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Autore: Victoria93    25/02/2014    10 recensioni
Tratto dalla storia:
-"Stai dicendo che sono io la tua ossessione, signor detective...?" gli sussurrò, di nuovo vicinissima alle sue labbra.
"Non lo so...ma mi stai impedendo di pensare. E nessuno era mai riuscito a ottenere un simile risultato nei miei confronti. Direi che le probabilità che tu sia diventata la mia ossessione sono intorno al 62%".
"Odio le tue stupide percentuali" replicò lei, senza riuscire a trattenersi dal ridacchiare.
"E io amo te".- Elle è pronto per dedicarsi al caso Kira, e ben presto incontra gli agenti giapponesi e si prepara allo scontro con il colpevole, come da programma, ma stavolta...il coinvolgimento di un nuovo agente dell'FBI nelle indagini lo porterà a cambiare notevolmente le sue prospettive, in un modo che nemmeno la mente più geniale del mondo avrebbe mai potuto calcolare e prevedere. Una storia d'amore, intensa, passionale, contro cui quasi niente sarà in grado di opporsi...
Genere: Drammatico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'SUGAR AND PAIN'
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Capitolo 14- Choice
 
Silenzio. Era convinta di non aver mai avvertito un silenzio del genere, così profondo e significativo, in tutta la sua vita. Ma forse, un’affermazione simile avrebbe potuto risultare alquanto azzardata, considerando che, con ogni probabilità, ormai il suo cuore aveva smesso di battere. Ne era quasi del tutto sicura, forse a causa dell’assenza di dolore che aveva preceduto quell’istante, forse per via della quiete che la circondava, forse perché non riusciva più a udire alcuna voce o il minimo rumore…forse perché sentiva che il momento di andare avanti era finalmente giunto. Eppure, aveva la strana, perforante percezione che il senso di pace che tanto aveva atteso e agognato, per così a lungo, risultasse stranamente assente…come se qualche tassello del puzzle che aveva cercato di ricomporre da sempre stesse stranamente mancando all’appello…com’era possibile? E che cos’era quel rimbombo che stava pian piano iniziando ad avvertire, in lontananza…? Dov’era Elle……….?
 
