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Autore: Mania    23/02/2014    2 recensioni
____ A volte e per alcuni, la logica è solo un punto di vista.
Andando con ordine, un ordine che le era complicato ricostruire, il tutto probabilmente era nato perché quel giorno di fine marzo aveva deciso che invece di andare a prendere il caffè nel solito bar, appena sotto l’ufficio della casa editrice Hesperus Press nel quale aveva appena iniziato a lavorare, preferiva approfittare della bella giornata, quindi perché non attraversare il parco? Già, perché non farlo?
Non che se avesse saputo quello che ne sarebbe dipeso, avrebbe cambiato strada, sia chiaro.
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO
Ovviamente, con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo.
Inoltre mi scuso anche se è un po' lunga, ma tagliarla a mio avviso non aveva senso, quindi spero vada bene.




C A P I T O L O   U N I C O ▬
Nessuno sconto
{
Sapore di antico }


{ Tutto va così
prevedibilmente
a studiare tattiche che poi
non ce ne importa niente
Anche l'amore in fondo fa così
identico all'istinto }
Samantha - Daniele Silvestri





Lis era nata nell’epoca sbagliata.
Non ne aveva prove scientifiche, ovviamente, ma era una sua certezza. Un po’ perché lei con la tecnologia non andava molto d’accordo, la sapeva usare, aveva imparato a sbrigarsela con essa, ma non riusciva ad amarla. Avrebbe preferito non ci fosse, avrebbe preferito non averne bisogno.
Le uniche lettere che aveva mai letto erano quelle che aveva ricevuto sua madre dal suo compagno, per chiederle scusa o per amore. Erano belle lettere, piene di sentimenti, scritte con la cura di chi aveva interesse a far arrivare i propri sentimenti al destinatario, limando ogni parola in modo che le frasi risultassero le più vicine a ciò che si poteva solo provare senza poter esplicare compiutamente.
Erano scritte di blu, e a Lis il blu piaceva.
Le aveva lette di nascosto, perché non erano sue e si era sentita una profanatrice di segreti, ma almeno una volta nella vita voleva sapere come fossero davvero – le lettere si intende. E da quel momento aveva saputo che l’uomo che avrebbe avuto la sfortuna di conquistare il suo cuore, avrebbe dovuto scriverle qualcosa di simile – su carta, con una pena blu e una calligrafia curata. O in alternativa compiere qualcosa che sapesse altrettanto di intenso, di profondo, di sentimentale e antico.
Per questo aveva sempre pensato che non avrebbe mai amato nessuno, perché nell’epoca di internet, delle chat, in cui tutti erano connessi ma distanti, mai alcuno avrebbe compreso quello che le serviva per innamorarsi e amare – attenzione alle piccole cose, a lei e alle sue di piccole cose, di quelle incongruenze di cui era composta.
Quindi, quando si ritrovò davanti quella persona e quella sua frase – ma anche altre, a onor del vero –, si ritrovò a sbattere le palpebre più volte per essere certa di aver compreso bene.
Lei viveva in un altro mondo, ma non tanto distante da non sapere chi lui fosse. E se lo era aspettato diverso, sì, diverso era l’unica definizione che le venisse.
Tom era il Tom Hiddleston di cui era difficile non conoscere il nome, e per non per le ragioni che avevano la maggioranza delle altre persone, ma per lei riguardava principalmente il teatro – certo, poi da lì era partito anche tutto il resto. A differenza della maggioranza di chi lo incontrava, vedeva o sentiva, quei modi garbati a Lis erano sembrati fin da subito tremendamente costruiti apposta per renderlo indecifrabile su chi era davvero. E un po’ lo capiva, perché per essere se stessi bisognava sempre pagare un dazio e per chi aveva un lavoro come il suo forse non era il caso.
Andando con ordine, un ordine che le era complicato ricostruire, il tutto probabilmente era nato perché quel giorno di fine marzo aveva deciso che invece di andare a prendere il caffè nel solito bar, appena sotto l’ufficio della casa editrice Hesperus Press nella quale aveva appena iniziato a lavorare, preferiva approfittare della bella giornata, quindi perché non attraversare il parco? Già, perché non farlo?
