Disclaimer: i personaggi presenti in questa storia non mi appartengono,
i possessori sono Arthur Conan Doyle e in seguito il
duo Moffat + Gatiss. Non
scrivo né traduco per guadagnare soldi, così come l’autrice.
Autrice: doodle
Storia originale: A Study in Intimacy
Traduttrice: N o r a
Beta: Yoko Hogawa
Note della traduttrice: Per Eli (doveva essere pronta per Natale, I'm so sorry T^T)
Ringraziamenti: All'autrice, a Yoko
che io sfrutto sempre (<3) e a Nat, che povera, si
è sorbita i miei scleri per questa fic dall'inizio. <3
A Study in Intimacy
La mano di John è calda e solida contro la spalla di
Sherlock, e il calore del palmo passa attraverso la sua maglia fino la pelle.
C’è un minimo accenno di pressione sulle dita di John mentre stringe, con
attenzione. Il tocco si trascina per diversi altri secondi mentre una tazza di
tè appare sul tavolo della cucina di fronte a Sherlock, consegnata dalla mano
destra di John.
John infine lo lascia andare, le dita che scivolano
via lentamente e facendo durare il contatto fisico il più a lungo possibile.
Sherlock si domanda se, almeno, John sia consapevole di ciò che sta facendo.
Sherlock è stato in piedi tutta la notte, annoiato e apatico senza un caso, e
John adesso conosce le sue abitudini abbastanza bene da non commentare più.
Almeno, non finché crede che stia diventando nocivo per la salute di Sherlock.
John afferra il proprio tè dal bancone e gira attorno
Sherlock per rubare il giornale a lungo ignorato di fronte a lui, il torace che
sfiora la schiena e le spalle di Sherlock. John non parla, prende semplicemente
la sezione sportiva del Sunday Times
e cammina lentamente verso il soggiorno, lasciandosi cadere sulla sua poltrona
con uno sbuffo debole.
Sherlock sente un’improvvisa ondata di calore che non
ha nulla a che fare col tè attorno il quale le sue dita si sono avvolte.
Sherlock non ricorda un tempo in cui qualcuno l’ha toccato nel modo in cui fa
John. Casualmente, senza pensarci, come se Sherlock fosse un uomo qualunque,
non solo un cervello da usare quando una domanda richiede una risposta.
//
John bacia Sherlock. È la prima volta e tutto il suo
corpo si irrigidisce senza permesso.
In quattordici anni solo una persona ha baciato
Sherlock, a parte sua madre, e quel singolo bacio era stato un errore superficiale
da ubriaco. Sebastian l’aveva reso molto
chiaro una volta che aveva smaltito la
sbornia e dopo che i suoi amici idioti gli avevano detto cos’era stato in grado
di fare dopo mezza bottiglia di tequila.
“Cosa c’è che non va?” chiede John, facendo un passo
indietro e leccandosi le labbra. Sherlock è momentaneamente distratto,
guardando il percorso provocante e invitante che la lingua di John traccia sul
suo labbro inferiore.
“Niente”, risponde Sherlock completamente sincero. È
solo che non aveva mai immaginato che avrebbe potuto avere tutto ciò, non
finché John Watson non si era invischiato
così tanto nella sua vita come
niente che Sherlock avesse mai conosciuto.
“Cioè, ho pensato che tu volessi –“ inizia John, e si
sta facendo un’impressione completamente sbagliata. Sherlock non glielo lascerà
fare.
“È così”, conferma, “lo voglio”.
“Bene”, dice John col suo sorriso più largo e luminoso.
Qualcosa nel petto di Sherlock scintilla risvegliandosi, una sensazione nuova
ed eccitante[1], mentre John lascia un bacio veloce, quasi familiare,
sull’angolo delle labbra di Sherlock. “Farò tardi al lavoro, questa la finiamo
dopo, okay? Non andare via senza di me”.
Sherlock annuisce e guarda John andarsene. Si tocca le
labbra, un po’ incerto nel fidarsi dei suoi sensi. Del fatto che è stato
baciato per la prima volta da più di un decennio
ed è stato John a farlo, per nessun’altra ragione se non perché lo voleva,
perché sospettava che anche Sherlock lo volesse.
//
“Io non lo farei se fossi in lei”, sputa Sally Donovan,
nel suo tono più velenoso. “Nessuno sa cos'ha, ma probabilmente è contagioso”.
L’ispettore Gregson si
blocca. La sua mano si ferma, mezza sollevata nell’incontrare quella che
Sherlock gli sta offrendo al momento, dopo il loro scambio usuale di carinerie
e amenità. È un tentativo di fare una buona impressione e ottenere l’accesso alla
scena del crimine, ed è distrutto in un istante dalla cattiveria meschina di
Donovan.
