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Autore: HellWill    20/02/2014    1 recensioni
"Quando le sue mani grandi eppure gentili iniziarono a spogliarla, Azure credeva che Michael volesse fare l’amore. Invece non le tolse tutti i vestiti: la lasciò in intimo, in piedi, e restò ad accarezzarle dolcemente piccoli punti precisi. Azure lo osservò con gli occhi socchiusi come un gatto, in attesa che il ragazzo palesasse le sue intenzioni.
«Raccontami la tua storia» le sussurrò lui, sorridendo appena e carezzandole le cicatrici sottili che aveva sulla pelle."
Genere: Fluff, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando le sue mani grandi eppure gentili iniziarono a spogliarla, Azure credeva che Michael volesse fare l’amore. Invece non le tolse tutti i vestiti: la lasciò in intimo, in piedi, e restò ad accarezzarle dolcemente piccoli punti precisi. Azure lo osservò con gli occhi socchiusi come un gatto, in attesa che il ragazzo palesasse le sue intenzioni.
«Raccontami la tua storia» le sussurrò lui, sorridendo appena e carezzandole le cicatrici sottili che aveva sulla pelle. La ragazza batté piano le palpebre.
«Cosa?» chiese, passandogli una mano fra i capelli viola. Gli occhi del ragazzo, color ametista proprio come i suoi, luccicarono appena mentre ridacchiava e le sollevava una mano. Gliela baciò teneramente e passò un pollice su una cicatrice così sottile che solo lei sapeva dov’era... eppure lui l’aveva notata.
«So chi è tua madre. So chi è tuo padre. So persino chi sono i tuoi nonni.. ma di te non mi hai mai parlato» chiarì il concetto. Azure arrossì: detestava parlare di se stessa, era vero... eppure Michael non le aveva mai messo pressione.
«Cosa ti dovrei dire?» ribatté, scivolando lentamente via dalle sue braccia calde e facendo il gesto di prendere nuovamente i vestiti da terra.
«Come ti sei fatta quella cicatrice sul dorso della mano?» le chiese semplicemente lui. Azure si bloccò a metà strada nel chinarsi e si voltò verso di lui, rapita da quella domanda: restò a fissarlo per qualche secondo, con le labbra aperte appena, senza sapere da dove iniziare; la bocca larga di Michael era dischiusa in un sorriso, il suo solito sorriso di scherno, come se stesse sempre scherzando, e gli brillavano gli occhi. Fuori casa era se possibile più acceso ancora, quasi elettrico, ma dentro casa Azure era riuscito a mitigarlo un po’... anche perché lei era parecchio pesante, al contrario. Abbassò lo sguardo sulle proprie mani e su quella destra, su cui la cicatrice, leggerissima, si vedeva solamente in controluce.
«Come hai fatto a notarla?» gli chiese piano, rinunciando a prendere i vestiti, e lui sorrise un po’ di più.
«Viviamo insieme, no? Da ormai tre anni. Penso che qualcosina di te io la conosca.. ma non tutto. Ho notato tante altre cicatrici, le so a memoria ormai... ma oggi voglio conoscerne la storia» le disse, saltando sul divano e prendendole la mano: gliela baciò e lei si sciolse in un sorriso.
«Ho sempre amato gli animali. A Samuel, mio fratello, non piacevano molto.. perciò quando mio padre portò a casa un gattino tutto sporco, che sembrava nero, io fui l’unica ad occuparmene. Mia madre non aveva molto tempo per anche un animale, e a mio padre invece piaceva solamente guardarci mentre facevamo qualcosa... quindi io presi questo gattino in braccio e lo portai in bagno per lavarlo. Però nel momento in cui lo immersi nel lavandino e l’acqua si colorò di grigio per la sporcizia, il gattino mi si ancorò alla mano e io, nel tirarlo via, mi graffiai. Dal momento che poi ero troppo occupata per disinfettare la piccola ferita, mi è rimasta la cicatrice» gli spiegò lei, sorridendo al ricordo di Matisse: il gattino si era rivelato poi essere arancione con le strisce, e amando gli Aristogatti lei aveva deciso di chiamarlo in quel modo.
Michael sorrise appena.
«Ti piacerebbe prendere nuovamente un gattino?» le chiese dolcemente, mentre lei si sedeva accanto a lui. Lei annuì.
«Ma solo se fa piacere anche a te, ovviamente» si affrettò a specificare.
