Sherlock era lì, immobile e sconfitto. Mai avrebbe pensato che qualcuno alla
fine sarebbe riuscito a batterlo.
Due settimane prima.
-Ho un caso.-
-Da quanto?-
-Da 5 ma penso possa diventare anche un 6-
-Mh. Fa’ comunque attenzione.-
E quella fu l’ultima conversazione avuta con John.
Due settimane dopo.
Il caso si era trasformato in un 8.
Eccellente, se non fosse che Sherlock si ritrovava incatenato in una stanza
piena di tizi che lo stavano massacrando.
Il caso era apparso relativamente semplice; solita organizzazione criminale,
questa volta polacca, che trafficava armi belliche, droga e mano d’opera rubata
che Sherlock avrebbe dovuto rintracciare, recuperare e portare a Scotland Yard.
Il caso si era fatto interessante quando Sherlock, mentre indagava grazie all’
aiuto dei suoi amici senzatetto, aveva scoperto che l’organizzazione aveva
avuto in precedenza contatti con la rete di Moriarty. Quando il detective lo
aveva saputo, ne aveva fatto una questione personale, iniziando ad indagare
giorno e notte dormendo addirittura per strada pur di rimanere aggiornato su
ogni loro spostamento e abitudine prima di attaccare. Non avrebbe certo
vanificato due anni passati lontano da John proteggendolo da quei pazzi omicida
per un’organizzazione di dilettanti che, con una mossa sbagliata, avrebbero
rovinato tutto.
Dunque il caso aveva attraversato il Mind Palace di Sherlock andando ad
infilarsi in un grosso archivio con inciso sopra il numero 8.
Al quattordicesimo giorno di investigazione, Sherlock aveva ormai raccimolato
tutte le informazioni necessarie sul posto, sull’orario di guardia e su quante
persone ci fossero all’interno. Ne aveva calcolate 15 di conseguenza stanarle
non sarebbe stato difficile.
Quattro di loro erano di guardia all’entrata principale, altri quattro all’
entrata posteriore. Due sorvegliavano la merce e i rimanenti cinque giocavano a
carte ubriacandosi per la maggior parte del tempo.
Relativamente semplice.
Sherlock si era appostato dietro un grosso camion visualizzando con la mente
il percorso da fare. Chiuse gli occhi e focalizzò la strada. Dunque, avrebbe
fatto scattare l’allarme della macchina vicina così da distrarre le quattro
guardie dell’entrata principale, si sarebbe intrufolato nel locale colpendo le
due guardie della merce l’una alle costole incrinandone la terza e la quarta e
all’altro gli avrebbe rotto la caviglia. Avrebbe preso il fascicolo e sarebbe
scappato prima del ritorno delle quattro guardie.
Nella sua immaginazione, Sherlock ne era uscito indenne. Sorrise nel buio come
un gatto pregustando la risoluzione del caso e proiettandosi verso il suo
ritorno a casa dove lo aspettava John, sicuramente preoccupato.
Prese un sasso da terra e con la giusta forza, lo scagliò sulla seconda
macchina alla sua destra la quale, una volta colpita fece scattare l’allarme.
Come previsto tutte e quattro le guardie, quattro omoni stupidi come pecore,
accorsero a vedere cosa fosse successo. Sherlock approfittò del momento e corse
verso l’ingesso.
La stanza era abbastanza buia ma riusciva a scorgere le altre due guardie che
parlottavano tra di loro. Sherlock si lanciò su di loro.
Colpo al naso, frastornamento, colpo alle costole. Fuori uno.
Pugno allo zigomo, ginocchiata allo stomaco, gomitata al fianco, calcio alle
gambe, torsione della caviglia. Fuori due.
Più facile del previsto.
Forse aveva sbagliato a dare a quel caso un 8, forse non era neanche un 5
riflettendoci bene.
Sherlock si avvicinò al plico di fogli contenente tutte le informazioni sull’
organizzazione, vi poggiò la mano sopra quando all’improvviso un dolore
lancinante alla testa lo fece collassare a terra.
Tutto divenne buio.
Sherlock era lì, immobile e sconfitto. Mai avrebbe pensato che qualcuno alla
fine sarebbe riuscito a batterlo.
Sherlock aveva fatto letteralmente male i conti. I componenti dell’
organizzazione erano sedici.
Mentre stava prendendo il fascicolo, il sedicesimo componente lo aveva colpito
alla testa con una spranga di ferro procurandogli qualcosa di molto vicino a un
trauma cranico.
Aprì gli occhi lentamente cercando di mettere a fuoco le immagini; era in una
stanza circolare con una sola finestrella a tre metri dal pavimento, troppo
piccola persino per un topo. Provò a guardare il suo corpo nonostante la fatica
dato il dolore alla testa e vide il suo petto lacerato con la camicia bianca
strappata e bruciata, i polsi legati da una morsa di ferro sopra la testa e una
specie di mezza maschera di metallo a coprirgli la bocca. Molto spessa, aveva
una sporgenza appuntita che gli avevano infilato in bocca tappandogliela,
mentre con delle cinghie gliela avevano legata dietro molto stretta facendolo
sanguinare copiosamente. I capelli nero corvino ricadevano scompostamente sulla
fronte piena di tagli così come il resto del viso
Bruciava. Ogni parte di lui sembrava essere coperta dalle fiamme. Sentiva il
sapore del sangue in bocca ed era costretto ad ingoiarlo non potendo sputarlo
via. Dai polsi, in alto, usciva un lungo rivolo di sangue che cadendo si
mischiava con quello che usciva da un grosso taglio sulla fronte che gli
rendeva la vista dall’occhio destro pressappoco nulla.
