WHEN HISTORY BEGAN
*
Il delicato aroma di carne,
arricchita di spezie, inebriava l’intera cucina.
L’odore delicato esaltava le narici, invase da quella leggiadra fragranza.
Bulma fu solo l’ennesima vittima di quel soave profumo che circondava la zona.
Quando entrò in cucina si ritrovò a fissare sua madre intenta a canticchiare uno
strano motivetto attenta a cuocere diverse pietanze.
“Che buon profumino” debuttò lasciandosi avvolgere dal’aroma che proveniva dai
fornelli.
Quanto le era mancata la cucina di sua madre durante quel lunghissimo mese, e
più, lontano da casa.
Su Namecc si era dovuta accontentare di cibi preconfezionati o pasti arrabattati
come meglio capitava.
“Grazie cara” la ringraziò la madre asciugandosi le mani sul grembiule legato in
vita.
La signora Brief si rivolse a guardare la figlia senza lasciar svanire mai quel
sorriso perennemente stampato sul volto, “Tra cinque minuti sarà pronto, vuoi
cominciare a radunare i tuoi ospiti?” le domandò osservandola.
Bulma si avvicinò ai fornelli scrutando le pietanze sul fuoco, ne contemplò le
quantità e si rivolse alla madre, “Bè, veramente non credo che i namecciani
mangeranno questa roba” confessò armandosi di cucchiaio ed assaporando una salsa
ancora impegnata a ribollire.
La madre sgranò gli occhi “Come?!” esclamò sorpresa senza distogliere lo sguardo
dalla giovane.
La donna dai capelli azzurri riadagiò la posata sul piano della cucina
voltandosi ed incrociando lo sguardo dell’altra.
“Già, devi sapere che bevono solo acqua, quindi non hanno bisogno di cibo”
spiegò Bulma incrociando le braccia assumendo un comportamento saccente, “Ma non
temere, non credo che il tuo lavoro verrà sprecato” la rassicurò in un secondo
momento.
La sig.ra Brief continuò ad osservare la figlia con aria confusa, “Ma cara, chi
mangerà tutta questa roba allora?” volle sapere osservando pentole e padelle
ricolme di vivande.
Bulma alzò le spalle “Se lo stomaco di Vegeta è grosso quanto quello di Goku,
come immagino, credo che non farà alcuna fatica a spazzolare tutto quello che
c’è qui” la rinfrancò rubando una mela dal cesto di frutta situato al centro del
tavolo.
“Vegeta?” domandò la madre dell’astronauta improvvisata reclinando la testa in
maniera interrogativa.
La giovane annuì “Sì, non l’hai visto? È l’unico che non ha la pelle verde” le
fece presente addentando il frutto.
La signora Brief fu colta da un’illuminazione, “Ohh! Ti riferisci al bel
fusto dai capelli neri?” domandò giungendo le mani con entusiasmo.
Bulma si pietrificò all’istante osservando scettica sua madre per diversi attimi
che sembrarono interminabili, “Sì, proprio lui” confermò dopo un lungo, ed
esasperato, sospiro.
L’entusiasmo della cuoca la portò ad assalire la figlia, Bulma vide comparire
sua madre a pochi passi da lei intenta a scrutarla con attenzione con uno
sguardo colmo di ammirazione.
“Oh tesoro, tu sì che hai buon gusto!” concluse la bionda assumendo un
atteggiamento sognante.
Bulma inarcò un sopracciglio, “Che diamine stai dicendo?! Non è il mio fidanzato
e non lo sarà mai!” stabilì perentoria spegnendo l’entusiasmo della
madre, “Che peccato... stareste così bene insieme” mormorò quest’ultima
evidentemente dispiaciuta.
“Che stai farneticando?! Il mio fidanzato è Yamcha, Yamcha capito?! Devo solo
aspettare centotrenta giorni e potrò di nuovo riabbracciarlo. Io non ho nulla da
spartire con quel tipo!” strepitò gesticolando in maniera insensata.
La signora Brief annuì ancora un po’ dispiaciuta, “Va bene cara, non capisco
perché ti agiti così” provò a tranquillizzarla.
Al contrario, Bulma, storse la bocca in una smorfia decisamente infastidita,
dovette attendere alcuni secondi per non sbottare all’indirizzo della madre.
