Le frasi scritte in corsivo e anticipate da un trattino
corrispondono ai pensieri dei personaggi. Buona lettura! :)
Aiuto, sto per diventare un flipper!
Osservava la pallina del flipper balzare qua e là senza
nemmeno rendersi conto del tempo che passava. Era tardo pomeriggio e da quasi
due ore era immerso nei suoi pensieri in attesa che i suoi amici si facessero
vivi. Non era da loro ritardare tanto, né era da loro dare appuntamento in un
posto del genere, così pieno di “lattanti” come lui amava definire i ragazzini
delle medie che si affollavano attorno ai videogiochi, urlando improperie
perlopiù gratuite e prive di senso.
Lasciando che la piccola sfera metallica finisse proprio tra
i due flipper, Gojyo si accinse a guardare l’orologio che aveva al polso: erano
quasi le sei del pomeriggio e fuori cominciava già a fare buio.
“Che palle.” Pensò, sbuffando. Aveva praticamente perso tutto
il pomeriggio per niente.
“Ehy, signore…” sentì qualcuno alle sue spalle. Che cosa?
Signore??
Con malagrazia si voltò a vedere quale protozoo unicellulare
avesse osato tanto, ma con grandissima delusione scoprì che quell’epiteto non
era rivolto a lui. Peccato, per farsi passare il tempo avrebbe volentieri
alzato la voce contro qualcuno dei teppistelli presenti lì dentro.
Borbottando qualche brutta parola contro l’occasione mancata,
tornò ad occuparsi del flipper, ma con stizza, scoprì di aver finito i gettoni.
“Bah, questa è proprio una giornata no…” finì con
l’ammettere, sollevando la sua borsa da terra e avviandosi verso l’uscita.
Aveva proprio bisogno di una buona boccata di fumo che non si mescolasse
all’odore nauseabondo di quel locale.
Appena fuori, venne investito da una sferzata di aria fredda
e dal traffico delle macchine sulla strada. Era da poco finito l’orario degli
uffici e la maggior parte degli impiegati si riversava come un torrente in
piena sulle strade del centro. Per fortuna, casa sua distava solo un paio di
fermate di metro da lì.
Con fare indolente si avvicinò alla prima cabina telefonica
in vista e, infilando una scheda nell’apposita fessura, compose distrattamente
il numero sulla tastiera.
“Ma porc….!” Imprecò, rendendosi conto di aver digitato un
numero in più.
- Non c’è che
dire, la sala giochi mi ha bevuto il cervello.
Attese qualche istante prima di ricomporre la sequenza
numerica ed infine, attese che qualcuno si degnasse di rispondere.
Uno squillo, due squilli… nulla.
“E adesso? Dove cazzo si saranno imbucati quei tre?” mormorò
tra sé, valutando ogni possibile ipotesi. Che Hakkai si fosse dimenticato di
avvisarlo di un cambiamento di programma era del tutto fuori discussione; quel
ragazzo non dimenticava mai niente e anche se fosse stato, si sarebbe
precipitato comunque in sala giochi per avvisarlo. Sanzo era di certo uno
stronzetto patentato, ma non così tanto da fargli perdere un intero pomeriggio
in una sala giochi e Goku, beh, lui riusciva a mala pena a badare a sé stesso,
figurarsi se era in grado di fare simili scherzi.
No, c’era decisamente qualcosa che gli sfuggiva.
I minuti passavano e lui era sempre lì, con la scheda
telefonica in mano.
Non sapendo dove sbattere la testa, decise di giocarsi
l’ultima carta e compose l’unico numero che non avrebbe mai pensato di chiamare
in simili circostanze.
“Pronto?”
- Risposta al
primo squillo! Ma che è? Eri attaccata al telefono?
“Ehm… Yuri… sono Gojyo…” borbottò, pensando alla faccia che
di certo doveva avere la ragazza dall’altra parte dell’apparecchio.
“Uhm… qual buon vento?” si limitò a dire quella.
“Senti, non è che per caso Goku ti ha lasciato detto qualcosa
riguardo oggi pomeriggio?”
“Non dovevate vedervi?”
“Che dovevamo vederci già lo sapevo…” quasi ringhiò il
ragazzo. Cominciava ad avere un po’ di mal di testa e l’idea di dover parlare
con Yuri non lo rendeva particolarmente felice.