«Sempre così politicamente corretta...» ridacchiò. «E questa?» le passò il pollice su una coscia, su cui c’era un piccolo cerchietto grigio. Azure rise appena.
«Stavamo giocando io e Samuel... mi ficcò una matita nella pelle per farmi sentire quanto era appuntita» rise e Michael aggrottò la fronte.
«Ma cosa... quanti anni avevate?» rise con lei, e la ragazza si strofinò gli occhi.
«Io avevo quattro anni!» esclamò, senza riuscire a smettere di ridere.
«E questa?» Michael le solcò una palpebra con l’indice: nella piega c’era un punto bianco, cicatrice antica e in rilievo.
«Oh.. quella ce l’ho da quanto posso ricordare. Mio padre mi diceva sempre che da piccola mi volevo strappare gli occhi» ridacchiò lei.
Michael rise e le carezzò l’interno delle braccia, facendola rabbrividire; Azure distolse lo sguardo, sentendo salire le lacrime, ma Michael le prese il mento fra due dita e la costrinse a voltarsi.
«...e queste?» sussurrò, mentre con l’altra mano sfiorava appena le cicatrici sulle braccia, così numerose e sovrapposte da rendere la pelle frastagliata. Azure chiuse gli occhi e scivolò via dalla presa del ragazzo; ogni tocco su quella parte di pelle era come lava che le fondeva le braccia, ed era incredibile quanto potessero bruciare anche essendo completamente guarite... ma forse era solo una sua impressione, faceva male il motivo per cui se le era fatte, ed era quello a bruciare sotto pelle.
«..diciamo che avevo dei conti in sospeso. Mio padre si è dannato per non farmi mancare nulla e Samuel mi è sempre stato vicino.. ma..» sussurrò, ma ora era il petto a farle male: non poteva parlare ancora. Eppure Michael la guardava in attesa, e i suoi occhi sembrava che le dicessero “Non ti preoccupare, ti aspetterò anche se tu dovessi metterci secoli”. E Azure sapeva che l’amore era attesa, l’aveva saputo tutta la vita ed infine era lì, accanto all’unica persona a cui avrebbe mai voluto stare accanto.
«Non me lo vuoi dire?» sussurrò lui, asciugandole una lacrima col pollice: Azure non si era nemmeno accorta di stare piangendo.
«No..» non è questo, avrebbe voluto dire, ma quel magone alla gola le impedì di completare la frase: lui era proprio l’unico a cui avrebbe mai voluto dire quella storia. Era la sua storia... eppure mai nessuno l’aveva mai ascoltata dalla sua bocca. «Io...».
«Posso capirlo, se non sei pronta» le disse lui, con il suo solito sorriso, e stava per dire qualcos’altro quando Azure singhiozzò e parlò.
«Io e Samuel tornavamo a piedi a casa ogni volta, perché uscivamo da scuola alle quattro e quella era una zona frequentatissima, in più girato l’angolo c’era casa nostra. Quel giorno però Samuel doveva andare a casa di un suo amico, e io ero arrabbiata perché anche la mia migliore amica, Stephanie, aveva avuto un cagnolino per Natale: io ero l’unica della classe a non avere un animale domestico, era ufficiale» disse tutto d’un fiato: aveva l’impressione che il tempo si fosse fermato, ricordava tutti i particolari con una lucidità impressionante, e le sembrava che se li avesse raccontati tutti forse la sua stessa mente li avrebbe accettati, incanalati, superati. «Perciò quando una donna mi vide piangere mentre tornavo a casa da sola e mi si avvicinò con aria preoccupata, chiedendomi se mi fossi persa, io non mi spaventai in modo particolare, anche se non l’avevo mai vista prima. Ero così arrabbiata che le dissi tutto, e le specificai che no, non mi ero persa, stavo solo tornando a casa ed ero arrabbiata perché volevo un gatto o un cane o anche solo un canarino che non sapeva cantare, qualunque cosa. Lei si mise a ridere e mi disse che la sua cagnolina aveva fatto i cuccioli, e che se volevo potevo prenderne uno. Dal momento che mio padre e mia madre si sarebbero arrabbiati, vedendomi arrivare con un cucciolo in braccio, esitai.. però poi decisi che mi importava, e che ne valeva la pena. Così seguii quella donna» sussurrò, e si sfregò gli occhi. Michael le carezzava ritmicamente il braccio e la fissava con le labbra dischiuse, senza più sorridere, incredibilmente serio almeno quella volta. Azure tremava, ma non se ne rendeva conto; era rannicchiata contro di lui e tremava, e lui non desiderava altro che finisse di raccontare, così che avrebbe potuto sorriderle e dirle che l’amava come mai.
