Fumetti/Cartoni europei > Disney italiano
Ricorda la storia  |      
Autore: Francilla    02/03/2014    4 recensioni
Questa storia è scritta in collaborazione con Stella_Emergente.
Tratta dalla storia originale di "Biancaneve" il tutto riportato ai giorni nostri, in un mondo a noi contemporaneo.
Genere: Parodia, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Bianca come la neve sporca”

 

Ricordi : il matrimonio.

 

-Vi dichiaro marito e moglie. Puoi baciare la sposa. -

Disse il prete vestito con una lunga veste bianca dalle decorazioni panna e oro, che con il suo librone se ne stava sul altare tutto abbellito per l'occasione.

Il profumo di fiori si diffondeva un po' ovunque. Il colore dei nastri che abbellivano l' enorme chiesa le davano vita assieme alla luce coloratissima che mandavano le vetrate gotiche. Luce che creava sul pavimento incerato allegri giochi di luce.

Il chiacchierio sommesso dei tanti invitati veniva nascosto dalla sinfonia ben più forte e chiara dei violini, nonché dall'organo dalle lucide canne in ottone dorato, tanto alte da sfiorare il soffitto.

Il mio papà e la mia nuova mamma, invece, erano proprio accanto a me e sorridevano felici. Soprattutto papà.

Io ero lì e lo guardavo estasiata, il suo bel vestito gli cadeva a pennello, mi pareva un principe, anzi un re che finalmente aveva trovato la sua nuova regina.

 

Dopo la morte della mia mamma, col passare del tempo, di lei non è rimasto più nulla se non i ricordi più importanti: il suo sorriso, il suo profumo, la sua dolcezza e la sua capacità di capire al volo i miei stati d'animo; ricordo solo questo, ma lo ricordo perfettamente e non lo dimenticherò mai.

 

Il mio sguardo si posò poi su Regina, la mia nuova bellissima mamma.

I suoi capelli erano di un biondo platino, racchiusi in uno chignon alto e largo che lasciava libere alcune ciocche ricce che le ricadevano sulle spalle sfiorandole appena; i suoi occhi di un colore verde chiaro parevano illuminati, lucidi, forse per le lacrime di gioia trattenute a stento.

Penso però che in quel momento l'attenzione di tutti fosse maggiormente rivolta all'abito che la sposa indossava: un abito rosso, aderente, che le cadeva a tubino valorizzando il suo corpo magro; vertiginosi tacchi a spillo, tanto sottili che ad ogni suo piccolo passo sembravano quasi spezzarsi.

Ma la cosa che più trovavo buffa, era il suo enorme capello, sempre rosso, e l'allegata gigantesca piuma di pavone che svolazzava di qua e di la ad ogni suo movimento, o piccolo soffio di vento.

I nostri sguardi per un attimo si incontrano e scontrano, un brivido freddo mi percorse la schiena, poi lei mi mandò un sorriso che io ricambiai rassicurata.

Ma non volevo più incontrare quello sguardo glaciale, mi voltai quindi a guardare gli invitati e con sorpresa notai che tutti, o quasi, mi fissavano.

Prestai maggior attenzione alle parole di coloro i quali erano seduti in prima fila:

-Che carina che è -

-Si , è vero. E' tale e quale a sua madre-

-E' bella, molto bella. Ogni anno che passa lo diventa sempre più. Suo padre ne è fiero -

Si tutti stavano parlando di me, io arrossii timidamente e presi a guardare i miei stessi piedi. Le mie nuovissime ballerine blu erano lucide e il fiocco sopra di esse le rendeva ancor più carine.

Ricordo che quel giorno avevo anche un nastro fra i capelli, dello stesso colore della scarpe.

Passai quell'intera mattina a pettinare i miei capelli corvini, lisci ma ribelli, e una volta ordinati presi il nastro e lo legai a mo' di cerchietto; stretto e tenuto ben fermo da un fiocco perfetto.

Dopo il trucco e parrucco iniziai a vestirmi: coprispalle rosso e vestito a balze di un giallo pallido.

 

Finalmente la funzione giunse al termine, e dopo una pioggia di riso e petali di rosa, che sommerse letteralmente sia me che i miei genitori, scendemmo le scale della chiesa e raggiungemmo la limousine, tutti e quattro mano nella mano.