La sentì sospirare leggermente: anche a lei non faceva molto
piacere quella telefonata. Gojyo non aveva mai capito il motivo per cui loro
due non riuscissero ad andare d’accordo, ma decise che non era quello il
momento adatto per rifletterci su.
“Guarda che non ho un credito illimitato sulla scheda, quindi
se mi dai una risposta entro la prossima era geologica mi fai un favore! O ti
ha detto qualcosa o non te l’ha detta!”
sbottò.
- Sono una colossale testa di cazzo. Me
le sto proprio cercando…
“Non mi ha detto nulla. E neanche Nat…” rispose Yuri. Nat,
ovvero Nataku, l’adorato fratellino minore di Yuri, nonché migliore amico di Goku.
In genere, dove c’era uno, c’era anche l’altro, tranne quando facevano le
prove.
“Dovevate provare?” domandò Yuri, stranamente gentile.
“Diciamo di sì, ma prima ci si doveva trovare alla sala
giochi.” Rispose istintivamente Gojyo.
- Ma perché glielo sto dicendo?
“Sei sicuro di non aver sbagliato posto?”
- Ah, ecco! Mi pareva che era troppo
gentile… mancavano le sue frecciatine!
“Guarda che non sono mica così stupido!” ribatté Gojyo,
spostandosi una ciocca di capelli rossi dal viso, “Senti… scusa se ti ho
disturbata. Lascia perdere. Ti saluto, ciao.” Aggiunse, e prima che Yuri
potesse rispondere, aveva già riattaccato.
“Ma cosa diavolo mi è venuto in mente di chiamare a casa
sua?” si chiese, dandosi un colpetto deciso in testa. Del resto però, non era
poi un’idea così stupida, visto che Goku viveva a casa di Nataku praticamente
da sempre, o meglio, da quando i suoi si erano trasferiti negli Stati Uniti per
lavoro. Non lo avevano portato con loro. Sarebbe stato decisamente inutile e
controproducente. Goku non lo avrebbe mai accettato di separarsi dai suoi amici
e frequentare le scuole superiori in America avrebbe significato precludersi
una buona università giapponese. Così era andato a stare a casa di Nataku, suo
compagno di classe e di giochi praticamente da sempre. Tra lui e Nataku c’era
un abisso. Goku era irruente, infantile – perdutamente infantile – ingenuo,
avventato e tutto preso dal suo mondo, ovvero la musica e la band. Nataku era
un ragazzo piuttosto serio per la sua
età, insomma, il classico ragazzo perfetto, educato e a modo. Non che ci si
potesse aspettare qualcosa di diverso, data la sua famiglia. Tuttavia, non era
solo un “perfettino”, infatti, quando c’era da divertirsi, non si tirava
indietro. Forse, era proprio quello il motivo per cui lui e Goku avevano legato
tanto: erano agli antipodi, ma si attraevano come chiodo e calamita. E poi
anche Nataku amava la musica. Era una cosa di famiglia, pure quella.
Con rassegnazione e dimenticando quei pensieri, Gojyo decise
che ormai era troppo tardi per fare altre telefonate e cominciava a sentire
freddo. Novembre era cominciato già da un paio di settimane; doveva decidersi a
tirare fuori il giubbotto pesante.
Imboccò il sottopassaggio che l’avrebbe condotto alla fermata
della metro in fretta e furia: meglio essere a casa in tempo per la cena,
altrimenti, chi l’avrebbe sentita sua madre? Già non faceva altro che lagnarsi
di lui dalla mattina alla sera, non voleva darle altri pretesti per
recriminare, non quella sera.
Da tutto altro capo della città, Yuri si stava esercitando
per l’ennesima volta su un pezzo tratto dal concerto numero quaranta di Mozart. Era almeno la decima volta che lo
provava quel pomeriggio, ma ancora non riusciva a conferire alla sua interpretazione
il sentimento che desiderava. Scoraggiata, si adagiò sul letto, posando accanto
a sé lo strumento.
“Chissà perché ha chiamato proprio qui?” si chiese,
ripensando alla chiamata di Gojyo. Non che la cosa fosse priva di senso, ma di
certo il ragazzo sapeva che a rispondere sarebbe stata lei.