Non che se avesse saputo quello che ne sarebbe dipeso, avrebbe cambiato strada, sia chiaro. Tuttavia su certi accadimenti della vita riteneva fosse meglio essere preparati, così magari sarebbe risultata meno sfacciata, meno irritante e meno acida – e quel tutto di meno l’avrebbe fatta anche passare nel sottofondo di tutte le altre donne che lui aveva incrociato, o forse no, chi poteva stabilirlo ormai? Stava di fatto che Lis aveva la lingua lunga, non sapeva star zitta e anche se una persona sapeva fare bene ciò con cui si guadagnava da vivere a lei non importava; se qualcosa la disturbava sentiva la necessità fisica di sfogare l’indisposizione che le era stata procurata.
In fin dei conti, ciò che gli aveva detto quando Tom le era andato a sbattere contro, correndo, perché si era voltato per seguire le figure di un paio di donne particolarmente vistose, era stato il vero inizio.
«Scusami, non volevo», c’era da dire che lui si era subito affrettato a porgerle le proprie scuse e Lis invece aveva alzato un sopracciglio particolarmente infastidita, perché non se ne faceva praticamente nulla.
«Allora impari a guardare dove va invece di interessarsi a dove vanno i fondoschiena di altre persone.»
Non aveva ribattuto lui, perché proprio non se l’aspettava che da una ragazza tanto minuta e il volto all’apparenza così delicato, potessero fuoriuscire frasi affilate di sarcasmo. C’era anche da dire che Tom si attendeva un po’ di compassione perché era chi era, e per quanto non si fosse mai montato eccessivamente la testa, essere Hiddleston contava qualcosa – soprattutto quando si parlava di intercedere verso il gentil sesso. Non in quel caso, evidentemente.
«Buona giornata, Mr. Hiddleston», e questa fu la conferma che non bastava un bel viso e un cognome conosciuto per impressionare tutti – la maggior parte, ma non chiunque, una lezione che prima o poi andava pur imparata. E fu perché era stata Lis a impartirgliela che probabilmente si interessò a scoprire chi diavolo fosse quella giovane che si era dileguata da davanti a lui prima che potesse trovare le parole per scusarsi veramente.
Non fu particolarmente difficile scoprire dove lei lavorasse, perché essendo facilmente deducibile che fosse uscita per la pausa pranzo era altrettanto intuibile non si fosse recata troppo distante dall’ufficio. Ci impiegò meno di una settimana, sempre correndo per il parco lungo il perimetro esterno per tenere sotto controllo i marciapiedi, che la incontrò nuovamente.
Se qualcuno gli avesse chiesto perché si era messo a stalkerare – anzi, sorvegliare – la suddetta ragazza dalla lingua lunga, Tom non avrebbe saputo rispondere immediatamente. Fu solo quando la rivide seduta dietro la vetrina di un shop coffee, con un libro sul tavolo accanto a un pezzo di torta che si rese conto della ragione: era da tempo che nessuno lo trattava più come se fosse semplicemente Tom, e non anche Mr. Hiddleston.
«Ciao», ammetteva che non era un grande inizio di conversazione e che nella sua vita, anche prima di essere famoso, aveva assemblato inventive decisamente più sofisticate per attaccare bottone con una bella ragazza – perché lei era una bella ragazza, dalle sfumature particolari, antiche, avrebbe osato dire, che non colpiscono fino a quando non ci faceva proprio attenzione.
«Ah, sei tu» si limitò a costatare Lis, guardandolo attraverso gli occhiali dalla montatura nera che usava per leggere. In realtà era molto più stupita di quanto desse a vedere, e nonostante probabilmente il lieve sbuffo di rossore sulle guance almeno un po’ la tradì, Lis era un’attrice nel suo piccolo ed era abbastanza brava ad essere fastidiosa come desiderava essere. Lo era diventata per forze di cose, perché era sola, perché non aveva fatto molte buone esperienze con il genere umano e perché lo era per inclinazione naturale – insomma, le esperienze avevano solo ampliato una sua attitudine.
