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Autore: Kary91    19/02/2014    18 recensioni
|Gale Hawthorne & Haley Mellark; Post-Mockingjay | Accenni Everlark/Everthorne/Ganna |
“Johanna è la tua anima gemella?” domandò all’improvviso, tornando a scrutarlo con attenzione. Gale la squadrò con aria sorpresa.
“Ma sei proprio una curiosona!” la rimbeccò infine, scuotendole giocosamente una treccia. Haley ridacchiò, rivolgendogli poi un sorrisetto malandrino.
“La chiami principessa?” chiese concitata, sollevandosi sulle ginocchia. Gale si mise a ridere.
“Non penso che le piacerebbe se la chiamassi così”

[partecipa al contest “Keep Calm and... What if?” indetto da giorgiab105].
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bimba Mellark, Gale Hawthorne
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Figli del Giacimento - The Hawthorne Family.'
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Premessa.

Questa storia è ambientata a quattro o cinque anni di distanza dall’epilogo de “Il Canto della Rivolta". Gale è tornato a vivere nel Distretto 12 da qualche mese, assieme a suo figlio, Joel, e a Johanna Mason, che vive con loro. Haley Mellark è la primogenita di Peeta e Katniss. La storia si riallaccia in minima parte a una precedente one-shot, la cometa del Distretto 12, ma le due storie sono comunque scollegate fra loro.

 

 

 

Di comete, principesse e anime gemelle

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Gale assottigliò lo sguardo per difendersi dal sole, appoggiando la schiena alla roccia. Erano giorni che non gli capitava di poter trascorrere un paio d’ore nella quiete totale, come stava accadendo in quel momento; i boschi non erano più silenziosi come una volta, specie nei fine settimana. Gli era già successo più volte di perdere il vantaggio su una preda mentre cacciava, per via degli schiamazzi improvvisi di qualche ragazzino a passeggio con i genitori. Quel sabato, tuttavia, la porzione di bosco che fungeva da punto di incontro per lui e Katniss sembrava tranquilla come in passato.

 

Gale chiuse gli occhi e si aggrappò al silenzio con la mente. Ripensò a Katniss e ai pomeriggi trascorsi assieme, appoggiati a quello stesso sperone, quando erano poco più che ragazzini. Con il suo passaggio la cometa di Halley era riuscita a riunirli, alleviando i loro sensi di colpa e mettendo assieme i primi tasselli per spingerli a ricostruire la loro amicizia. Avevano impiegato mesi a cercare di ripristinare la complicità di un tempo, a scoprire che potessero ancora fidarsi l’uno dell’altra, come avevano imparato a fare il ragazzo e la ragazza che anni prima si erano incontrati per caso, diventando inseparabili. Le poche ore trascorse assieme nei boschi, di tanto in tanto, non li salvavano più come una volta, ma sapevano ancora di libertà e sicurezza, sensazioni rimaste intatte nonostante il tempo trascorso.

 

In quel momento Gale venne distratto da un fruscio improvviso e da un movimento alla sua sinistra che riuscì a cogliere, nonostante le sue palpebre fossero ancora serrate. Aprì gli occhi e scandagliò con lo sguardo la vegetazione nel punto da cui era arrivato il rumore: la figura minuta di una ragazzina sporgeva da dietro una roccia, messa in evidenza dalla bandana verde sgargiante che le copriva i capelli.

 

“Haley?” esclamò Gale, aggrottando perplesso le sopracciglia.

Gli occhi chiari della bambina incrociarono i suoi per un istante. Pochi secondi più tardi la ragazzina sbucò fuori dal nascondiglio, sbuffando sonoramente.

 “Beccata!” dichiarò Haley Mellark, sollevando le mani in cenno di resa. Diede poi uno strattone alle maniche della felpa che portava legata in vita, avvicinandosi allo sperone di roccia. “Non è giusto, pensavo di essermi nascosta bene!”

L’espressione interdetta di Gale mutò per ospitare un lieve sorriso.

“La tua mamma lo sa che gironzoli da sola per i boschi?” le chiese, osservandola sistemarsi le trecce scure che spuntavano sotto la bandana.

Haley annuì.