Tutti e quattro sorridendo a più non posso per venir bene nelle foto che i fotografi ci stavano scattando.

 

Quattro, si, avete capito bene, non ci sono errori: io, mio padre, la sua nuova moglie, e infine, il mio fratellastro;

Hunter. Più alto di me, capelli di un biondo cenere, occhi azzurri, e un modo di fare imprevedibile e insopportabile. Un tipo all'apparenza timido, chiuso, riservato, e molto silenzioso.

Salita in limousine trascorsi tutto il tempo a guardare fuori dal finestrino, giusto per evitare di guardare i due novelli sposi scambiarsi effusioni dolci, ma che a quei tempi mi mettevano in grande imbarazzo, data la mia giovane età.

Li sentivo scambiarsi promesse d'amore eterno, dolci baci sulle labbra, carezze fugaci e quant'altro. Insomma, tutta roba “da grandi” che io ancora non capivo. Guardai fuori dal finestrino, guardai la strada scorrere sotto la vettura, gli alberi correre via, le nuvole rincorrerci e il sole levarsi alto. Sentivo il soffio fresco dell'aria di campagna che mi soffiava dietro il collo. Spiffero proveniente probabilmente dal finestrino dal quale Hunter stava, come me, guardando il panorama. Un paesaggio via via sempre più verde, più naturale e privo di cemento, un paesaggio ricco di alberi e prati. Cose alle quali io non ero abituata, essendo una ragazzina nata e cresciuta nell'ambiente sfarzoso, lussuoso e finto, di una società che trova il suo habitat naturale nelle grandi metropoli.

Arrivammo alla ristorane dopo quasi due ore di macchina. Scendemmo e ci trovammo meravigliosamente immersi nella natura. Un grande prato verde all'inglese, con fili d'erba tanto ordinati, che immaginai il proprietario svegliarsi ogni mattina all'alba solo per pettinare il bel praticello del suo agriturismo.

Poco lontano vidi un recinto con dei cavalli, e sentii ben presto l'odore tipico degli animali di fattoria.

L'aria era fresca, forse anche un po' troppo, dato che non pochi brividi di freddo percorsero il mio corpo, facendomi venire la pelle d'oca.

Mentre gli altri mi precedevano, io rimasi imbambolata a fissare il circondario, affascinata e stranita, da quell'ambiente per me nuovo e misterioso.

Non passò molto che tutti gli invitati arrivarono, parcheggiarono le loro auto sportive, e iniziarono a camminare sulla ghiaia del vialetto alberato che precedeva il cuore della location, diretti verso la grande villa dove di li a poco, avremmo consumato un lauto pranzetto.

E ora che ci penso anche molti e molti litri di ottimo vino d'annata e altri alcolici.

L'odore della carne cotta sulla brace, che già correva assieme al vento, raggiunse le mie narici risvegliando la mia fame. Il mio pancino brontolò, anzi ruggì isterico, protestando.

Ma fu solo l'ennesima folata di vento, a convincermi ad entrare, facendomi svolazzare il vestito giallo che indossavo. In un attimo tutte le balze della gonna, il cui orlo mi arrivava poco sotto le ginocchia, presero a fluttuare e ondeggiare, i miei capelli seguirono il movimento ondulatorio ,dandomi non poco fastidio e occultandomi la visuale. Finalmente il vento si placò, e dopo aver risistemato la gonna, e abbottonato tutti i bottoni del mio coprispalle rosso, seguii gli altri all'interno di quella villa dall'aspetto rustico ma molto raffinato.

Appena entrata tutti si zittirono di colpo, solo per un istante, probabilmente si chiedevano dove fossi finita. Mi guardarono dolcemente. Ma in mezzo a quegli sguardi dolci e calorosi c'è ne era uno freddo e ostile. Sorrisi a quegli occhi verdi che mi guardavano severamente, e andai a sedermi accanto a mio padre a quel lungo tavolo in legno massello scuro che pareva essere molto molto pesante.

Il mio papà si sedette a capotavola, la mia nuova mamma alla sua destra e io alla sua sinistra, Hunter neanche lo calcolai. La sedia era pesantissima, feci fatica a spostarla, e nel farlo, il silenzio che era calato pesantemente in sala venne reciso dallo sgradevole suono dei piedi che strusciavano sul pavimento in cotto.