Gregson esita e sebbene si riprenda in fretta, non è
abbastanza per fermare Sherlock dal prenderne nota, dal notare il modo in cui
Gregson considera semplicemente di non
stringergli la mano. Senza dubbio in risposta alla combinazione della
reputazione di Sherlock a Scotland Yard e
alle parole di Donovan.
Gregson infine stringe la mano di Sherlock, e John
guarda con espressione vuota e le sue braccia fermamente dietro la schiena.
Sherlock non ne è ingannato per un solo secondo. Il momentaneo affronto di
Gregson non è passato inosservato
a John, che potrebbe sembrare più soldato di così solo se fosse in uniforme.
“Tu sai tutto riguardo alle cose contagiose, giusto
Sally? Come va quel prurito, a proposito? Stai ancora usando la crema?” chiede
John colloquialmente, ignorando la mano che Gregson gli sta offrendo ora.
È come se Donovan
fosse stata schiaffeggiata, e John le sorride allegramente. Fa un cenno a Gregson e poi a Donovan mentre il viso di lei si
stringe in un’espressione arrabbiata e vendicativa.
“Ce ne andiamo per adesso, allora”, continua John nello
stesso tono calmo, informale. Si allunga verso Sherlock, appoggia la mano sulla sua schiena e
inizia a guidarlo per allontanarsi.
Sherlock è troppo concentrato sulla mano di John,
solida e forte e che lo
sta toccando con una familiarità così ovvia, in pubblico, che non reagisce
all’annuncio della loro partenza. Donovan e Gregson guardano la mano di John
che preme così casualmente contro il corpo di Sherlock con occhi spalancati per
lo shock.
Neanche questo sfugge a John.
“Chiamateci quando avrete bisogno di Sherlock per spiegarvi
le più semplici cazzate[2]”, dice John da sopra le sue spalle, facendo
scivolare il braccio attorno alla sua vita in un gesto aperto di affetto ancora
più sorprendente.
Il cervello di Sherlock si ferma di schianto mentre John si fa abbastanza vicino perché
Sherlock senta il suo calore corporeo. In pubblico, di fronte ad altra gente.
John guida Sherlock, ancora momentaneamente deragliato
mentalmente, via dal nastro di polizia e via dalle Pande
fino alla strada principale, e poi su un taxi per tornare a casa. Sherlock
riesce a sentire gli occhi di Gregson e Donovan su di loro finché non girano
l’angolo e sono definitivamente fuori dalla loro vista.
“John –” dice infine Sherlock quando riesce a ritrovare
la lingua, anche se John non lo lascia andare.
“Che cretina”, taglia corto John, portandosi Sherlock ancora più vicino e guardando su
e giù la via per trovare un taxi vuoto. “Non posso credere che lui stesse per dar
retta a quella perfida vacca.
Le dita di John stringono il fianco di Sherlock quando
un taxi vuoto si accosta al marciapiede. “Do' loro tre ore al massimo prima che
ti chiamino, implorando che tu li aiuti”.
Sherlock è ancora senza parole mentre salgono sul taxi.
John dà il loro indirizzo al tassista e si siede a fianco a Sherlock, mano
appoggiata sul suo ginocchio.
//
“Mrs. Hudson!” strilla Sherlock, scandalizzato.
Lei sta facendo facce con le labbra a mo’ di bacio
rivolta verso John [3], il quale ha le guance di un rosso acceso e ride, mentre
lei tiene un rametto di vischio sulla sua testa. Mrs. Hudson guarda Sherlock e
ridacchia, ubriaca, in una maniera sin troppo da ragazza per una donna della
sua età.
“Ma è la tradizione”, si lamenta prima di rivolgersi di nuovo verso John. “Se non lo fai porta sfortuna”.
John ride così forte che quasi cade dallo sgabello
della cucina sul quale è seduto. È solo un po’ ubriaco e pieno di buonumore
dopo aver condiviso tre bottiglie di
vino con loro dopo la cena di Natale di Mrs. Hudson.
In realtà, anche Sherlock potrebbe essere un po’
ubriaco. È l’unico modo per spiegare come mai il suo torace si stringe quando
John si riprende abbastanza per parlare.
“Se voleva pomiciare, Mrs. Hudson, tutto ciò che
avresti dovuto fare era chiedere!”
“Mi piacciono gli uomini in uniforme!” dichiara lei,
prima di prendere la faccia di John tra le mani e piazzare quello che sembra un
bacio sgradevole e bagnato sulle labbra di John.
