Hand of Sorrow
1 – Un patto
con Hecate
“The child without a name grew up to be
the hand
To watch you, to shield you, or kill on demand
The choice he made he could not comprehend
He's got a grim secret they had to command”
-Aspettate!-
Il bambino rincorse fuori dalla casa quegli
strani spiriti, inciampando nella fretta di raggiungerli senza perderli di
vista.
Attorno a lui il villaggio era devastato:
ombre, spettri, uomini, tutti si accalcavano tentando di fuggire o di afferrare
qualcuno, ombre nere si stagliavano contro il colore acceso delle fiamme
divampanti dalle abitazioni alle quali quegli invasori avevano appiccato fuoco.
All’arrivo di quell’improvvisa orda di nemici
la madre del ragazzino l’aveva spinto verso la porta sul retro: se fosse stato
veloce sarebbe riuscito a scappare prima che gli invasori si scagliassero
all’attacco.
Aveva appena varcato la soglia per uscire
quando un violento colpo d’ascia spezzò la porta principale; lui era rimasto
lì, bloccato a metà del gesto, mentre le urla di protesta dei suoi genitori si
levavano unendosi a quelle degli altri paesani al di fuori.
Uomini, o forse bestie, in pesanti armature
nere, irruppero nella casa, distruggendo e saccheggiando tutto ciò che
incontravano sul loro cammino.
Il bambino uscì, ma senza avere il coraggio
di fare un solo passo ed allontanarsi da casa.
Voleva tornare dentro, assicurarsi che i
genitori stessero bene e scappare con loro.
Si assicurò che i mostri fossero usciti dopo
aver raso al suolo l’abitazione e sgattaiolò di nuovo dentro, alla ricerca
della madre e del padre.
E li trovò, li trovò abbandonati per terra
mentre due figure leggere, quasi trasparenti, come formate da fumo grigio,
accostavano le mani ai loro petti fino a quando una fiamma azzurra non sorse
dal petto di ognuno.
Le figure si guardarono, e subito dopo
schizzarono fuori ad una velocità inverosimile.
Il bambino rimase per un attimo spiazzato:
non sapeva come, ma aveva subito capito che quelle fiamme vive erano anime, le
anime dei suoi genitori, e quegli spettri le avevano rubate per portarle chissà
dove.
Si sentì perduto.
Nel giro di pochi istanti aveva perso i
genitori, la casa, e presto l’intero villaggio sarebbe stato spazzato via.
E lui sarebbe rimasto solo.
Per un attimo sentì il bisogno di cedere alle
lacrime, rimanere lì e aspettare la fine.
D’altronde, senza più una famiglia ed un
tetto sulla testa, cos’avrebbe potuto fare?
Subito dopo, però, una nuova idea, spaventosa
quanto audace, gli diede nuovo coraggio per rialzarsi e seguire gli spiriti.
Avrebbe ripreso le anime dei genitori.
Le avrebbe ottenute di nuovo, ed allora tutto
si sarebbe sistemato; sarebbero fuggiti, avrebbero ricominciato una nuova vita
altrove, non importava dove.
Ma era necessario sbrigarsi: quelle ombre
erano veloci, e non era detto che la casa non sarebbe stata bruciata come tutte
le altre.
Se voleva mettere in atto il suo piano, era
meglio fare presto.
Così si rialzò asciugandosi il viso alla meno
peggio e rincorse le fiamme blu che brillavano ancora oltre i corpi semitrasparenti
dei fantasmi.
Il bambino non sapeva ancora come fare per
imporsi su quegli spiriti.
Una volta arrivato il momento del confronto
loro avrebbero visto solo un ragazzino indifeso, dai capelli e gli occhi neri,
vestito come un qualsiasi abitante di provincia.
Non aveva armi.
Non aveva idea di come poter salvare i
genitori, eppure, correndo, strinse i pugni, promettendosi che avrebbe fatto
tutto il possibile.
I fantasmi percorsero una strada di campagna serpeggiante
giù per una ripida discesa, formata perlopiù da rocce sconnesse ed aride.
Si inoltrarono sempre di più fino a sparire
in una fenditura nel terreno.
Il ragazzino guardò sorpreso il passaggio
mimetizzato alla perfezione; ci si infilò con cautela, rotolando giù per una
galleria buia per un paio di metri.
Atterrò di peso in una landa desolata;
riflessi baluginanti di fiamme illuminavano a tratti le rocce del paesaggio, ed
intorno non c’era anima viva.