A Lis, Tom piaceva – come professionista, almeno fino a quel punto della storia. Era una sua modesta fan, non di quelle ossessionate, si limitava a conoscere buona parte della sua filmografia e carriera teatrale, e lo trovava piuttosto bravo – decisamente. Tuttavia, era dell’opinione che non era perché una persona fosse famosa – o ricca, o quant’altro – che potesse permettersi un trattamento migliore, quindi, anche se lo aveva riconosciuto immediatamente e si era sentita un po’ impietrire davanti a lui mentre la osservava con aria contrita, aveva sfoderato l’acidità che avrebbe riversato su chiunque al suo posto. Nessuno sconto, perché a lei nessuno ne aveva mai fatto alcuno. Per questo aveva voluto sottolineare, quel giorno, che effettivamente sì, lo aveva trattato come avrebbe trattato chiunque anche – soprattutto – perché sapeva chi era.
Così, quando se lo ritrovò in piedi, impalato, a scrutarla con sospetto – o qualsiasi cosa fosse la sua espressione, Lis non avrebbe saputo definirla se non del genere di sospetta circospezione –, non riuscì a non salutarlo in maniera tanto distaccata. Ma si giustificò con se stessa dicendosi che, in fondo, non è che lui avesse avuto chissà quale inventiva nel presentarsi; e poi comunque dava una strana impressione nell’essersi materializzato lì dinnanzi a lei, con una ruga a segnare la spaccatura tra le sopracciglia – forse anche Tom stesso sapeva che dava l’idea di essere un tantino fuori posto nell’averla raggiunta senza preavvisi, senza una buona scusa, senza niente praticamente.
«A quanto pare» commentò sorridendo accomodandosi davanti a lei. Portava il cappuccio della felpa tirato sulla testa, e occhiali da sole nonostante piovigginasse – ma a Londra piovigginava quasi sempre, e a lui serviva non essere poi così tanto riconoscibile almeno quando andava a correre.
Le teneva incollati gli occhi chiari, cercando di capire con quale metodo una persona come lei riuscisse a passare tanto inosservata fino a quando non le si badava, era una calamita che cominciava a funzionare solo dal momento preciso in cui si prendeva coscienza della sua esistenza. Doveva essere per il suo modo di parlare, per i lieve tic e gesti a sottolineare freddamente le proprie frasi, e per il fascino basato su di una bellezza dal spore arcaico. «Mi siedo senza chiedertelo, perché ho il sospetto che nel caso non mi concederesti tale favore.»
«Solitamente non faccio accomodare al mio tavolo gli sconosciuti» replicò ricambiando il sorriso, inclinando le labbra in una curva che era più ripida a sinistra. Nonostante il sarcasmo, la voce rimaneva morbida, rendendo contrastante e ambigue le sue affermazioni.
«In realtà, non lo sono del tutto, no? Sei tu la sconosciuta» chiosò Tom. Lei d’altronde la sua identità la conosceva, mentre lui sapeva soltanto che era bizzarra e che non gli concedeva sconti di alcuna sorta. «Era una domanda indiretta per sapere il tuo nome.»
«Ah. Lis.»
«E poi?» domandò senza non riuscire a continuare a sorridere per il divertimento che gli suscitava cercare di avere una conversazione almeno lontanamente sensata con lei.
«E poi non-è-perché-conosco-il-tuo-nome-che-allora-non-sei-uno-sconosciuto» asserì prima di bere l’ultimo sorso del proprio caffè. «Comunque è Lis Tyler.»
Non era sua abitudine dare il suo nome a chiunque glielo chiedesse, ovviamente. Tuttavia Tom le cuciva addosso una sensazione piacevole, tranquilla e serena; quindi nonostante la sua inclinazione a essere assai poco mansueta con chicchessia le si rivolgesse, decise che non era poi un’idea così malvagia concedergli almeno quello. E poi l’aveva rintracciata, anche se non sapeva per quale ragione, ed era lì, seduto a qualche passo da lei – lei che scorgeva poco romanticismo ovunque si voltasse, e non si riferiva solo a quello più passionale, ma semplicemente al sentimento di vivere in modo sincero la vita. E ora doveva ammettere di ritovarsi a classificare in tale sfera il comportamento di Tom, inaspettatamente, come qualcosa che si sarebbe fatto in passato, prima di tutta quella connettività che non connetteva davvero, e quel particolare la metteva di buon umore, la faceva sentire bene.