Sbuffò esasperata adagiandosi le mani ai fianchi e tornando ad osservare l’altra
donna, “Lasciamo perdere” tagliò corto, “Vado a chiamare Vegeta e a darmi una
sistemata. Non ne posso più di questi abiti e ho decisamente bisogno di un bagno
caldo e rilassante. Guarda, la mia pelle si è tutta rovinata” si lamentò dando
un altro morso al frutto che ancora reggeva tra le mani, avviandosi verso
l’uscita.
Sull’uscio si bloccò improvvisamente tornando a guardare la madre, “E tu stai
alla larga da Vegeta, quel tipo è pericoloso” stabilì senza alcuna traccia di
timore in volto.
*
L’immenso giardino della Capsule Corporation brulicava di alieni verdi dalle
singolari antenne.
L’intera popolazione del pianeta Namecc bivaccava sta le fronde degli alberi e
gli innumerevoli animali che normalmente abitavano quel piccolo parco privato.
Bulma percorse delicatamente con un dito la superficie di una lattina ormai
vuota, poggiata davanti a sé sul tavolo che stava occupando.
I suoi occhi azzurri si persero in pensieri lontani, fissando vagamente il
calendario posto sotto il suo naso.
La donna lasciò dondolare la lattina sul piano d’appoggio puntellandola con un
unico dito.
Fu il tintinnio metallico che il barattolo produsse, perdendo l’equilibrio, a
risvegliarla dai suoi pensieri.
Il recipiente rotolò veloce verso il bordo del tavolo e con uno scatto rapido,
la donna, cercò di frenare la caduta frapponendo la sua mano al terreno con
l’intento d’impedire l’impatto al suolo.
La lattina, però, si bloccò ben prima, sorretta da due anziani mani grinzose dal
singolare colore verde.
Bulma alzò il capo per incrociare lo sguardo con l’improvvisato salvatore
riscoprendosi a parlare con l’attuale anziano saggio.
Muri sorrise alla giovane donna posando il contenitore sul tavolo, “Mi sembra un
po’ distratta signorina terrestre” esordì appoggiando una mano sulla sedia
accanto a quella della giovane, “Posso sedermi?” domandò poi.
La donna gli rivolse uno sguardo un po’ assorto per alcuni secondi, “Non c’è
bisogno di essere così formali, vecchietto. Può chiamarmi Bulma” lo invitò
facendo cenno di accomodarsi.
L’anziano namecciano indugiò per alcuni secondi, complice l’inaspettato
comportamento della ragazza, infine si sedette sul sedile.
“Allora, signorina Bulma, cosa la preoccupa?” s’informò cordiale nonostante non
riuscisse ad eliminare una certa formalità.
Bulma tornò ad osservare il calendario che aveva davanti, “Stavo ripensando alle
vostre sfere” non nascose voltando la pagina, “Dobbiamo aspettare centotrenta
giorni prima che si riattivino, questo vuol dire che saranno utilizzabili... il
tre maggio, giusto?” domandò in cerca di una conferma che, in realtà, non era
necessaria.
L’anziano la guardò evidentemente confuso, “Non saprei dirle, il calendario
namecciano è differente da quello terrestre” le ricordò.
Bulma sembrò ragionarci su, ed infine annuì tornando ad immergersi nei suoi
pensieri.
Muri rimase a fissarla altrettanto pensieroso, domandandosi cosa frullasse nella
mente della giovane.
La terrestre afferrò una penna distrattamente buttata sul tavolo e la guardò
come a domandarsi cosa dovesse farsene.
Solo dopo essere giunta a capo delle sue riflessioni sorrise apertamente,
“Centotrenta giorni, va bene!” esclamò togliendo il cappuccio della biro
“Centoventinove a partire da ades...” un infausto ed improvviso vento scosse
l’intero giardino.
Muri si occupò di difendere la sua singolare interlocutrice proteggendola con il
suo stesso corpo.
Bulma, a sua volta, si premurò di non disperdere i suoi fogli e tutte le cose
appoggiate sul tavolo.
L’aria vibrò per diversi secondi ed infine, dopo un boato spaventoso, tutto
sembrò tornare alla normalità.
Solo una scia dalle sfumature blu si disperse nel cielo azzurro.
Quando il polverone si dissipò, Bulma osservò la volta celeste scrutando quel
puntino che si era ormai già allontanato.
*
Il silenzio irreale circondava l’intera vallata.
