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Autore: hikachu    03/03/2014    2 recensioni
Judai e Yubel visitano Johan e i tre raggiungono, forse, una sorta di equilibrio. Post serie.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jaden/Judai Yuki, Jesse/Johan Anderson, Yubel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Davanti a lui è un paesaggio di bianco e silenzio. Vita addormentata.

Judai apre la bocca per dire qualcosa, solo per scoprire che non ci sono parole che potrebbero possibilmente descrivere la sua sensazione di meraviglia. Ha visto la neve in precedenza; ha avuto freddo al punto da poter a stento sentire la punta delle dita e le sue labbra, seccatesi, sanguinavano un po', eppure, l'inverno in Giappone non è minimamente paragonabile a questo.

Questo è perfetto in un modo che ricorda favole ed incubi allo stesso tempo. È troppo perfetto.

“Wow,” l'esclamazione di Judai gli lascia le labbra in una nuvoletta che si scioglie in volute grigiastre e si dissolve, poi, nell'aria frizzante attorno a loro.

Johan lancia uno sguardo nella sua direzione e ridacchia. “È bellissimo, vero?”

“Hm-mh. È davvero fantastico. Non ho mai visto il mare tutto congelato in questo modo.” Poi inclina un poco la testa, e Johan riesce ad intravedere la punta di una lingua rosa che fa capolino all'angolo della sua bocca. È l'espressione che Judai era solito fare quando stava escogitando qualche bravata o stava riflettendo troppo intensamente su qualcosa di semplice. È da molto tempo che Johan non la vede e non può fare a meno di sentirsi curioso e un po' sollevato.

“Ehi, hai mai visto qualcosa del genere, Yubel?”

“Hm... forse sì, forse no.” Yubel suona, e sembra, seccata, mentre si materializza accanto al ragazzo senza nemmeno guardarlo.

Esattamente come gli altri due, lo spirito fissa le case e gli alberi e il porto ricoperti di neve, ma con sentimenti molto diversi: qualcosa la rende inquieta, o forse, semplicemente, non gradisce il posto. Di qualsiasi cosa si tratti, Johan pensa, è scritto a chiare lettere sulla sua faccia.

“Come si fa a dimenticare qualcosa come... come questo?”

“È possibile quando hai vissuto a lungo come me, Judai.”

“Oh.” Judai sbatte le palpebre; un istante dopo sta sorridendo. “Significa che ti stai facendo vecchia, allora?”

Yubel che aggrotta le sopracciglia e stringe i denti è una visione che farebbe raggomitolare per la paura qualsiasi persona normale, ma Judai non è una persona normale e scambi del genere sono parte della loro routine giornaliera: ride, e così fa Johan che poi si acciglia – in una maniera tanto aperta ed infantile che non è per nulla intimidatoria – quando Yubel soffia indignata—proprio contro di lui.

Non sono propriamente rivali: non c'è odio, né sfiducia tra loro—non a questo punto, comunque. Ma ci sono ferite che si sono inflitti a vicenda, consciamente o meno, e queste resteranno per sempre, anche nel caso in cui dovessero un giorno guarire e non lasciassero altro che le linee irregolari di cicatrici a stento visibili. È la natura del loro rapporto: come uno specchio che è quasi rotto ma non proprio; come un filo rosso che li lega assieme che lo vogliano o meno.

Finché ci sarà Judai, non gli sarà mai permesso di dirsi addio una volta per tutte. Lui è il loro filo rosso e la fonte di quel formicolio irritante che avvertono quando sono vicini, e che soltanto Yubel riconosce essere gelosia.

Johan è, probabilmente, troppo giovane e quindi troppo puro; troppo preso dal presente e da tutto il calore e l'entusiasmo che stare accanto a Judai gli dà, per comprendere o anche notare l'angolo più buio del suo cuore. O cosa, di preciso, continui a riportarlo da questo ragazzino smilzo e i suoi buffi capelli soffici.

Johan non può sapere che invece Yubel capisce, e che questo è ciò che adesso la rende tanto suscettibile.

“Ebbene?” chiede lei dopo qualche minuto, girandosi infine verso Judai. “Abbiamo percorso tutta la strada fino a qui soltanto per fissare questi tetti coperti di neve?”

Judai si gratta la nuca; il suo sorriso sembra un po' stanco e forse, per un momento, colpevole. “Eheheh. Certo che no. Noi andiamo ovunque ci siano persone che hanno bisogno di noi, ricordi? Inoltre—”

Yubel sbuffa. “Io lo ricordo.”

Lui la ignora comunque.

“Inoltre, non sono solo... i tetti, sai: c'è la foresta, e il mare e—”

“Faresti meglio a sistemare quella sciarpa o ti prenderai un raffreddore come l'ultima volta.” È come se stesse cercando con tutte le sue forze di apparire irritata, distaccata, ma Johan intravede mani ricoperte di squame che si flettono per un istante, come per muoversi in avanti, prima di chiudersi in pugni: i suoi occhi si muovono verso il posto dove quelle mani desideravano essere e vede la sciarpa di Judai, troppo allentata intorno al suo collo per il clima freddo.

“Non importa quante volte ti dica di prenderti più cura di te, sembri non imparare mai,” Yubel aggiunge, e Johan pensa che la sua voce suoni leggermente più divertita che esasperata: è in questo frangente che capisce i sentimenti dietro quel tono e il gesto carico d'affetto che non si è verificato perché lui è lì.