“Donna, ventitré anni, cardiopatica, arresto cardiaco avanzato in corso. Ipotensione grave, pressione cardiaca quasi assente, polso assente, parametri vitali compromessi!! Ci serve una sala operatoria, subito!!”.
“Chiama il dottor Shibahime, immediatamente!! Serve il cardiochirurgo!!!”.
“Quali sono i valori della pressione arteriosa?!”.
“Sotto i 45 mmHg la minima, 75 la massima!!”.
“Merda, sta morendo!!! Carrello d’emergenza, subito!!! Defibrillatore!!!”.
“Dati sulla pulsazione cardiaca?!”.
“Bradicardica, è a 50 battiti al minuto, sta scendendo vertiginosamente!!!”.
“Frequenza respiratoria?!”.
“Bradipnea, 10 atti respiratori al minuto!!”.
“Dammi un laringoscopio!! Forza con quel defibrillatore, veloci!!!”.
“Mio Dio…guarda la cicatrice…”.
“EMERGENZA!!! È UN CODICE ROSSO, RIPETO, CODICE ROSSO!!! SALA OPERATORIA 4654, ABBIAMO UN RIGETTO CRONICO IN CORSO!!!”.
“Non è più cosciente da diversi minuti!!! Il gruppo sanguigno?!”.
“Dammi la cartella clinica!! 0 negativo! Chiama quelli del pronto soccorso, digli di inviarci il maggior numero possibile di sacche di 0 negativo, le servirà parecchio aiuto, durante l’intervento!!”.
“Operiamo, subito!! Rischio di coronaropatia aggravato, dobbiamo salvare l’organo!!!”.
“Vai con la carica a 200!! LIBERA!!!”.
“L’elettrocardiogramma non dà segnale!!”.
“ANCORA!!! CARICA A 300!!! LIBERA!!!”.
“NESSUN SEGNALE, DOTTORESSA SHIBUJA!!”.
“ANCORA!! CARICA A 350!!! LIBERA!!!”.
Un piccolo segnale sonoro oscurò le loro voci, mostrando finalmente un qualche segno di risposta sul monitor della macchina di rianimazione.
“Abbiamo un battito! Pressione sistolica -75, pressione diastolica -50!! Preparate la sala operatoria, intervento a cuore aperto!!! Di corsa!!!”.
“VAI, VAI, VAI!!!!!”.
Tutte quelle voci, tutte quelle urla, quelle luci così confuse, quel tramestio di persone intente a correre avanti e indietro, per poi precipitarsi a tutta birra verso alcune porte a spingimento, spostando con sé quella barella apparentemente comune e insignificante…se non fosse stato per la persona che vi si trovava sopra, attaccata a un respiratore artificiale che le copriva il naso e la bocca, il petto, sulla cui superficie troneggiava una cicatrice bluastra, completamente ricoperto da stimolatori di controllo elettrico…com’era possibile? Com’erano arrivati a quel punto? Era concepibile che tutto si fosse svolto a una velocità superiore, senza che potesse averne la percezione? Ma non poteva essere…se ne sarebbe accorto. Lui si accorgeva sempre di tutto…la mente più geniale del mondo non può essere ingannata da una cosa così piccola, così insulsa…così imprevedibile…lo avrebbe di certo calcolato, lo avrebbe previsto, lo avrebbe fermato…ma allora…che cosa stava accadendo? Com’erano arrivati in ospedale? Sala operatoria? Cuore aperto…..? Arresto cardiaco…………………….?
“LEI NON PUÒ DIRCI DI ASPETTARE E BASTA!!!!”.
La voce di Matsuda lo destò improvvisamente dai suoi confusi vagheggiamenti, facendogli alzare lo sguardo; in quello stesso istante, il giovane poliziotto stava sbraitando contro un’infermiera, che cercava con tutte le sue forze di trattenerlo dall’oltrepassare di peso la porta che i medici avevano appena varcato insieme a Ruri.
“Si calmi, signore, lei deve calmarsi…”.
“Non mi dica di calmarmi!!!! Non può pretendere che ce ne stiamo qui senza fare niente, Ruri è…!!!!”.
“Lo so che è preoccupato per la sua amica, ma per il momento non può fare nulla, e si calmi, dannazione!!!!!” sbottò la donna, assestandogli un deciso spintone “La ragazza ha appena subito un arresto cardiaco, rischia gravi danni al sistema cardiocircolatorio, se non addirittura di morire, lo capisce che è un codice rosso, sì o no?!?”.
“PENSA CHE IO SIA UN IDIOTA?!? È PROPRIO PERCHÉ L’HO CAPITO CHE NON POSSO TOLLERARE CHE LEI NON…”.
“Adesso calmati, Matsuda, calmati!!!!” gli intimò il sovrintendente, afferrandolo per le spalle e cercando di farlo ragionare “Non arriverai a niente agendo così!!!”.
“DANNAZIONE!!!!” sbottò il giovane, liberandosi dalla presa del suo superiore e scagliando un pugno contro la parete, nel tentativo di sfogarsi “Come può essere successo senza alcun preavviso?!? Merda, non può…non doveva…non potete permettere che muoia!!!” gridò ancora, ma senza guardare in volto l’infermiera, che gli rivolse uno sguardo dispiaciuto e leggermente addolcito.
“Senta, capisco come si sente, ma al momento non può fare niente, davvero. La vostra amica è arrivata qui in pessime condizioni, è un miracolo che sia ancora viva…tutto ciò che potete fare in questo momento è aspettare. Potrebbero volerci delle ore, non lo so…voi siete i suoi parenti?”.
“No…” rispose lentamente Aizawa, che era molto più pallido del solito “Ruri non aveva…non ha nessun parente…” si corresse subito, come preso da un piccolo sobbalzo.
“Non sapete niente riguardo a qualche persona in particolare che vorrebbe che fosse avvisata della cosa? Non so, un fidanzato, un marito…forse un’amica…”.
“Beh, Ruri è sempre stata molto riservata, riguardo alla sua vita privata” ammise Soichiro, appoggiato dagli altri “Francamente, non mi viene in mente nessuno che…”.
“Robin”.
Tutti quanti si voltarono, nell’udire parlare il detective per la prima volta da quando era salito sull’ambulanza, superandoli tutti e precedendoli all’ospedale; prima che arrivassero i soccorsi, lo avevano udito urlare ordini a destra e a manca, mentre era ancora impegnato, senza risultati apparenti, a praticare il massaggio cardiaco a Ruri, ma adesso sembrava diventato l’ombra di se stesso. Era seduto sulla panchina di plastica che occupava parzialmente il corridoio, in una posizione del tutto anomala, per lui, con le gambe sporgenti in avanti e le braccia protese sopra di esse, le mani congiunte e lo sguardo perso di fronte a sé. Osservandolo meglio, Watari si accorse che stava tremando in maniera quasi impercettibile.
“Mi scusi?” gli si rivolse l’infermiera, lanciandogli un’occhiata strana.
“La migliore amica di Ruri. Robin. Robin Starling. Avvisatela. Adesso”.
Parlava a scatti, come un automa, come una macchina che dovesse mettere insieme una numerosa serie di processi operativi, prima di poter ottenere qualche risultato minimamente soddisfacente.
“Oh…certo” annuì la donna “Potreste fornirmi un suo recapito?”.
“L’agenda di Ruri” aggiunse Ryuzaki, altrettanto stentoreamente.
Watari annuì in modo pronto e si affrettò a prenderla dalla sua borsa, per poi comunicare alla caposala tutto ciò che doveva sapere.
“Statunitense. La vostra amica è statunitense?” domandò poi, sorpresa “Avrei detto…beh, Ruri è un nome giapponese…”.
“È americana” commentò brevemente Watari, con tutta l’aria di chi non ha assolutamente voglia di perdere tempo in chiacchiere.
“Capisco. Beh, se la sua amica deve arrivare fin qui da Washington, immagino che le ci vorranno almeno un paio di giorni, ammesso che parta subito. Vado subito a chiamarla, a meno che…beh, forse preferireste farlo voi…?”.
Il gruppo d’indagine si scambiò occhiate fugaci, indirizzando alcune di esse verso Ryuzaki, che tuttavia sembrava molto lontano dall’idea di abbandonare l’atto di fissare la parete.
“Ecco, noi…noi non la conosciamo neppure…forse, non saremmo molto più adatti di lei a dirle quello che sta succedendo…” esplicò Soichiro, a disagio.
“Sì, me ne rendo conto…beh, immagino che allora non faccia molta differenza, lo saprebbe comunque da una persona sconosciuta. Beh, in questo caso provvedo immediatamente”.
La donna fece per allontanarsi, quando improvvisamente ci ripensò, tornando sui suoi passi e rivolgendo loro uno sguardo di circostanza.
“Mi dispiace molto…”.
Nessuno le prestò ulteriormente attenzione, nemmeno quando si allontanò in modo definitivo; dal canto proprio, Matsuda si passò una mano di fronte al volto, continuando a mormorare in modo sconnesso, mentre Mogi, Aizawa e Ukita si sedevano a poca distanza, altrettanto ansiosi.
Soichiro e Watari rimasero in piedi, il primo in preda ad andare freneticamente avanti e indietro, il secondo fermo in posizione composta, appena appoggiato alla parete, le braccia incrociate. Elle non mutò la sua posizione, rimanendo immobile come una statua.
“Io non…” riprese Matsuda poco dopo, attirando l’attenzione dei presenti (malgrado Elle non accennasse ancora ad alzare lo sguardo) “Non capisco come sia potuto accadere…”.
“Potrebbe essere opera di Kira…” disse Aizawa, la voce altrettanto bassa “Credete che…”.
“No, lo escludo. O quantomeno, sarebbe piuttosto anomalo…” dichiarò Yagami, incapace di fermarsi “Nelle circostanze in cui Kira ha esercitato il suo potere per uccidere, la vittima prescelta soccombeva dopo pochi istanti, senza aver avuto alcuna possibilità di sopravvivenza. Questa situazione è diversa…Ruri è…è ancora viva. C’è ancora speranza…”.
“Speranza…?” ripeté Ukita, con un singulto più simile a un gemito che all’emissione di una parola “È arrivata qui senza pulsazione cardiaca…non ho idea di come potrebbe farcela…”.
“Non perdiamoci d’animo!!!” sbottò Soichiro, alzando la voce “Dobbiamo avere fiducia, non possiamo pensare immediatamente al peggio!!!”.
“Io non…l-lei…lei stava bene…” balbettò Matsuda, appoggiandosi al muro, quasi cianotico “A-avevamo parlato p-poco prima…lei…lei stava bene…mio Dio, s-stava bene…”.
“Non può essere una coincidenza” insisté Aizawa “Un arresto cardiaco, in una circostanza del genere, del tutto asintomatico! Voglio dire, Ruri stava bene, è una persona sana, non…”.
“Ruri ha…subito un trapianto cardiaco” li interruppe Watari, facendoli tutti voltare nella sua direzione.
“Che cosa?!?” sbottò Soichiro, stralunato.
“Sì. È successo quando aveva circa sei anni. Negli ultimi tempi, le sue condizioni si erano aggravate, ma…ma nessuno di noi poteva immaginare che…”.
Il vecchio s’interruppe, passandosi a sua volta una mano di fronte alla bocca: solo il sovrintendente ed Elle, che finalmente era riuscito a distogliere appena lo sguardo dal muro, si accorsero che era vicino alle lacrime.
“Un trapianto cardiaco?” domandò Aizawa.
“Sì, è così” confermò Watari, cercando di mantenere la voce ferma.
“Non ne abbiamo mai saputo nulla…” mormorò Soichiro, mortificato.
“Nessuno lo sapeva” seguitò Watari, scuotendo appena la testa “Solo io e Ryuzaki ne eravamo a conoscenza, e comunque…abbiamo scoperto la cosa contro la volontà di Ruri. Lei non voleva che nessuno ne fosse messo a parte…”.
“Ma perché?!?” sbottò Aizawa “Che senso poteva avere una decisione del genere?!”.
“Che senso ha porsi domande simili in un momento come questo?!?!” replicò Matsuda, con uno scatto repentino “Ruri potrebbe morire in quella fottuta sala operatoria, e a te importa soltanto di sapere il motivo per cui non ci ha confessato del suo stramaledetto trapianto?!?”.
Il gruppo fissò ammutolito il ragazzo, che adesso era scosso dai tremiti e da qualcosa di simile ai singhiozzi.
“Matsuda…” gli si rivolse Soichiro, facendo per posargli una mano sulla spalla.
“Lei…lei stava bene! S-se avesse…mio Dio, a-avrebbe…avrebbe presentato dei sintomi…q-qualcosa del genere…l-lei…lei stava bene…oh mio Dio…!!!”.
“Matsuda, devi calmarti. Adesso cerca di calmarti…” proseguì Yagami, assestandogli infine una pacca paterna sulla schiena.
“I-io ero con lei!!! Ero con lei…fino a poco prima, ero…m-me n’ero appena andato…” ripeté, le braccia incrociate e una mano ancora di fronte al volto “Come posso non essermene accorto…è…è colpa mia…”.
“Non è stata colpa tua, Matsuda. Non potevi prevedere una cosa del genere” gli fece presente Yagami, cercando di scuoterlo leggermente.
“Il sovrintendente ha ragione. Questi…voglio dire, queste circostanze sono spesso imprevedibili, a volte persino asintomatiche…considerando quello che abbiamo appena scoperto su Ruri, inoltre…” aggiunse Mogi, scuotendo appena il capo “Non avresti potuto fare niente, Tota”.
Matsuda si sedette a sua volta, prendendosi la testa fra le mani ed evitando di replicare.
“Ryuzaki…tu cosa ne pensi?” domandò Yagami, volgendosi infine verso il detective “Anche tu sei dell’idea che Kira non c’entri niente, con questa storia?”.
Il ragazzo non gli rispose, la presa delle mani adesso saldamente conficcata sul bordo delle sue ginocchia, gli occhi vitrei e incavati più del solito concentrati sulla parete di fronte.
“Ryuzaki…” lo chiamò ancora Soichiro, scambiandosi occhiate perplesse con Aizawa, Mogi e Ukita.
Alla fine, Watari decise di prendere il controllo della situazione, avanzando di qualche passo in avanti.
“Non possiamo ancora sapere niente con esattezza, signori. In ogni caso, è molto improbabile che Kira sia riuscito ad ottenere le informazioni necessarie per uccidere Ruri…inoltre…i medici hanno parlato di ‘rigetto cronico’. Anche se questo facesse eventualmente parte dei mezzi di cui Kira dispone attualmente per perpetrare i suoi omicidi, dubito che sia stato in grado persino di scoprire del trapianto cardiaco che Ruri ha subito. Adesso, l’unica cosa che possiamo fare è aspettare…giusto, Ryuzaki?” concluse, voltandosi leggermente verso il suo protetto.
Elle annuì appena, senza ancora sollevare il suo sguardo.
“Se preferite tornare a casa a riposarvi, non preoccupatevene. Io e Ryuzaki resteremo in ospedale” disse poi Watari, con un sorriso forzato.
“Non dica sciocchezze!” esclamò subito il sovrintendente, con tono risoluto “Non ci muoveremo di qui finché quei medici non saranno usciti da quella sala operatoria, non importa quanto dovremo attendere!”.
“Non ce ne andiamo. Per nessuna ragione” rafforzò ulteriormente Matsuda, alzando di nuovo gli occhi, il volto rigato appena da qualche lacrima.
Aizawa, Mogi e Ukita confermarono a loro volta il loro desiderio di restare, di fronte al quale Watari non batté ciglio; ben presto, ognuno di loro cercò di cominciare ad ingannare il tempo nel modo che gli era più congeniale.
Soichiro continuò a fare avanti e indietro per il corridoio, senza fermarsi neanche per un istante, lo sguardo che scattava di tanto in tanto dall’orologio alle porte dietro cui Ruri era scomparsa, assistita dai chirurghi della struttura; Matsuda seguitò ad allentarsi e successivamente a stringersi ripetutamente il nodo della cravatta, senza mai darsi pace, alternando momenti in cui era capace soltanto di starsene seduto ad altri in cui si univa al suo superiore nel misurare il pavimento a grandi passi. Aizawa si attaccò al telefono, passando dal parlare con la sua famiglia al dare ordini al quartier generale di base, imponendo il silenzio stampa sull’intera vicenda in corso. Ukita e Mogi si appiccicarono letteralmente alla macchinetta del caffè, le giacche abbandonate da una parte, le camice sbottonate e le cravatte lente intorno al collo, incapaci di parlare o di guardarsi semplicemente negli occhi. Watari assunse ben presto una composta posizione da seduto sulla stessa panchina di plastica di Ryuzaki, dove incrociò le braccia e puntò i suoi occhi grigi sull’orologio a muro che svettava sopra le loro teste, senza più distoglierne gli occhi.
Infine, Elle rimase del tutto immobile nella sua posizione, senza più aprire bocca, incapace di parlare, incapace di pensare…quasi incapace di respirare. Le sue lunghe dita bianche rimasero saldamente ancorate ai muscoli delle sue gambe, come se afferrarsi a qualcosa, seppure si fosse trattato del suo stesso corpo, avesse potuto in qualche modo offrirgli una forma di conforto. Com’erano arrivati a quel punto? I medici che urlavano ordini, l’ambulanza, l’infermiera che diceva tutte quelle cose senza senso…Ruri…Ruri priva di battito cardiaco…poteva essere plausibile l’ipotesi che fosse davvero opera di Kira? Aveva scoperto del suo trapianto? O semplicemente…Respirando profondamente, non poté fare a meno d’escludere quella teoria. Ruri era ancora viva, stava lottando…Kira non lasciava mai scampo alle sue vittime, altrimenti non ci sarebbe stata nessuna spiegazione per l’infallibilità del potere omicida che aveva manifestato fino a quell’istante. Era solo giunto il momento, dunque? Tutte quelle crisi cardiorespiratorie, i farmaci che, secondo Watari, potevano star smettendo di fare effetto…le piccole vertigini che aveva notato in quei giorni, il suo respiro affannoso…
“Stava per succedere” riuscì a mormorare alla fine.
Erano passate quasi cinque ore dal momento in cui l’intervento di Ruri era cominciato; le luci all’esterno erano del tutto scomparse, cedendo il passo alla notte, ma nessuno di loro aveva dato segni di alcun cedimento nell’attesa.
Udendolo pronunciare quelle parole, Watari si voltò appena verso di lui.
“Che cosa?” gli domandò.
“Stava per succedere” ripeté il detective, senza volgersi verso il suo mentore “Lei stava…stava cedendo. Le sue funzioni vitali, la sua…la sua costante repulsione verso le medicine. Stavano cessando il loro effetto…stava per succedere. Stava per morire…e io non ho fatto niente…”.
Watari gli posò una mano sulla spalla, avvertendolo rigido e più freddo del solito; pensandoci bene, non poté fare a meno di paragonare la sua pelle a un pezzo d’iceberg, come se anche il suo organismo stesse rifiutando qualsiasi contatto vitale, in quell’istante.
“Non puoi crollare adesso” gli disse, saggiamente “Non puoi permetterti di farlo”.
“Non ho fatto niente…” seguitò Ryuzaki, il respiro molto lieve “Sapevo che stava per accadere, e…ho pensato solo a tenerla lontana. È quello che so fare meglio…io allontano le persone”.
“Lei non pensa questo” gli disse Watari, con fare paterno.
“Lei mi odiava”.
“Non parlare in questo modo. Non…non parlare di lei al passato” lo rimproverò Watari, scuotendolo appena “Non è morta. È lì dentro, sta lottando, sta cercando di tornare indietro. Non negarle la tua fiducia ancora una volta”.
Quelle parole gli fecero miracolosamente alzare lo sguardo, portandolo infine a specchiarsi negli occhi del vecchio, leggermente lucidi.
“Watari…”.
Una voce che gridava a più non posso li distolse dalla loro conversazione, facendo in modo che entrambi sollevassero gli occhi in direzione del trambusto improvviso; con uno scatto inaspettato, tutti e due si alzarono miracolosamente in piedi, imitati dagli altri, per poi dirigersi velocemente verso la fonte del caos appena degenerato.
Ben presto, di fronte alla loro vista non tardò a comparire una giovane donna di circa venticinque anni, intenta a gridare con tutta forza nei confronti del personale infermieristico. Tutti loro erano certi di non averla mai vista prima; i suoi capelli rossi, accompagnati da un paio di grandi occhi verdi e da una notevole manciata di lentiggini, non passavano di certo inosservati.
“NON SI AZZARDI A DIRMI DI CALMARMI!!! MI DICA IMMEDIATAMENTE DOV’È RURI DAKOTA!!!!! MI FORNISCA UN QUADRO CLINICO DELLE SUE CONDIZIONI!!!!”.
“Signorina, devo chiederle di fare un passo indietro e di smetterla!!! Sta ostacolando il nostro lavoro!!! Ruri Dakota è in sala operatoria, non può vederla, in questo momento!!”.
“IN SALA OPERATORIA?!? DA QUANTO TEMPO È IN SALA OPERATORIA?!?!? PERCHÉ NESSUNO MI HA RIFERITO UNA COSA DEL GENERE?!?! MI AVETE DETTO SOLO CHE ERA IN PERICOLO DI VITA!!! VOGLIO PARLARE CON IL SUO MEDICO, ALL’ISTANTE!!!! ESIGO DI PARLARE CON IL SUO MEDICO!!!!!”.
“ADESSO BASTA!!! NON MI COSTRINGA A CACCIARLA DAL REPARTO!!!! SI SIEDA E ASPETTI CHE IL CARDIOCHIRURGO VENGA A INFORMARLA!!!!”.
“COME FA A DIRMI DI ASPETTARE?!?! SONO UN CARDIOCHIRURGO ANCH’IO, MI DIA LA SUA CARTELLA CLINICA E MI FACCIA ENTRARE IN QUELLA STRAMALEDETTA SALA OPERATORIA, POSSO DARE UNA MANO!!!!”.
“LEI È COMPLETAMENTE IMPAZZITA!!! CREDE CHE FACCIAMO OPERARE LA PRIMA PERSONA CHE SI PRESENTA NEL REPARTO DI CHIRURGIA?!?! STIA CALMA E SI SIEDA, PRIMA CHE DECIDA DI FARE USO DI UN QUALCHE TRANQUILLANTE!!!!!”.
“PROVI A TOCCARE QUELLA SIRINGA E FACCIO CAUSA AL VOSTRO MALEDETTO LAZZERETTO NIPPONICO!!!!! NON SI AZZARDI MINIMAMENTE A…”.
“Va bene, adesso basta!!!!” gridò Yagami, riuscendo miracolosamente a sovrastare le loro voci e facendo in modo che entrambi i litiganti si voltassero verso di lui.
La ragazza lo guardò sbigottita; tutti loro poterono constatare che era molto pallida in volto, che la sua espressione era stravolta e i suoi occhi leggermente arrossati.