Dura a malapena un secondo, ed entrambi si sciolgono in
una risata sonora quando lei lo rilascia. John cerca, fallendo, di fare qualche
respiro profondo, e spazza via lacrime di mirto dagli occhi.
Sherlock guarda il vischio, Viscum Album, e non riesce ad impedire alla sua mente di vagare. Di
pensare a tutte le occasioni nelle quali ha evitato il temuto parassita. John,
immagina, ha condiviso più di qualche bacio, e molti di essi migliori di quello
col quale l’ha attaccato Mrs. Hudson, sotto il famoso ramoscello.
Sherlock fa fuori i rimasugli del suo vino con una
grande sorsata, e si impone fermamente di non pensarci. Solo perché – No, lui non è il primo niente di John.
“Oh, guarda la sua faccia”, tuba Mrs. Hudson, scuotendo
Sherlock dalla sua contemplazione del bicchiere vuoto. Ridacchia, dando dei
buffetti sulla guancia a John. “Piccolo
stronzetto stupido”.
Sherlock non è sicuro del perché sia un piccolo stronzetto stupido tutto d’un
tratto, ma è certamente insultato dall’insinuazione.
John capitombola
giù dallo sgabello, raddrizzandosi prima di girare attorno al tavolo
verso dove è seduto Sherlock. “Stupido idiota”, dice John con completo e totale
affetto quando raggiunge Sherlock.
Sherlock nota in ritardo che John ha preso il vischio
da Mrs. Hudson, quando lo tiene sulla testa di Sherlock. John si abbassa e lo
bacia.
Per un momento è un casto premersi di labbra su labbra, poi John sta leccando
avidamente la bocca di Sherlock, e lui riesce ad assaporare John, il vino e il
pudding natalizio. Dovrebbe essere disgustoso, ma non lo è. Mrs. Hudson
ridacchia e fa il tifo per loro mentre si ritira nel soggiorno per accendere la
TV per Doctor Who, e John continua a
baciare Sherlock profondamente, bisognoso, come se stesse affogando.
È meglio di qualunque bacio sotto il vischio che possa
aver mai immaginato.
//
“Vieni qui”,
dice John nel piacevole silenzio nel quale sono stati seduti per le due ore
precedenti.
Sherlock sta leggendo le news su internet, e John sta
facendo le parole crociate dal giornale di ieri. Fuori sta iniziando a farsi
scuro, e la pioggerellina che ha bagnato Londra per tutto il giorno si è
trasformata in una pioggia forte che sta martellando le finestre.
Sherlock realizza in ritardo che John si è mosso dalla
sua poltrona al divano e ha il telecomando accanto a lui.
“Perché?” chiede Sherlock, con diffidenza. Sembra molto
un tentativo di far guardare a Sherlock un altro terribile film di James Bond.
“Perché ti ho chiesto di farlo”, risponde John senza
aiutarlo. Sorride largamente e qualcosa si torce nella base dello stomaco di
Sherlock.
Sherlock si alza da dov’è seduto alla scrivania e
attraversa la stanza in direzione di John. “Cosa mi farai vedere?”
“Antiques
Roadshow”, risponde John, e avvolge leggermente le dita attorno al polso di Sherlock. Non è ciò
che John guarda di solito la domenica sera, ma Sherlock ha saputo imparare a
farsela piacere tra tutte le altre opzioni disponibili.
Sherlock lascia che John lo tiri giù sul divano a
fianco a lui e batte le palpebre con sorpresa mentre John si sposta sui cuscini
affinché siano premuti assieme dalle spalle alle cosce. John accende la TV e
alza il volume in modo che entrambi possano sentire prima di ridisporre
Sherlock, che si lascia manipolare, sebbene non sia del tutto sicuro di cosa
John stia cercando di fare.
Quando John è sistemato e soddisfatto, si è infilato
sotto il braccio di Sherlock, che giace sulla forte linea delle spalle di John.
John ha il suo braccio avvolto attorno la vita di Sherlock, le dita che
tracciano pigre percorsi sulla curva dei fianchi. La testa di John è poggiata
sul petto di Sherlock, alzandosi e abbassandosi con il ritmo lento e regolare
dei suoi respiri, ed è naturale per Sherlock di appoggiare il suo mento sul
capo di John.
Sherlock non è interamente sicuro di cosa stiano
facendo, o del perché, mentre la BBC da il via alla musica di apertura di Antiques Roadshow. Anche se sembra
rendere felice John, a giudicare dai suoi piccoli sospiri appagati.
“È piacevole”, dice infine John, suonando solo compiaciuto
così come Sherlock immaginava che fosse. “Ho pensato che ti potesse piacere”.