 “Certo che sì!” confermò con un sorrisetto vispo. “Posso sedermi con te?” aggiunse, senza attendere una risposta. Prese posto a gambe incrociate di fianco a lui e appoggiò la schiena contro alla roccia.

Gale sorrise divertito, frugandosi poi in tasca per cercare il cellulare.

“Allora non penso che ci saranno problemi se la chiamo per avvisarla che sei qui, giusto?” chiese, pigiando numeri a caso sul tastierino.

La bambina esitò.

“In realtà l’ho detto a papà, non alla mamma” si corresse infine, dando una scrollata di spalle. “Però ora papà sta lavorando, non lo puoi chiamare” gli fece notare poi. “Altrimenti i clienti poi si arrabbiano con lui, dicono che è maleducato e non vengono più a comprarci il pane. E sarebbe proprio un peccato, perché papà fa il pane più buono del mondo, e anche delle gran belle torte! E dei biscotti buonissimi… Insomma, se lo chiami combineresti un bel po’ di pasticci, non credi anche tu?” concluse la bambina, prendendo a giocherellare con dei fili d’erba.

“In effetti combinerei proprio un bel guaio” commentò Gale, scoccandole un’occhiata divertita di sottecchi. “Per questa volta non chiamerò nessuno, ma non voglio più trovarti in giro per i boschi da sola. Va bene, cometa di Halley[1]?”

Lo sguardo della bambina sembrò farsi più luminoso per un istante.

“Va bene, papà bello di Joel!” rispose allegra, con espressione malandrina.

Gale sorrise ancora, scuotendo il capo con finta rassegnazione. Haley aveva sua madre e suo padre nei tratti ma c’era qualcosa nelle sue espressioni sbarazzine che apparteneva soltanto a lei e che riusciva a rubare sorrisi con facilità a chiunque le stesse accanto. Era vivace e luminosa come la cometa che ricordava il suo nome, ed era anche per quello che Joel, suo figlio, aveva preso a soprannominarla Halley.

“E comunque non gironzolavo da sola. Sapevo che c’eri tu, nel bosco” aggiunse la bambina, portandosi le ginocchia al petto e avvolgendole con le braccia. “Me l’aveva detto Joel; così ti ho cercato.”

Il sorriso di Gale si smorzò leggermente. Si era sempre trovato a suo agio con i ragazzini, avendo avuto tre fratelli più piccoli, ma dalla morte di Prim aveva spesso dei momenti in cui l’impaccio e il la tensione si mettevano d’impegno per infastidirlo, quando si trovava da solo con un bambino. Si innervosiva, quando Haley e Rowan Mellark scorrazzavano a ruota libera per il soggiorno di casa sua o quando li portava nei boschi assieme a Joel: c’era sempre il rischio che si facessero male sotto i suoi occhi, senza che potesse fare nulla per impedirlo. Aveva paura di ferire Katniss così facendo: paura di deluderla, di perderla, di ucciderla di nuovo. Perché era a quello che avevano portato le sue scelte del passato: l’aveva uccisa, fallendo nel prendersi cura di Prim.

“Gale?” lo chiamò improvvisamente Haley, inclinando appena il capo per poter esaminare meglio la sua espressione. Gale sospirò, voltandosi nuovamente verso la ragazzina.

“Sì?”

“Sembri triste. Hai bisticciato con qualcuno?”

La sua domanda lo fece sorridere.

“Sono solo un po’ pensieroso” rispose, stringendosi nelle spalle. “Capita spesso a noi adulti. Pensiamo tanto, forse troppo, a volte.”

Haley lo squadrò con attenzione: non sembrava molto convinta.

“Stavi pensando a un brutto sogno?” chiese all’improvviso, strappando un filo d’erba e facendoselo scorrere fra le dita.

Gale aggrottò le sopracciglia, colto di sorpresa.

“Cosa?”

“Joel mi ha detto che ogni tanto li fai anche tu. Ho pensato che potessi essere triste per quello… Ma tranquillo, è normale” si affrettò ad aggiungere, con aria comprensiva, “Certe volte li faccio anch’io ed è sempre molto brutto. Però so anche che gli incubi degli adulti fanno più paura, perché io non urlo mai quando mi sveglio: la mamma, invece, sì.”