“Parlerò io con la signorina. Anche noi stiamo aspettando notizie di Ruri Dakota” aggiunse a mo’ di spiegazione, rivolto all’infermiere.
L’uomo annuì, l’espressione ancora furiosa, e si allontanò frettolosamente.
Rimasta sola con loro, la giovane rivolse a tutti uno sguardo costernato e un po’ stralunato.
“Chi…chi siete voi?” chiese, la voce roca e ridotta quasi a un sussurro.
“La signorina Starling?” le domandò gentilmente Soichiro, rivolgendole un piccolo sorriso.
“Sì, sono io…voi chi…”.
“Mi permetta di presentarmi; sono il…” ebbe un attimo d’esitazione, ma infine proseguì “… capitano Asahi. Jyroshin Asahi. Loro sono i miei collaboratori, Taro Matsui, Shibaru Takeda, Masamune Mitsubishi e Kendo Makari, della polizia di Tokyo. Lieti di fare la sua conoscenza”.
“Siete…siete gli agenti che stanno lavorando sul caso Kira?” chiese la ragazza, abbassando frettolosamente la voce.
“Sì, esatto” annuì gravemente Soichiro “I collaboratori di Ruri”.
“Siete voi che mi avete…che mi avete fatto chiamare?” domandò poi, ancora molto scossa.
“Esatto” intervenne Watari, stringendole brevemente la mano “Abbiamo trovato il suo indirizzo e il suo numero di telefono nell’agenda di Ruri”.
“Lei è…lei è Watari?” insistette Robin, osservandolo perplessa “Ruri...mi ha parlato di lei”.
“Non ne avevo dubbi” replicò l’uomo, sforzandosi di mantenere la sua aria tranquilla, malgrado tutto ciò che stava accadendo “Benvenuta in Giappone, signorina Starling, anche se…certo avremmo preferito incontrarla in circostanze diverse…”.
“Mio Dio, non riesco ancora a crederci…potreste spiegarmi che diavolo è successo?!? L’ospedale mi ha soltanto detto che Ruri è stata portata qui in stato d’incoscienza, e che era questione di vita o di morte!!! Non mi dicono niente, non me la lasciano vedere, sto diventando pazza!!! Potreste, per favore…i-io non so che cosa…”.
“Arresto cardiaco”.
Erano le prime parole che Ryuzaki pronunciava in sua presenza, le parole più significative che avessero mai accompagnato il più grande caso d’omicidi di cui si fosse mai occupato, le stesse parole dalle quali, in quell’istante e in tutte quelle ore, stava dipendendo la sua stessa capacità di continuare a respirare…
*Ruri…*.
“Che cosa?!” replicò Robin, con la voce ancora più strozzata di prima, mortalmente pallida.
“Ruri ha avuto un arresto cardiaco. Ero presente quando è successo…è arrivata qui in stato di grave ipotensione. Stanno cercando di salvarle l’organo…” Ryuzaki fece una lunga pausa, ancora appoggiato con la schiena al muro, curvo su stesso, le braccia incrociate “I medici…hanno…hanno parlato di rigetto cronico”.
Al sentir pronunciare quel termine, Robin lasciò andare il peso delle sue gambe, che prontamente cedettero per lasciarla cadere al suolo, ma prima che questo accadesse, le braccia di Matsuda la sorressero, impedendole di precipitare.
Osservandone il volto, chiunque avrebbe affermato che anche il cuore di Robin aveva appena smesso di battere.
“Si sente bene?” le domandò Yagami, premuroso “Vuole un bicchiere d’acqua?”.
“Da quanto tempo è in sala operatoria…?” domandò la ragazza, con un filo di voce.
“Da circa cinque ore…” rispose Aizawa, a disagio “Non ci hanno ancora fatto sapere nulla…”.
“È…è uno scherzo…” disse Robin con una piccola risata isterica, rivolgendosi più a se stessa che agli altri “Non…non è possibile…”.
“Si tratta di cose…spesso sono fenomeni imprevedibili…” cercò di consolarla Yagami, con un sospiro “Non so dirle quanto mi dispiace, signorina Starling…”.
“Ma…ma non pensate che possa essere…che Kira l’abbia…non può trattarsi semplicemente del suo cuore!!!” sbottò la rossina, con una sorta di rantolo “Lei…lei stava bene!! Avevamo…avevamo parlato solo un paio di giorni fa, e lei stava benissimo!! Non può trattarsi di una coincidenza!!”.
“Ruri è ancora viva, signorina” le fece notare Soichiro, con tono grave “Se questa fosse stata opera di Kira, probabilmente adesso staremmo già prendendo accordi per il suo funerale. Senta, Ruri è forte” aggiunse poi, posandole una mano sulla spalla “Può farcela, ce la può fare. Non si perda d’animo in questo modo”.
“Non…non è possibile…” continuò a ripetere Robin, scuotendo la testa “Io…io me ne sarei accorta, avrebbe…avrebbe presentato dei sintomi, qualcosa del genere…lei…lei…”.
“I sintomi c’erano” intervenne Ryuzaki, portando la giovane a guardarlo ancora una volta.
Nuovamente, non accennava a muoversi dalla posizione che aveva assunto.
“Stava cominciando a respirare sempre peggio, negli ultimi tempi…le sue vertigini erano aumentate, e anche il senso di soffocamento. A volte sembrava cianotica…credevo che gliel’avesse detto, mi aveva giurato che l’avrebbe fatto…”.
“Non mi ha detto niente…” sussurrò Robin, lo sguardo venato di disperazione disperso nel vuoto “Niente…”.
“Si faccia coraggio, Robin” insistette il sovrintendente, scuotendola appena.
“Niente…” ripeté la ragazza, in modo quasi impercettibile “Ma…” proseguì, alzando appena la voce “Se questa era la sintomatologia, allora…forse il rigetto cronico avrebbe potuto essere evitato. Forse…forse si poteva ancora intervenire…mio Dio…”.
“Di cosa sta parlando?” domandò Ukita, perplesso.
Improvvisamente, Robin si passò una mano davanti alla bocca, le lacrime che le sgorgavano a fiumi dagli occhi e il corpo scosso dai singhiozzi.
“Ruri…Ruri lo sapeva…sapeva che cosa significava tutto questo…non-non…non ha fatto niente. Non mi ha detto niente!!” sbottò, scoppiando definitivamente a piangere “Mi aveva detto che stava bene…che s-stava bene…che aveva solo un po’ di mal di testa…n-no!!!”.
La rossina crollò definitivamente fra le braccia di Matsuda, che la strinse con energia, cercando di confortarla, mentre lei affondava il volto nella sua camicia, le lacrime che scorrevano copiose.
“Aveva un mal di testa…s-solo un mal di testa…” continuò a ripetere Robin, senza smettere di piangere.
Matsuda continuò a carezzarle la testa e a confortarla, come avrebbe fatto con una persona che conosceva da sempre; la ragazza non poteva vederlo, ma anche i suoi occhi erano tornati lucidi. Quando si fu sfogata, mentre tutti gli altri tornavano a sedere o ad assumere la posizione precedente il suo arrivo, Robin alzò ancora la testa, rivolgendo a Matsuda uno sguardo profondamente intenso e ricco di disperazione.
“M-mi scusi, h-ho già…dimenticato il suo nome…”.
“Non c’è problema. Mi chiamo Taro. Taro Matsui” le rispose il giovane, cercando di sorridere.
“C-certo…io sono…sono Robin Starling, ma questo lo sa già”.
“Sì. Sono contento di conoscerla, nonostante…beh…”.
“Lo so” singhiozzò Robin, sedendosi accanto a lui.
“Ho sentito che anche lei è medico” aggiunse il poliziotto, con un piccolo sorriso.
“Oh, si riferisce alla mia scenata” disse Robin, lasciandosi scappare una risatina, in mezzo alle lacrime “S-sì…voglio dire, sono…sto facendo la specializzazione. Sono al secondo anno…io e Ruri ci siamo laureate entrambe in anticipo. Abbiamo…studiato ad Harvard…”.
“Oh…è l’università più prestigiosa di tutti gli Stati Uniti” si complimentò Matsuda, con un ulteriore sorriso stiracchiato.
“Yale e Princeton non sarebbero d’accordo” replicò Robin, con un’altra risatina.
“Non importa. Sono sicuro che è la migliore del suo campo, o comunque lo diventerà” insisté Matsuda, scuotendo il capo.
Robin non rispose, rivolgendogli soltanto un altro sorriso molto debole, lo sguardo a terra.
“Non vi hanno detto proprio niente…? Nemmeno una parola, da quando hanno cominciato…?” gli domandò poco dopo, alzando appena la testa.
“No…mi dispiace molto” rispose Matsuda, le spalle rigide “Stiamo ancora aspettando…ci hanno detto che non possiamo fare altro”.
“Non riesco a credere che stia succedendo…” ripeté Robin, sconsolata “Sono arrivata qui il prima possibile, speravo di poter avere notizie…”.
“A proposito, come ha fatto ad arrivare così presto? Credevamo che fosse a Washington…” obiettò l’agente, adesso perplesso.
Robin scosse la testa, asciugandosi frettolosamente qualche altra lacrima.
“Sono arrivata in Giappone due giorni fa. Non volevo che Ruri lo sapesse…volevo…volevo farle una sorpresa. Sapevo che non avrebbe approvato la mia decisione, ma l’università di Kyoto aveva un interessante programma di ricerca riguardo al mixoma, così…”.
“Mixoma?” ribadì Matsuda, esitante.
“È un tumore benigno che si forma sul muscolo cardiaco” spiegò brevemente Robin “Insomma, ho pensato…ho pensato che potesse essere una buona occasione, così sono partita e…pensavo di chiamarla fra un paio di giorni…oh mio Dio…”.
“Non poteva saperlo, dottoressa” la rincuorò Matsuda, circondandole le spalle con un braccio “Non si faccia venire inutili sensi di colpa, non ha responsabilità di quello che è accaduto…”.
“Se solo fossi andata subito da lei, se solo me ne fossi accorta…c-come ho potuto…” seguitò Robin, riprendendo a piangere “A-aveva detto che era solo un mal di testa…”.
Robin tornò a singhiozzare, il volto affondato nel petto di Matsuda, mentre lui non cessava per un solo istante di carezzarle la testa; a poca distanza, gli agenti rivolgevano di tanto in tanto all’amica di Ruri qualche sguardo di circostanza, per poi tornare ad attendere d’avere notizie.
Dal canto proprio, Ryuzaki era tornato a sedersi, per poi prendersi la testa fra le mani, cercando di chiudere fuori dalla sua mente il continuo pianto della ragazza, nell’illusione che il silenzio riuscisse a dargli le conferme di cui aveva bisogno.
Dopo circa altre tre ore d’attesa, un rumore di passi lungo il corridoio e il cigolio di una porta scorrevole che veniva oltrepassata fece alzare la testa a tutti loro, portandoli a balzare in piedi e a dirigersi di corsa verso colui che aveva appena provocato quei suoni.
Si trattava di un uomo sulla quarantina, dotato di una folta chioma scura e di uno sguardo gentile; indossava un lungo camice bianco, e la sua espressione era molto stanca e provata.
“Voi siete i familiari di Ruri Dakota?” domandò, rivolgendosi a tutti loro.
“Siamo i suoi colleghi” spiegò Soichiro, aggiustandosi meglio gli occhiali sul naso.
“Capisco. Non c’è nessun membro della famiglia con cui poter parlare, nessun intimo…?”.
“Sono la sua migliore amica” intervenne Robin, facendosi avanti e posizionandosi vicino a Ryuzaki, che era in prima fila “Ruri non ha più nessun parente in vita. Sono io la sua famiglia. E queste persone stanno aspettando sue notizie da otto ore. La prego, ci dica come sta”.
Il chirurgo prese un bel respiro profondo, prima di continuare.
“Sono il dottor Shibahime, il responsabile di cardiochirurgia. Signori, la signorina Dakota ha superato l’intervento”.
Quelle parole furono seguite da numerosi respiri di sollievo, e persino da qualche sorriso e da un paio di risate spensierate, ma un nuovo intervento del medico li portò a zittirsi nuovamente.
“Scusatemi, non ho terminato. Ruri ha superato l’intervento, ma…”.
“Ma…?” lo esortò a proseguire Robin, praticamente pendendo dalle sue labbra.
“Ma le sue condizioni rimangono gravissime. Durante l’operazione, ha perso molto sangue…”.
“Sangue…? Ma non capisco…c’era un’emorragia in corso?” domandò Robin, confusa.
Il dottor Shibahime sospirò nuovamente.
“L’intervento a cuore aperto a cui abbiamo dovuto sottoporla ci ha rivelato la causa dell’arresto cardiaco, o meglio…ha portato alla luce ciò che ha provocato il tentativo di rigetto cronico dell’organo da parte del suo corpo”.
L’uomo fece una breve pausa, mentre lo sguardo di Robin, insieme a quello degli altri, non accennava a staccarsi da lui.
“Ruri presenta un grave caso di coronaropatia aggravata, al terzo grado di stenosi dell’arteria coronaria sinistra…” dichiarò il dottore.
“Stenosi grave…?” sussurrò lentamente Robin, come nel tentativo d’assorbire meglio il significato di quelle parole.
“Sì…” annuì gravemente Shibahime.
“Non capisco…ma che significa?” domandò Aizawa, spostando lo sguardo dal chirurgo a Robin.
“Significa che una delle arterie principali che pompano il sangue dal muscolo cardiaco si sta occludendo…e che ben presto, l’organo non sarà più in grado di pompare tessuto sanguigno all’interno dell’organismo. Questo provocherà il cedimento degli organi interni, e…”.
“…e la morte…” completò lentamente Robin, mormorando appena.
“No, aspetti un momento!! Sta dicendo che Ruri…” iniziò Yagami, interrompendo subito la sua frase.
“Non è tutto perduto” cercò di rassicurarli il medico “Il problema è che il cuore ha subito gravi danni…per il momento, siamo riusciti a mantenerla stabile, ma i nostri macchinari arrivano fino a un certo punto. La cosa migliore…sarebbe sottoporla subito a un ritrapianto dell’organo”.
Robin crollò ancora a sedere, prendendosi la testa fra le mani.
“E come pensate di fare?!” sbottò poco dopo, la voce nuovamente rotta “Ci vogliono settimane, mesi, per poter ottenere un cuore da trapiantare! Per non parlare delle compatibilità necessarie affinché niente vada storto…”.
“In realtà, questo non costituisce un problema. Vede, dovevamo eseguire un intervento di trapianto proprio domani mattina, su un paziente che presenta condizioni cliniche molto simili a quelle di Ruri, sia per gruppo sanguigno che per età, ma…ecco, è passato a miglior vita prima che potessimo operarlo. In altre parole…c’è già disponibilità di trapianto. Potremmo operare anche domani”.
“Beh, e quindi?!” sbottò Matsuda, mentre Robin balzava di nuovo in piedi “Che cosa state aspettando?!”.
Shibahime fece un’ulteriore pausa, incerto su come proseguire.
“Dottor Shibahime…”.
“C’è la possibilità…” iniziò il medico, stringendosi appena alla cartella clinica che teneva in mano “…che Ruri non superi l’intervento. Considerando la quantità di sangue che ha perso e le condizioni del suo sistema cardiocircolatorio…ecco, dovremmo anche inserire un bypass coronarico per prevenire il riformarsi di eventuali stenosi in seguito al ritrapianto. Un’azione del genere potrebbe provare in maniera eccessiva le sue condizioni cliniche a livello cardiocircolatorio. Se le cose dovessero evolvere in questo modo, i suoi parametri vitali finirebbero per compromettersi definitivamente; a quel punto, avremmo solo un modo per salvarle la vita…”.
Prima che il medico potesse completare la frase, Robin si appoggiò alla parete, chiudendo gli occhi.
“Accanimento terapeutico” articolò, con il tono di chi sta pronunciando una condanna a morte.
“Esattamente” confermò Shibahime, annuendo in tono grave.
“Ma…ma questo vorrebbe dire che Ruri…”.
“Il coma farmacologico in cui la indurremmo diventerebbe presto coma naturale. Dovrebbe rimanere…beh, le sue funzioni vitali sarebbero amministrate da una macchina, fino a…fino a quando l’organismo non presentasse un qualche segno di reazione. Però…sono costretto a dirvi che questo avviene soltanto nel 5% dei casi”.
“E…quante sono le probabilità che incappi in una condizione del genere…?” domandò Ryuzaki, facendo volgere tutti verso di lui; era la prima volta che apriva bocca, fin da quando il dottore aveva fatto la sua comparsa.
Shibahime sospirò per l’ennesima volta, abbassando il capo.
“Il 75%. Mi dispiace molto”.
Un silenzio mortale cadde su tutti i presenti, che si scambiarono occhiate fugaci, prima di spostare lo sguardo al suolo o fuori dalle finestre; Robin tornò ad appoggiare il capo contro il petto di Matsuda, che la strinse a sé, malgrado la loro scarsa conoscenza, permettendole di riprendere silenziosamente a piangere.
“So che non è il momento più adatto, ma devo parlarvi delle possibilità del caso” proseguì Shibahime “Ho esposto la questione alla signorina Dakota…”.
“Un momento” saltò su Robin, staccandosi improvvisamente da Matsuda “Sta dicendo che è sveglia, adesso? Che è cosciente?”.
“In questo istante, è sotto sedativi, e il suo cuore è elettricamente connesso a un dispositivo esterno simile a un pace-maker, però sì…è lucida”.
“Possiamo vederla?” domandò Robin, ansiosa.
“Non per il momento, signorina. Ha subito un brutto trauma, è esausta. E deve prendere una decisione importante”.
“Una decisione importante…?” ripeté Soichiro, sbattendo le palpebre “Non capisco…”.
“Le abbiamo illustrato le possibilità relative all’intervento chirurgico che sarà costretta a subire, con particolare attenzione riguardo ai rischi che corre nel caso in cui le cose dovessero evolvere nel peggiore dei modi…” il medico fece un’altra pausa, per poi proseguire con tono sempre più grave “In quanto cittadina statunitense, la signorina Dakota ha diritto a un trattamento medico-sanitario conforme alle norme giuridiche dello Stato in cui risiede…è per questa ragione che le abbiamo sottoposto l’ipotesi di firmare il DNR”.
“CHE COSA HA FATTO?!?!” gridò Robin, avanzando fino ad essergli molto vicina “COME HA POTUTO?!?!”.
“Era mio dovere, signorina. Non sta certo a lei prendere una decisione simile. Si tratta della vita di Ruri Dakota, non della sua” le fece notare Shibahime, cercando di mantenere un contegno.
“Ma…ma lei non può…non è abbastanza lucida!!!” sbottò la rossina, scuotendo la testa “La prego, mi faccia parlare con lei, la farò ragionare, non può veramente pensare…!!”.
“Nessuno si avvicinerà a quella ragazza fin quando non avrà preso autonomamente una decisione, e l’avverto, se scopro che le ha fatto delle pressioni per farle cambiare parere, nel caso in cui questo le risultasse sgradito, le giuro che le farò causa per tentato accanimento terapeutico contrario alle volontà del testamento biologico della paziente. Immagino che a Washington questo sia un reato, dico bene?” la gelò immediatamente il chirurgo, con un’occhiata seria.
“Scusatemi…ma che cos’è esattamente il DNR?” domandò Ukita, quasi timidamente.
Il dottore lo guardò con aria provata e persino compassionevole, per poi rispondergli.
“DNR…’Do not resuscitate’. Si tratta della documentazione che i pazienti americani sono autorizzati a firmare, nel caso in cui vadano incontro a un intervento che potrebbe avere degli esiti…deludenti, per così dire. Firmare quell’autorizzazione ci obbliga…”.
“…a non proseguire l’accanimento terapeutico sul paziente” completò Robin, con la massima amarezza.
“M-ma questo…vuol dire…” balbettò Yagami.
“Vuol dire che se Ruri firma quei documenti…nel caso in cui le cose andassero nel peggiore dei modi, nel corso dell’operazione…i medici sarebbero costretti a non prendere provvedimenti superiori per tenerla in vita” seguitò Robin, passandosi una mano davanti al volto.
“Ruri…Ruri sta decidendo se vivere o morire…” mormorò Aizawa.
Senza alcun preavviso, Ryuzaki crollò a sedere sulla medesima panchina, le braccia lente lungo i fianchi e lo sguardo vuoto; osservandolo di sottecchi, Watari avrebbe giurato d’aver visto una lacrima affacciarsi a uno dei suoi occhi incavati.
“Ruri ha detto di dirvi che desidera prendersi del tempo per pensare. Ho cercato di non metterle fretta, ma sono costretto a dirvi che abbiamo i minuti contati. Dovrà decidere entro l’alba…quando avrà fatto una scelta, procederemo subito con l’operazione. Sono costernato, ma…è mio dovere suggerirvi di prepararvi comunque al peggio. Mi dispiace molto”.
Il medico girò sui tacchi e fece per allontanarsi, quando Robin lo chiamò indietro.
“Potremo vederla prima dell’intervento? La prego…solo un momento…”.
“Se lei lo desidererà, non potrò negarvelo, signorina. Mi perdoni, è solo il mio lavoro”.
Robin annuì, mentre il dottore si allontanava definitivamente.
Dal canto proprio, Ryuzaki non riusciva a smettere di pensare alle parole del chirurgo, intanto che l’immagine connessa ai ricordi che possedeva di Ruri non cessava di vorticare nella sua mente…non si era mai sentito così vuoto in tutta la sua vita. Il problema non era la solitudine. Era sempre stato solo, senza che nessuno fosse mai in grado di scalfire minimamente la corazza di ghiaccio che aveva costruito intorno a sé fin dalla morte dei suoi genitori, senza che questo rappresentasse mai un ostacolo per la sua stessa esistenza…come poteva avvertire un tale senso di soffocamento, di fronte alla sola idea che una singola persona potesse morire? Non poteva essere…dopotutto, era stato lui a tenerla lontana. Aveva acquisito quello che voleva…come poteva sentirsi sul punto di precipitare in quel modo? Possibile…che avesse ottenuto quello che voleva, ma non ciò di cui aveva bisogno?
 