«Non ti stavo seguendo, ma ti stavo cercando in questi giorni, sai? Solitamente le persone non mi parlano più così», lo dichiarò con la convinzione che vi fosse una differenza sostanziale tra le due cose, ma in quel momento Lis non vi badò molto, perché la seconda parte dell’affermazione la catturò maggiormente.
«Ti mancava qualcuno che ti rispondesse male?»
«Forse» rise appena, Tom, stupito e divertito da come lei riuscisse veramente a tener quel comportamento con la naturalezza di chi non aveva alcuna intenzione di essere maggiormente accondiscendente a seconda delle persone che aveva davanti – perché Tom ancora non lo sapeva, ma Lis parlava solo con chi aveva voglia di aprir bocca, mentre gli altri non li considerava proprio, dunque quello era il suo unico modo di comportarsi con chiunque le stesse simpatico. «Tu sei sempre così
«Con così intendi esattamente cosa
«Così te stessa
«Ci provo», fu il primo sorriso pieno che gli rivolse. Non era a metà, al contrario di tutti quelli con cui aveva accompagnato la discussione fino a quel momento, era semplicemente raggiante, come se le avesse appena fatto il più bel complimento di sempre. «Dovresti provarci anche tu», e poi si era alzata prendendo la propria borsa nella quale aveva infilato il libro – e Tom ci aveva provato a scorgere il titolo, ma non ce l’aveva fatta – e si era accomiatata spiegando che la sua pausa era quasi finita. Perché a lei toccava lavorare tutti i giorni e persino un lavoro monotono anche se le piaceva, ma questo lo pensò semplicemente, dato che aveva infierito abbastanza e poi non era così cattiva e indisponente.
Comunque, a sentire quella risposta, Lis qualche titubazione l’aveva avuta. Solitamente le persone con così non intendevano essere te stessa, ma aveva più un’accezione negativa con cui le si cercava di far notare quanto fosse poco delicata nei suoi giudizi.
Forse era per questo che aveva desistito dal puntualizzare sarcasticamente altro. Era una frase corta, tre parole scarse, con un effetto collaterale nucleare, anche se con una propagazione più strisciante, dato che sul momento non si era accorta più di tanto di quanto l’avesse colpita. Fu durante il pomeriggio, mentre riecheggiava nelle sue orecchie, senza abbandonarla fino a sera, tanto da farle sperare che non fosse proprio del tutto vero che non la stesse seguendo – anche se, doveva ammettere, non aveva capito la differenza tra il seguirla e il cercarla. Però lui lo aveva detto con una tale convinzione, come se vi fosse un  abisso da tenere perfettamente a mente, da averla convinta che doveva crederci, nonostante non riuscisse a distinguere quale dei due verbi potesse inquietarla maggiormente – inquietudine se si fosse trattato di un maniaco, ovviamente, anche se, doveva ammettere, non è che potesse giurare che Tom non lo fosse.
Sarebbe un difetto troppo eccessivo, pensò Lis mentre riordinava la cucina, senza prestare attenzioni alla risoluzione del caso di omicidio che scorreva alla televisione. Le piacevano i gialli, i misteri e le cose complicate che si risolvevano facilmente – per la precisione erano le cose semplici mascherate da cose contorte a rientrare nei suoi gusti, perché quelle solo ingarbugliate le davano unicamente sui nervi.
Aveva dubbi se contemplare in quell’ultima categoria il lieve desiderio che Tom tornasse a chiacchierare con lei. Non essendo una cosa su cui aveva un reale potere, alla fine decise che non valeva poi così tanto la pena di struggersi e che di solito quello in cui sperava non avveniva quasi mai, quindi tanto valeva riprendere a far attenzione a chi fosse l’assassino.
Comunque stesse davvero la situazione tra lei e i suoi desideri, Tom non si presentò al coffee shop nei successivi giorni e Lis credette che alla fine quel essere così se stessa per lui non avesse poi molte implicazioni positive come le aveva fatto involontariamente ritenere. Le dispiaceva un po’, senza una reale ragione, perché alla fine non gli avrebbe mai fatto i complimenti per le sue doti di attore e che fosse sua fan era già chiaro, quindi sarebbe risultato ridondante. Ma le sarebbe piaciuto parlare d’altro, quello sì, qualcosa di più interessante e magari scoprire quello che Tom non mostrava mai in pubblico.