«Prendesti il cagnolino?» le chiese, ma conosceva già la risposta, e Azure lo sapeva bene.
«Non c’era nessun cagnolino. Mi fece salire in auto e mi portò lontano, non sapevo dove stavamo andando e a metà strada mi misi a piangere perché volevo tornare a casa.. ma lei non mi ci portò. Quando si fermò, eravamo davanti una casa di mattoni rossi con la porta blu, e dentro c’era una puzza terribile.. la donna si fece dare dei soldi da un uomo e mi lasciò lì, e lui mi legò alla parete» Azure chiuse gli occhi e si portò le mani al viso, coprendoselo. «Non ricordo molto.. solo che era brutto, terribile, non mi piaceva, e volevo tornare a casa... mi mancava persino Samuel, che quando eravamo piccoli mi trattava sempre male. Non ricordo cosa mi fece quell’uomo, ma so che la notte raramente dormivo, la sua voce mi teneva sveglia e terrorizzata. Mi trovò la polizia mentre lui non c’era, ma non mi slegarono: mi dissero che dovevo stare ferma e buona finché lui non tornava, così lo potevano arrestare. Sono state le ore più lunghe della mia vita, e quando lo hanno arrestato mi hanno liberato. Mio padre era spaventatissimo quando la polizia mi riportò a casa dopo l’ospedale: ero restata via per tre mesi e questo nonostante le ricerche attivate dappertutto. Quando la polizia bussò a casa ci fu un gran casino, e quando entrai ce ne fu anche di più. Urlavano tutti, solo Samuel stava zitto, da parte, a fissare la scena. Mia madre mi strinse così forte che pensavo di entrare di nuovo in lei e annullarmi, diventare una cosina minuscola e invisibile e scomparire da qualche parte. Mio padre non faceva altro che ripetere le stesse frasi alla polizia, “Non so davvero come ringraziarvi” e “L’avete preso, vero? Non farà più del male, vero?”, di continuo».
«Te le ha fatte quell’uomo?» sussurrò Michael, sollevandole il braccio e baciandole i segni striati. Azure sorrise appena, un sorriso tremulo che sapeva di lacrime.
«No. Me le sono fatte da sola dopo, da adolescente, quando i ricordi tornavano e mi sommergevano e mi sembrava di annegare e non riuscire a respirare. Mi sembrava che il sangue li lavasse via.. ed effettivamente ricordo poco, ora. Non so se sia peggio o meglio, a dir la verità» sorrise appena, mentre un’altra lacrima le scivolava sulla guancia ed era tentata di scoppiare a ridere al tempo stesso.
«Forse dovresti solo lasciare andare tutto» suggerì lui, aggrottando appena la fronte. Azure rise nervosamente.
«Lasciare andare... sembra facile a dirsi. Non ricordo cosa mi sia successo. Non ricordo se quell’uomo si limitava a parlarmi oppure abusava di me.. non ricordo nulla».
«Tu eri vergine» ammiccò Michael. «E in ogni caso se avessi subito abusi, credimi, non mi staresti così vicino» sorrise, dandole un casto bacio sulle labbra. Azure sorrise appena.
«Il punto è che non ha lasciato segni tangibili. Quando sono tornata ero solo sporca. È tutto nella mia testa, e sui verbali d’arresto di quell’uomo.. tutto qui. Nulla che mi dica cosa è successo in quei tre mesi» mormorò lei, abbassando lo sguardo. Michael sorrise.
«Queste cicatrici te le sei auto inferte.. poi quando ti dico che sei stupida non mi dai ascolto, mh?» le chiese, ironico. Lei sorrise appena, tristemente.
«Il sangue lava sempre via tutto».
«Sei la mia piccola catastrofe ambulante» le disse lui, sfregando il naso contro il suo.
«Sono la peggior cosa che potesse mai capitare a qualcuno con una vita pressoché perfetta» gli rispose lei, ridacchiando. Michael scosse piano la testa, ridendo, e la baciò teneramente, finché lei si scordò del motivo per cui era sempre così triste.
   
 
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