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Autore: ilariamilanese__    24/02/2014    2 recensioni
Alessia vive a Milano, ha sedici anni e frequenta il Liceo Classico. Una ragazza all'apparenza anonima, di quelle che se incontri per strada solitamente non noti, ma con un passato alquanto particolare. Suo padre l'abbandonò quando lei aveva solo sei anni, senza se e senza ma. Non le ha detto il motivo e questo la uccide. Ogni giorno, si sente oppressa dal senso di colpa. Dall'essere all'insaputa. Lei vuole sapere, vuole toccare con mano il perché lui se ne sia andato. Questo, diventerà più che un pensiero. Farà il viaggio più importante della sua vita, che la cambierà in modo irrevocabile dentro e con lei il resto della sua vita.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Myself

Suona la sveglia. Cristo sono già le sei. Sembrano passati cinque minuti dal momento nel quale ho chiuso finalmente gli occhi, abbandonandomi al sonno più profondo dell'ultima settimana. Settimana tosta quella appena passata. L'anniversario della partenza di papà manda la mamma in confusione, la depressione, anche se combattuta più e più volte, torna a farsi sentire. Si prende un permesso dal lavoro, già sa che non avrà la forza di andarci. Prendo l'iPhone in mano, nessun messaggio. Sei e dieci. Giusto perché stamattina non volevo fare tardi. Il suono della macchinetta del caffè è l'unico che mi tiene sveglia stamattina. Tutto sembra ancora dormire. Spalanco la finestra, idea di merda. Fa un freddo boia a quest'ora. Milano dorme, ma tra un'ora per strada ci sarà il solito casino. Tutta la gente che corre, corre per andare chissà dove. Chissà se si rendono conto del viaggio che fanno oltre allo scopo. Mio padre mi diceva sempre che il viaggio molto spesso contava più dell'arrivo. Forse aveva ragione, forse no. Sei e mezza. Bevo il caffè, do un bacio a mamma. Dorme ancora e non me la sento di svegliarla. Un giorno in più a casa non le cambierà la vita.

Le strade sono già piene di gente. Sono le sei e quaranta. Cinque minuti e arriva il pullman, ma tutta questa gente intorno mi sta già facendo sentire male. I loro occhi puntati addosso mi fanno sudare freddo. Ogni mattina la solita storia. Mi sento osservata da tutti, ma in realtà sono consapevole di essere la solita sedicenne anonima che aspetta, come tutti i sedicenni anonimi, che aspetta quel pullman. Quel pullman, che per molti è un carro funebre e per altri una sorta di carrozza magica che ti scorta alla salvezza. Che ti strappa dalla tua stanza e ti obbliga ad uscire. Per me la scuola è un po' questo. Non fraintendiamoci. Non sono una secchiona, tutti dieci, lecchina, prima della classe e via dicendo. Ma magari lo fossi. Al massimo riesco ad arrivare al sette, il che è un buon risultato calcolando la scuola che frequento, mi dicono tutti, ma non è il massimo. Non sono una competitiva fino a quel livello chiariamoci, che se non prende dieci scoppia a piangere o altro. Sono quella anonima. Della sufficienza piena, ma non dell'eccellenza. Quella che viene interrogata nel mezzo, senza un senso. Quella a cui non servono le giustifiche, più o meno se la cava sempre. Il pullman sta passando. Merda. ''Chi ultimo arriva, male alloggia''. Cristo quant'è vero.

Rigorosamente in piedi. Con lo zaino che sta per scoppiare, con due dizionari in mano e le cuffie all'orecchio così da non sentire cosa dice la gente. Mi saluta una ragazza. Faccio un cenno e una sorta di sorriso con le labbra. Senza mostrare i denti, neanche so chi sia. Arriva Chiara, si siede affianco a me. Chiara, boh, Chiara la conosco da una vita si può dire. Da prima della partenza di papà e questo è già tanto. Dopo la sua partenza, tagliai la maggior parte delle mie amicizie. Solo lei mi è rimasta, come amica. Gli altri sono tutti conoscenti, che saluti o ci esci il sabato sera. Lei sa chi sono, cosa sono. Non sa cos'ho passato per racconti, lo sa perché l'ha vissuto con me. La saluto con un abbraccio più lungo del solito. Fa una faccia strana, ma non lo noto. Mi indica due posti in fondo. Due del professionale sono scesi prima, in piazza. Faranno sega. Ma sinceramente, ora che posto sedermi me ne frega ben poco di chi sia sceso da quei posti. Musica a palla e via fino a scuola.

Let it be.

Poesia pura. Mi ricorda papà. Oh papà, papà papà. Che te ne sei andato così, senza un motivo. Senza se, senza ma. Oh papà, papà.. Chissà se mi pensi mai, nelle tue giornate, se pensi a me, papà.. Mi sembra di recitare una poesia, basta. Non ci penso. Arrivo a scuola.

Interrogazione di latino, il modo migliore per incominciare la giornata ovviamente. Però passo col sette comodo, quindi sto apposto anche per oggi. Il resto delle ore lo impiego ad ascoltare la musica, tutti i generi tutte le ore. Mi rilassa. Arrivo a casa, ma non c'è nessuno. Mamma è uscita a fare la spesa, quella poveretta non si sarà neanche resa conto che ormai sono le tre passate e che l'ora di pranzo è passata da un pezzo. Papà glielo diceva sempre: ''Tanto vale che ceniamo, dato l'ora che torni quando fai la spesa!'' Ma scherzava. Scherzava sempre lui. Con quel sorriso stampato sulle labbra ventiquattro ore su ventiquattro. Capisco perché la mamma l'abbia sposato. Un messaggio. Il suono mi distoglie nuovamente dal pensare a papà. Leggo ''Chiara'' sullo schermo e tutti i pensieri cattivi vanno via. O forse ho parlato troppo presto. È una foto. Quel sorriso.

Sono le dieci. Ho dormito tutto il pomeriggio, faccio mente locale. Sono tornata a casa. Mamma non c'era. Il messaggio di Chiara. Papà.

Chiara mi ha mandato uno screen, pensavo fosse qualche cazzata del tipo ''quello ha messo mi piace alla foto di quella'' o robe simili. Invece no. Era la foto di un ragazzo. Francesco Esposito. Già dal nome, pensai, sarà uno del sud. Come papà. Poi guardai meglio la foto, quel sorriso. Quel sorriso era identico al sorriso di mio padre. Come poteva Chiara ricordare il suo sorriso? Ah già, poi mi scrisse un altro messaggio nel quale aggiungeva che tra le sue foto aveva trovato una nella quale c'era anche mio padre. Mio padre. Con lui. Ma perchè? Mamma aveva da sempre sospettato che forse lui aveva un'altra famiglia, ovvio. Ma ora avevo le prove sbattute in faccia del suo adulterio e non ci credevo. Un'altra famiglia. Cos'avevamo che non andava? Forse ero io quella sbagliata. Forse la mamma non ha colpe. Un'onda di pensieri mi si scaglia addosso, come il mare in tempesta sugli scogli. Spengo l'iPhone. La luce. Spengo tutto e mi metto a dormire. Troppi pensieri per una giornata sola.

 

  
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