Però, una decina di giorni dopo, quando bussarono alla porta di casa sua di sabato mattina – a un’ora esageratamente presta per un giorno di riposto, ovvero le dieci –, molti di quei pensieri erano già sfumati via. Causa il lavoro, causa il sonno del momento, causa che non aveva intenzione di perdersi a logorarsi su questioni in cui non era lei quella che seguiva o cercava – o altro.
Quando Lis gli aprì la porta con indosso una felpa enorme a coprirla fino a sopra la metà coscia, i capelli arruffati e gli occhiali storti sul naso - perché si era addormentata su di un libro la sera precedente -, Tom si sentì rassicurato dal constatare che alla fine era una persona normale e anche lei dormiva per poi alzarsi incasinata come non mai.
Aveva avuto il suo indirizzo in conseguenza all'aver scoperto che lavorava nella casa editrice vicino al bar, ovvero Hesperus Press, in cui si recava quasi tutti i giorni – tranne quando non pioveva o non vi era troppo umidità, e allora attraversava il parco per passeggiare un po’. Persuadere una delle dipendenti a passargli di contrabbando l'informazione su dove lei abitasse gli era costato solo un paio d’autografi e qualche scatto, decisamente poca cosa. Non era stato quello il difficile della questione, la parte complicata subentrava quando si fermava a chiedersi per quale fine avesse tirato su un simile siparietto.
«Come diamine fai a sapere che abito qui?», sarebbe stato più logico chiedergli per quale motivo fosse a casa sua, ma Lis non era una persona completamente razionale – o meglio, lo era su strade tutte sue, con segnali che indicavano rotte basandosi su punti di riferimento estrani a quelli del resto dell’umanità.
Quindi chiese il come, mentre Tom si era preparato sul perché, rimanendo un’altra volta spiazzato davanti alla poca logica che riscontrava in lei. E la cosa lo fece sorridere – ridacchiare, in realtà –, cosa che venne male interpretata. A onor del vero, almeno in quel caso, Lis aveva ragione a impettirsi in modo teatralmente risentita, dato che sembrava quasi che si stesse schernendo delle sue condizioni al risveglio – condizioni del tutto normali per qualsiasi essere di sesso femminile, pensò lei e glielo disse, ovviamente.
«Guarda che questi sono i capelli del novantanove per cento delle donne al risveglio. Stessa cosa per le occhiaie, per la faccia incazzata e per tutto il resto», borbottò scocciata mentre Tom la superava per entrare nell’appartamento senza chiederle il permesso, come se fosse stato quello alla fine il consenso a farlo accomodare – e forse le cose stavano effettivamente così.
«Trovo che tu sia molto bella appena sveglia», lo asserì di getto. Lo pensava realmente, ma di solito non concedeva simili profusioni a chiunque – non lo faceva proprio, a dire il vero, a meno che non fosse in confidenza con la suddetta persona. Ma Lis era talmente genuina nella sua impertinente schiettezza, che gliela strappò inconsapevolmente quella dichiarazione – una conseguenza inattesa delle sue argomentazioni sull'erroneità di essersi atteso toppo da una donna appena alzatasi dal letto. Tom ne aveva viste giusto qualcuna di donne appena sveglie – non così tante come avrebbe potuto, ma non era nemmeno stato un bravo ragazzo sempre e comunque –, quindi lo sapeva perfettamente quale fosse il loro aspetto quando si tiravano su dalle lenzuola. Solo che anche lì, quando si trattava del lui famoso, nessuna era naturalmente se stessa, nessuna desiderava rimanere scompigliata con la stessa fierezza con cui lo rimaneva Lis, difendendo il suo essere disordinata alla stregua di un diritto inviolabile, perché tutte avevano sempre voluto far colpo su di lui – senza poi riuscirci, o almeno non troppo a lungo.
«Hai dimenticato le lenti a contatto a casa?»