-Scusate.-

Dissi sorridendo, facendomi piccola piccola per l'imbarazzo, ma bastarono quelle poche parole e il mio faccino paonazzo ad allentare la tensione, tant'è che tutti sorrisero e presero a chiacchierare divertiti.

Non so perché il clima divenne improvvisamente teso. Ero forse troppo presa ad osservare le tante teste impagliate di animali appese alle pareti, per rendermene conto.

Un cameriere molto giovane, vestito con: una camicia bianca, un gilet tutto abbottonato, un farfallino mal annodato e un paio di pantaloni che cadevano dritti, il tutto rigorosamente di colore nero; mi aiuto ad accomodarmi.

Mi sedetti e lui con la sua forza, che mi parve erculea, sollevò di qualche millimetro da terra la sedia sulla quale ero seduta, e senza fare alcun rumore mi avvicinò alla tavola imbandita.

-Grazie-

Gli dissi sorridendo, per poi dedicargli un sorriso timido, che lui ricambiò all'istante.

Tutti mi trattavano bene; da piccola pensavo che tutto il mondo fosse popolato da persone gentili, cordiali, in poche parole buone. Poi con il tempo questa visione rosea del mondo svanì, capì che alle persone intorno a me faceva gola la mia eredità, il mio essere figlia di un uomo ricco.

Il mio essere carina e qualche volta troppo gentile, facile da raggirare, sarebbe stata la mia rovina.

 

Nessuno fa mai niente per nulla. Questo è presto diventato il mio motto.

Ma tornando a quel lieto giorno, se così si può chiamare.

 

Guardai verso il mio papà, cercai la sua attenzione, ma come incantato dalla bellezza della mamma, non mi degno di uno sguardo. Lo chiamai più volte, ma non si girò mai verso di me, troppo preso a parlare con la sua coniuge o scambiare chiacchiere di lavoro con gli invitati nonché colleghi e collaboratori.

Pian piano ci vennero portate le succulente cibarie, delle quali io ne feci incetta. A servirmi era sempre lo stesso cameriere, che mi posava avanti i piatti più ricchi, servendomi sempre per prima.

 

Una principessina in tutto e per tutto, ecco come mi sentivo e come mi vedevo.

 

Finalmente con la pancia piena, mi accorsi, guardando fuori dall'ampia vetrata che avevo alle spalle, che il sole iniziava la sua fase discendente. Chiesi allora ad un commensale vicino, quello che penso sia uno dei miei zii, che ora fosse. Lui scostando la manica della sua camicia fatta su misura, sfoggio un magnifico orologio in oro di marca svizzera.

-Sono quasi le tre, piccoletta-

-Grazie-

Gli risposi sorridendo cordialmente, la mia mamma esigeva che io tenessi sempre un atteggiamento educato e cordiale con tutti, e anche se non riconoscevo neanche una delle facce degli invitati, al mio passaggio non esitavo a salutarli con ampi sorrisi.

Mi rialzai con l'aiuto del cameriere; che stava appostato proprio alle mie spalle pronto a servirmi e mi diressi verso il bagno indicatomi da un secondo cameriere.

Aprii la porta del bagno delle signore e ad accogliermi ci fu un dolce odore di deodorante, forse lavanda o gelsomino, qualcosa del genere. L'ambiente era ben illuminato da una plafoniera che mandava una luce non troppo forte e calda. Le piastrelle erano presenti a terra come sulle pareti, tutto era bianco, con venature simili a quelle del marmo, di colore grigio a tratti quasi nero.

Non vi racconto cosa ovviamente feci una volta raggiunto il servizi in ceramica bianca.

In ogni caso, dopo aver soddisfatto il mio bisogno, mi lavai le mani e uscii, richiudendo la porta alle mie spalle.

Percorsi all'indietro lo stretto corridoio e rientrai in sala da pranzo, lanciai un'occhiata alla tavola e notai che la torta ancora non era stata ne' tagliata ne' impiattata.

Decisi quindi di uscire fuori e passare un po' di tempo all'aperto.

Corsi verso mio padre e lo strattonai con garbo, lo chiamai, ma quello che ricevetti non fu altro che uno sguardo truce dalla mia matrigna. I suoi occhi mi infondevano uno sgradevole senso di disagio, mi sentivo come inappropriata.