Gale tornò a voltarsi verso la bambina; le parole di Haley e il riferimento a Katniss riuscirono ad infondergli una punta di preoccupazione Sapeva che non spettasse più a lui proteggerla; che non era compito suo assicurarsi che lei stesse bene, che fosse felice e al sicuro. Che fosse amata. Ma preoccuparsi per Katniss era una di quelle abitudini che avevano attecchito talmente a fondo, dentro di lui, da renderne impossibile l’estirpazione. Aveva capito che l’avrebbe protetta sin dal giorno in cui si erano incontrati per la prima volta nei boschi. Aveva appena quattordici anni, all’epoca, ma volle prendersi comunque l’impegno di guardarle le spalle. Di prendersi cura di lei e della sua famiglia. L’aveva fatto per anni, fino a quando gli era stato possibile. Fino a quando il nome di Prim Everdeen non era stato estratto dalla boccia della mietitura, assieme a quello di Peeta Mellark.

“Mi dispiace… Per gli incubi della tua mamma” mormorò infine Gale, tornando a voltarsi verso la bambina.

Haley strappò ancora qualche filo d’erba e schiuse il pugno per farli scivolare lentamente a terra, prima di alzarsi in piedi.

 “Anche a me. Ma non devi preoccuparti, alla fine torna sempre tutto a posto” spiegò con aria pratica, spolverandosi i pantaloni sporchi di terra con le mani. “C’è papà che la protegge, sai?” aggiunse con un sorriso.

Gale annuì, distogliendo lo sguardo.

“Lo so.”

“Quando la mamma si sveglia dopo aver avuto un incubo le basta abbracciare papà per stare un po’ meglio. Papà è più bravo di chiunque altro a scacciare gli incubi” proseguì la ragazzina.

L’ammirazione che nutriva nei confronti del padre era evidente dal modo che aveva di parlare di Peeta. Gale riconobbe nella sua espressione lo sguardo fiero che esibiva suo figlio, quando parlava di lui con i coetanei. Ripensò anche a suo padre, e a come il cuore gli si riempisse di orgoglio, da bambino, quando qualcuno constatava quanto gli somigliasse; un sorriso affiorò spontaneo alle sue labbra. I figli venivano al mondo da sempre con un amore incondizionato nei confronti dei genitori ed era una cosa a cui non era mai riuscito ad abituarsi. Era padre da otto anni, ormai, ma non credeva ancora di meritare la fiducia cieca di Joel, il suo affetto, la gioia che comportava la presenza di un figlio nella vita di qualcuno come lui.

“Anche la mamma, ogni tanto, scaccia i brutti sogni di papà” proseguì Haley, mettendosi a saltellare su un piede solo e poi a piedi uniti, come se stesse improvvisando una partita di campana. Lo faceva spesso: riempiva il vuoto di movimenti e il silenzio di parole continue, come se non potesse farne a meno. “Ci riesce perché loro due si amano tanto e gli incubi, specie quelli più brutti, hanno paura delle persone innamorate. L’amore li schiaccia, lo sapevi? I brutti sogni” specificò la bambina, interrompendo il suo gioco per tornare a sedersi di fianco a Gale.

L’uomo scosse il capo, tornando ad appoggiarsi alla roccia.

“No, non lo sapevo.”

“Lo immaginavo” ammise la ragazzina, dando una scrollata di spalle. “I maschi, di certe cose, ci capiscono proprio poco… Beh, quasi tutti i maschi. Gale?”

“Che cosa c’è, Halley?”

Haley si strinse le ginocchia al petto e si mordicchiò il labbro con espressione pensierosa.

 “Papà e mamma sono anime gemelle?” chiese infine, tornando a voltarsi verso di lui. Gale sgranò gli occhi, colto di sorpresa. “A scuola June Hawthorne[2] mi ha raccontato che quando due persone si amano davvero tanto, le loro anime si uniscono, come se fossero due metà, e vengono chiamate anime gemelle” spiegò meglio la bambina. “Mamma e papà lo sono, vero?”