John si raggomitola un po’ più vicino e stringe
Sherlock un po’ più forte attorno
la vita. John è solido e caldo e rassicurante. Ha ragione, è piacevole
ed è sorprendente così come l’idea che John abbia pensato a Sherlock in
relazione a questo, al volere questo.
“Davvero?”
John ride sul torace di Sherlock e lo pizzica leggermente sulla pelle
morbida del suo fianco. “Perché non lo vorresti? Tutti hanno bisogno di
un po' di coccole di tanto in tanto, specialmente nelle domeniche di pioggia
senza casi”.
“Certo”, dice la bocca di Sherlock, anche se il suo
cervello è ancora fermo a
tutti hanno bisogno di un po' di coccole
di tanto in tanto.
Coccole. Molto meglio di quanto avesse immaginato.
//
“Vieni a letto”, dice John tra baci lunghi e ansimanti
sul divano. Le sue mani sono calde e lisce contro la pelle di Sherlock, una
sulla curva del fianco e l’altra sulla sua clavicola, scivolata sotto la sua
camicia semi sbottonata. “Se vuoi, cioè.
Io lo vorrei. Che tu lo volessi”.
Ci vuole un momento a Sherlock per processare la
richiesta di John, è così meticolosamente distratto nel leccare il sapore del
vino che avevano bevuto per cena sulla pelle di John. È confuso, un po’ perso
nel baciarsi sul divano e in John.
Poi realizza.
John vuole portarlo a letto.
John vuole fare
sesso.
Sherlock si prende una pausa, e l’evidenza di quanto
John voglia fare sesso è apparente. Il contorno duro dell’erezione di John
preme contro il suo jeans e Sherlock fissa indifeso la sua ovvia eccitazione.
È impossibile per Sherlock fermare il proprio corpo
dall’irrigidirsi mentre cerca di venire a capo dell’idea che John lo voglia.
Non solo emotivamente, non solo per baci e coccole e tocchi affettuosi, ma sessualmente.
John lo desidera,
ed è un concetto talmente estraneo che Sherlock è senza parole.
“Sherlock?” chiede John, la sua faccia improvvisamente
seria per la preoccupazione.
“Io –” tenta Sherlock, ma fallisce nel cercare parole
adatte per il panico cieco dal quale è stato rapidamente invaso.
Sherlock non è una persona che gli altri desiderano,
sessualmente o in altri modi.
Ha ancora meno esperienza in quest’area rispetto a qualsiasi altra da quando ha cominciato il suo rapporto con John.
“Va tutto bene, sai”,
dice John delicatamente. Il suo viso si ammorbidisce in qualcosa di simile alla
comprensione mentre prende una mano di Sherlock tra le sue e la
stringe leggermente, in modo rassicurante. “Se non sei pronto”.
Sherlock non ha la minima idea di cosa fare. John non
gli avrebbe chiesto di andare a letto se se non avesse voluto Sherlock, per quanto a Sherlock risulti difficile da
credere.
“Ma tu lo sei”, si arrischia a dire, cerando di
rilassare il linguaggio del suo corpo. Non vuole perdere John a causa del
sesso, qualcosa che ha passato quasi tutta la sua vita da adulto a convincersi
di non volere o desiderare.
John si allunga e preme il bacio più dolce e casto
sulle labbra di Sherlock. “Non sono interessato in nulla che tu non sei pronto
a dare”.
Sherlock si scioglie nel tocco, appoggia la fronte
contro quella di John per un lungo momento solo per il contatto. Deve trovare
le parole per far capire a John che non è lui. Che Sherlock è solo non abituato a questo. Da nessuno.
“Penso che dovresti sapere che io –” inizia Sherlock,
ma John lo interrompe, lo zittisce con affetto.
“Va tutto bene. Lo capisco”, dice John, ma Sherlock
dubita che John realizzi l’intera entità delle paure di Sherlock.
“No, John, hai davvero bisogno di sapere, io non ho mai
– mai”, Sherlock cerca di confessare
per la prima volta nella sua vita. Non ci pensa spesso, che è arrivato fino ai
trentacinque anni vergine. Nel dirlo, dirlo a John è tutt’un’altra questione, e non riesce a farlo.
“Oh” esala John. Il viso di John mostra lo shock, ma
solo brevemente.
Per quanto
sia terrificante l’idea che John lo voglia sessualmente, Sherlock non pensa di riuscire a sopportare
che sia la sua verginità a cambiare quel desiderio.