Persino quegli spettri sembravano spariti.
Subito dopo il bambino scorse una delle
fiamme azzurre, ma ebbe solo il tempo di rialzarsi prima che qualcuno lo
afferrasse dalla maglietta sollevandolo da terra senza alcuno sforzo.
-Abbiamo visite, a quanto sembra-
Due occhi da rapace incrociarono i suoi.
Un uomo rivestito di un’armatura nera dai
riflessi viola in perenne mutamento, sembravano quasi animati da vita propria,
lo scrutava assorto.
Il suo tono di voce sembrava compiaciuto,
come confermava il sorriso di scherno sulle sue labbra.
Il bambino si divincolò.
-Lasciami! Non puoi fermarmi, io devo…!-
-Non dimenarti troppo-
Gli consigliò l’uomo senza togliersi quel
ghigno di superiorità dalla faccia.
Lo squadrò, sembrava riflettere su qualcosa.
-Inaudito…- commentò a mezza voce. Il sorriso
gli si allargò e qualcosa brillò per un attimo nei suoi occhi –sì. Sì, il mio
Signore sarà interessato-
E detto ciò si incamminò verso un palazzo,
una vera e propria reggia sotterranea.
Percorse un lungo corridoio illuminato appena
da file di torce saldate alle pareti fino ad entrare da una grande porta scura
nella sala più grande che il ragazzino avesse mai visto.
Lungo il centro del pavimento correva un
tappeto color rosso cupo, che saliva su degli scalini per poi terminare ai
piedi di un trono, dietro il quale era tirata una pesante tenda scura.
Accanto al trono stava ritta una donna
ricoperta da un ampio mantello nero, con il cappuccio calato fin sotto gli
occhi.
L’uomo si inginocchiò dopo aver lasciato
cadere il bambino con noncuranza.
-Divina Hecate- sollevò lo sguardo sulla
figura eretta –un intruso. Credo possa essere interessante, come può vedere-
La donna scese con lentezza le scale e
raggiunse il ragazzino ancora seduto sul pavimento.
Lo squadrò da ogni angolazione; nonostante il
cappuccio, lo sguardo sembrava trafiggerlo ad ogni occhiata.
-Interessante…- ripeté assorta. Parlava in
modo strano, come se tre voci si accavallassero l’una sull’altra –è così,
Radamanthys. Puzza di essere umano… eppure è riuscito a passare il confine dell’Ade
illeso-
Il bambino strinse i pugni: non capiva cosa
stessero dicendo quei due, ma il fatto che parlassero di lui come un fenomeno
da baraccone fingendo che non ci fosse lo irritava.
Si alzò in piedi guardando la donna con
l’aria più arrabbiata che riuscì ad interpretare.
-Voi avete i miei genitori!-
-I tuoi genitori?-
-Sì! Due fantasmi li hanno presi e portati
qui! Li rivoglio indietro, non avete nessun diritto!-
La risata spensierata della donna riecheggiò
tra le mura -Diritto, bambino? Da quando il Dio dei morti deve avere il diritto
di uccidere?-
D’istinto, il ragazzino fece un passo
indietro.
Aveva detto Dio dei morti.
Per un attimo rivalutò la sua scelta: cosa
diavolo gli era venuto in mente?
Ma poi scosse la testa con tutta la
determinazione infantile tipica della sua età: lui rivoleva solo i suoi
genitori, anche quello era un diritto.
-Ridammeli!-
Più che un ordine, sembrava una protesta
imbronciata.
La donna squadrò quell’uomo, Radamanthys,
quasi a compiacersi di tanta testardaggine e sprezzo del luogo in cui si
trovavano.
Non rispose subito, limitandosi a fare
qualche passo verso il trono per prendere tra le mani uno scettro dall’asta
nera sormontata da un globo con ai lati due semicerchi: i simboli delle Dea
Hecate, le tre fasi della luna.
-Così vuoi indietro i tuoi genitori? Va bene,
bambino. Ma ricorda: tutto ha un prezzo. Cosa sei disposto a fare, per
riaverli?-
-Tutto-
Anche la risposta pronta era un punto a suo
favore.
Hecate si ritrovò a pensare che quel bambino
fosse giunto proprio al momento giusto.
Ancora una volta lo squadrò a lungo in
silenzio; a volte emetteva strani suoni, sibili, come se stesse dialogando con
qualcuno in una lingua sconosciuta.
