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Autore: MireaAzul    27/02/2014    3 recensioni
13 Settembre 2013: un'intelligentissima ragazza di nome Penelope si trasferisce a Pasadena, per poter lavorare alla teoria delle stringhe presso il California Institute of Technology. Ma cosa succederebbe se il trasferimento la portasse a vivere di fianco ai quattro uomini più sexy che abbia mai conosciuto?
PARALLEL UNIVERSE dove Penny è la nerd, mentre Sheldon, Leonard, Howard e Rajesh i bellocci di turno! Cosa ne salterà fuori?
Genere: Comico, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buongiorno, mondo di EFP! Finalmente riesco ad aggiornare. All’inizio mi ero prestabilita di aggiornare ogni 5 giorni, ma la mancanza di tempo e ispirazione me l’hanno impedito. Quindi, eccomi qua! Apro il Terzo capitolo dicendovi solo una cosa: questo è un capitolo un po’ più lungo dei precedenti, e ciò è giustificato dal fatto che entrerà in scena un nuovo personaggio! Lo so lo so, forse è presto, dopotutto è solo il terzo capitolo, ma non potete immaginare quanto mi stia piacendo l’evoluzione della storia e non vedevo l’ora di mettere questa persona! Spero di avervi incuriosito e... come al solito, buona lettura! :)






Il sabato sera e tutta la giornata di domenica furono passate sui libri. Il trasloco, la sistemazione della casa e la conoscenza di un certo gruppo di uomini, distrassero così tanto Penny da farle dimenticare che quel lunedì avrebbe preso a lavorare, e doveva innanzitutto farsi un ripasso, e poi preparare i materiali su cui dedicarsi.
« 16 Settembre 2013, mi accingo a lasciare la mia nuova abitazione per recarmi al primo giorno di lavoro. L’ansia inizia a farsi sentire, e come sempre è seguita dall’accelerazione del battito cardiaco e con conseguente sudorazione. Ogni scusa sembra buona per rimandare la partenza, pure scrivere su questo stupido diario, ma il tempo stringe e rischio di arrivare tardi se non mi do una mossa ».
Scritto ciò, chiuse le pagine de quadernetto, lo ripose in un cassetto del proprio comodino, prese un respiro profondo e uscì di casa. Si rigirò verso la porta di casa per poterla chiudere a chiave, quando sentì un rumore sospetto alle proprie spalle.
« Ma buongiorno, pupa celiaca! » esclamò energico Sheldon, facendola sobbalzare e facendo cadere le chiavi. Penny si girò a salutarlo, ma oltre a lui vide che c’era anche il suo coinquilino, che guardava l’orologio da polso e batteva spazientito un piede per terra.
« Sheldon, se inizi a provarci già di prima mattina faremo tardi... »
L’amico si girò verso di lui con fare calmo, come se quell’affermazione fosse tutto tranne che vera, e la ragazza ne era veramente imbarazzata.
« Io e te abbiamo un concetto diverso di “provarci” e “salutare qualcuno” »
« Io non chiamo “pupa” qualsiasi ragazza che incontro »
« Questo spiega perché appena una pupa di incontra tende ad evitare la tua stronzaggine »
Leonard stava per ribattere a sua volta, ma Penny ne aveva le tasche piene e stava facendo tardi. Si fece coraggio e si intromise.
« Potete smetterla, per favore? Stiamo facendo tardi tutti e tre, e... » abbassò lo sguardo. « Essendo io una frana alla guida... Mi chiedevo... Se avessi osato troppo nel chiedere un passaggio ad uno dei due. Ripagando la benzina, naturalmente! »
Si aspettava una risposta da parte di Sheldon, e invece si sorprese.
« Certo, e non ti preoccupare per la benzina » fu la risposta di Leonard. Gli altri due si stupirono in egual modo, e si misero a guardarlo con occhi sgranati.
« Wow Leonard, mi costringi a rimangiarmi ciò che ho appena detto! »
« Non fare l’idiota e muoviamoci » e senza indugiare oltre, si indirizzò alle scale e le scese. Ancora troppo scioccata, per riprendersi la ragazza ebbe bisogno di essere scossa.
« Sai, ho sempre pensato che fosse come un tortino al cioccolato »
« U-un che...? Paragoni Leonard ad un tortino al cioccolato? » chiese perplessa.
« Sì, sai come sono fatti? Duri fuori e morbidi dentro » e scese le scale anche lui. Penny pensò alla preparazione di quel dolciume; un tortino lasciato nel freezer a congelare con del cioccolato iniettato all’interno subito dopo. Diede ragione a Sheldon, Leonard era proprio come un tortino al cioccolato: un pezzo di ghiaccio che aveva bisogno di un’iniezione di zuccheri per renderlo meno acido con lei. Raggiunse i due uomini nel parcheggio di fronte al condominio, che la aspettavano di fianco ad una Mercedes Benz classe A.
