestito e che mi tira con forza
verso il basso.
“Nooooo!!!”
Apro gli
occhi. Mi trovo ancora nel letto. Guardo la radiosveglia: segna le dieci e
mezzo.
Darko è
ancora lì, raggomitolato ai piedi del mio letto, e dorme nella cuccia.
Mi alzo e,
con mio grande stupore, mi accorgo di essermi addormentata ancora vestita.
Sollevo lentamente le tapparelle e la stanza viene inondata da un sole tiepido.
Sento
suonare il campanello della porta. Nessuna va alla porta per aprire.
“Devono
essere già usciti tutti”, penso.
Scendo velocemente le scale e apro la porta.
Sono Elena e
Diego.
“Ciao,
Irene, disturbiamo?”, chiede Diego con un sorriso.
“No, no!
Anzi, mi fate compagnia. Sono da sola perchè sono già usciti tutti. Volete che
vi prepari qualcosa? Sapete, mi sono svegliata da poco e devo fare ancora
colazione.”
“No, grazie,
noi non mangiamo” risponde Diego.
Elena gli
tira una gomitata e lo corregge: “Scusalo, sai, ma è dislessico. Comunque, no,
grazie, abbiamo già fatto colazione”
Li guardo un
po’ perplessa. Si comportano in modo strano.
“Va bene” –
penso – “fatti loro!” e poi chiedo: “Ma, voi due, siete fratelli?”
“Sì, certo!”
risponde Diego.
“Assolutamente
no!”, gli fa subito eco Elena, mentre guarda Diego con aria di rimprovero.
“Scusate, ma io non ci capisco più nulla.
Siete fratelli, o no?”
Elena lancia
un’altra occhiataccia a Diego. Poi si schiarisce la gola, prende un lungo
respiro e dice: “In verità, siamo così amici che a volte ci sembra proprio di
essere come due fratelli. Vero, Diego?”
Lui
annuisce.
“O.K., ma –
scusate - a cosa devo questa visita?”, li interrompo.
Ma loro non
fanno in tempo a rispondermi che Darko corre giù dalle scale e, scodinzolando,
incomincia a fargli le feste.
“E’ vero,
devo portarlo fuori; che sciocca che sono!”, dico, portando la mano alla
fronte.
“Dai! Vieni
con noi e andiamo a fare quattro passi”, mi propone Elena, mentre accarezza
Darko.
Chiudo la
porta di casa e ci dirigiamo verso il prato che c’è subito dopo avere
attraversato il “ponte dei fantasmi”. Ma, proprio mentre stiamo attraversando
il ponte, mi blocco di colpo: sul ponte c’è un’auto della polizia, un’ambulanza
e una folla di curiosi.
“Ma, che è
successo?” chiedo stupita.
“Oh,
diavolo!”, dice Elena e poi sussura qualcosa all’orecchio di Diego che,
rapidamente, mi prende con forza sotto braccio e mi strattona, allontanandomi
dal ponte.
“Senti,
Irene”, mi dice con voce controllata “perchè non andiamo da un’altra parte?”
“Va bene! Ma
perchè tutta quella gente? E la polizia con l’ambulanza? Cosa è successo?”
“Eh, ti
abituerai! Capita sempre qualcosa di strano su questo ponte ... Spesso si
trovano scarichi di immondizia nel fiume. Che schifo!”
“Beh”,
interviene Elena, interrompendo Diego, “ora, dove andiamo?”
“Scusa,
Elena, ma ... l’ambulanza, che c’entra con i rifiuti nel fiume?”, chiedo con
aria perplessa.
“Uffa ...
certo! Di sicuro, ci sarà qualcuno che si sarà sentito male per la puzza”,
cerca di giustificarsi lei.
“Tutto ciò è
molto poco convincente”, penso; però, non riesco a fare altre domande anche
perchè Elena e Diego si sono già allontanati con Darko.
Li trovo
seduti sull’erba mentre Elena tira fuori di tasca il pacchetto di sigarette.
Stessa scena
di ieri sera: Elena guarda il pacchetto delle sigarette con aria triste e poi
lo caccia in fondo alla tasca con un sospiro di rassegnazione.