Alzò appena il mento.
-Come ti chiami?-
-A-astherion…- riuscì
a dire senza troppa convinzione. Quei suoni lo avevano intimidito, sembrava
quasi una lingua antica, oscura e potente. Quella stessa donna lo agitava. E
l’uomo inginocchiato di fronte a lei ancora di più. Si schiarì la voce: non
poteva tradirsi proprio adesso –mi… mi chiamo Astherion-
-Bene, Astherion: in qualità di portavoce di
Hades, Signore degli Inferi, ti propongo un accordo: i tuoi servigi in cambio
delle anime dei tuoi genitori. Diventa uno dei guerrieri di Hades e li riavrai.
Esegui bene gli ordini e potrai rivederli. Accetti?-
-Quando?- chiese lui, confuso –Quando potrò
rivederli?-
Sotto l’ombra della stoffa scura gli sembrò
di intravedere un sorriso di superiorità –Aspetta di superare il tuo periodo di
prova. Dopodiché, se avrai svolto bene il tuo compito, noi te li ritorneremo
indietro-
La sua sicurezza sembrò sparire del tutto.
Era impossibile, quello che gli chiedevano:
diventare uno dei seguaci di Hades era molto più di ciò che aveva pensato, era
troppo.
Eppure quello era l’unico modo per poter
riavere indietro le anime.
Ma come avrebbe fatto ad eseguire gli ordini?
Cosa poteva fare lui, un bambino, per un Dio
tanto potente e temuto come Ade?
Provare.
Poteva solo provare, impegnarsi al massimo e
sperare di ottenere ciò per cui era sceso fin nella dimora del Dio degli
Inferi.
-Accetto-
Hecate gli fece allungare i polsi verso di
lei: non appena accostò lo scettro accanto alla pelle, su di essa iniziarono a
formarsi strane macchie nere, intrecci di colore che si mescolarono ed attorcigliarono
fino ad ottenere un disegno tutt’intorno al polso: delle catene nere sembravano
stringerlo quasi a ricordargli del suo dovere.
-Questo è il pegno della tua promessa. Da
oggi sei parte di questo regno. Farai bene a non dimenticarlo mai-
La Dea si rialzò risalendo le scale così come
ne era discesa: una grazia lenta ed innaturale accompagnava ogni suo movimento.
Si sedette sul trono poggiando lo scettro
accanto a sé.
-Radamanthys, ti affido il nostro nuovo
soldato. Sarai il suo tutore fino a quando il suo addestramento non sarà
terminato-
Dall’occhiata fugace che l’uomo gli rivolse
Astherion comprese di essersi appena fatto un nuovo nemico.
Radamanthys non aveva l’aria di volergli
rendere la vita facile.
Lo Specter annuì
nascondendo a regola d’arte il compiacimento per quell’incarico.
-Ai suoi ordini, Signora-
***
Il Giudice Infernale, quello era il suo
incarico nel regno di Ade, condusse Astherion in un castello a dir poco
inquietante, in perfetto stile gotico, come se fosse appena uscito da una
macchina del tempo.
Senza rivolgergli più la parola Radamanthys
incarico una vecchia donna di condurlo in quella che chiamò “la stanza degli
ospiti” ma che in realtà sembrava un’intera casa a sé: era una sala enorme
nella quale gli unici arredamenti erano un letto a due piazze in vecchio stile
ed un grande armadio in mogano che non gli sarebbe stato utile a nulla; il
pavimento era ricoperto di moquette scura ed aveva un ampio balcone al quale si
poteva accedere da una porta a vetri.
Possedeva persino un bagno proprio, con una
grande vasca ricavata al centro del pavimento.
Per un paio di giorni il Giudice non si fece
più vivo.
Lo lasciò nella più completa solitudine della
villa, con la sola compagnia di quella vecchia inquietante, dal sorriso sghembo
e sdentato, i capelli incolti simili a paglia secca.
Astherion era arrabbiato.
Avrebbe voluto vedere i suoi genitori dopo
essere sceso nell’Ade, ma dopo il colloquio con Hecate il suo nuovo maestro se
l’era caricato sotto un braccio e l’aveva portato in quella fortezza isolata,
incurante delle sue richieste.
I pugni ed i calci del bambino non sembravano
infastidirlo.