When you try your best, but you don't succeed
When you get what you want, but not what you need
When you feel so tired, but you can't sleep
Stuck in reverse

 
*Come posso essere arrivato ad averne bisogno? Quando è successo? Quando…quand’è che mi sono innamorato di lei?*.
Improvvisamente, un grande senso di stanchezza cominciò a pervaderlo, quasi come se un grosso carico gli fosse appena stato scaricato sulle spalle, facendolo sentire privo d’energie e incapace di muovere un muscolo; forse il riposo avrebbe potuto rivelarsi l’unica cosa di cui aveva bisogno, ma i suoi occhi si rifiutavano di chiudersi, rimanendo inchiodati nel punto del muro di fronte a sé che aveva fissato per le precedenti otto ore.
Senza alcun preavviso, si rese conto che gli mancava già il suono della sua voce, che gli mancava poterle parlare, poterla vedere, poterla sfiorare…poterla baciare…
*Non può succedere…non può succedere adesso…non sono…non sono più in grado di affrontare una cosa del genere…* continuò a ripetere a se stesso *Non è qualcosa che posso accettare…Ruri…*.
La sua mente, così geniale, brillante, abituata a qualsiasi situazione e alla risoluzione di qualsiasi problema, si era come chiusa in se stessa, rimanendo muta e lasciandolo fra le grinfie di un cuore disperato e ormai privo d’ossigeno, che non faceva altro che invocare un unico nome. Non poteva, diamine, non poteva sopravvivere senza la sua psiche, senza il suo intelletto…si trattava di un qualcosa che non conosceva nemmeno, come avrebbe potuto confrontarsi con esso? Come avrebbe mai potuto uscirne indenne…come sarebbe mai sopravvissuto alla morte di Ruri?
“Posso sedermi?”.
Una voce femminile lo distrasse dai suoi pensieri, facendogli alzare lo sguardo; Robin gli stava sorridendo in modo incerto, gli occhi arrossati e gonfi a causa del troppo piangere.
In modo quasi impercettibile, Elle annuì, distogliendo subito gli occhi, mentre lei si accomodava vicino a lui, piegandosi a sua volta in avanti e incrociando le mani sulla sommità delle sue ginocchia; in lontananza, un orologio cominciò silenziosamente a battere le cinque del mattino.
“Sono già passate due ore…non me ne sono nemmeno accorta” sussurrò Robin, con un altro piccolo sorriso.
“Sì…” replicò Ryuzaki, quasi sussurrando.
“Lei crede…insomma…pensa che dovrei parlarle? A Ruri…” spiegò la rossina, la voce appena ansiosa “Ritiene che sarebbe giusto se io…se cercassi di convincerla a non firmare il DNR?”.
Stupito da quella domanda, Ryuzaki sembrò prendersi del tempo per rispondere, per poi cominciare a farlo in modo molto misurato.
“Credo che Ruri preferisca decidere da sola. Non vorrebbe che una scelta del genere potesse…venire in qualche modo condizionata da quello che ognuno di noi può pensare al riguardo. Ruri è…è una persona che…non metterebbe mai se stessa al primo posto. Se capisse che firmare quei documenti le arreca un dolore come quello che sta provando, immagino…che potrebbe considerare la possibilità di non farlo solo per far cessare quella sofferenza. E la sua decisione non deve e non può essere veicolata da una spinta simile”.
Robin annuì lentamente, come riflettendo su ciò che Elle aveva appena detto.
“Avete informato Elle di quello che è successo?” domandò Robin, asciugandosi una lacrima solitaria.
Ryuzaki sorrise amaramente, in modo quasi ironico.
“Sì, non appena è successo…si è mantenuto informato sulle sue condizioni. Immagino che stia ancora lavorando al caso da solo…”.
“Certo, mi rendo conto. È…è quello che vorrebbe anche Ruri…”.
“Sì…lei…vorrebbe così” annuì Ryuzaki, senza smettere di tormentarsi le lunghe dita bianche.
“Se lei e i suoi colleghi preferite tornare a casa…voglio dire, non c’è più ragione che restiate qui, posso occuparmene io…” iniziò la giovane, titubante.
“Io resto qui” la interruppe il detective, con voce ferma.
“Ma…ma potrebbero volerci ancora molte ore…”.
“Io resto qui” ripeté Ryuzaki, scosso appena da un tremito quasi impercettibile.
Robin gli riservò un’occhiata di sottecchi, come notando improvvisamente qualcosa che non aveva scorto fino a quel momento.
“Lei è Ryuzaki…non è vero?” gli chiese, portandolo a voltarsi repentinamente verso di lei.
“Ci conosciamo?” domandò il giovane, quasi sulla difensiva.
“In un certo senso, sì…” replicò Robin, passandosi una mano dietro la nuca, con un sorriso malinconico “Ruri non ha fatto che parlarmi di lei, nelle ultime settimane…e inoltre, lei è l’unica persona che non abbia mosso un muscolo nelle due ore appena trascorse, o forse persino fin da quando sono arrivata. Dubito che un altro dei suoi colleghi d’indagine avrebbe fatto altrettanto…”.
Ryuzaki rimase in silenzio, ascoltando il suono delle sirene in lontananza e cercando di concentrarsi sul ticchettio dell’orologio a muro, che scandiva il tempo in maniera inesorabile.
“Io so quello che prova…” riprese la rossina, dopo un lungo silenzio.
“No, non lo sa. Non può saperlo…” la contraddisse subito Ryuzaki, scuotendo il capo ed evitando di guardarla “Nessuno può saperlo…”.
“Lei dice? Oltre quella porta, c’è l’unica persona al mondo che significhi ancora qualcosa, per me. Pensa che questo possa andare oltre il sentimento che prova per lei?”.
“Penso solo che lei non sia in grado di capire il modo in cui mi sento in questo istante. Nemmeno io posso farlo…come può pretendere di farlo lei?”.
“Ruri è una persona il cui posto non potrebbe mai essere sostituito da alcuno, per nessuno di noi due. E questa è una cosa che trascende qualsiasi confine di logica, di spazio o di tempo. È davvero convinto che non sia in grado di capire?” insistette Robin.
“Sì” ribatté Ryuzaki, quasi a denti stretti “Ruri è…”.
Fece una lunga pausa, continuando a fissare il pavimento, mentre i penetranti occhi di Robin non si staccavano un istante dal suo viso.
“È la prima cosa che mi abbia fatto sentire vivo dopo sedici anni di morte. Lei potrebbe mai comprendere un concetto simile?”.
 