Un luogo disperso ai confini del pianeta Terra in un angolo dimenticato del
satellite stesso.
Il pianeta Terra... che schifo...
Un pianeta così piccolo ed insulso che non valeva nemmeno la pena di essere
considerato.
Talmente insignificante da non essere mai stato preso in esame da nessuno,
neanche da Freezer.
Freezer, possibile che fosse morto davvero?!
Per quanto la sua mente cercasse di convincersene la sola idea che quel tiranno
fosse sparito dall’intera galassia gli sembrava impossibile.
Surreale.
Irrazionale soprattutto il fatto che, un guerriero insignificante quanto il
pianeta sul quale posava i piedi, l’avesse eliminato.
Al contrario, lui l’orgoglioso principe, aveva esalato l’ultimo respiro al
cospetto del mostro tanto odiato.
Nelle sue orecchie risuonavano ancora le ultime parole che udì pronunciare da
Freezer.
Tutta la scena era chiara, fin troppo.
Cristallina si ripeteva nella sua mente in continuazione ad ogni battito di
ciglia.
La sua mano si appoggiò sul foro nella sua armatura come a constatare che la sua
pelle fosse tornata integra.
Sentiva la cute bruciargli, ancora.
La sentiva ardere, avvampare sotto il raggio di luce che gli aveva sottratto la
vita e quanto avesse di più caro... l’orgoglio.
La fitta lancinante al petto, che ancora percepiva, non era nulla in confronto
alla sofferenza del suo animo, né al dolore dei suoi occhi, come se essi
avessero subito la ferita più grande.
Il sapore di sangue non si era ancora dissipato, lo sentiva ancora lì; quel
gusto metallico, dolcemente amaro.
La sua bocca era permeata dalla corposità del liquido rosso, misto al terreno
che lo aveva sotterrato.
Il suo pugno tremò vistosamente ai ricordi ancora vividi della sua dipartita.
Umiliante.
Quella fu la sola parola che riuscì a pensare.
Ancor di più fu l’improvvisa presa di coscienza che in tutto ciò lui poteva solo
definirsi un essere patetico.
“Maledizioneeeeeeeeeee!” gridò al mondo scuotendo montagne ed anfratti in tutta
la zona.
La sua aura sgretolò la rupe sulla quale, il principe dei Saiyan, sostava.
Il terremoto si quietò dopo diversi minuti.
Vegeta alzò lo sguardo ansimante per l’immenso sforzo appena compiuto.
Nello sguardo solo una profonda rabbia e, celata dietro le iridi, tristezza
infinita verso l’ignobiltà del suo destino.
“Non è giusto! Io sono Vegeta, sono il numero uno!” tornò a strepitare in una
sorta di autoconvinzione.
Era il più forte guerriero nell’intera galassia, ma solo perché chi lo precedeva
era morto in un’esplosione.
Così no... così non voleva esserlo.
Lui doveva dimostrarlo!
“Sono il numero uno” ripeté in un sussurro percepibile solo alle sue orecchie,
“Vi farò vedere, vi dimostrerò che sono io, e solo io, il guerriero più forte
dell’universo, niente mi fermerà. Nemmeno tu... Kakaroth!” dichiarò al vento
trasformando il suo sguardo sconfitto in un’espressione di completa fiducia.
Il ghigno che si dipinse sul suo volto era indice di sicurezza, Vegeta sapeva
cosa stava dicendo; inconsciamente lo sperava.
Kakaroth sarebbe tornato tra centotrenta giorni ed al suo ritorno gli avrebbe
ricordato chi era il vero principe dei Saiyan.
La parete rocciosa al suo fianco si frantumò appena il suo pugno ne sfiorò la
superficie.
Quella fu solo la prima delle tante rocce che finirono disintegrate.
Fu solo l’inizio del suo allenamento.
*
L’inesorabile trillo della sveglia suonò rigoroso giungendo spietato alle sue
membra.
Svegliarsi la mattina presto non era il suo più grande desiderio, Bulma non era
una persona alla quale piaceva alzarsi presto.
I classici cinque minuti, per lei, erano una vera e propria tradizione, che
normalmente si tramutavano in altre tre o quattro ore.
Peccato che l’insistente apparecchio la stesse implacabilmente richiamando alla
realtà.
Bulma allungò la mano sul comodino alla ricerca della radiosveglia con l’intento
di farla tacere.