«Era un complimento, mi sembrava chiaro. Ho sbagliato qualcosa?» le chiese, non veramente sorpreso dalla sua risposta irritata, forse era persino lievemente divertito dalla stessa, tuttavia cominciava a credere di aver compiuto qualcosa di realmente grave se veniva trattato in tale modo.
«No, è che sono così seccante di natura. Vuoi del caffè?», il suo saltare da un punto all’altro nel mezzo delle conversazioni, passando da un argomento a quello successivo, per poi tornare indietro, era spiazzante se non si era abituati. Risultò perfino dolce nel dirgli che non c’era nulla di cui incolparsi e anche nell’offerta successiva, accompagnata da un sorriso tenue ricamato attorno ad essa. «Perché sei qui?»
Tom se l’era preparata la risposta per quella domanda, anche per una questione di logica di base: prima di poter prendere la decisione di andare a bussare alla sua porta, doveva spiegarselo il motivo per cui lo stava per fare. Il problema di fondo era che nessuna delle frasi che si era tirato fuori ora sembravano anche solo lontanamente razionali. Ci era andato semplicemente perché voleva rivederla, e perché apprezzava il modo in cui fosse semplicemente se stessa anche a lui – senza fronzoli, senza voler impressionare, senza ricoprirlo di attenzioni e complimenti. Non veniva trattato come una persona qualunque, una con solo un nome, da così tanto tempo che aveva scordato la sensazione.
E poi Lis era adorabile appuntita così com’era, con le sue frecciatine e il suo sarcasmo. Gli piaceva e voleva sapere quanto ci fosse ancora da trovare di insensatamente affascinante in lei – oltre al mondo in cui si portava i capelli dietro l’orecchio usando l’indice e il medio, oltre a come si sistemasse gli occhiali da vista spingendoli verso l’alto arricciando il naso, oltre ai mezzi sorrisi che faceva inclinando le labbra maggiormente verso sinistra, oltre le espressioni perplesse costruite sollevando le sopracciglia e piegano lievemente il capo in diagonale a destra. Oltre tutte quelle piccole cose, insomma.
«Tu perché vorresti fossi qui?», rispondere a una domanda con una domanda non era una grande mossa. O almeno non sarebbe dovuto esserlo se si fosse trattato di qualcun altro, ma Lis parve rifletterci seriamente. Si impuntò davanti a lui, con il capo reclinato in alto per sostenere il suo sguardo verde, incrociando le mani per poter tamburellare con le sottili dita contemporaneamente su ambedue le proprie braccia. Increspò le labbra in una piega indecifrabile, cercando una risposta a un interrogativo di per sé insensato, perché lei non aveva mai voluto che Tom si presentasse alla sua porta – al massimo al bar. Eppure ci si stava scervellando sopra e ciò provocò un lieve corrugamento delle sopracciglia dell’uomo, che proprio non si attendeva un tale silenzio carico di attesa, ma decise che era molto più proficuo se teneva le labbra chiuse.
«I tuoi difetti.»
«Cosa?»
«Vorrei sapere i tuoi difetti, sei il tipo di persona che ne ha di interessanti dato che fai di tutto per non mostrarli» specificò con l’aria di ovvietà che solo lei poteva riscontrare adeguato al contesto. Fu una risposta tanto inattesa, spiazzante, che Tom non riuscì in alcun modo a ribattere o trovare qualsiasi altra cosa da dire per colmare il silenzio.
Solitamente, anzi, da parecchio tempo, si riduceva a pezzi pur di dar sempre il meglio – solo ed esclusivamente il meglio – di sé, soprattutto in mezzo agli altri, e non era una costrizione, o almeno non una che arrivasse dall’esterno. Se lo era autoimposto, perché il suo successo lo doveva proprio a chi lo sosteneva così tanto, quindi quello era l’unico modo che avesse per ripagarli – e in fondo, lui era generoso di natura, quindi gli era venuto spontaneo. Quindi, i suoi difetti, le sue imperfezioni, le aveva nascoste tanto bene da non renderle percettibili, perché di solito le persone non amano cose del genere, non le apprezzavano proprio.