Lì dentro il tempo sembrava non trascorrere
mai; più volte, dopo essersi assicurato che la “domestica” non fosse nei
dintorni, Astherion era riuscito a sgattaiolare fuori dalla sua stanza per fare
un giro completo del castello.
La casa sembrava un labirinto: decine di
stanze disabitate ma pulite alla perfezione, piani e piani nei quali non si
incontrava anima viva.
Neanche la vecchia era di molta compagnia;
per la maggior parte del tempo spariva anche lei, e sembrava entrare nella casa
solo ad ora di pranzo e cena, quando gli bussava alla porta e lasciava un
vassoio davanti all’uscio per poi sparire di nuovo.
Astherion guardava i piatti con astio: pensava
di non mettere sotto i denti nulla fino a quando qualcuno non l’avesse
ascoltato.
Così lasciava con puntualità le vivande così
come la donna le aveva sistemate.
Pensava che, probabilmente, a Radamanthys non
importasse un granché che avesse deciso di morire di fame, eppure il bambino
continuava quella lotta impari da ormai diversi giorni da quando era arrivato
lì.
Fino a quando il bussare della vecchia non si
ripeté per la prima volta ad intervallo di pochissimo tempo, segno che non era
andata via come al suo solito.
Astherion fece orecchie da mercante,
rigirandosi sul letto per dare le spalle alla porta.
Altri colpi secchi al legno.
Ed ancora, e ancora, fino a quando, come se
avesse trovato un ritmo, il suono si fece tanto regolare ed insistente da snervarlo.
Era chiaro che la donna non se ne sarebbe
andata fino a quando lui non avrebbe aperto.
Dapprima il bambino pensò di tapparsi le
orecchie, nascose la testa sotto i cuscini, ma nulla bastava ad impedire che il
suono martellante lo raggiungesse.
Alla fine si alzò indispettito aprendo la
porta con uno scatto secco; la donna reggeva il vassoio con entrambe le mani,
come se non fosse impegnata a bussare solo fino ad un secondo prima.
La guardò contrariato, e lei gli porse il
vassoio senza proferire parola.
-Non lo voglio-
Disse secco.
Alla donna sfuggì una risatina simile ad uno
squittio.
-Il mio Signore vuole vederti- gli disse. La
sua voce stridula faceva venire voglia di tapparsi le orecchie pur di non
sentirla –ma se non prendi questo ritarderà ancora il vostro incontro. Ti vuole
bene in forze per quando vi rivedrete di nuovo, sì sì. Altrimenti non sarai in
grado di tener testa all’addestramento-
-Voglio vedere i miei genitori-
La donna agitò il vassoio verso di lui tanto
forte da fargli credere di trovarsi sommerso dal suo contenuto –Li vedrai. Li
vedrai, ma prima devi terminare l’addestramento. E se non mangi non ne sarai in
grado. Il padrone ti vuole forte, così dice-
Quello era un ricatto.
Astherion rifletté sulle sue possibilità:
rifiutare ancora e ritardare ancora il salvataggio di sua madre e suo padre, o
fare il gioco del tutore ed obbedire in modo da non attendere oltre.
Gli seccava ammetterlo, ma la vecchia aveva
ragione: se continuava con quell’insulso sciopero della fame non avrebbe avuto
molte possibilità di essere un buon guerriero per Hades.
E se gli avessero sottoposto qualche prova
prima di arruolarlo in modo definitivo?
Se non l’avesse superata, addio mamma e papà.
E quello non poteva permetterlo.
Con riluttanza prese il vassoio e si sbatté
la porta alle spalle.
Ci mise un po’ prima di assaggiare davvero
qualcosa perché pensava e ripensava all’ingiustizia che il destino gli aveva
riservato.
Infine, dapprima con forchettate rabbiose e
poi lente e svogliate, iniziò a vuotare i piatti di malavoglia, continuando a
ripetersi che tutto quello era necessario per riavere la sua famiglia.
Non poteva immaginare che, al piano di sotto,
Radamanthys aveva atteso personalmente che la vecchia risalisse dagli Inferi
portando con sé il vassoio bell’e pronto.
Il Giudice le aveva fatto cenno di salire,
accompagnando il gesto con una raccomandazione appena velata di minaccia.
-Mi raccomando, Euriale: fai in modo che il
nostro ospite apprezzi. Hades ha appena ottenuto un ottimo soldato-
La vecchia aveva sghignazzato con fare
complice, comprendendo appieno il senso di quelle parole.