“Dai, Elena,
vedrai che riuscirai a vincere questa mania del fumo!” e le metto una mano
sulla spalla, ma la mano sprofonda nella sua giacca. Ritraggo subito la mano
inorridita e fisso Elena con sguardo pietrificato.
Lei, invece,
non appare sorpresa, nè imbarazzata da quello che mi è successo.
“Porca
zozza!”, esclama Diego e incomincia a prendersi a schiaffi.
Elena, muta
e ora con gli occhi bassi, incomincia a piangere silenziosamente. Delle lacrime
brillanti le scendono, lente, sulle guance di porcellana; poi, con un filo di
voce, confessa: “Irene, ti devo dire una cosa ... anzi, mi correggo, ti
“dobbiamo” dire una cosa. Noi siamo... fantasmi! E tu sei... uno di noi!”
“Sono un
fantasma? Vuoi dire che sono morta?”
Incomincio
ad avere una crisi di risata isterica.
Diego, nel
tentativo di confortarmi, mi sussurra: “Ieri sera, quando eri in piedi sul
parapetto del ponte, hai assistito, senza rendertene conto, al fenomeno
soprannaturale che accade qui. Quando il campanile rintocca le undici e mezza
della sera, il ponte si popola di spiriti. Tu pensavi di avere avuto
un’allucinazione, invece è successa una disgrazia.”
Diego si
blocca e, con aria triste, mi guarda; poi guarda Elena che, a sua volta, guarda
me e aggiunge: “Scusami, Irene, sono stata io a spingerti giù dal ponte. Non
volevo ... te lo giuro! Credevo che volessi buttarti dal ponte e così ti ho
afferrato per la giacca, ma, quando il tuo cane mi ha visto e ha cercato di
assalirmi, mi sono spaventata, ho mollato la presa e tu sei precipitata nel
vuoto.”
Ora,
finalmente, sono riuscita a ricostruire tutti i particolari di ciò che mi è
accaduto ieri sera.
“Non è
vero!!!”, urlo verso di loro, “ditemi che è un incubo ... soltanto un incubo!”
E scoppio in
un pianto liberatorio che non riesco a dominare.
“No,
purtroppo! Potevamo benissimo scappare nel buio, dal quale siamo venuti, ma non
ci sembrava giusto fuggire come degli assassini e così abbiamo cercato di
metterci in contatto con te, fingendo un incontro casuale ben sapendo che,
prima o poi, la verità sarebbe venuta inevitabilmente a galla”, conclude Diego.
“Ma, la mia
famiglia? Io mi sono trovata questa mattina nel mio letto. Questo me lo
ricordo!”
“La tua
famiglia sa come sono andate le cose; infatti erano con te nell’ ambulanza e
penso che siano a vegliarti all’ ospedale. Adesso, però, essendo tu un
fantasma, nessuno ti può vedere o sentire, a meno che ...”
“A meno che
... che cosa?”, dico arrabbiata.
“A meno che,
con uno sforzo di coordinazione tra la mente e il corpo non riesci a
materializzarti e così riuscire a stabilire un contatto con il mondo dei vivi”,
mi risponde Elena.
In effetti,
il racconto di Diego ed Elena sembra filare via diritto senza fare una piega
anche se mi risulta difficile.
Diego si
avvicina all’orecchio di Elena per sussurarle qualcosa, ma io, infuriata, lo
blocco: “Diego, piantala! Non tenetemi più niente nascosto! Chiaro??? Perciò,
se hai qualche cosa da dire, dilla a voce alta!”
“O.K. ... O.K.!
Come, forse, saprai, noi anime morte, che non siamo ancora del tutto
trapassate, vorremmo subito arrivare in paradiso. Purtroppo, quando Elena ed io
ci presentiamo al suo ingresso, l’angelo custode ci blocca, ripetendo che Elena
ha un conto in sospeso sulla terra. Io, volendo, potrei entrare, ma, essendo
suo amico, non voglio lasciarla sola a vagare”, mi spiega Diego.