Ovviamente non Lis, che lo osservava mentre faceva passare le proprie dita tra i lunghi capelli, cercando di sciogliere i nodi formatisi durante la notte con essi. Lei di difetti ne aveva, così tanti che forse li esagerava persino, ed erano le prime cose che mostrava agli altri da quel che aveva dedotto, con orgoglio. D’altronde aveva definito i probabili di Tom interessanti, sulla fiducia, come altro avrebbe potuto considerare i propri?
«Però non mi hai ancora detto perché sei qui.»
«Per conoscerti
Le parole erano diminuite nelle sue frasi a effetto, solo due contro le tre della volta scorsa – quel così te stessa per niente semplice –, e fu proprio questa la frase melliflua, quella che la fregò. O almeno questo era come diceva di sentirsi, giocata, mentre lo osservava sbattendo a ripetizioni le palpebre per cercare di afferrare compiutamente il senso dell’affermazione.
Cosa avrebbe dovuto rispondere? Un “Non sai nemmeno chi sono” era del tutto stupido, dato che Tom era lì proprio per rimediare a quel lieve dettaglio; e soprattutto a lei faceva piacere che fosse lì semplicemente perché voleva sapere come fosse. Inoltre, nuovamente, il comportamento di Tom aveva il sapore dolce di antico, di qualcosa che si era perduto e che lei da sempre cercava con la rassegnazione pessimistica per non illudersi troppo.
«Va bene», ma per rendere più chiaro il concetto a se stessa, lo ripeté, dato che doveva convincersi che glielo aveva davvero chiesto e che lei stava effettivamente rispondendo. «Va bene. Ma non oggi, sono impegnata con la mia non-coinquilina-vicina-di-casa
«Ti posso invitare a cena domani sera.»
«Così sa tanto di appuntamento» osservò divertita.
«L’idea sarebbe qualcosa di simile, Lis», era la prima volta che la chiamava per nome. Anzi, in realtà era proprio la prima volta che la chiamava e basta, dato che non si era mai rivolto a lei con alcun epiteto. La cosa strana, per entrambi, fu che suonò estremamente semplice, come se fosse da sempre che Tom si presentasse alla sua porta e pronunciasse il suo nome – come se fosse la cosa più giusta.
«Oh. Va bene comunque.»
Rise lievemente Tom, indeciso se fosse un bene o meno ricevere una risposta del genere, ma era un sì, in fin dei conti, quindi non aveva intenzione di intavolare una discussione che avrebbe potuto stravolgere tale risposta. Si voltò verso la porta accostata, per poi tornare a osservarla un’ultima volta.
«Il tuo numero di cellulare. Non ce l’ho», ovviamente pronunciò tale dichiarazione con la volontà resa implicita di volerlo; e altrettanto ovviamente aveva sbagliato a pensare che tutto potesse andare come aveva programmato – ma d’altronde niente fin da quando l’aveva urtata a Regent’s Park era andato secondo quanto prognosticato da sé. Quindi quando la vide inarcare un sopracciglio con aria che stava a significare “Ti piacerebbe, eh?”, seppe che non avrebbe scritto alcun bigliettino con su le cifre da comporre per chiamarla.
«Hai scoperto dove abito, sono certa che te la caverai anche con questo. Se non ce la fai puoi sempre venirmi a citofonare direttamente» gli fece notare e lui, per vendetta a sminuire la pura volontà di compiere tale gesto, si piegò per depositare un delicato bacio sulla sua guancia prima di andarsene.
Mentre si avvicinava alle scale sentì l’unica altra porta – quella di fronte all’appartamento di Lis – aprirsi. Si fermò e metà della prima rampa, anche se sapeva che non si sarebbe dovuto mettere a origliare, ma giusto per curiosità, per sapere se poi era vero che era impegnata o l’aveva semplicemente liquidato.
«Quello chi era?» chiese incuriosita una voce femminile, probabilmente la non-coinquilina-vicina-di-casa a cui aveva precedentemente accennato.
«Tom.»
«Tom chi?»