“Voglio solo che tu sappia, Sherlock, che questo non
cambia nulla”, dice infine John. Prendendo il viso di Sherlock tra le mani,
John guida la sua attenzione verso di lui e verso l’onestà seria e affettuosa scritta su tutto il suo viso. “È
piuttosto ovvio che io ti voglia, Sherlock, e sarei pazzo a non volerlo, perciò non lo
negherò. Ma dico ancora, sul serio, solo, e solo
quando tu sei pronto. Lo prometto”.
Qualcosa nel petto di Sherlock si contorce e si annoda.
Le parole di John sono straordinarie, le sue promesse scolpite nella roccia.
Questo lo dovrebbe far sentire meglio, solo non lo fa perché John è duro, e Sherlock non sa quanto gli ci
vorrà per essere pronto.
Se mai lo sarà.
“E fino ad allora?” chiede Sherlock, con cautela.
John coglie in fretta il significato di Sherlock, e da
cosa sono attratti i suoi occhi. Si sposta sul divano a fianco a Sherlock, gli
occhi che guizzano sul suo cavallo prima che la sua espressione cambi in una sorta
di strano disagio.
“Scusami, ehm – per quello”, John dice facendo un po’
lo spaccone, le guance che arrossiscono di nuovo, ma questa volta non
d’eccitazione o per l’alcool.
“È perfettamente normale”, Sherlock cerca di placare la
situazione anche se non è sicuro che le sue parole abbiano alcun effetto su nessuno di loro due.
John sbuffa leggermente prima di allacciare le sue dita
con quelle di Sherlock. “E il fatto è che probabilmente avverrà di nuovo. È biologia. Ma voglio che tu
sappia, niente che tu non voglia succederà. Non ho intenzione di chiedertelo,
di chiederti nulla. Hai tu il controllo”.
John si allunga e lascia un bacio sulla fronte di
Sherlock, e qualcosa di simile al sollievo vibra attraverso Sherlock. Crede in
John e qui, in questo modo, si sente
al sicuro.
//
Londra scorre attraverso i finestrini del taxi. È
umido, grigio e sgradevole, fuori, e stanno andando a Scotland Yard per una
convocazione da parte di Lestrade. Il sedile di mezzo, vuoto, separa John da
Sherlock e non una singola parte di loro è in contatto.
John sta fissando fuori dal finestrino sin da quando
sono saliti nel taxi, fuori dall’appartamento, guardando il loro percorso
attraverso il traffico di metà mattinata. Sherlock guarda John. È come si
siedono sempre nel retro dei taxi e improvvisamente Sherlock lo odia. Risente
intensamente la distanza e la mancanza di contatto tra di loro.
A metà strada un pedone troppo assorbito dal proprio
cellulare esce dal marciapiede quando il semaforo è già cambiato. Il conducente
frena nettamente,
stridente, in risposta, ed entrambi sono catapultati in avanti sui loro sedili. John si riprende e
trasale mentre si massaggia la parte posteriore del collo.
“Tutto bene?” domanda Sherlock, sebbene sappia già la
risposta. Qualcosa luccica negli occhi di John, anche se il suo collo fa ancora
male, perché Sherlock ha chiesto.
L’impulso di toccarlo è schiacciante.
“Starò bene” lo rassicura John mentre il conducente
sbraita attraverso il vetro di sicurezza in merito ai maledetti pedoni e ai
cellulari.
John offre a Sherlock un sorriso tenero, affettuoso, e
Sherlock smette di resistere. Realizza che non ne ha più bisogno e si sposta
sul sedile di mezzo. I loro corpi si stringono dalla coscia alla spalla e
Sherlock si allunga per prendere la mano di John tra la sua, intrecciando le
loro dita.
Il sorriso di John si fa luminoso e largo. Sherlock non
può fare a meno di offrire in cambio la sua versione più controllata. Per solo
un momento il suo cuore accelera.
//
“Lei mi ha snobbato, sai?” dice John, il suo tono sin
troppo colloquiale e casuale per una tale dichiarazione.
“Scusami?” domanda
Sherlock, girandosi per vagliare John piuttosto che tenere d’occhio il suo
fratello prepotentemente idiota e il di lui più masochistico lacché.
Mycroft e “Anthea” sono
seduti nel soggiorno dell’appartamento e sono benvenuti quanto un caso di
gonorrea. John sta reagire nel modo in cui reagisce alla
maggior parte delle cose, facendo a tutti del tè e con qualche battuta. È
confortante e familiare, o lo sarebbe non fosse per Mycroft, e il triste tentativo di
John di fare humour.
“Anthea”,
dice John con un accenno verso il soggiorno. Mycroft
non tenta di nascondere il fatto che sta ascoltando. “Dopo che Mycroft mi ha sequestrato, la prima volta”.