***
Solo pochi giorni dopo quell’episodio,
Euriale entrò nella stanza del bambino facendogli cenno di seguirla; lo afferrò
per un braccio conducendolo al piano inferiore, lungo un corridoio quasi del
tutto oscuro, fino a raggiungere una porta nera.
Gli fece ancora una volta segno di bussare;
batteva le mani come una bambina, saltellando impaziente, sembrava euforica.
Astherion batté il pugno sul legno scuro e
subito sentì la voce del Giudice che gli ordinava di entrare.
Aprì la porta facendo un passo nella stanza
buia; la sola luce proveniva da una porta a vetri davanti alla quale stava
ritto Radamanthys, dandogli le spalle, le mani incrociate dietro la schiena.
La luce della luna allungava e distorceva la
sua ombra fino a farle raggiungere una lunghezza tale da ricoprire quella
dell’intera della stanza.
Astherion si sentì spingere in avanti dalle
mani nodose di Euriale, subito dopo un tonfo secco gli indicò che la vecchia si
era dileguata chiudendo la porta con non molta grazia, come se avesse fretta.
Adesso si trovava completamente solo con il
suo maestro, per la prima volta.
-Veniamo a noi-
Radamanthys si votò finalmente verso di lui.
I suoi occhi sembravano fosforescenti,
allerta, nella semioscurità della sala.
Fece qualche passo verso di lui, squadrandolo
dall’alto in basso con attenzione quasi ad esaminare le sue effettive capacità.
-Rinfrescami la memoria: come hai detto di
chiamarti?-
Anche quella era una finta.
Il Giudice lo ricordava benissimo, ed
Astherion pensò che volesse solo prendere tempo per tenerlo sulle spine ancora
per un po’.
Nonostante quel pensiero fece il possibile
per non far intuire al maestro di aver compreso la sua tattica.
-Mi chiamo Astherion-
-Astherion…- ripeté con lentezza Radamanthys.
Prese a passeggiare avanti e indietro pensieroso, la sua ombra sproporzionata
lo seguiva come un fantasma. Abbassò gli occhi su di lui con uno scatto
improvviso –un nome altisonante… quasi un nome da eroe. Vedremo di rendergli il dovuto onore-
-Che cosa devo fare?- chiese lui –Cosa mai
posso fare per Hades?-
-Non te ne rendi conto?- il sussurro del
Giudice aveva assunto una sfumatura di impazienza –Non hai capito ciò che hai
fatto seguendo quegli spiriti? Tu, un bambino, un mortale, hai attraversato i confini degli Inferi rimanendo illeso.
Questo è molto di più di una qualità: è un dono.
Hai nel sangue la capacità di poter varcare il limite tra la vita e la
morte senza essere sfiorato da quest’ultima. È per questo che Hades ti ha
lasciato in vita. Questo è un grande vantaggio per lui. È difficile trovare un
buon sicario che appartiene ad entrambi i mondi. Per cui adesso ascoltami bene:
da oggi cominceremo il tuo addestramento. Ti avverto, non pensare di ricevere
un trattamento di favore solo perché sei un moccioso. Niente pause, niente
spiegazioni ripetute, niente incomprensioni-
Astherion deglutì, per nulla rassicurato -E
poi, cosa faremo?-
-Limitati a restare vivo durante questa prima
fase-
Radamanthys gli fece cenno di seguirlo.
Aprì una porta nascosta dall’oscurità della
stanza e scesero alcune rampe di scale in silenzio.
Il tragitto era illuminato solo dalla scarsa
luce proveniente dalla stanza, ed alla prima svolta anche quella fonte di
illuminazione svanì lasciandoli nel buio più totale.
Il Giudice non sembrava preoccupato da quella
mancanza.
Astherion, invece, seguiva il maestro
puntellandosi alla parete, con la paura di mancare qualche gradino e rotolare
addosso al tutore.
Dubitava del fatto che avrebbe apprezzato.
Per fortuna una debole luce giunse in suo
soccorso aiutandolo a scendere le ultime scale in sicurezza; alcune torce
saldate alle pareti illuminavano di riflessi rossastri le pareti di una grande
sala circolare completamente spoglia.
Alcune feritoie sulla parte alta de muro
permettevano di arieggiare la stanza e far uscire il fumo.
Senza alcun dubbio quella sarebbe stata la
loro palestra.