Elena si fa
triste in viso e le sue guance, prendono un colorito rosso vivo: “Ehm ... il
fatto è che non si tratta proprio di un conto in sospeso, ma non voglio
abbandonare definitivamente la terra perchè mia madre è molto malata e io non
ho il coraggio di dirle addio per sempre.”
Mi avvicino
ad Elena e la guardo diritta nei suoi grossi occhi nocciola: “Se tu riuscissi a
metterti in contatto con lei, non pensi che stareste meglio tutte e due?”, le
propongo.
Mi fà cenno
di voltarmi.
C’è Matteo
sul ponte che piange disperato. Vicino a lui c’é Darko, che cerca di consolarlo
allungandosi contro di lui sulle due zampe. Mi avvicino cautamente a Matteo.
Darko
scodinzola e mi viene incontro abbaiando. Lui è l’unico che in grado di
percepire la mia presenza e questo spiega perchè mi sia stato vicino dopo la
mia caduta dal ponte.
“Darko,
piantala!”, urla Matteo, rabbioso.
Io accarezzo
il pelo lucido di Darko che si tranquillizza e si siede, buono, buono, vicino
ai miei piedi.
“Come ha
detto, Diego? Ah, sì ... coordinazione, ci vuole coordinazione!” Prendo un
grosso respiro e mi avvicino sempre di più a Matteo. Gli sono vicinissima;
allungo la mia mano sulla sua spalla ... Lui fà uno scatto indietro, si volta
verso di me, rimanendo muto. Non so se mi può vedere ... Intanto, io gli
sorrido.
“Irene? Ma
sei tu?!”
“No! ... tua
nonna! Certo che sono io!”, gli rispondo subito.
Lui mi guarda serio ma poi scoppiamo tutti e
due in una fragorosa risata.
“Stooop! No! No! E poi no! Ma, porca
Asdrubala, Roberta! La scena era perfetta!!!”, urla il regista.
“Scusa,
Ezio, mi è scappata la battuta!”, rido divertita.
“Pausa caffè ... Cinque minuti e poi si
ricomincia!” urla l’altoparlante.
Mi allontano
con il ragazzo che interpreta Matteo; è davvero simpatico.
“Allora,
Robertina, sempre con le tue battute, eh?”
“Eh, Davide,
se non ci penso io qua, tutti sarebbero delle maschera di cera. La storia è già
triste di suo ... figurati il resto!”
Arrivano
anche i due co-protagonisti che interpretano Elena e Diego.
“Rita e
Alessio, vi va un thè?”, chiedo.
“Sì,
grazie!” rispondono in coro.
Rimaniamo
lì, davanti alla macchinetta del caffè, finchè non ci raggiunge Ezio, il regista,
con la sua solita faccia da scienziato pazzo.
“Ragazzi, ho
un’idea per la scena che gireremo dopo. Roberta preparati per essere attaccata
alle funi perchè ti toccherà fluttuare sul ponte e anch...”
La nosta
conversazione viene fermata da uno “SBANG” fortissimo.
Il cartonato
dello sfondo con il ponte si stacca dalla parete e cade per terra.
“Ma, nooo! Ancora! Voglio subito qui Cesare,
Giulio e Marzia! Vi dò tempo dieci minuti e lo rivoglio sistemato come era
prima. Chiaro?!?”
Ezio dà le
direttive agli operatori che arrivano trafelati sul posto dove è successo
l’incidente.
Io e gli
altri ci guardiamo, ridendo sotto i baffi.
“Bene, ragazzi! Tutti in scena!”, urla
l’aiuto regista.
Tutti
torniamo sul set.
Chissà cosa
accadrà ancora ... Di sicuro bisognerà ripetere qualche scena, ma le risate non
mancheranno mai!!!
Dunque, si
parte dalla vita tranquilla di una famiglia qualunque , per poi trovarsi
coinvolti in una storia triste e irreale e, poi, ... puff! Colpo di scena:
tutti scoprono la verità. Un film, una semplice striscia di filmato!
“Ma che film
la vita”, cantavano i Nomadi.
Hanno ragione?
Beh, di sicuro, questa è un’altra storia ...
Un grazie
speciale a tutti i miei amici che mi hanno ispirato, consigliato ed
incoraggiato.