“Ti sei proposto lei?” scatta Sherlock, anche se riesce
a contenerlo in un sussurro. “Dopo che lei ti ha rapito?”
John fa spallucce e offre a Sherlock un mezzo sorriso
con uno sguardo divertito. Qualcosa si attorciglia nello stomaco di Sherlock.
“Non so neanche perché l’ho fatto; non è che lei sia il mio tipo. Comunque,
essere rifiutato ferisce l’orgoglio di un uomo”.
“Ti ha respinto?” questo sconcerta Sherlock, e deve
essere palese sul suo viso perché John ride [4].
“Sì” dice John allegramente, e la pressione che
Sherlock non sapeva neanche stesse crescendo nel suo petto si libera.
Dietro di John il bollitore bolle e si spegne. John
torna a rivolgere l’attenzione nel preparare il tè, ma Sherlock lo ferma con
una mano attorno il suo fianco.
“Allora è ancora più idiota di quanto pensassi”
dichiara Sherlock, e si allunga verso John per baciarlo, un lungo e attento
premere di labbra contro labbra.
Lascia
che guardino, pensa e sorride contro le labbra di John.
Lo bacia di nuovo mentre lo sente riflettere il sorriso.
//
Harry sta bevendo di nuovo. È apparente dalla rigidità
delle spalle di John, dal modo in cui è piegato in avanti sul divano con la testa tra le mani quando
Sherlock ritorna dal rendersi difficilmente rintracciabile.
Sherlock studia John dal vano della porta. Harry probabilmente sta anche incolpando
John della sua ricaduta, aggiungendo beffa al danno facendo accuse feroci
basate sul fatto che John abbia incontrato Clara per un caffè la settimana
precedente.
Sherlock non voleva lasciare John da solo quando questo
aveva detto che Harry stava andando a fargli visita. Non è stato difficile
vedere, recentemente, che un’altra tempesta stesse crescendo lentamente tra i
due fratelli, ma John aveva chiesto a Sherlock di rispettare i suoi desideri
questa volta, e lui l’ha fatto. Ora pensa che possa essere stato un errore.
Harry ha il potere di far sentire in colpa John fino all’estremo, per fallimenti
che non sono suoi. Harry non ha mai badato a John [5], almeno, non in
modi significativi. Forse John aveva fatto bene ad allontanare Sherlock
dall’appartamento, perché Sherlock ha un po’ più di risentimento e pietà verso
Harry, per il mettere da parte John quando lui chiaramente merita molto di più.
“Non dirlo”, mormora John da sotto le mani. Sherlock
immagina che John creda che lui stia per dire te l’avevo detto. Ha abbastanza ragioni per farlo, ma non ha
intenzione di dirlo realmente.
C’è un tremore leggero nelle spalle di John e Sherlock
vuole solo consolarlo. Ha poca esperienza in questo, nell’offrire o ricevere
supporto e conforto. Ha, comunque, esperienza in John.
Sherlock non dice nulla. Si toglie silenziosamente il
cappotto e la sciarpa, li appende nel retro della porta del soggiorno, e poi va
da John. Sherlock si siede accanto a lui sul divano, abbastanza vicino perché
le cosce siano premute assieme, avvolge un braccio attorno le spalle di John e
lo attira vicino a sé.
John non resiste, si lascia cadere volentieri
nell’abbraccio di Sherlock e si gira in esso, rimuovendo la testa dalle sue
mani per seppellire invece il viso nella curva del collo di Sherlock. Il
respiro di John è caldo e umido contro la clavicola di Sherlock, e i suoi
capelli solleticano il mento di Sherlock.
John freme di sollievo, e il tremore si ferma.
“Grazie”, mormora nella pelle di Sherlock.
Sherlock appoggia il suo mento sul capo di John e lo
stringe più forte.
//
È il compleanno di John. Ha trentacinque anni da poco
più di sette ore quando si trascina in cucina ancora addormentato e debole.
Sarah ha messaggiato Sherlock
tutta la settimana precedente. Il primo diceva: È il compleanno di John domenica.
Non dimenticartene. Lui non lo menzionerà ma gli darà fastidio se te lo
dimentichi. Ogni
giorno seguente, come a portare un conto alla rovescia, un promemoria da un
carattere che non ignora.
Sherlock si accerta che sia preparato.
Una larga tazza di tè e un cupcake
alla Guinness e al cioccolato
dal panificio Hummingbird in Soho aspettano John sul
tavolo della cucina. Sherlock ci ha messo
una piccola candela argentata al centro, che accende non appena John si siede,
mentre i suoi occhi sono ancora annebbiati e non vede ancora bene.