And the tears come streaming down your face
When you lose something you can't replace
When you love someone, but it goes to waste
Could it be worse?

 
Dopo un ulteriore momento di silenzio, Robin si pronunciò in un minuto sorriso malinconico.
“Potrei comprendere quello che significa per Ruri. Di questo sono sicura”.
“Ne dubito” scosse il capo Ryuzaki, rispondendo amaramente al suo sorriso.
Robin sospirò stancamente, evitando di rispondergli e accasciando il dorso contro lo schienale della panchina, chiudendo gli occhi per qualche istante. Quando infine li riaprì, tornò a rivolgere al ragazzo lo sguardo più intenso che fosse in grado di sfoggiare.
“Ruri mi ha parlato di lei” ribadì, passandosi una mano nella chioma rossiccia.
Ryuzaki sfoggiò un sorriso funesto, le spalle scosse da un tremito visibile.
“Ah sì? E che cosa le ha detto? Che sono il peggiore incidente che le sia mai capitato in tutta l’esistenza? O magari che sono incapace di mantenere un filo coerente fra il modo in cui mi comporto e quello che dico?”.
Robin lo fissò stupita, alzando appena un sopracciglio.
“A dirle la verità…Ruri ha sempre parlato di lei come di una sorta di modello. Volendo essere sincera, prima d’ora l’avevo sentita parlare in quel modo solo di Elle…”.
Prima di proseguire, la ragazza continuò a osservarlo di sottecchi, nel tentativo di cogliere la sua reazione di fronte a una frase simile, ma lui non batté ciglio, evitando di voltarsi.
“Comunque…Ruri non ha mai…non c’è mai stata un’occasione in cui io le abbia parlato durante la quale abbia mancato di raccontarmi di lei. Effettivamente, penso di conoscerla meglio delle stesse persone con cui ha indagato nelle ultime settimane…” ridacchiò infine, cercando di smorzare la tensione.
Elle non rispose, continuando a mantenere gli occhi bassi; dopo un ulteriore silenzio, Robin riaprì di nuovo bocca.
“Ruri…Ruri non aveva mai…mai parlato di nessuno nel modo in cui parlava di lei. Credo…credo che si fosse…”.
“Non lo dica” la bloccò lui, lasciandola sorpresa, quasi di stucco.
Esaminandolo con attenzione, Robin si accorse che la sua presa sulle ginocchia si era fatta ancora più salda.
“Ryuzaki…”.
“Non dica quella parola. Non voglio sentirla”.
“Ma…perché? Non capisco…” balbettò Robin.
“Non mi parli del modo in cui si sentiva nei miei confronti. Non voglio che nessuno ne parli. Glielo chiedo come un favore personale”.
“Perché? È qualcosa di cui ha paura?” domandò la ragazza, la voce appena venata di un tono accusatorio.
“È qualcosa per cui mi sento in colpa…” sussurrò Ryuzaki, provocando in lei un senso di stupore privo d’eguali.
 
Lights will guide you home
And ignite your bones
And I will try to fix you

 
“Ryuzaki…” mormorò lentamente Robin, sfiorandogli appena il braccio.
“Dottoressa Starling, per favore. Non mi costringa a chiederglielo di nuovo. Non parli di qualcosa che non sono in grado di affrontare, in questo momento. La prego”.
Tutto ad un tratto, Robin parve cominciare a comprendere il senso di dolore che gli stava invadendo il petto, come una piaga il cui dilagare era destinato a non fermarsi mai, come un incendio capace di bruciargli a fondo, fin dentro le sue ossa, come un cancro dotato della possibilità di oscurargli qualunque luce alla vista…qualunque punto di riferimento che potesse ricondurlo a casa.
“Può…” riprese il detective, dopo che Robin ebbe iniziato a rispettare il suo desiderio, facendola voltare verso di lui ancora una volta “Può parlarmi di lei…?”.
“Non capisco…” ammise Robin.
“Mi parli di Ruri. Di qualunque cosa. Non so praticamente niente della sua vita…credevo di sapere tutto quello di cui avevo bisogno, ma non è così. La prego, mi parli di…di tutto. Non ho informazioni, ho…ho bisogno di avere informazioni. Ne…ne ho davvero bisogno. Per favore”.
Dopo averlo ulteriormente esaminato per qualche istante, rendendosi conto che aveva letteralmente chiuso gli occhi, come incapace di riaprirli di nuovo, Ruri cominciò a parlargli, raccontandogli tutto quello che sapeva sulla sua migliore amica.
Così andarono avanti per circa un’altra ora; Ryuzaki mantenne gli occhi chiusi per tutto il tempo, probabilmente cercando di dare un volto ai racconti che stava udendo grazie l’aiuto della ragazza, mentre Robin non cessò per un istante di narrargli ogni minimo particolare che riguardava Ruri, dal suo colore preferito alla sua più grande paura, dalla prima volta in cui aveva letto un libro nell’arco di un’ora al primo istante in cui aveva desiderato diventare agente dell’FBI, dall’ultima violenza che aveva subito da parte del padre fino all’attimo della sua laurea ad Harvard, dal primo caso di cui si era occupata come agente fino alla prima occasione in cui aveva sentito parlare di Elle…
“Ruri diceva sempre di non sentirsi all’altezza. Cercava continuamente di ripetersi che era la migliore, che poteva farcela, ed era quello che le ripetevamo tutti…ormai, era diventata una realtà oggettiva. Ma nonostante questo, non c’era mai un’occasione in cui non finisse per mettersi comunque in dubbio…era come se tutto il suo lavoro, tutte le sue capacità, tutta la sua voglia di fare fossero legate al bisogno di dimostrare che, in qualche modo, sarebbe comunque riuscita a cavarsela. Lei era…è fatta così, ha sempre avuto il timore di perdere il controllo su tutto. Per lei, l’idea di non riuscire più a essere padrona di quello che le succedeva intorno era…inconcepibile. Credo che sia questa la ragione per cui non volesse innamorarsi in nessun modo…temeva che questo avrebbe ostacolato qualsiasi azione avesse mai potuto compiere in vita sua”.
Elle sorrise appena, con l’aria di chi sapeva perfettamente di cosa Robin stesse parlando.
“Lo sa che è strano?” gli domandò a un tratto la ragazza, portandolo miracolosamente ad aprire gli occhi.
“Che cosa?” replicò il detective, stupito.
“Ruri mi ha sempre raccontato che lei ha un modo di sedere molto bizzarro…ma da quanto ho avuto modo di vedere finora, le cose non stanno così. Mi domando come mai…”.
Ryuzaki non riuscì a non indirizzarle un sorriso pensieroso, per poi tornare a rivolgere lo sguardo a terra.
“Ruri le hai mai detto come mai mi siedo in quella maniera?” le chiese.
“No, veramente no…” constatò Robin, lentamente.
“Beh, posso solo dirle che, in questo momento, a dire la verità avrei bisogno proprio di assumere quella posizione…ma è come se non riuscissi a muovermi. È come se…tutto il mio corpo non rispondesse più al mio controllo…come se non respirassi più. È possibile…?” le domandò, volgendosi ancora verso il suo profilo e indirizzandole lo sguardo più penetrante che le avesse mai rivolto.
“Beh…” rispose Robin con cautela, dopo averci riflettuto “Lei è incredibilmente e senza alcun dubbio innamorato di Ruri. Perché questo dovrebbe sorprendermi?”.
Ryuzaki continuò a guardarla negli occhi, senza potersi rivelare in grado di rispondere a ciò che lei gli aveva appena detto, come se quelle parole gli si stessero incidendo a fuoco nell’anima, evitando di dargli qualunque possibilità di replica. Alla fine, dalle sue labbra uscì una domanda molto più semplice di qualsiasi risposta avesse mai potuto rivelarsi in grado di fornire contro quella verità inappellabile.
“Può dirmi qual è il dolce preferito di Ruri?”.
Robin lo osservò per qualche momento, non troppo sorpresa da quell’uscita.
“Torta di panna. Con le fragole” rispose infine, con un altro sorriso mesto.
Ryuzaki annuì, sorridendo a sua volta con la dolcezza e l’ingenuità di un bambino.
“Torta di panna con fragole...la migliore del mondo” pronunciò, in un sussurro accompagnato da una lacrima solitaria.
 