 

Mai prima di allora avevo provato una sensazione simile, e non sapevo che presto io e quella sensazione saremmo diventate amiche intime, io, lei e la solitudine.

 

Fulminata prima dallo sguardo di Regina, venni poi anche richiamata dal mio stesso adorato padre, che con ben poca delicatezza mi spinse via con una mano.

-Bianca non darmi fastidio. Non lo vedi che sto parlando? -

Sentii dentro di me un freddo pungente, qualcosa simile alla neve e il ghiaccio, mentre i miei occhi si riempivano di lacrime ben più calde.

Non una lacrima mi rigò il volto, le trattenni e ricacciandole tutte in silenzio mi allontanai dai miei genitori.

Tornai a sedermi al mio posto, strinsi le mani sulle balze della gonna, le nocche si impallidirono e per poco le unghie non mi ferirono i palmi chiusi; presi a guardare fisso le mie scarpe.

Dondolavo i piedi, mentre, senza neanche rendermene conto, iniziavo a mordermi le labbra fra i denti, costringendomi a non piangere.

La mia mamma non avrebbe voluto che io piangessi per così poco, e io non l'avrei fatto.

Quella sera, anche se il dessert è da sempre la mia portata preferita, non mangia la torta, non la sfiorai neanche col pensiero. E pensare che quel cameriere tanto gentile me ne porto una fetta enorme.

 

Il pranzo finì che era già quasi ora di cena.

Nel risalire in macchina io fui la prima, ripartimmo diretti verso casa. Hunter sembrava stanchissimo non so il perché, mentre marito e moglie parevano pronti a continuare la festa altrove. In privato.

Io rimasi a fissare a tratti: il bel paesaggio che da naturale e verde diveniva artificiale e grigio, e il mio riflesso; osservavo le mie guance spesso arrossate, i miei occhi scuri, le mie labbra che anche quando prive di rossetto sono di un bel colore rosso, i miei capelli corvini, la mia pelle candida; non potevo smettere di guardare, c'era qualcosa nella mia immagine riflessa che mi attraeva.

 

La limousine frenò piano, io assopita già da un pezzo, venni ridestata da uno scossone violento. Era Hunter al quale era stato assegnato l'ingrato compito di svegliarmi. Afferrò le mie spalle con le mani e stringendole forte mi scosse energicamente.

-Svegliati, siamo arrivati. -

Mi disse con quel suo tono arrogante.

Lo esclamò a voce alta mentre mi guardava con i suoi occhi dalle iridi di un azzurro artico dalle sfumature grigie, un grigio metallico simile al colore delle nuvole che portano la pioggia.

Mi alzai in fretta, scesi dall'auto e chiusi lo sportello.

Mentre lo facevo senti il rumore del cancello della nostra residenza chiudersi alle nostre spalle.

Quel rumore acuto ma non troppo forte mi avrebbe presto fatta sentire come una rondine in gabbia, ma io a quei tempi non potevo neanche immaginare lontanamente ciò che sarebbe stato di me.

 

Guardai l'imponente villa a tre piani: le mura dal monotono colore grigio, le tante finestre che affacciavano sul grande giardino sembravano guardarmi intimidatorie.

Perché improvvisamente tutto mi era estraneo?

 

 

...FINE...

 

 

Eccomi ritornata con questa nuova, nonché seconda, storia.

Come ho già detto (anche alla fine dell'ultimo capitolo di “Eleven”) di questa storia io sono solo una dei due genitori, una specie di padre affettuoso, mentre la timida mammina preferisce non divulgare il suo nome, anche se iscritta e assidua lettrice.

La chiameremo S_E.

In ogni caso speriamo entrambe che questa storia vi piaccia, vi preghiamo di recensire (se non lo fate vi picchio) vogliamo sapere cosa ne pensate, vogliamo poter discutere di questa nostra passione in comune che è: “la letteratura in prosa”.

Quindi grazie per aver letto il primo capitolo di “Bianca come la neve sporca” che non è altro che un riflesso della favola notoriamente conosciuta come “Biancaneve e i sette nani”.

 

Grazie da entrambe.

 

By Stella_Emergente & Francilla.

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni europei > Disney italiano / Vai alla pagina dell'autore: Francilla