Sherlock riesce a dire l'esatto momento nel quale John
torna in vita e realizza che cosa ha fatto Sherlock, e che lo sta aspettando. I
suoi occhi e il viso si ammorbidiscono in un nuovo modo che non ha nulla a ché
vedere col sonno, e rende l'interno del petto di Sherlock caldo e pieno.
"Ma non te l'ho detto", dice John, annuendo
alla torta e alla candela con un mezzo sorriso.
Sherlock ride. "Pensi davvero che avresti potuto
tenermelo nascosto?"
"Non sembrava il tipo di cosa che cercheresti",
risponde John senza alcuna traccia di offesa inflitta o ricevuta.
Il sentimento di calore cresce.
"Comunque", continua John, il suo sorriso che
si allarga come una lama che gli divide in due il viso, e prende un respiro
profondo.
"Esprimi un desiderio", lo istruisce Sherlock
mentre John soffia sulle candele.
"Non te lo dirò", dice John con una risatina,
prevenendo Sherlock prima ancora che apra la bocca per chiedere. "Non si
avvererebbe altrimenti".
Sherlock è certo che sta per bruciare per il puro,
indefinibile affetto che prova per l'uomo seduto di fronte a lui. Non c'è
nient'altro da fare oltre a sporgersi sul tavolo e baciarlo.
"Buon compleanno", soffia Sherlock sulle
labbra di John. La posizione è scomoda, il tavolo gli sta premendo sui fianchi
e il suo collo si sta allungando dolorosamente, ma non gli interessa. È John.
Sherlock lo bacia di nuovo. A lungo, lentamente e
profondamente, finché le sue labbra non si intorpidiscono e la mascella gli fa
male. Quando infine si separano, le guance di John sono arrossate, così come le
punte delle sue orecchie. È possibilmente la miglior vista che Sherlock abbia
mai visto. Che può fare questo a John, che ne è autorizzato ogniqualvolta desidera.
//
Sherlock si sciacqua via dalle mani il sangue con
precisione chirurgica e acqua così calda che è quasi ustionante. Era arrivato
troppo tardi. Aveva preso lo stalker di Beth Taylor, ma non in tempo a fermarlo dall'ucciderla. Il
suo corpo era ancora caldo quando lui e John l'avevano trovata.
Non c'era stato nulla che neanche John potesse fare per
lei. Tranne che per eseguire un placcaggio da rugby da esperti su Arthur Manners per impedirgli di scappare ed aspettare finché la
polizia fosse arrivata.
Devono andare a Scotland Yard in mattinata per dare le
loro dichiarazioni. John sta facendo il tè, e Sherlock si cambia in un pigiama
pulito e cerca di non pensare all'odore pungente di ferro, sangue, ancora
piantato nelle narici.
Sherlock raggiunge John in cucina, sorseggia il tè –
caldo, con latte e sovra-zuccherato – che gli è stato messo in mano. John non
gli dice che non è colpa sua, e Sherlock è grato per la mancanza di luoghi
comuni a cui entrambi sanno che non crede, non
ci riesce.
"Se hai bisogno di qualcosa", offre John
mentre Sherlock finisce il tè. Le loro dita quasi si sfiorano quando John
prende la tazza, e poi la mette nel lavandino con la propria.
Sherlock deglutisce e desidera che si fossero toccate.
Ogni volta che batte le palpebre, vede il viso della donna. Non è abituato a
tali fallimenti, al fronteggiare le conseguenze catastrofiche da così vicino.
"Posso –" inizia Sherlock ma quasi non riesce
a tirar fuori le parole. "Posso rimanere? Nel tuo letto. Con te. Solo –
solo per dormire?"
John annuisce
e sposta i capelli di Sherlock indietro dal suo viso con un sorriso che
la sua mente può solo descrivere come innamorato. "Solo per dormire, per
quanto vuoi".
Sherlock non ha bisogno di dire grazie, lascia solo che
John lo conduca sulle scale verso la sua camera da letto. Si siede sul bordo
del letto e guarda John entrare in una maglietta consumata e nei pantaloni del
pigiama e poi ripiegare le coperte.
"Sinistra o destra?" chiede John, anche se è
ovvio che lui dorme sulla sinistra, più vicino alla porta.
"Destra" mente, arrampicandosi sotto le
coperte prima che John spenga le luci, lanciando la stanza nell'oscurità.
Il letto si abbassa al suo fianco quando John si unisce a lui, ma rimane nel
suo lato del letto. È un rassicurante gesto di pazienza che Sherlock apprezza,
ma non vuole lo spazio freddo, vuoto tra loro.
"Va bene?" domanda Sherlock, tentativamente, muovendosi sulle lenzuola verso il calore
del corpo di John.