Gale rimase in silenzio per qualche istante, sostenendo a fatica lo sguardo insistente della ragazzina. Gli occhi di Haley erano una doppia condanna, un promemoria costante delle scelte sbagliate che aveva compiuto in passato. Avevano dentro l’innocenza di Prim e la sensibilità di Peeta e alle volte era doloroso incrociare quello sguardo. Soffermarsi sulle trecce scure e sulla carnagione olivastra della bambina, tuttavia, faceva solo più male: in quello Haley era come lui. Stessi capelli lisci, stessa aria da Giacimento. Se uno sconosciuto fosse passato di lì in quel momento, probabilmente l’avrebbe scambiata per sua figlia.

 “Credo di sì” riuscì a mormorare infine, passandosi una mano dietro alla nuca.

La sofferenza che era riuscito a seppellire bene a fondo, nel corso degli anni, era riemersa all’improvviso grazie alla voce squillante di una bambina di sette anni. Darle la conferma che stava cercando fu una delle cose più difficili con cui si era trovato a fare i conti nel corso dell’ultimo mese. Haley, tuttavia, sembrò non accorgersi del suo conflitto interiore. Sorrise, visibilmente soddisfatta, e si mise a giocherellare con una delle sue trecce.

“Johanna è la tua anima gemella?” domandò all’improvviso, tornando a scrutarlo con attenzione. Gale la squadrò con aria sorpresa.

“Ma sei proprio una curiosona!” la rimbeccò infine, scuotendole giocosamente una treccia.

Haley ridacchiò, rivolgendogli poi un sorrisetto malandrino.

“La chiami principessa?” chiese concitata, sollevandosi sulle ginocchia. Gale si mise a ridere.

“Non penso che le piacerebbe se la chiamassi così” rispose scuotendo il capo, divertito al solo pensiero.

Haley inarcò le sopracciglia.

“Come no? È una femmina!” ribatté allibita, mettendosi a braccia conserte. “A tutte le femmine piace essere chiamate principessa!” si impuntò.

“Beh, Johanna è una femmina un po’ speciale” commentò l’uomo, cercando di trattenere una seconda risata. Haley si concesse un paio di minuti di silenzio, prima di tornare alla carica con le sue domande.

“La proteggi?” chiese all’improvviso, girandosi verso di Gale e mettendosi a gambe incrociate. “Come papà protegge la mamma?”

Gale ammutolì per qualche istante, messo a disagio ancora una volta dal candido interrogatorio di Haley.

“Sempre” rispose infine, distogliendo lo sguardo da quello della bambina. “E in un certo senso anche lei protegge me.”

 “Allora è proprio la tua anima gemella” osservò Haley annuendo lentamente, come se gli stesse diagnosticando una qualche malattia.

Gale tornò ad appoggiare la schiena contro alla roccia; non era abituato a porsi certe domande. I sentimenti che provava per Johanna erano nitidi e ben definiti, ma metterli a nudo e dichiararli ad alta voce non era facile, forse perché, in fondo, nessuno gli aveva mai chiesto di farlo. Lui e Johanna non avevano mai avvertito il bisogno di darsi un’etichetta, né si erano mai interrogati esplicitamente sul significato della loro convivenza; vivevano insieme, si stavano accanto a vicenda e anche Joel sembrava contento di avere Johanna nella loro famiglia: questo bastava a tutti e tre.

“Forse sì” ammise infine, tornando a voltarsi verso la bambina. D’un tratto si sorprese a sorridere. “Ma tu non glielo dire.”

Haley gli rivolse un’occhiata furbetta.

“Ehi, papà di Joel, lo sai che sei diventato tutto rosso?” lo prese poi in giro, punzecchiandogli una guancia con un dito.  Gale si mise a ridere.

“E tu lo sai che proprio una birbante?” rispose, facendole il solletico.

La bambina si divincolò ridendo,  fino a quando Gale non mollò la presa.  Si lasciò poi scivolare a terra, stendendo le braccia e le gambe e nell’erba.

“Che ore sono?” chiese infine, alzandosi, per controllare l’orologio che Gale portava al polso.

“È tardi” rispose l’uomo, appoggiandosi i gomiti sulle ginocchia. “Penso sia ora di tornare a casa, che ne dici?”

Umh…” la bambina ci rifletté su per un po’, agitando i piedi nell’erba. “No, dai, resto ancora dieci minuti.”

 Gale le rivolse un sorrisetto divertito.