Ride senza conoscerne davvero il motivo. Forse è il pensiero che un drago possa essere timido.

 

---


Il giorno seguente ritrova Judai ancora a letto dopo l'ora di pranzo con una brutta influenza.

“Pare che la predizione di Yubel fosse corretta,” Johan commenta un po' troppo allegro.

Judai gli offre un sorriso impacciato. Il suo viso è arrossato e madido di sudore. Carbuncle Rubino sta schiacciando un sonnellino sul letto accanto a lui, e di tanto di tanto allunga una mano per grattarle il punto dietro le orecchie come ringraziamento per la compagnia. Yubel, d'altra parte, sembra essersi dimenticata di lui.

“Credevo fosse il tipo da arrabbiarsi tantissimo, lamentarsi tutto il giorno dire qualcosa del tipo 'te l'avevo detto!',” Johan esegue la sua migliore imitazione di una Yubel furiosa e ride.

Anche Judai ride. “È proprio fatta così. Il fatto che non si sia fatta vedere da questa mattina significa solo che è più arrabbiata del solito. O forse,” aggiunge con un piccolo sorriso che sembrerebbe malizioso se non si trattasse di Judai, “sta tenendo il broncio.”

“... Sembra che tu stia già meglio. Mi sono preoccupata per nulla.”

I ragazzi si voltano e Yubel è lì, che li fulmina con lo sguardo. La sua espressione è gelida come le sua parole, ma per un momento Johan pensa che sia un po' imbarazzata. Forse.

Non gli è concesso di ricontrollare perché lei svanisce immediatamente.

“Eh già, sta tenendo il broncio,” Judai sogghigna ed è lievemente forzato.

“Mi è sembrata... davvero molto arrabbiata.”

“Hmm, con ogni probabilità lo è. Un tantino. Ma più di ogni altra cosa, Yubel si preoccupa. E si imbroncia. È un po' come quei gatti che ti snobbano, e non molto brava ad esprimere le sue emozioni.”

Johan non sa cosa dire all'inizio: non ricorda che il suo amico fosse tanto percettivo. Judai ha sempre avuto un cuore d'oro, ma era anche sempre troppo preso dal suo piccolo mondo per comprendere appieno e relazionarsi con gli altri, persino con i suoi amici. Era terribilmente ingenuo, al punto da riuscire strambo è distaccato, quasi crudele, a modo suo.

Johan si chiede se il cambiamento sia dovuto al fatto che Judai stia crescendo oppure al legame che condivide con Yubel. Poi riflette che con ogni probabilità si tratta di entrambi, e sorride.

“Vado a preparare la cioccolata calda.”

Ruby si sveglia all'annuncio e le sue orecchie si drizzano.

“Sì, sì, ne farò un po' anche per te, Ruby.”

I suoi grandi, grandi occhi brillano. Johan pensa di essere felice in questo momento.

 

---


Non si aspettava di trovare Yubel in cucina, ad osservare lo scenario immacolato fuori alla finestra.

“Ehi.”

Yubel non risponde; Johan decide che è meglio lasciarla stare. Presto, l'aria odora di polvere di cacao.

Ha quasi finito quando Yubel decide di voltarsi e chiede, “Sta bene?”

Johan versa la cioccolata in tre tazze colorate, tutte provenienti da set diversi, troppo in fretta e una parte gli cola sulle dita. Sibila per il dolore, si domanda brevemente quanto questa singola domanda debba essere costata a lei, al suo orgoglio.

“Judai sta bene. Si tratta solo di un'influenza dopotutto; la febbre scenderà presto,” ricorda quel che Judai gli ha detto, a proposito di Yubel. “Avrebbe dovuto darti retta.”

Yubel sospira. “Non lo fa mai,” e gli ha detto, così, più di quanto le sarebbe piaciuto dire. In qualche modo, Johan lo intuisce.

“È testardo,” dice; viene fuori un po' troppo gentile.

“Ed ora, grazie alla sua testardaggine, siamo bloccati qui chissà per quanto tempo.”

Questa è la conversazione più lunga che loro due abbiano mai avuto.

“Non è un disturbo per me. Anzi, dovrei chiedere la rivincita a Judai ora che ne ho la possibilità!”

Il sorriso di Johan, privo di preoccupazioni e un po' sciocco, ricorda a Yubel di come Judai era solito sorridere in passato. Sorrideva a quel modo tutto il tempo, anche se erano separati.

“A meno che voi due non abbiate in programma qualcosa che non può aspettare, non vedo come trascorrere qualche altro giorno qui sarebbe un problema.”

Sei tu il problema, pensa Yubel. Appena ed inconsciamente, anche Johan ne è consapevole. Ma il problema non è grande abbastanza, perché non vi è più odio, dunque sì, resteranno: fino a che la febbre sarà scomparsa e Judai correrà di nuovo tra la neve e forse oltre, fino a che si sarà stancato del mare ghiacciato o sentirà la voce di qualcuno in difficoltà.

Johan deposita le tazze su un vassoio e le chiede se sia felice adesso.

Yubel sbatte le palpebre, distoglie lo sguardo. Le sue braccia restano incrociate, strette, contro il suo petto. Per un momento, sembra che resterà in silenzio, ma poi guarda di nuovo Johan ed apre la bocca per rispondere.

Nell'altra stanza, Judai si è addormentato con un sorriso sul volto.

   
 
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