Disclaimer: I personaggi descritti non mi appartengono, questa è una storia di fantasia, l’autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende violare alcun copyright.

Melodia di una stanza abbandonata

Tre e un quarto del mattino.
Solo.

Il soggiorno è vuoto, silenzioso, tutta la casa lo è. Guardo le poltrone (vuote anch’esse) e la finestra che le illumina di tanto in tanto con squarci di luci notturne da fuori, dai lampioni e le automobili che non si spengono mai.

John si sposa tra pochi giorni, Sherlock. Sarà sempre così, da adesso: vuoto.

Metto lo spartito in posizione davanti alla finestra, appoggio il violino sotto il mento.
Melodia complessa, capacità richieste: precisione e padronanza dei tempi.
Archetto pronto, memorizzo lo spartito e chiudo gli occhi.

Riproduco.

Dita ferme, corde tese, la musica risponde bene; valutazione dell’esecuzione: perfetta.

Mi volto di nuovo verso le poltrone, mi avvicino alla sua e la sfioro con le dita di una mano, il violino nell’altra e il braccio abbandonato lungo il fianco.

John sedeva qui di fronte a me... ora no, si sposerà tra pochi giorni.

Lui ha incubi ogni notte e io non dormo quasi mai.
Siamo perfetti.

No, lo eravate. Lui si sposa, Sherlock, lei saprà che non dorme, saprà cosa fare.

Scosto la vestaglia, siedo sulla sua poltrona e incrocio le gambe davanti.
Posizione inappropriata, spartito assente, previsione di esecuzione: imprecisa.
Poggio di nuovo il violino sotto il mento, archetto pronto, occhi chiusi.

Compongo.

John mi ascolta come nessuno. Orecchio, mente, cuore.

Melodia confusa, in cerca dell’accordo che non trovo, ritmo cardiaco irregolare. Non funziona, nuova previsione di esecuzione: completamente sbagliata. Suggerimenti: allineare battito a melodia.

Quando ero deconcentrato aprivo gli occhi e vedevo John. Lo osservavo: lui li teneva chiusi e il capo abbandonato sullo schienale; dormiva? Improbabile.

Anche lui li apriva quando ero io ad averli chiusi? Mi guardava?

Suono per me e per lui, che non è qui con me, ma in un certo senso c’è, c’è sempre.

Sono stato solo così tanto... così tanto.
Poi è arrivato John.
Ora lui si sposa e nulla sarà come prima, mai più.

Leggero tremolio delle dita; la melodia in qualche modo funziona, risponde, ma non a me, non alla mente, non è come l’avevo prevista, è alterata. Valutazione finale dell’esecuzione: insicura, emotiva.

John dormiva, quando io finivo.
Lei saprà farlo? O lui si alzerà ancora di notte e non riuscirà più a riaddormentarsi?
Verrà da me?

No! Andrà da lei, Sherlock, da lei.

Chiudo gli occhi, regolo la respirazione e suono ancora, ancora, finché capirò perché lo sto facendo.

Ha scelto lei, Sherlock.

La melodia sarà il mio regalo per John, la suonerò al suo matrimonio.

Lui ascolterà come ha sempre fatto? Capirà cosa dice? E se la capisse, cosa cambierebbe?

Ha scelto lei.

Mi rialzo e appoggio il violino a terra, sotto alla finestra. Fuori un lampione funziona ad intermittenza: pochi secondi di luce e tanto, troppo buio; un po’ come in quella stanza del mio palazzo mentale, dove non oso riparare l’interruttore, dove non parlo, non penso, dove suono, suono e basta.

Quattro del mattino.

Capirai cosa voglio dirti, John? Non voglio più stare solo.

Fine.