“Sei sicura? Perché c’è sempre quella telefonata che volevo fare alla tua mamma, per dirle…”

“E va bene, ci vado, ci vado!” lo interruppe la bambina, roteando esasperata gli occhi. “Come sei antipatico quando fai così!” borbottò, facendolo ridere.

Fece per alzarsi, incantandosi poi a fissare l’uomo per qualche istante, con le sopracciglia lievemente aggrottate. Gale sospirò, preparandosi all’ennesima domanda indiscreta della bambina.

“Che cosa c’è, adesso?”

Haley continuò a squadrarlo con attenzione.

“Certo che sei proprio bello, oh!” dichiarò infine con schiettezza, esibendo una smorfia compiaciuta. “Ma quanti anni hai?”

Gale le rivolse un’occhiata disorientata, prima di rimettersi a ridere, scuotendo incredulo il capo.

“Vai a casa, Haley” ordinò con dolcezza, sforzandosi comunque di apparire fermo. La bambina sbuffò.

“D’accordo!” acconsentì infine, mettendosi a saltellare verso la roccia dietro la quale si era nascosta appena una mezz'ora prima e proseguendo verso il margine del bosco.

“Lo sai, papà di Joel…” gridò all’improvviso, fermandosi a una decina di metri di distanza da lui. “…a me piace essere chiamata principessa!

“Me ne ricorderò” le promise l’uomo, salutandola con un gesto della mano. Haley le rivolse l’ultimo sorriso sbarazzino, prima di sparire oltre gli alberi.

Gale sorrise a sua volta, scuotendo il capo divertito, prima di tornare a chiudere gli occhi. Si concentrò sul rinnovato silenzio dei boschi, sicuro del fatto che Haley sarebbe tornata presto a riempirlo con le sue parole, rischiarando il nero delle sue riflessioni.

Proprio come la cometa di cui portava il nome.

 


[i] Riferimento a: la cometa del Distretto 12. Il figlio di Gale chiama la bambina Halley, come la cometa  cui passaggio  ha un significato particolare per Gale e per Katniss.

 

[ii] June è una dei figlioletti di Vick Hawthorne ed è coetanea di Haley.

 

 

Note dell’autrice.

 

Questa storia è nata principalmente per due motivi; intanto, mi era venuta una voglia matta di scrivere qualcosa dove Gale interagisse con la piccola Mellark, dopo aver rimpinzato la povera Giraffetta di stralci di dialogo fra Gale, Johanna e Haley – va detto che Johanna e Haley non vanno molto d’accordo xD Il secondo motivo è che, dopo aver spiegato a Sunflowerbud (che inondo sempre di sproloqui infiniti c.c) che Gale chiama la piccola Mellark principessa mi era venuta voglia di spiegarne il perché. E dunque la ringrazio per avermi dato quest’input, consentendomi di affezionarmi un po’ di più anche a questa monella, visto che di solito il mio cuore ripiega sempre verso Joel <3 E così è nata questa storia che, tecnicamente… è solo metà della storia. Per come l’ho plottata questa conversazione avrebbe dovuto essere lunga quasi a il doppi e non avrebbe avuto senso, così  ho pensato di dividerla in due conversazioni diverse, che comunque sono collegate fra loro. La parte di discorso che più ci tenevo ad includere verrà introdotta nella seconda one-shot che spero di riuscire a scrivere presto. Credo che nella seconda parte Haley riprenderà a fare domande indiscrete e si focalizzerà un po’ sul rapporto fra Gale e la sua mamma, temo xD E già soffro per il povero Hawthorne. Questa prima parte, invece, si è allacciata un po’ al discorso degli incubi che ha ripreso spesso Joel nelle precedenti storie dedicate a lui, Gale e Johanna. Ho immaginato che, essendo migliori amici, si confidassero sempre cose simili i due marmocchietti. Grazie infinite a chiunque sia passato a

leggere questa storia <3 


Un abbraccio!

Laura

 



[1]  Riferimento a: la cometa del Distretto 12. Il figlio di Gale chiama la bambina Halley, come la cometa  cui passaggio  ha un significato particolare per Gale e per Katniss.

[2] June è una dei figlioletti di Vick Hawthorne ed è coetanea di Haley.

   
 
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