Fazzoletti, carte, giornali, riviste, trucchi e qualche sporadico libro
riversarono al suolo al passaggio delle sue dita, fino all’infrangersi del
bicchiere usato per dissetarsi la sera precedente.
Un mugolio incomprensibile giunse rigoroso da sotto le coperte, dal quale era
visibile solo una ciocca di capelli azzurri.
L’improvviso issarsi della trapunta mostrò al mondo l’esistenza dalla donna che,
con sguardo ancora assonnato, volse la sua attenzione ai cocci dispersi al bordo
del letto.
Bulma si grattò la nuca scompigliandosi la chioma dal singolare colore
esibendosi in uno sbadiglio rumoroso.
“Uffa” brontolò alzandosi ormai sveglia, per modo di dire, dal letto;
assicurandosi di evitare qualsiasi frammento di vetro.
Di mettere in ordine non ne aveva alcuna intenzione, ci avrebbe ripensato poi...
se e quando si fosse ricordata, naturalmente.
Nonostante la consapevolezza di avere pezzi di vetro dispersi per tutto il
pavimento, la donna, non si premurò di dotarsi di ciabatte o calzari di alcun
tipo.
Coperta dalle sole mutandine e da una canottiera si diresse, a piedi scalzi,
verso la cucina.
L’ennesimo sbadiglio, accompagnato da un continuo grattarsi la nuca con gesta
indolenti, annunciò il suo ingresso.
Il successivo segno di stanchezza le morì in gola appena varcò la soglia della
camera nella quale era diretta.
“Ma cosa?!” esclamò volgendo lo sguardo all’intera stanza.
Non c’era nulla di integro o sano in tutta la cucina.
Era divenuta il regno del caos, del disordine più completo.
Nemmeno la sua stessa stanza poteva competere con lo scompiglio che dominava la
cucina.
Piatti rotti, pentole, padelle, cibo e quant’altro erano riversati al suolo come
scossi da un tornado.
Cassetti aperti, ante fracassate e, sopra ogni altra cosa, il frigo
completamente devastato.
Metà del cibo al suo interno si era irrimediabilmente rovinato o guastato,
dell’altra metà invece non vi erano più notizie, dissolto misteriosamente.
Bulma osservò esterrefatta la scena volgendo il capo prima da un lato poi
dall’altro, “Cos’è successo qui?” si domandò ad alta voce zigzagando tra le
vittime inermi di una battaglia persa.
“Credo sia stato quel Saiyan” sopraggiunse una voce dall’uscio della cucina.
Bulma sollevò lo sguardo da una confezione di affettati che reggeva con sole due
dita.
Le pupille azzurre cercarono il nuovo venuto ad altezza d’uomo, riscoprendosi a
dover abbassare di molto lo sguardo ritrovandosi a parlare con un bimbo
namecciano.
“Questa è opera di Vegeta” annunciò il bambino dalla pelle verde guardandosi
attorno.
Bulma lo scrutò con attenzione riconoscendo il piccolo alieno, “Ne sei sicuro?”
gli domandò per sicurezza tornando ad osservare lo stato del frigo.
Dende annuì fermamente “Sì” mormorò convinto, “Ieri sera ho percepito la sua
aura provenire da questa stanza” spiegò chinandosi per afferrare un piatto
diviso a metà.
La terrestre si adagiò una mano al mento assumendo un atteggiamento pensieroso,
mentre il piccolo namecciano constatò lo stato della stoviglia unendo le due
parti di esso.
*
*
Con un enorme segno disegnato con un pennarello nero contrassegnò la data
odierna.
Quando ritirò la penna la richiuse con l’apposito tappino osservando soddisfatta
il suo operato.
“Settantasei” annunciò a se stessa ricordandosi ad alta voce l’andamento del
conto alla rovescia.
Bulma osservò le svariate crocette disseminati per tutto il calendario con una
certa malinconia mista a trepidazione.
Cinquantaquattro giorni erano già passati, da quando aveva cominciato a
contrassegnare i giorni in un’impaziente attesa.
Erano passati quasi due mesi da quando era tornata da Namecc, ma ancora di più
erano i giorni che la separavano da quello che era il suo ragazzo.
Ancora per tanto le sarebbe toccato attendere il suo ritorno.
D’altro canto, però, anche se l’attesa era ancora lunga, cos’erano settantasei
giorni in confronto a tutta la vita?