Tears stream down your face…
 
Un secondo successivo, la porta che tutti loro avevano fissato con insistenza per le precedenti tre ore si aprì di colpo, portandoli ad alzarsi tutti in piedi e a dirigersi di corsa verso il dottor Shibahime, che ne era appena uscito.
“Allora?!” esclamò subito Yagami, forsennato come non lo era da tempo.
Il chirurgo sospirò, intriso di profonda stanchezza, e distolse subito gli occhi, indirizzando la sua attenzione verso Robin.
“La signorina Dakota ha deciso. Eseguiremo l’intervento fra circa un’ora”.
“Ma…ma qual è stata la sua scelta?” domandò Robin, la voce rotta.
“Immagino sia meglio che glielo dica di persona” annuì il medico, con aria grave.
“Po-possiamo vederla…?” chiese la rossina, con un tremito.
“Solo per un momento, signorina. Ha bisogno di prepararsi per l’operazione. Ha detto…” aggiunse, dedicando un’occhiata di scuse agli altri membri del gruppo “…che vuole vedere solo la signorina Starling. Mi dispiace”.
“Cosa…? Ma perché…?!” tentò di protestare Matsuda, ma la mano del sovrintendente lo fermò subito, posandosi immediatamente sulla sua spalla.
“Ruri ha diritto di decidere da sola come vivere i momenti precedenti una svolta tanto importante. Le dobbiamo rispetto in questo più che in ogni altra cosa”.
“M-ma…ma almeno Ryuzaki dovrebbe…” tentò di dire ancora il ragazzo, spostando lo sguardo verso il detective, che nel frattempo aveva ripreso ad appoggiarsi contro il muro, gli occhi piantati al suolo.
“Hai sentito cos’ha detto il dottore. Soltanto la dottoressa Starling. Non si discute” disse semplicemente, tornando a sedersi.
“A-allora…allora posso…?” riprese Robin, quasi sussurrando, rivolta al medico.
“Sì” annuì Shibahime “Devo avvertirla, però…ecco, è meglio che sia preparata a quello che dovrà vedere. Ruri ha subito un intervento molto grave, è ancora sotto sedativi ed è in terapia intensiva…le sue funzioni vitali sono monitorate da una macchina, non respira autonomamente, e…”.
“Questo me lo ha già detto” lo interruppe Robin, scuotendo il capo “Anch’io sono un chirurgo, dottor Shibahime. Sono pronta. Mi porti da Ruri, la prego”.
L’uomo annuì, facendo per avviarsi lungo il corridoio posto dietro la porta che aveva appena aperto, ma prima sussurrò un’ultima cosa all’orecchio della giovane, che l’udito affilato di Ryuzaki non mancò di captare.
“Lei sapeva delle cicatrici…?” chiese il chirurgo, in modo quasi addolorato.
Robin annuì frettolosamente e gli fece cenno di proseguire; subito dopo, il suo collega eseguì, iniziando a guidarla attraverso la sala successiva. Prima di seguirlo definitivamente, Robin si voltò un’ultima volta verso Elle, dedicandogli un sorriso triste.
“Ryuzaki…” lo chiamò, il tono basso.
“Sì?” le rispose lui, sollevando di poco la testa.
“Ruri adora anche il cioccolato…”.
Quella frase lo fece sorridere, per poi condurlo ad annuire ancora una volta.
“Sì…lo adoro anch’io”.
 
And high up above or down below
When you're too in love to let it go
But if you never try you'll never know
Just what you're worth

 
Quando entrò nella stanza in cui si trovava Ruri, pochi istanti dopo, Robin dovette trattenersi dal crollare definitivamente a terra.
Lavorava in ospedale ormai da tre anni, si era abituata a stare a contatto con i pazienti e con le persone in fin di vita; uno stato del genere l’aveva condotta a pensare che sarebbe stata comunque in grado di reggere la visione che le si sarebbe prospettata di fronte, avendo avuto modo di trovarcisi a contatto dozzine di volte…ma in realtà, vedere Ruri protagonista di quel quadro le fece capire che non sarebbe mai stata in grado di accettare lo spettacolo che aveva davanti.
La sua migliore amica era distesa sul letto che dominava la stanza, quasi del tutto immobile; il suo colorito era pallido, quasi cianotico, e il suo volto era provvisto di due notevoli occhiaie, simili a quelle di Ryuzaki. Sotto il naso sottile, le era stato adagiato un respiratore connesso ai macchinari posti di fianco a lei, in grado di trasmetterle l’ossigeno di cui necessitava per continuare a respirare. Le sue braccia, costellate come di consueto di tagli e cicatrici, erano scoperte, e una di esse era provvista di una flebo; da quando l’aveva vista l’ultima volta, doveva aver perso almeno sette od otto chili, e i suoi occhi apparivano spenti, stanchi, intenti a guardare fuori dalla finestra, come persi in un mondo in cui non poteva più raggiungerla.
Quando l’ebbe udita entrare con circospezione, Ruri voltò appena il capo, rivolgendole un sorriso debole e intriso di stanca consapevolezza.
“Ciao, Robin. Non pensavo che saresti arrivata così presto”.
Incapace di muovere un passo, Robin continuò a fissarla dalla soglia, la porta appena chiusa dietro di sé, le braccia incrociate lievemente, come nel tentativo di schermarsi da un freddo irrazionale che le stava invadendo le ossa, malgrado la stanza ben riscaldata.
Ruri continuò a sorriderle, aspettando che dicesse qualcosa, ma Robin non dava segno d’essere in grado di muovere un muscolo, tantomeno di proferire parola in qualche modo.
“Non dici niente?” le si rivolse ancora dopo un breve silenzio, pronunciandosi in un altro sorriso che, a causa di una fitta di dolore, risultò più simile a una smorfia “Ho un aspetto così orribile da lasciarti ammutolita?”.
Senza nemmeno rendersene conto del tutto, Robin scorse infine la nuova cicatrice, perfettamente incisa sulla sua pelle e del tutto recente, che le tagliava il petto in due in modo molto più evidente rispetto a quella che l’aveva preceduta.
“Ah, questa…” commentò Ruri, notando la direzione del suo sguardo “Sì, è…piuttosto inquietante, non è vero? Immagino che dovrei ancora farci l’abitudine, ma presto se ne formerà un’altra ancora più grande, quindi…”.
“Hai firmato il DNR, non è vero?” le domandò a un tratto Robin, interrompendola di botto.
Ruri sospirò con mestizia, indirizzandole un altro sorriso.
“Ha importanza?” replicò, scuotendo appena il capo.
“Sì che ne ha. Ha importanza per me” ribatté Robin, avanzando di qualche passo.
“Perché? Perché hai bisogno di sapere se il mio futuro sarà la morte o un letto d’ospedale in cui sarò relegata come un vegetale?” le domandò, senza alzare la voce.
“Perché ho bisogno di sapere se potrà mai esserci una possibilità che io ti riveda viva, dopo oggi!!” sbottò Robin, di nuovo vicina alle lacrime.
“Mi rivedrai viva se l’intervento andrà per il meglio. Se così non dovesse essere…”.
“Se così non dovesse essere, avresti ancora qualche possibilità di salvarti, nonostante le misure che sarebbero costretti a prendere per…”.
“Sì. Il 5%. Me lo hanno detto. Tu sei un medico, Robin, e io una sorta di psichiatra. Nessuna di noi dovrebbe ancora credere alle favole, non ti pare?”.
“Tu…tu non…”.
“So che per te è rilevante saperlo. Ho firmato il DNR circa quindici minuti fa: ho preso la mia decisione, Robin. Non tornerò indietro”.
La ragazza rimase immobile, appena scossa da qualche tremito solitario, le braccia ancora conserte e lo sguardo relegato sul pavimento, incapace nuovamente di parlare.
“Perché?” riuscì a dirle infine, alzando appena gli occhi.
“Robin…”.
“No, dico davvero: perché? Hai deciso che è questo quello che vuoi? Hai deciso che preferiresti morire, piuttosto che darti un’altra possibilità?” insistette ancora, alzando sempre di più la voce.
“Dobbiamo per forza parlare di questo? Non c’è molto tempo…” le fece notare Ruri.
“Ah, non vuoi parlare di questo? Davvero non vuoi parlarne? E va bene! Magari preferisci discutere di qualcos’altro…vediamo, potremmo cominciare dal fatto che hai appena rischiato di dover subire un rigetto cronico, o che fra poche ore subirai un altro intervento che potrebbe seriamente compromettere le tue funzioni vitali, oppure potremmo persino ritrovarci a parlare di tutte le stronzate che non hai fatto che raccontarmi negli ultimi giorni!!!!!” gridò Robin, dando infine sfogo alle lacrime.
“Robin, non dire così…” la pregò Ruri, stancamente.
“ ‘Non dire così’?!? È tutto ciò che hai da dire, adesso?!?!”.
“Robin…”.
“No, Ruri!!! Tu mi hai mentito!!!!” urlò Robin, senza che il suo pianto trovasse fine.
“Non è come pensi…” cercò di dirle la ragazza, scuotendo la testa.
“Invece sì!!! Mi avevi detto che stavi bene, e tu non stai bene!!!” esclamò Robin, continuando a singhiozzare.
“Non era importante che tu lo sapessi…” mormorò Ruri, mentre una lacrima silenziosa scorreva anche a lei lungo il volto.
“Non era importante dirmi che stavi per morire?!?!”.
“Non avresti cambiato niente. Perché dirti qualcosa che ti avrebbe fatto semplicemente sentire impotente? È la peggior sensazione che si possa provare…ti prego, cerca di comprendere…”.
“No, la peggior sensazione è sapere che…che dopo che sarai entrata in quella sala operatoria, io non ti vedrò mai più, e che questa sarà una cosa che non potrà mai cambiare!!!” sbottò ancora Robin, per poi lasciarsi andare definitivamente al pianto.
Ruri la osservò silenziosamente, per poi sollevare appena una mano nella sua direzione, facendole cenno d’avvicinarsi; dandosi una spinta che la costringesse a muoversi, Robin si accostò a lei, fino a giungere abbastanza vicino da poterla toccare, pur essendosi appena seduta.
“Ascoltami…Robin, calmati. Ascoltami” la pregò, con maggiore veemenza, facendole alzare gli occhi arrossati, una mano ormai stretta alla sua “Lo so che per te non è facile…lo so che non potrà mai esserlo e che probabilmente non sarai mai in grado di capirmi. Non è una cosa che posso pretendere da te, e non è quello che farò. L’unica cosa che ti chiedo, adesso, è di ascoltare…”.
“T-ti ascolterò…” promise Robin, abbassando il capo sul dorso della sua mano, in attesa.
Ruri le accarezzò lentamente la guancia, portandola ad alzare ancora il capo, e guardandola intensamente negli occhi.
“Se adesso guardo di fronte a me, tutto ciò che vedo è un grande, indefinito ammasso di nebbia, senza una fine, senza un limite…senza un senso. Fin da quando ero bambina, tutta la mia vita è stata una continua lotta per sopravvivere…contro mio padre, contro la mia malattia, contro un cuore che non mi apparteneva e che sembrava fare di tutto pur di sfuggire al mio controllo…adesso ho la possibilità di ottenere qualcosa di migliore, ma…nella lotta per vincere, rischio di perdere anche quel poco che ho guadagnato. Non posso vivere così…è per questo motivo che ho firmato il DNR. Se qualcosa dovesse andare storto durante l’intervento, non voglio che vengano prese misure straordinarie per tenermi in vita, non è…” ribadì con enfasi, stringendole ancora più forte la mano “…quello che voglio. C’è stato un tempo in cui ho pensato che morire fosse la cosa peggiore del mondo, e quando…quando Daniel mi disse che avrebbe affrontato mio padre…quel giorno lo pregai di non andare, perché sapevo che non sarebbe tornato vivo. Lui si voltò, mi sorrise e mi disse che non poteva più vivere con un peso del genere addosso. Che non poteva più continuare a esistere, senza aver tentato in modo definitivo di riprendersi la dignità che gli spettava come essere umano e come fratello. Non riuscivo a comprendere le sue parole…oggi posso dirti che so come ti senti, perché quando l’ho guardato andarsene sapevo che non sarebbe mai più tornato. Quel giorno sono impazzita, perché non capivo…non capivo. Ma ora capisco, e voglio che anche tu capisca. Devi capire. Non voglio che sprechi la vita ad aspettare che ritorni da un luogo da cui non potrò più raggiungerti. Non voglio che tu impazzisca. Voglio che diventi un grande medico, e che tu faccia una brillante carriera, e spero di poter essere qui per vederti, ma se così non fosse…voglio solo poter andare avanti. E ho bisogno che tu sia abbastanza coraggiosa per lasciarmelo fare, perché…qualsiasi cosa io possa trovare dall’altra parte, di sicuro non sarà mai peggiore di quello che mi aspetta se dovessi diventare incapace di muovermi, di parlare, di respirare senza il necessario sostegno di una macchina. Ma non posso realizzare un desiderio simile…senza il tuo aiuto. Quando arriverà il momento, non sarò più in grado di esprimere autonomamente la mia volontà, e se qualcuno dovesse opporsi alla decisione che ho preso in precedenza, questo significherebbe che le mie condizioni rimarrebbero invariate fino a tempo indeterminato. Perciò, ti prego, Robin, ti prego…” concluse, stringendole ancora più forte la mano “Se dovesse arrivare…l’ora…tu lasciami andare”.
“Ruri…” mormorò appena Robin, asciugandole qualche lacrima che le era appena scivolata dagli occhi.
“Io starò bene. Starò bene, e starai bene anche tu…e qualunque cosa accada, io sarò orgogliosa di te. Comunque vadano le cose, noi due resteremo insieme. Perché anche se in quella sala operatoria dovessi addormentarmi per non svegliarmi mai più…non ci sarà mai un momento, in tutta la tua vita, in cui non mi avrai accanto a te”.
 