"Sempre", promette John, aprendo le braccia.
Sherlock accetta l'invito che stava sperando e si raggomitola contro John, si
rifugia nella curva del suo collo e attorciglia i piedi con quelli di John.
John prende la mano che Sherlock ha appoggiato contro
lo stomaco e allaccia insieme le dita. Sherlock respira profondamente l'odore
di sudore e John strofina il naso nei suoi capelli il più vicino possibile.
Le labbra di John sfiorano il capo di Sherlock, e per
la prima volta da quando ha rinvenuto il corpo, non fa male respirare. Chiude gli occhi,
circondato da John, e non vede nulla tranne una benvenuta oscurità.
//
Sherlock si china nello spazio di John, i loro corpi
che si toccano dalle dita dei piedi al petto, e sfiora la guancia di John col
naso. Lo respira, ed è perfetto. Più di quanto aveva mai immaginato potesse essere,
avere John così vicino da invadergli tutti i sensi. Se potesse arrampicarsi sotto
la pelle di John per essergli più vicino, lo farebbe.
"Ciao", soffia John, gli occhi che si
chiudono mentre si allunga più vicino a Sherlock, lasciando cadere sul
pavimento la busta del Tesco che stava tenendo. Se è
sorpreso dall'improvvisa vicinanza, non lo mostra. Sorride e basta, ammorbidito
e contento.
Sherlock sussurra il nome di John. Vuole tenerlo così
per tutta l'eternità, caldo e felice e di
Sherlock.
"Mmm?" mormora John
in una sorta di domanda, e Sherlock sfrega il naso contro quello di John,
muovendolo quel tanto che basta a sinistra per far sì che le loro labbra si
tocchino.
Sherlock bacia John invece di rispondere. Inizia come
un premere di labbra tenero, esitante, dolce e quasi casto. Le dita di Sherlock
si introducono nei capelli arricciandosi alla base del collo di John, e spera
che John continui a dimenticarsi di tagliarseli. Le mani di John si muovono
verso la vita di Sherlock, stringendolo con una presa leggera ma solida mentre
Sherlock lo schiaccia. Approfondisce il bacio in un intreccio pigro di labbra e
respiri condivisi, lecca il sapore di tè e marmellata e John dalla sua bocca.
È perfetto, e
quando si separano, le labbra di
Sherlock formicolano. Il suo cuore batte a mille mentre gli occhi di John si
aprono e trafiggono Sherlock.
Sì,
pensa. È eccitante e terrorizzante e giusto.
John è quello giusto.
"Non che mi stia lamentando", dice John, il
suo pollice sinistro che fa dei cerchi sulle ossa iliache di Sherlock
attraverso i pantaloni, provocando la pelle sotto il suo tocco. "Ma per
cos'era?"
"Perché posso farlo", spiega Sherlock con un
sorriso e bacia di nuovo John. È lento e sensuale, e i piccoli mugolii di
piacere che John emette mandano brividi di desiderio per la colonna vertebrale
di Sherlock. Se prima non ne era sicuro, ora lo è.
Si trascina via, con baci veloci e solidi agli angoli
della bocca di John e sull'arco del suo labbro superiore. Deve dirlo prima di distrarsi, perso nel
piacere profondo, caldo, del baciare John. Si fida di John, che ha aspettato
così a lungo, che ha mostrato più pazienza di quanto Sherlock avesse immaginato
John possedesse, che lui vuole.
"Mi porteresti a letto?" chiede, le labbra
premute contro la tempia di John e la sua voce che trema anche solo di poco.
"Davvero?" domanda John, e non c'è richiesta
o aspettativa nella sua voce. Solo comprensione mista a preoccupazione.
"Davvero" promette Sherlock. "Lo
voglio".
Sherlock prende la mano di John nella sua, allaccia le
loro dita, e lo guida lentamente su per le scale, nella camera da letto. I suoi
palmi sono sudaticci e il suo cuore sta ancora martellando e sa che può tirarsi
indietro da tutto ciò quando vuole.
Non lo farà.
Ecco perché questo
è giusto. Perché John è quello giusto, e Sherlock è pronto.
[1] Adattamento.
[2] Qui usa l’espressione “to tell your arse from your
elbow”, che al negativo vuol dire qualcosa tipo “non sapere/rimanere confusi
riguardo piccolezze”. È anche un’espressione molto informale, quindi,
volgendola al positivo, l’ho adattata un po’ per renderla comprensibile.
[3] “Kissy face”, dal testo. Ho usato una perifrasi per
rendere l’idea.
[4] Adattamento.
[5] Ho capovolto la frase dall’attivo al passivo perché
così è più scorrevole ^^