« Prego signorina » Sheldon le aprì la portiera posteriore. Penny arrossì.
« Ehm... grazie » e salì a bordo.
Lui le fece l’occhiolino. « E’ un piacere » chiuse la portiera e si accomodò al posto del guidatore. Leonard durante tutta la scenetta li ignorò deliberatamente, sedendosi sul sedile di fronte a quello della ragazza. Sembrava che il momento di gentilezza avuto qualche minuto prima fosse svanito nel nulla, perché era tornato ad essere spazientito, picchiettando nervosamente le dita sul cruscotto dell’auto.
« Avete finito? Possiamo partire? »
« Sì, ora sì »
Per fortuna Sheldon sapeva dove si trovava l’università così che la ragazza non dovette spiegare la strada (anche perché non lo sapeva bene nemmeno lei dove fosse, e benedì quell’uomo) e il tragitto fu tranquillo, con loro due che chiacchieravano e lei in silenzio che guardava la città scorrere fuori dal finestrino. Il suo corpo era tutto in fibrillazione, ogni edificio che passava aveva paura che fosse il suo nuovo posto di lavoro, e solo in quel momento si accorse di tutto il timore che le si era insinuato nell’animo. Le veniva da vomitare e voleva abbassare il finestrino per prendersi una boccata d’aria, ma era troppo timida e non aveva il coraggio di toccare nulla all’interno del veicolo. Le venne la solita sudorazione e il battito cardiaco accelerato, che le fece venire il respiro pesante. Sheldon sembrava accorgersene, perché la teneva d’occhio dallo specchietto retrovisore, e seguiva poco quello che gli stava raccontando l’amico. Dopo neanche 10 minuti l’auto rallentò fino a fermarsi, facendo letteralmente ballare il cuore della ragazza.
« Siamo arrivati, Penny » annunciò il guidatore.
Cercando di farsi vedere in gran forma, prese un profondo respiro interiore, li salutò e scese dalla macchina. Fece qualche passo tremante sul vialetto di ciottoli, la tentazione di voltarsi indietro era forte, e alla fine cedette. Rivolse gli occhi verso la macchina che aveva appena abbandonato, e la trovò coi finestrini abbassati; i due la guardavano con occhi inteneriti e pieni di carisma allo stesso tempo, e quando gli occhi dei tre si incrociarono, annuirono.
“Qualsiasi cosa succeda, quando tornerai a casa ci saremo noi”
Penny si sentì più leggera, perché era quello che sembravano voler dire i loro sguardi. Tornò a guardare la facciata dell’edificio con nuova fiducia in sé stessa, e riprese a camminare. Un passo dietro l’altro, non più con le gambe rammollite ma con forza decisa. “Ce la puoi fare Penelope! Sei una forza della natura, sei un uragano! Coraggio, hai affrontato di peggio nella vita, no?” E poi accadde. Le passarono davanti agli occhi tutti i momenti di derisione che era stata costretta a subire in tutti quegli anni, e vacillò. Se fosse accaduto lo stesso in quell’università? Ma ormai era già dentro, se ne rese conto troppo tardi, e quando si girò a cercare di nuovo i due vicini, loro se n’erano già andati.
***
Shock mattutino a parte, la giornata sembrava procedere bene; aveva incontrato il direttore dell’istituto che l’aveva accompagnata all’ufficio che le era stato assegnato, piccolo e umile come il suo appartamento, e come questo, sulla porta presentava un cartellino con scritto “Penelope Callaway” con sotto aggiunto “fisica teorica”.
« Benvenuta in California, dottoressa Callaway » le disse, prima di stringerle la mano e andarsene. La ragazza si sedette dietro la spaziosa scrivania e tirò un sospiro di sollievo. Le persone sembravano gradevoli (anche se fino a quel momento ne aveva conosciute appena due) e pure la struttura era ben fornita. Lavorò ininterrottamente sulle sue equazioni complicate fino all’ora di pranzo, ma era così presa dai suoi calcoli che non si accorse dell’orario, e continuò a lavorare.
Si perse così a fondo nelle sue frazioni e potenze che tornò ancora una volta ad isolarsi nel suo mondo, concentrandosi così tanto da farsi venire addirittura il mal di testa. Non poteva minimamente immaginare chi la osservava dalla porta.