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Incapace di trattenersi ulteriormente, Robin dette ancora libero sfogo al pianto, appoggiando il capo contro la superficie del materasso, il volto affondato sulla mano di Ruri, che continuò a carezzarle la testa con l’altra, sorridendole con dolcezza e lasciando che qualche altra lacrima bagnasse il capo della sua amica.
“Ruri…” riuscì a dirle infine, sollevandosi appena e guardandola negli occhi “Ryuzaki è…”.
“Non dire niente” la interruppe Ruri, con tono delicato “Solo…promettimi che…se le cose dovessero andare male…solo se le cose dovessero andare male…digli che mi dispiace. Tanto”.
 
In quello stesso istante, a qualche metro di distanza, Watari si sedette nuovamente di fianco a Ryuzaki, assumendo la sua stessa posizione, le braccia penzolanti in avanti, subito sopra le gambe; il ragazzo gli lanciò un breve sguardo, per poi riprendere a fissare il pavimento, accorgendosi a malapena che il corridoio si era appena fatto deserto, privo per qualche momento della presenza dei loro colleghi d’indagine.
Dopo un lungo silenzio interrotto soltanto dalla voce di qualche medico in lontananza e dal suono delle sirene delle ambulanze in arrivo e in partenza, Watari sorrise leggermente, il volto segnato da rughe di vecchiaia e di stanchezza, molto più evidenti rispetto al solito.
“Somiglia a lei…” mormorò, come rivolto più a se stesso che non al suo protetto.
“Cosa?” replicò Ryuzaki, la voce a sua volta bassa.
“Somiglia a Christine…Ruri, credo…credo che somigli a Christine. Sai, l’ho vista, qualche tempo fa…era sul notiziario della BBC. È diventata…una giornalista di successo. Ha la stessa grinta combattiva di sua madre. Ho la netta sensazione che Ruri le somigli molto…”.
Incapace di replicare, Elle rimase in silenzio, dando l’impressione di riflettere su quello che Watari aveva appena detto; era la prima volta che parlavano di sua figlia, e di certo quella situazione non poteva non apparirgli bizzarra.
“Tu lo sapevi, non è vero?” gli domandò poco dopo, portandolo a guardarlo negli occhi “Della mia famiglia…”.
“Sì…” annuì lentamente Ryuzaki, successivamente ad un’altra pausa “Lo sapevo…”.
“Non ne hai mai fatto cenno…come lo hai scoperto?”.
Ryuzaki si strinse nelle spalle.
“Ho solo raccolto qualche informazione. È l’unica cosa che so fare davvero bene”.
“Questo non è vero, Ryuzaki. Dovresti saperlo meglio di chiunque altro”.
“Già, hai ragione. Sono il migliore, giusto? Io gioco a tennis, piloto gli elicotteri, progetto palazzi, do ordini all’Interpol e all’FBI…io arresto criminali e serial killer. Amministro la giustizia…pratico massaggi cardiaci…”.
Di fronte a quell’ultima uscita, Watari si volse completamente verso di lui, vedendolo passarsi una mano di fronte al campo visivo; prima che il suo interlocutore potesse aggiungere altro, il vecchio gli posò una mano sul braccio candido, facendogli alzare gli occhi.
“Ruri ce la farà. Può farcela, e ce la farà. Non si arrenderà, ne sono sicuro”.
“Davvero? Io no…” ammise Ryuzaki, arcuando appena la schiena.
“Non hai fiducia in lei?” domandò Watari, con una punta di risentimento.
“Non è questo il punto…” sussurrò Elle.
“E qual è il punto?”.
“Non…io non…”.
“Tu che cosa?”.
“Non le ho dato nessun motivo per evitare d’arrendersi. Adesso capisci?”.
Quelle parole lasciarono il suo mentore stordito per qualche istante, ma non gli impedirono di proseguire, dotato di una nuova risoluzione.
“Tu la ami, vero?”.
Elle gli lanciò uno sguardo indagatore, senza però riuscire a impedirsi di sorridere leggermente.
“E immagino che tu sappia tutto, sull’argomento…” constatò, scrollando le spalle.
“Diciamo quanto basta. E comunque, non stai rispondendo alla mia domanda”.
“Watari…non è così semplice come può sembrarti”.
“Forse lo è persino di più” affermò il suo più fido collaboratore, posandogli una pacca paterna sulla schiena “So come ti senti, Ryuzaki…”.
“Tu dici? Io non credo…”.
“Ne sei convinto? Quando ho dovuto lasciare la mia famiglia, avevo poco più della tua età. Ero completamente immerso nella mia carriera, avevo da poco fondato la Wammy’s House, ero pronto per affrontare il mondo…avevo tutta la vita davanti a me. Ma tutto ciò a cui riuscivo a pensare era che non l’avrei vissuta con accanto la donna che amavo e la figlia che tanto avevo atteso, e che ero già costretto ad abbandonare…come credi che possa sentirsi un uomo, quando sa che sta perdendo la cosa che gli permette di respirare? Rispondimi se puoi, Ryuzaki…”.
Il ragazzo sospirò, passandosi una mano dietro la nuca e chiudendo per poco gli occhi; infine, lo guardò nuovamente, lo sguardo intriso di un misto di determinazione e di profonda tristezza.
“Non ho mai voluto niente, in vita mia…perché non volevo perdere nuovamente ciò che mi stava a cuore. Sono una persona…sono infantile, Watari. Non riesco ad accettare che le cose non vadano come voglio”.
“Nessuno ci riesce quasi mai” cercò di consolarlo Watari, con un altro sorriso.
“No, è che…proprio non posso. Non riesco a muovermi. Non riesco a pensare, non riesco a mangiare, non riesco a…a respirare. Non posso…non posso neanche riflettere, sto…non sono abituato ad avere la mente così vuota, mi sento sempre come se fossi sul punto d’impazzire. Cristo, lei non…non ha nemmeno voluto vedermi…”.
“Lei voleva soltanto che evitassi di vederla nelle condizioni in cui si trova attualmente…è solo orgoglio, Ryuzaki. Dovresti saperne qualcosa”.
“Credi che io sia orgoglioso?” chiese il giovane, alzando un sopracciglio, il viso perplesso.
“Diciamo un ‘ni’” gli strizzò l’occhio Watari, per poi assumere di nuovo un’espressione seria “Ryuzaki, ascolta quello che ti dico: sono stato un uomo dedito alla razionalità per tutta la vita. Non ho mai creduto in niente che non fosse la mia logica o le mie capacità intellettive, fin da quando sono venuto al mondo. Nella creazione di quei numerosi orfanotrofi, o delle mie invenzioni, mi sono sempre dedicato alla ricerca del genio in forma pura e completa…e quando infine l’ho trovato in te, ho pensato che la mia opera fosse completa, ma…oggi, guardando quello che sei e quello che nascondi dentro di te…mi chiedo se il mio non sia stato un grande errore”.
“Che cosa vuoi dire?” domandò Elle, stranito.
“Per te avrei dovuto essere qualcosa di più che un semplice mentore. Avrei dovuto comportarmi come un padre che ti insegnasse qualcos’altro, oltre che a come adoperare il tuo straordinario cervello…forse non ne sono stato in grado. Perdonami. Ma oggi, vederti qui e sentirti parlare in questo modo…mi fa comprendere che tu hai un’occasione in più rispetto a me, e che non puoi permettere che vada sprecata. Quella ragazza ti sta dando l’opportunità di vivere…non lasciare che questa cosa scivoli via senza averla vissuta fino in fondo. Per te non è troppo tardi, ragazzo. La vita è troppo lunga o troppo breve per trascorrerla nel modo in cui stai facendo tu…e nel modo in cui ho fatto io. Non commettere il mio stesso errore. Non finire come me”.
 
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And I...