Quando Radamanthys lo guardò soddisfatto,
Astherion ebbe la certezza che il Giudice non vedesse l’ora di poterlo usare
come antistress.
Alla luce delle torce gli occhi dello Specter brillavano di un minaccioso riflesso arancione.
-Immagino che tu non abbia idea di come si
affronti un vero combattimento, dico bene?-
Aveva l’aria di chi conosceva già la
risposta.
Suo malgrado, Astherion fu costretto a
scuotere la testa; non gli piaceva un granché la piega della situazione.
-Bene- il Giudice annuì soddisfatto –ma d’altronde
si dice che si apprende attraverso l’esperienza, quindi vediamo un po’ come te
la cavi con la difesa-
Non ci fu il tempo di inserire alcuna
domanda: subito dopo quelle parole una violenta onda d’urto investì il bambino
in pieno, mandandolo a sbattere con una forza indescrivibile contro il muro.
Il rumore del marmo mandato in frantumi
sembrò riempire la sala e lasciare un lungo eco, e per qualche istante di
troppo fu tutto ciò che il ragazzino riuscì ad udire.
Una volta esaurita la forza che lo schiacciava
contro la parete Astherion rovinò a terra di peso, dando il via ad una lunga
serie di facciate sul pavimento duro.
Radamanthys rimase immobile per tutto il
tempo in cui lui tentò di rialzarsi, riuscendoci solo dopo vari tentativi.
Gli sembrava di essersi rotto ogni singolo
osso del corpo.
-Riflessi non tanto pronti- commentò il
Giudice in tono di rimprovero –dovremo cominciare dal principio-
Il concetto di “ricominciare dal principio”
era, per Radamanthys, il colpire il bersaglio fino a quando questo non capiva,
attraverso gli scarsi consigli del maestro, ciò che era necessario fare per non
morire durante il primo giorno di addestramento.
L’unica dritta del Giudice era stata
“evitali”, riferita ai colpi.
Come?
Quando era il momento giusto?
Non aveva detto nulla a riguardo.
Astherion si era salvato solo grazie ad una
buona concentrazione, all’attenta osservazione dei gesti del maestro, alla
purtroppo tarda comprensione del suo metodo di prendere la mira prima
dell’attacco.
Era solo una frazione di secondo, eppure il
bambino notò che gli occhi rapaci del Giudice si concentravano su un punto ben
particolare, ed il colpo centrava quell’esatto punto solo un secondo dopo, e
sempre con sconvolgente precisione.
Ciò non toglieva che, prima di comprendere quella
tecnica, dovette affrontare altre disastrose spallate al muro con conseguenti
cadute; si era scorticato le ginocchia ed i palmi delle mani, ed una buona
quantità di graffi gli si era aperta anche sul viso.
Radamanthys non gli diceva mai di alzarsi.
Semplicemente aspettava, con quel suo sorriso
di sfida appena accennato bene in vista, come a dire “Avrai il coraggio di
rialzarti anche stavolta?”.
Astherion non voleva dargliela vinta, e si
rimetteva in piedi ad ogni nuova caduta.
Come primo giorno non era andato male.
Era continuato a ritmo di “io colpisco e tu
cadi” per ore interminabili, fino a quando il maestro non lo congedò con un
gesto secco dandogli appuntamento al giorno dopo.
Solo dopo che fu ritornato in camera ed ebbe
chiuso la porta a chiave Astherion si lasciò cadere sul letto, restando
immobile per lunghi, lentissimi minuti.
Quando ritrovò la forza di alzarsi si mise a
sedere per dare un’occhiata alle prime ferite della sua carriera.
Erano ricoperti di polvere ed avevano
iniziato a bruciare.
Il dolore, aggiunto alla perdita dei genitori
ed alle emozioni turbolente di quella giornata, gli fece da subito rimpiangere
l’incarico.
Astherion rimase raggomitolato sul letto a
fissarsi le ginocchia sbucciate con un gran senso di angoscia nel petto.
E pianse in silenzio fino a quando la
tristezza non lasciò posto al sonno.
______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
!Hola
a todos!
Ebbene sì, sono
tornata con questa nuova “ispirazione” dovuta alla canzone “Hand
of Sorrow” dei Within Teptation, che infatti dà il titolo alla storia e sarà
citata ad inizio capitolo J
Spero sia di vostro
gradimento e che mi darete un parere qualsiasi ^^
Al prossimo
aggiornamento,
Rory_Chan