Solo una nullità, eppure Bulma ad ogni segno su quel calendario si rendeva conto
di sentire il tempo passare lentamente.
Sentiva la mancanza di Yamcha ogni giorno, nonostante fosse ormai abituata alle
sue eventuali sparizioni.
Ora voleva ricominciare.
Tornare al punto di partenza, riprendere a vivere come una coppia.
Era da molto che non lo vedeva, da quando era partito per il suo allenamento
antecedente all’arrivo dei Saiyan.
Per uno strano motivo l’ultimo pensiero la fece sorridere impercettibilmente.
Malinconico, il suo sorriso le dipinse il volto quasi all’insegna dell’ironia.
Perché, infondo, ironica era la situazione nella quale si trovava.
Il suo fidanzato era partito per sconfiggere i Saiyan e a tornare era invece
stato uno dei guerrieri tanto temuti.
I pensieri si rivolsero a Vegeta, chissà come stava, come passava il tempo.
Erano giorni che non lo vedeva, che non aveva sue notizie.
Doveva ammettere che era un tipo strano, in un certo senso suscitava la sua
curiosità.
Aveva qualcosa di molto particolare che non riusciva a spiegarsi per qualche
strana ragione.
In certe cose le ricordava Goku.
Dal suo essere fissato per la battaglia al temperamento selvaggio ed indomabile.
Per non parlare della voracità con la quale saccheggiava la cucina tutte le
sere.
Fortuna che Bulma era una persona intelligente.
Cibo pronto in tavola affinché l’affamato animale selvatico potesse nutrirsi
senza necessariamente mettere a soqquadro l’intera stanza.
Bulma volse uno sguardo al tavolo, perfettamente imbandito ed apparecchiato, e
spense la luce facendo calare le tenebre nella casa.
Proprio come si sfama un cane randagio, dandogli il modo di cibarsi la sera e
sparire misteriosamente la mattina.
E anche quella sera, come le precedenti, Bulma compì il suo lavoro da
addestratrice di bestie feroci.
Chissà se anche quella sera l’orso sarebbe uscito dalla sua tana?
*
L’intera città dell’Ovest era avvolta dalle tenebre della notte.
Case ed edifici erano immersi nel buio.
Solo qualche saltuario lampione illuminava le strade notturne, deserte a causa
dell’ora tarda.
Anche nell’immensa casa dai muri gialli imperava l’assoluto silenzio.
A rompere tale quiete, però, fu la sagoma di un uomo posare i piedi nel giardino
sul retro, addentrandosi prudente all’interno dell’abitazione.
*
Le coperte si contorsero esagitate scostandosi da una parte all’altra del
materasso.
Il continuo rigirarsi da parte dell’occupante era il chiaro segnale di un sonno
inquieto.
Bulma portò la mano verso il comodino alla ricerca di un bicchiere.
Dopo vari tentativi si accorse di non avere ciò che stava cercando accanto al
suo letto.
Il capo dai capelli arruffati si alzò per constatare visivamente l’effettiva
mancanza del recipiente che normalmente occupava il tavolino.
Gli occhi ancora semichiusi confermarono la tesi tattile, scoprendo di non avere
nessun bicchiere dal quale potersi dissetare.
In uno stato semincoscente si sistemò seduta sul letto continuando a scrutare il
mobilio nella speranza, quasi istintiva ed irrazionale, di veder comparire
l’oggetto dei suoi desideri a portata di mano.
Purtroppo il solo desiderio non era sufficiente a materializzare un recipiente
d’acqua e Bulma dovette convincersi che per curare l’aridità della sua gola
aveva un solo modo.
Alzarsi ed andare a procurarsi qualcosa da bere.
Un sonoro sbuffo annunciò la sua quasi totale presa di coscienza.
Scostò le coperte con un gesto scocciato fermandosi a sedere sul bordo del letto
osservando, svogliatamente, il pavimento gelato.
Lo sbadiglio che seguì anticipò la sua definitiva decisione di muoversi e,
nonostante il freddo, cominciò a dirigersi verso la cucina, così com’era solita
andare a letto.
Con gesta indolenti e rallentate si avviò verso la cucina, ma a pochi passi
dall’uscio di essa si accorse di non essere da sola.
Mentalmente si ricordò della recente attività notturna alla quale era soggetta
la sua casa.