Con noncuranza, afferrò il telecomando dello stereo che
cominciò a leggere il cd di musica classica, precedentemente inserito. Era un
pezzo andante con moto. Le note si perdevano nella stanza, ma Yuri non le stava
affatto ascoltando.
D’un tratto, qualcuno bussò alla sua porta.
“Avanti.” Rispose distrattamente.
Il giovane che entrò nella camera era parecchio alto e
longilineo. Come Yuri e Nataku, anche Homura aveva i capelli neri, ma i suoi
occhi erano stranamente di due colori diversi: uno dorato e l’altro grigio. Era
davvero un bellissimo ragazzo, pensò con orgoglio di sorella Yuri, vedendolo
avanzare.
“Allora, che si fa? Si poltrisce?” le chiese sorridendole
benevolmente. Non c’erano altre persone al mondo che Yuri amasse più dei suoi
due fratelli. Nemmeno i suoi genitori.
Il giovane si avvicinò alla sorella, sedendo accanto a lei e
scompigliandole affettuosamente i lunghi capelli sparsi sulla trapunta
colorata.
“Uhm… sono stanca di provare questo pezzo. Penso di potermi
concedere una pausa!” protestò lei, afferrando le dita affusolate del ragazzo,
come un gattino intento a giocare.
“Vuoi che ti aiuti?” le domandò, allungando la mano libera
sullo spartito appoggiato al leggio.
Così come lei e Nataku, anche Homura suonava uno strumento e
aveva dedicato buona parte della sua vita alla musica, ma a differenza dei due
fratelli minori, aveva scelto una carriera diversa da quella musicale ed ora
studiava architettura all’università.
Quando Li Touten, il padre, aveva appreso la decisione del
figlio maggiore, quasi gli era venuto un colpo: il promettente primogenito
della famiglia Taisho, pianista dal brillante avvenire, che rinunciava a una
carriera già bella che pronta per fare cosa? L’architetto?
Yuri ricordava molto bene quanto avessero litigato i due,
prima che il genitore se ne facesse una ragione. Il fatto era che nessuno in
famiglia – a parte lei – si era mai curato di capire il perché di una simile
decisione. Li Touten poi sosteneva che mai sarebbe riuscito a capirlo: per lui
si trattava solo di un talento sprecato. Se da un lato questo poteva essere
vero, dall’altro tutti consideravano Homura uno studente di architettura non
meno brillante: aveva ottimi voti e i suoi insegnanti non si stancavano di
tesserne le lodi. Insomma, non c’era nessun motivo per cui Li Touten potesse
risentirsi della scelta del figlio, eppure…
D’altra parte, Yuri capiva molto bene anche il padre: doveva
essere difficile veder crescere un simile talento per poi farselo sfuggire
così, sotto il naso. Anche Li Touten infatti era un musicista. Anzi, era un
concertista affermato in tutto il mondo. Concerti a destra e a manca,
onorificenze e riconoscimenti, premi e incisioni di dischi. Che il figlio
maggiore avesse ripudiato in quel modo le sue orme era per lui fonte di
notevole rincrescimento. Per quel motivo, si era gettato con tutto sé stesso
nella cura dei suoi figli più giovani. Non voleva altre sorprese.
“Vuoi che ti aiuti?”
“No, grazie.” Rispose Yuri, sospirando, “Per oggi basta. Ho
le api in testa!”
Homura ridacchiò di quell’uscita. Sua sorella era una
violinista molto brava, l’orgoglio della famiglia, pensò, quasi con invidia,
non essendo riuscito ad ottenere dal padre la stessa considerazione di cui
godeva Yuri.
“Senti, Homura… oggi ha telefonato Gojyo. Cercava Goku… Sai
per caso che fine abbia fatto la scimmia?” domandò. In casa Taisho era così che
Goku era stato ribattezzato.
“No. Come mai lo ha cercato? Dovevano provare?”
“Sì, per quel che ne so. Ma sembra che la boy band non sia
riuscita a trovarsi…” mormorò con sottile ironia la ragazza.
“Beh, credo che presto svelerai l’arcano.” Aggiunse Homura,
dopo essersi alzato dal letto della sorella ed essersi accostato alla finestra.
“Sta tornando?”
“Sì. E c’è anche Nataku con lui.” Rispose il ragazzo.
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Ciao! Questa è la mia primissima fanfiction! Che ve ne pare?
Spero vi piaccia! A presto, Yuri