«Tom diminutivo di Thomas William. Ma Tom va benissimo, non trovi? È corto, mi piacciono i nomi corti», di solito le persone non avevano quel genere di cose preferite, ma Lis sì, perché lei adorava la semplicità in tutte le sue forme. Anche il suo era breve e lo aveva sempre trovato perfetto per sé, coinciso, tagliente, facile da tenere a mente e da scordare – perché non aveva mai creduto di fare abbastanza impressione da rimanere in mente agli altri, ma probabilmente si era sbagliata, anche se mai, nemmeno nell’evidenza dei fatti, avrebbe ammesso tale errore di calcolo.
«Lis, non mi dirai che è quel Tom?», era tra l’allarmato e l’eccitato la voce dell’altra.
«Quanti altri Tom conosco, scusa?»
«Tu sai che ti farò sputare ogni singolo dettaglio, sì?»
«Puoi provarci. Vado a farmi la doccia, se vuoi seguirmi.»
Fu in quelle frasi rubate, che non gli appartenevano, che Tom comprese che Lis si comportava nello stesso modo con tutte le persone che le piacevano, dato che tutte le altre non le trattava e basta – spreco inutile di tempo, ecco cos’era, e lei aveva solo una vita da vivere, mica poteva perdersi pure dietro a chi non le andava a genio. Tom lo intuì da quella discussione – mentre si chiedeva quante fossero davvero le persone che conoscevano anche il suo secondo nome, così poco usato che quasi se ne scordava lui –, e fu bello scoprirlo, perché improvvisamente seppe che aveva preso la decisione giusta, quella insensata, nell’andare a bussare alla sua porta.
In fondo, non tutto doveva per forza avere un senso, soprattutto ciò che cambiava la vita – che poi sarebbe stato in meglio o in peggio, non ne poteva avere ancora idea, ma per una volta non gli importava poi granché.






M A N I A’ s  W O R D S
Sto riflettendo su come iniziare le mie note, perché dovrei a ben vedere fare una breve parentesi per salutarvi e ringraziarvi per essere giunti alla fine di questa oneshot particolarmente lunga. Quindi grazie, ecco, sinceramente. No, davvero, grazie, anche se la reputate una schifezza, perché essere riusciti a leggerla tutta merita un grazie comunque, e io non sono nemmeno decisa se effettivamente valga la pena che questa cosa - cosa è il nome del file sul mio pc - possa rimanere pubblica, ma ok.
Questa storia è l’inizio di un’altra storia, probabilmente d’amore – molto probabilmente –, ma gli inizi mi piacciono e lo svolgimento non è contemplato per il momento, perché come tutto è cominciato mi fa molto sorridere e ha un che di dolce e perennemente felice che preferisco lasciare così.
Inoltre, sempre questa storia, sarebbe potuta essere un’originale - anche perché Lis è un mio personaggio per una storia completamente originale, appunto, quindi avrebbe anche avuto senso come cosa. Ci ho davvero riflettuto sul tramutare Tom in un personaggio originale - anche perché alla fine tutto ciò è ovviamente tutta invenzione e non c'è pretesa di dare testimonianza del suo carattere, dunque ci sarebbe potuta stare come decisione -, anche perché non ho mai scritto su persone realmente esistenti e la cosa un po’ mi fa senso/strano (?), tuttavia la sezione originale mi mette addosso un certo terrore - troppo frequentate, a me piacciono quelle poco popolose. E poi è tutta nata questa cosa per colpa di Tom, quindi che si assuma le sue responsabilità.
Lis come aspetto ha un ché di Natalie Dormer, se volete immaginarvela con un volto specifico. Un ché, non proprio così, però. Con i capelli castano scuri. 
Hesperus Press è davvero una casa editrice situata a Londra, al 28 Mortimer Street, vicino a Regent’s Park – dove recentemente Tom ha detto di essere andato a correre, quindi wow, sono riuscita a incastrare abbastanza bene tutto, mi sento fiera di me stessa.
L'unica altra cosa da dire è che il fatto che Tom si sia voltato, all'inizio, a seguire con lo sguardo un paio di ragazze è perché, non so se ci avete fatto caso, ma diciamo che in alcune interviste ha lo sguardo lungo - in modo adorabile, ma lo ha lungo.
Alcune ripetizioni sono volute, e spero di aver lasciato unicamente quelle volute.
Bene, quindi credo di aver detto tutto, mi dileguo, addio ♥

Mania

  
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