La sua mano tastò il muro alla ricerca dell’interruttore illuminando l’intera
stanza.
Come volevasi dimostrare il fantomatico ospite si presentò intento ad addentare
il lauto pasto che gli era stato riservato.
Vegeta alzò lo sguardo solo per un secondo, incrociò lo sguardo con la terrestre
tornando quindi alla sua attività rigenerativa.
Bulma lo fissò più a lungo, ormai completamente sveglia, senza muoversi di un
solo millimetro.
“Guarda chi si vede” lo salutò infine dirigendosi verso il frigo alle spalle
dell’uomo che, al contrario, non ebbe nessuna reazione continuando a cibarsi
come se lei non esistesse.
La donna si servì con una lattina, la aprì e si appoggiò al piano cucina alle
sue spalle osservando la schiena del muto divoratore.
Era la prima volta che lo vedeva così da vicino e doveva ammettere che sua madre
aveva ragione.
Sotto quell’aspetto da cavernicolo era decisamente un bell’uomo, nonostante
seguitasse a comportarsi come una scimmia troppo cresciuta.
La somiglianza con il suo migliore amico le fu nuovamente chiara e lampante.
Avevano decisamente qualcosa in comune che andava al di là della razza.
Che fosse il modo animalesco di mangiare o solamente la maniera di ricoprirsi
costantemente di lividi e ferite non era importante.
Indiscutibilmente qualche somiglianza l’avevano.
Nonostante il carattere dei due fosse completamente diverso potevano
tranquillamente essere scambiati per fratelli.
“Avevo ragione. Sei un mangione, proprio come Goku” non poté fare a meno di
affermare sorseggiando la sua bevanda.
Appena sentì pronunciare quel nome il frenetico modo d’ingozzarsi s’interruppe
bruscamente.
Vegeta restò immobile a fissare il rimanente del proprio pasto immerso in chissà
quale pensiero.
Il silenzio fu interrotto da un sonoro ringhio in segno di nervosismo, “Infondo
tu e lui vi assomigliate parecchio, lo sai?” continuò il suo monologo la donna
alzando lo sguardo e fissando il soffitto.
“Non dire idiozie, terrestre!” urlò improvvisamente l’uomo facendola sobbalzare
per la sorpresa, “Io sono il principe dei Saiyan, non ho nulla in comune con un
guerriero di terza classe!” affermò volgendole uno sguardo capace di uccidere.
L’effetto sperato, però, non fu quello di terrore; Bulma, ripresasi dallo
spavento iniziale, lo fissò con totale indifferenza.
“Goku sarà anche un guerriero di terza classe, come dici tu, ma è riuscito a
battere Freezer e salvare tutti noi. Al contrario di te” lo provocò forse troppo
apertamente.
Bulma si ritrovò una mano stretta al collo; oltrepassata dallo sguardo
indemoniato di due occhi neri, senza avere nemmeno il tempo di accorgersene.
La sedia ricadde al suolo alcuni istanti in ritardo.
“Quando sarò diventato Super Saiyan di Kakaroth e questo insulso pianeta non
resterà nulla” affermò l’alieno stringendo maggiormente le dita sul collo della
donna.
Per la prima volta, Bulma e Vegeta, ebbero l’occasione di fissarsi negli occhi.
Lei riuscì a vedere nelle perle nere rabbia e determinazione, al contrario lui
intravide nei due squarci di cielo la più totale fiducia.
Contrariamente alle sue aspettative infatti, Vegeta si ritrovò a guardare gli
occhi di una persona ferma e risoluta senza la minima ombra di terrore.
Bulma riuscì a sostenere lo sguardo dell’uomo senza mai scostare le iridi da
quelle nere e profonde di lui.
Fu il Saiyan il primo a volgere la sua attenzione altrove.
Spiazzato da così tanta determinazione si vide costretto a rivolgerle le spalle
frettolosamente, lasciando la presa.
La prima vera battaglia di sguardi fu Bulma a vincerla, nonostante fu costretta
a riversarsi al suolo afferrandosi il collo dolorante.
Alcuni sonori colpi di tosse le permisero di tornare a respirare.
Le ci vollero alcuni secondi prima di riuscire a riprendersi e quando ce la fece
vide l’uomo allontanarsi verso la porta.
“Aspetta, Vegeta” ebbe la forza di dire attirando l’attenzione dell’altro che si
fermò a pochi centimetri dall’uscio.