« Hey, non va a pranzo, signora? »
Penny quasi si beccò un infarto, isolata e concentrata com’era, quella voce squillante per un pelo non le spaccò i timpani. “Perché le persone le devo sempre conoscere girandomi di scatto?” e infatti si girò. Sulla soglia del suo ufficio c’era una ragazza bassa, bionda quanto lei ma coi capelli sciolti in boccoli ribelli, un seno prosperoso e due bellissimi occhi blu. Questa guardava Penny con un sorriso imbarazzato.
« Scusi, da dietro sembrava più... adulta. Riformulo: non va a pranzo, signorina? »
La scienziata guardò l’orologio appeso al muro di fronte a lei e sgranò gli occhi nello scoprire l’ora.
« Oddio, è già ora di pranzo? E io dove mangio? Ci sarà una mensa? E se fosse chiusa? »
La bionda sulla porta le sorrise serena , e a Penny ricordò molto qualcuno.
« Sì, la mensa probabilmente starà chiudendo, ma le cucine rimangono aperte per chi ci lavora. Se vuole, può venire con me »
A Penny venne voglia di abbracciarla dalla gratitudine, ma come sempre doveva contenersi e tenere i piedi inchiodati a terra, mantenendo un’aria dignitosa.
« Certo, mi farebbe molto piacere... uhm... Come hai detto che ti chiami? »
« Mi chiamo Bernadette Rostenkowski »
« Nome lungo. Ti chiamerò Bernie! »
Questa arrossì. E stranamente, Penny si sentì lieta di ciò: aveva fatto arrossire qualcuno!
« Io sono Penny, comunque » e in un silenzio un po’ imbarazzato, si avviò verso le cucine insieme alla sua nuova amica.
***
« Sheldon, che succede? »
« Scusa se ti chiamo sul lavoro, Howard, ma devo chiederti un favore importante »
« Ok ma fai in fretta »
« Oggi volevo andare a prendere Penny dopo il suo primo giorno qua a Pasadena, ma le prove dello spettacolo mi terranno impegnato fino a tardi e non riesco. Potresti andare tu, per favore? Stamattina mi sembrava un bel po’ ansiosa, e non voglio lasciarla sola »
« Sì sì andrò a prenderla io, so dove si trova l’università. Ma perché l’hai chiesto a me? »
« Le altre due alternative erano Leonard e Rajesh; il primo non mi fiso a lasciarlo solo con Penny, e Rajesh potrebbe farle ancora qualche discorso come quello di sabato sera »
Howard arrossì. « Quello che sotto il suo essere nerd, potrebbe essere bella? »
« Sì quello. Non che non gli dessi ragione, ma ci conosce da neanche quattro giorni e mi sembra un po’ presto per questi argomenti. Ho la tua parola che passerai da lei? »
« Sì tranquillo, finisco questa lezione e vado subito là »
« Grazie mille Howie, sei un amico »
« Prego, ciao »
« Ciao! »
***
Penny e Bernadette pranzarono alle cucine dell’università, gustandosi dei deliziosi spaghetti con polpette che alla mensa non avrebbero mai servito, e la scienziata fece amicizia anche con il cuoco, chiacchierando sulla celiachia della ragazza e sugli spaghetti integrali. Non avrebbe mai voluto tornare ad essere da sola nel suo ufficio, voleva rimanere lì a fianco della sua nuova amica e non smettere mai di parlare.
« Ora che mi viene in mente... Tu lavori qui in cucina, Bernie? »
« Sì, sono l’aiutante dello chef. Anche se è solo una mensa, l’università è molto prestigiosa quindi anche la cucina deve essere ottima, per gli scienziati che lavorano qui. E tu, Penny? Che ci fai qui? Fai l’aiutante a qualcuno o sei una studentessa? »
« Nessuno dei due.  Sono stata assunta per lavorare sulla teoria delle stringhe, perché sono una fisica teorica conosciuta » e gonfiò il petto d’orgoglio, soddisfatta dell’effetto che le sue parole ebbero su Bernadette, che la guardava con aria ammirata.
« Wow Penny, sei una ragazza in gamba! » strillò con quella sua vocetta acuta, alla quale Penelope doveva ancora abituarsi del tutto. Stava per risponderle ma l’orario era a suo sfavore, e dovette lasciare le cucine a malincuore per dover tornare ai suoi calcoli.
Cosa le stava capitando? Mai era stata scontenta di doversi dedicare alla meccanica quantistica, perché era sempre stata la scienza la sua unica e vera compagnia. Ma c’era qualcosa che stava cambiando, ora aveva qualcuno con cui passare del tempo, qualcuno di VERO in carne e ossa. Si rimise alla lavagnetta accanto alla finestra e riprese le equazioni lasciate a metà, sembrava tutto tranquillo finché un’immagine, anzi un volto le tornò in mente, balenandole davanti agli occhi; il sorriso candido di Leonard, che quelle sue fossette adorabili e la leggera peluria sulle guance. Il pennarello si fermò a mezz’aria, gli occhi di Penny fissi su un punto indefinito.