 
Prima che Elle potesse replicare, la figura di Robin comparve improvvisamente, seguita a ruota da quelle del sovrintendente Yagami, di Matsuda, Aizawa, Mogi e Ukita, che nel frattempo erano tornati nel corridoio. Watari e Ryuzaki balzarono in piedi, dirigendosi velocemente verso di lei, subito imitati dagli altri; prima che potessero raggiungerla, la ragazza appoggiò la schiena contro il muro, chiudendo gli occhi e sospirando pesantemente. Solo allora, tutti loro poterono accorgersi che il suo volto era rigato dalle lacrime.
“Robin…”.
“Ruri ha firmato il DNR. L’intervento inizierà fra quindici minuti”.
Poche parole, semplici, efficaci. In grado di farlo crollare per l’ennesima volta. Non seppe per quanto altro tempo fosse rimasto in piedi, ad attendere che qualcos’altro avvenisse, che qualcuno gli desse una spinta per staccarsi dalla sua posizione e per riprendere a muoversi. In seguito, si rese conto che questo poté avvenire solamente quando udì le porte di una sala adiacente aprirsi di colpo, e le ruote di un carrello ospedaliero iniziare a muoversi nel silenzio del policlinico, dirette verso un luogo ignoto e dove non avrebbe mai potuto avere accesso.
Volgendo appena il capo, la vide.
I lunghi capelli neri nascosti sotto una cuffietta verde ospedaliera, il respiratore artificiale che le inalava ossigeno posto subito sotto il naso, le braccia costellate di tagli ancora dotate delle flebo necessarie, lo sguardo spento, ma stranamente sereno.
Si accorse appena che Matsuda aveva fatto un passo in avanti per dirigersi verso di lei, ma che il sovrintendente lo aveva fermato, lanciandogli un’occhiata d’avvertimento; tuttavia, quando lui stesso mosse qualche passo nella sua direzione, nessuno diede cenno di volerlo bloccare.
Spostandosi come un automa, senza nemmeno rendersi pienamente conto di ciò che stava facendo, Elle finì per affiancarla, lo sguardo vuoto perso nei suoi occhi, che non mancarono d’incrociare presto quelli di lui.
Infine, la udì pronunciare qualche parola diretta all’infermiere, ma era come se la sua voce gli giungesse da un posto molto lontano, da cui non riusciva a distinguerne il significato.
Il carrello si fermò d’un tratto, lasciando che i loro sguardi continuassero a specchiarsi l’uno nell’altro, incapaci di arrestare quel confronto così intenso e ricco di parole non dette.
Spinto da una forza invisibile e sconosciuta, Elle avvertì d’un tratto uno slancio improvviso, che lo portò a stringerle la mano, incrociando prontamente le dita con le sue.
Ruri gli sorrise dolcemente, il capo posato con delicatezza sul cuscino.
“Cosa diresti, se pensassi che è l’ultima volta che parleremo…?”.
“Non è l’ultima volta” disse con decisione Elle, scuotendo il capo.
“E se pensassi che lo fosse?”.
“Non voglio che tu lo pensi. Non…ci sono ancora molte cose che dobbiamo fare. Tu non sei il tipo che molla. Non ti arrendi. Tu…tu non puoi. Non puoi mollare…”.
“Non posso mollare il caso…?”.
“Non puoi mollare me”.
Ruri s’interruppe per un istante, per poi sorridergli di nuovo.
“Perché…….?”.
Elle le carezzò distrattamente il volto con l’altra mano, incapace di piangere, nonostante tutto.
“Perché non puoi dire addio. Non…non ti permetto di farlo”.
“Signorina Dakota, dobbiamo andare” li interruppe l’anestesista, con tono di circostanza.
“È il momento” disse infine Ruri, sorridendogli per l’ultima volta “Sconfiggi Kira. Devi promettermelo”.
“Lo vedrai con i tuoi occhi…”.
“Ryuzaki. Promettimelo. Promettimi che non morirai almeno finché non ce l’avrai fatta”.
“Solo se mi giurerai che non permetterai che…solo se anche tu mi prometterai che farai lo stesso”.
“Non c’è più tempo…”.
“Andiamo” disse nel frattempo uno degli infermieri al suo collega, riprendendo a spingere il carrello.
Prima che potessero muoversi, Ryuzaki li bloccò con presa ferrea, stringendole di nuovo la mano.
“Qualunque cosa accada, tu…non lasciare. Ti prego, non lasciare…”.
“Cosa?” domandò Ruri, ormai non troppo lontana dal suo volto “Che cosa non devo lasciare?”.
Ryuzaki la guardò per l’ultima volta, mentre le loro dita si separavano lentamente, dopo essersi scambiate la stretta definitiva.
“…la presa. Non lasciare la presa”.
 
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And I...

 
Le ore successive furono le più lente della sua vita. Ruri entrò in sala operatoria poco dopo le sei del mattino, ma il giorno, per un triste scherzo del destino, sembrava non aver voluto prendere il posto della notte, nascondendo il sole ai loro occhi sotto scure coltri di pioggia temporalesca, che non fecero che abbattersi sulle loro teste per tutto il giorno. Mentre ognuno cercava conforto nel modo che già conosceva o che ancora non aveva sperimentato, Ryuzaki non tornò a sedersi al suo posto abituale, ma cominciò a passeggiare all’esterno, alternando momenti in cui si esponeva alla pioggia ad altri in cui si riparava sotto le malferme piattaforme del tetto, come nel tentativo di scacciare il freddo brutale che gli stava entrando nelle ossa, sempre più in profondità man mano che i minuti passavano. Fu circa dodici ore dopo, quando il sole iniziò a tramontare sotto l’orizzonte, ancora nascosto alla sua vista, che una strana sensazione lo colpì al cuore, facendogli alzare gli occhi e portandolo a tornare di nuovo sotto l’acqua, per poi aggrapparsi al balcone con entrambe le mani, domandandosi per quale motivo ancora non fosse saltato di sotto…possibile che fosse solo la sua immaginazione? Possibile che stesse davvero accadendo qualcosa…?
 
“LA PRESSIONE STA SCENDENDO!!! NON CONTROLLIAMO L’ARITMIA, CI SERVE UN’ALTRA DOSE!!!”.
“MERDA, EMORRAGIA IN CORSO!!! EMORRAGIA IN CORSO, CODICE ROSSO!!!”.
“BRADIPNEA, IL LIVELLO DI GLOBULI ROSSI SI STA RIDUCENDO, PRESSIONE MASSIMA A 60!!!”.
“FORZA CON QUELLO ZERO NEGATIVO!!! PARAMETRI VITALI?!?!”.
“COMPROMESSI, DOTTORE!!!”.
“LA STIAMO PERDENDO!!!”.
“Avanti, forza, forza!!! Non ti arrendere, maledizione, non ti arrendere!!!”.
 
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Perché tutto doveva essere così confuso? Nebbia, luce, altra nebbia…che stava succedendo? Eppure, quel senso di pace…come se si fosse ritrovata a un punto di svolta…sì, forse stavolta tutto sarebbe andato per il meglio. Forse era semplicemente arrivata a casa. Forse ora sarebbe stata bene, nonostante il passato, nonostante le cicatrici. Ora, sarebbe stato tutto facile…ora…sarebbe stata felice.
 
“ANCORA UN’ALTRA DOSE!!!”.
“L’ELETTROCARDIOGRAMMA STA PER ANDARE IN ROSSO!!!!”.
“RIATTIVARE LA FUNZIONE CARDIACA, VELOCI!!! CI RIMANGONO POCHI SECONDI!!!”.
“Ehi, Ruri, forza!!! FORZA!!! Non arrenderti adesso!!! Combatti, combatti!!!”.
 
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Camminare non era mai stato così facile, così semplice, così naturale. Come poteva sentirsi così leggera e priva di peso corporeo? E tutta quella luce, da dove veniva? Ma possibile che fosse sola? Tutta sola, in un posto del genere…e come ci era arrivata? Dov’erano tutti gli altri? Possibile che avvertisse ancora un senso d’inquietudine, all’altezza del cuore?
“Ruri…”.
Udire quella voce la fece voltare di scatto. Daniel era di fronte a lei, e le sorrideva come se non fosse passato che un secondo dall’ultima volta in cui si erano visti. Lentamente, lo vide sollevare una mano nella sua direzione, aspettando che lei la prendesse. Alle sue spalle, una luce accecante…
“Sei a casa. Adesso sei a casa” le disse, continuando a sorriderle.
Ruri lo ricambiò, incapace di salutarlo come avrebbe voluto, la voce corrotta dall’emozione…sì, forse era a casa davvero…
 
“ANCORA!!! PROVATE ANCORA!!!”.
“Dottore, se ne sta andando…”.
“C’È ANCORA TEMPO!!! FORZA CON QUEL DEFIBRILLATORE, ANCORA!!!! LIBERA!!!!”.
“Elettrocardiogramma piatto…”.
“NO!!! MALEDIZIONE, NON SMETTERE DI LOTTARE!!! COMBATTI, FORZA!!!”.
“Non c’è più, dottore…”.
 
Eppure…perché quella strana emozione non smetteva di assillarla? Perché aveva l’impressione che qualcosa non andasse? Una morsa improvvisa al petto la portò a volgersi appena indietro, verso la nebbia da cui era appena uscita…voltandosi di nuovo, vide che Daniel aveva di poco piegato il suo sorriso, come indeciso su come reagire di fronte a ciò che stava vedendo.
Lentamente, l’osservò abbassare la mano, in attesa che lei facesse una mossa.
 
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“Non c’è più niente che possiamo fare…”.
 
And ignite your bones…
 
C’era ancora una possibilità…?
 
“Ora del decesso…18:42…”.
 
Quale avrebbe dovuto essere la sua scelta…?
 
And I will try…to fix you…
 
Continua…
 
Nota dell’Autrice: MUAHAHAHAHAHAHAHAHAAHHAH L’HO FINITOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO!!!!!!!!!! Eheheeheheheh, che ne pensate?! Bene, considerando che dopo l’ultimo capitolo avevate intenzione di uccidermi, immagino dopo questo…ehm…AIUTOOO!!!! *Indossa l’armatura e corre a rifugiarsi in Finlandia*. Beh, lo so che non è un granché come sempre, ma che vi posso dire, scritto di slancio come al solito!! A proposito, scusate se in questo le ripetizioni o gli strafalcioni saranno più evidenti del solito, ma purtroppo stavolta non ho DAVVERO tempo di rileggerlo come Dio comanda, anche se ho fatto del mio meglio!! Dico solo che speravo di poterlo postare ieri sera, ma niente, e mi ritrovo a farlo ora, dopo che, indovinate un po’, sono appena tornata da Firenze senza aver dato il mio cazzo d’esame, ieiiiii!! E certo, tornare domani, perché i signori professori oggi non avevano voglia di farne più di un tot, capito…perché noi siam qui a perdere tempo, vero…gente, guardate, io non ho parole -.-‘’’ Coooomunque, spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, malgrado stavolta abbia definitivamente ucciso il personaggio di Ryuzaki, vi prego, perdonatemi per questo scempio!! Spero che la sua visione in questi termini non vi sia comunque dispiaciuta :D E scusatemi di nuovo per aver lasciato da parte la questione ‘Death Note’ in questi due capitoli, prometto che rimedierò :D Bene, comunque tutto sommato direi che non vi ho fatto aspettare poi molto, solo una settimana ^^ Come avrete notato, questo chappy era pieno zeppo di terminologia medica…non sapendo quasi niente sull’argomento, ho cercato di documentarmi il più possibile su Internet, spero di non aver scritto delle cazzate, nel caso fatemelo sapere, sicuramente qualcuno molto più esperto di me sgranerà gli occhi leggendo ‘sta roba, ma giuro che ho fatto del mio meglio XD Dunque, dunque…che altro dire? La nostra Ruri sarà viva o sarà morta?? Maaaaah XDXD Non uccidetemi!!! La canzone di questo capitolo era ‘Fix you’ dei Coldplay, che ve ne pare? Ulteriore appunto: gli accaniti fan (come la sottoscritta) di Grey’s Anatomy si saranno accorti della cosa, ma comunque la preciso: la scena del dialogo fra Ruri e Robin è in parte ispirata a quella del colloquio fra Izzie e Alex della 23° puntata della quinta stagione…riguardo alla scena finale, anche lì ho un po’ pensato al finale di stagione della quinta serie di Grey’s (episodio 24), ma direi che a quell’episodio devo un po’ meno come ispirazione…in ogni caso, mi sembrava corretto precisare :D Per non parlare della scena iniziale dell’arrivo in ospedale…ahahahah se non fossi una drogata di telefilm medici, dubito che sarei mai stata in grado di scriverla, documentazione su Internet o meno! XD Bene bene, adesso passiamo ai ringraziamenti!! Grazie MILLE a Zakurio, noramckey, Annabeth_Ravenclaw, Pinkamena Diane Pie, gloomy_soul e a PotterHeart_394 per aver recensito il capitolo 13, grazie a tutti coloro che lo hanno sempre fatto e che spero continueranno a farlo, grazie di nuovo a PotterHeart_394 per aver inserito la storia fra le preferite e le seguite, e un altro grazie a hatake_kakashi per aver a sua volta inserito la storia fra le seguite, spero che commenterai anche tu, ci terrei tanto a conoscere un tuo parere!!! :D Bene benissimo, spero di non aver dimenticato niente e prometto che tornerò il prima possibile con il 15 capitolo!!! Grazie a tutti voi per l’immenso affetto e il sostegno, siete INCREDIBILI!!!! A prestoooooo!!! Baci baci, la vostra Victoria
   
 
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