Bulma si rialzò in piedi massaggiandosi la parte lesa ed osservando le spalle
dell’uomo, “Goku non verrà mai sconfitto da te, quando tornerà in vita ti
batterà per difenderci tutti” precisò per nulla spaventata dal suo
interlocutore.
Vegeta scoppiò in una risata gelida e meschina “La tua ingenuità mi fa quasi
schifo, sei patetica. Solo su una cosa hai ragione, io e Kakaroth siamo
simili, siamo entrambi Saiyan, ma combattiamo solo per il gusto di farlo” il suo
ghigno sinistro si tramutò in uno sguardo carico d’odio, “Ma io sono il
principe, sono più forte” concluse sparendo definitivamente dalla vista della
donna.
Mai istigare un animale selvaggio, ma Bulma difficilmente imparava dai propri
errori.
*
*
Il calendario, disseminato di croci, segnava la data del due maggio.
Bulma restò ad osservare il numero scritto a lettere cubitali con gli occhi
colmi di gioia e trepidazione.
Finalmente, dopo mesi infiniti, avrebbe riabbracciato il compagno di una vita.
Yamcha sarebbe risorto il giorno seguente e tutto sarebbe ricominciato
con la stessa regolarità di sempre.
I suoi occhi si scostarono sul prato del giardino osservando i sette massi
sferici custoditi gelosamente dalla popolazione namecciana.
Presto sarebbero tornate a brillare, quelle sfere, e Bulma non stava più nella
pelle.
“Domani riattiveremo le sfere” le ricordò la timida voce del giovane namecciano,
amico dei suoi compagni di viaggio.
Bulma scostò lo sguardo sul bambino intento, a sua volta, a fissare i massi
immerso in svariati pensieri.
Dende appoggiò le piccole mani sul bordo della finestra, vedendosi costretto ad
alzarsi in punta di piedi.
“Mi sembra che la cosa ti dispiaccia” constatò la terrestre denotando una
notevole malinconia nello sguardo del giovane alieno.
Il bambino dalla singolare colorazione cutanea chinò lo sguardo confermando i
sospetti della sua interlocutrice.
Bulma s’inginocchiò per essere all’altezza del piccolo poggiandogli le mani
sulle spalle, “Non vuoi separarti da Gohan e Crilin, dico bene?” suppose ancora
una volta centrando in pieno il nocciolo della questione.
Dende annuì timidamente e Bulma gli sorrise, “Non essere così triste, magari un
giorno li rivedrai” provò a rincuorarlo.
Il namecciano alzò lo sguardo verso la donna lasciandosi conteggiare dal suo
sorriso solare.
Il leggero cenno del capo fu interrotto da un frastuono proveniente dal
giardino.
Le pareti tremarono a causa del vento e, i due interlocutori, dovettero
ringraziare il vetro della finestra per non essere coinvolti nell’esplosione.
La scia blu che aveva trasportato l’indomabile viaggiatore, fino ad appoggiare i
piedi al suolo, scomparve lentamente.
Vegeta alzò lo sguardo dal terreno con sicurezza.
Bulma si rimise in piedi osservando, oltre la finestra, il nuovo venuto.
Da quella sera non lo aveva più visto.
“Quando sarò diventato Super Saiyan di Kakaroth e questo insulso pianeta non
resterà nulla” quella frase riecheggiò nei suoi ricordi.
Chissà se ci era già riuscito o se, invece, ancora non aveva raggiunto il
livello di Goku.
La sola certezza era che, il giorno seguente, avrebbe trovato una risposta ai
suoi interrogativi.
Tutto sarebbe tornato alla normalità e, tra qualche tempo, Vegeta sarebbe
rimasto solo un ricordo vago.
Una persona che aveva conosciuto solo per caso e che, altrettanto per caso,
sarebbe scomparso.
Sparito per far di nuovo posto a Yamcha e alle attenzioni che a lui avrebbe
riservato.
Bulma era convinta che in meno di ventiquattro ore tutto sarebbe ricominciato da
capo, ignara che quello era solo il principio della fine.
*
FINE
*
*
Storia scritta per una sfida su Writers Arena, tema i centotrenta giorni precedenti alla riattivazione delle sfere.
*
Le date segnate non sono di mia invenzione, ma sono state ricavate della Timline ufficiale di Dragon Ball.
*
Lo so, il risultato non è granché.