“Mi chiamo Leonard. Solo ‘Leonard’”. Senza riuscire a spiegarselo, delle perle liquide iniziarono a offuscarle la vista, facendolo vedere una lavagna sbiadita e senza contorni. Non aveva idea di quanto tempo fosse rimasta in quella patetica situazione, a combattere una guerra interiore per non far vincere la tristezza, ma come ormai capitava da qualche giorno, fu presa e tirata di forza verso il mondo esteriore da un prode cavaliere.
« Penny, cara. Sono venuto a prenderti per portarti a casa » e una mano delicata si appoggiò sulla sua spalla. Si girò e a guardarla c’era Howard, sul viso un dolce sorriso che la rassicurava, e gli occhi verde-acqua erano intrisi di consapevolezza. Si sentì di poterlo abbracciare, di gettarsi tra le sue braccia e scoppiare a piangere, raccontandogli di come le erano mancati tutti e quattro in quel primo giorno.
Ma non lo fece. Penelope Callaway non era una bambina, che dopo il suo primo giorno di scuola si gettava tra le braccia della madre tutta piagnucolante; per colpa della sua intelligenza non lo era mai stata. Ricacciò indietro le lacrime e sfoderò un falso sorriso, davanti al quale gli occhi di Howard s’incupirono.
« Grazie Howie, andiamo » e raccolse borsa e giacca, conducendolo fuori dall’ufficio. Nel corridoio incontrarono Bernadette, anche lei pronta per andarsene.
« Ciao Penny, vai anche tu? »
« Sì, è venuto a prendermi il mio amico Howard » ed entrambe puntarono gli occhi su di lui, trovandolo con le guance arrossate e le gambe tremanti.
« Piacere di conoscerti, Howard. Mi chiamo Bernadette, e a differenza della nostra amica secchiona sono una semplice cuoca » lei rise, ma lui non proferì parola. « Uhm, ti vedo un po’ arrossato, non è che hai la febbre? » gli appoggiò una mano sulla fronte, e Penny vide che le braccia nude dell’amico venivano letteralmente ricoperte dai brividi.
« Penny, dobbiamo proprio andare » esclamò questo, afferrando il braccio della scienziata e mettendosi a correre, trascinandola per il corridoio.
« Ci vediamo domani, Bernadette! »
« A domani Penny! Ciao Howard! »
Ma come prima, non le rispose. I due arrivarono fino al parcheggio, finché non si fermarono di fronte ad una piccola Peugeot 206 blu. Lui si appoggiò di schiena alla portiera dell’auto, prendendosi il volto tra le mani, senza dare segno di una qualsiasi stanchezza fisica, ma la ragazza, che amava definirsi “atletica come un comodino invaso dai tarli”, aveva il fiatone e un forte mal di gola.
« Mi... spieghi che... caspita... ti è preso? » riuscì a chiedergli, coi polmoni avidi di ossigeno.
« Quella ragazza è... la più bella che abbia mai visto. Io... non riuscivo a proferir parola, finché i suoi occhi luminosi restavano fissi su di me » e deglutì, facendo intenerire Penny, anche se non aveva la più pallida idea di cosa dire, essendo totalmente ignorante in materia.
« Mi sembra di capire che... uhm, Bernadette ti piaccia molto, giusto? »
Annuì.
« Ehm... e... » ci pensò un attimo. « Ti piacerebbe rivederla? »
Howard tolse le mani dal viso e la guardò con occhi speranzosi.
« Sì, sarebbe bellissimo! »
La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Se l’era cavata, nonostante tutto.
« Allora vienimi a prendere anche domani, così avrai una scusa per rivederla e parlarci! »
L’amico annuì determinato, e finalmente salirono in auto, dirigendosi verso casa di Penny. Durante il tragitto, Howard parlò senza interruzione di Bernadette, di come erano splendenti i suoi capelli dorati e di quanto fosse musicale la sua voce. “Bah” fu il pensiero di Penny, poiché la voce dell’amica fosse tutto fuorché musicale. Arrivarono a destinazione e la scienziata fece per scendere, ma l’amico la trattenne per l’orlo della manica. Lei si girò a guardarlo con aria interrogativa, e vide che lui aveva lo sguardo basso.
« Penny... Secondo te, uno come me può avere qualche possibilità?»
Lei sapeva benissimo a cosa si riferisse, e fece mente locale di tutte le qualità di Howard: gentilezza, disponibilità, rispetto, responsabilità, e chissà quante altre ancora. Gli sorrise.
« Sì, secondo me ne hai eccome »
  
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