Per quanto gli fu possibile cercò di individuare una via di fuga a non gliene
si figurò nessuna nella mente, era spacciato.
Percepiva il freddo del suo corpo che si andava a fondere con quello del
pavimento, il dolore che pulsava fuori e dentro di lui, il sangue, il battito
cardiaco che rallentava. Se fosse morto, John si sarebbe arrabbiato sul serio.
John.
John, John, John.
Il suo nome gli martellava nella mente spingendolo quasi ad urlare, non lo
avrebbe rivisto, ne era certo ma almeno questa volta aveva la sicurezza di aver
detto a John che lo amava e sapeva che lui lo amava di ricambio. E tutto andava
bene. Sarebbe morto con la consapevolezza che almeno uno nel mondo lo amava,
finalmente sapeva cosa significasse essere felice facendo dipendere questa
felicità dal cuore pulsante di un altro, dallo sguardo, dal sorriso, dai baci
di John.
John.
John, John, John.
Le ferite erano molto profonde e forse sarebbe morto per quelle. Forse sarebbe
morto per il trauma cranico o più probabilmente per il groppo di sangue che non
riusciva più ad ingoiare.
Sperò solo che nessuno raccontasse a John, quanta sofferenza e dolore stava
patendo e che era morto velocemente col suo nome tra le labbra, sapeva che John
era un inguaribile romantico e desiderava che qualcuno tipo Molly o Greg,
dipingessero il suo trapasso come un qualcosa da romanzo rosa. Di certo John
non l’avrebbe accettato ma era sempre meglio che raccontargli che il suo amante
era morto in una pozza di sangue con una morsa d’acciaio in bocca e il corpo
dilaniato.
Chiuse gli occhi strofinando la guancia sulla sua spalla asciugando una
lacrima traditrice che era scesa inesorabile sul volto tagliato e si abbandonò
al buio e al freddo nei quali la sua anima aveva vissuto per tanto tempo. Una
specie di ritorno alle origini, come quando si dice cenere alla cenere, polvere
alla polvere. O forse era il contrario. A Sherlock non importava.
Chiuse definitivamente gli occhi.
Una forte luce squarciò il buio. Una voce. Forse un angelo.
-Sherlock!! Resta con me…ti prego!-
John non era uno che si arrendeva. Neanche con Sherlock.
Il detective si era recentemente messo in testa l'idea che in questo caso John
non ne dovesse entrare, ovviamente sperare in una qualche motivazione se pur
vaga era praticamente impossibile. Ma John non si sarebbe arreso e mentre
Sherlock si destreggiava tra strade e indizi, lui lo spiava seguendo i suoi
spostamenti.
Quella sera John, si era tenuto allerta specialmente quando vide Sherlock
avventurarsi così sicuro. Sentiva che c'era qualcosa che non andava, lo
percepiva sin dalle viscere perché con Sherlock aveva un legame talmente forte
che poteva fiutare quando lui fosse in pericolo o quando fosse arrabbiato o
spaventato o...felice.
John aveva atteso più di mezz'ora fuori dal locale dell'organizzazione ma di
Sherlock non c'era traccia. Sapeva che avrebbe rispettato il piano ma forse
aveva avuto delle complicazioni e aveva dovuto ricorrere ad un piano
d'emergenza ma in tal caso John da la fuori avrebbe sentito un qualche
spostamento strano. Invece nulla. Eppure una lucina rossa continuava a
lampeggiargli nel cervello e senza pensarci troppo aveva chiamato Lestrade che
si era precipitato lì in venti minuti.
John spiegò la situazione e con molta cautela la squadra di Scotland Yard era
entrata nel covo.
John da fuori sentí colpi di pistola, tonfi e urla ma ancora niente Sherlock.
Si sentiva come una moglie in sala d'attesa che aspettava che il marito uscisse
dalla sala operatoria ma vedeva tutti scendere tranne lui.
Ansia, angoscia, preoccupazione assillavano la mente di John che decise di
fare irruzione nel dannato locale e rendersi conto lui stesso della situazione.
Mentre correva sentí la voce di Greg.
-CAZZO SHERLOCK!!! CHIAMATE UN' AMBULANZA PORCA PUTTANA!!!-
John perse 30 anni di vita e iniziò a correre talmente forte che non si curava
di non calpestare oggetti e cadaveri presenti sul pavimento ma ci passò su a
grandi falcate riducendo al massimo la distanza che separava lui e Sherlock.
Quando arrivò lo spettacolo fu traumatico.
Sherlock era irriconoscibile, i morti dell'altra stanza erano sicuramente in
condizioni migliori di lui che giaceva accasciato su se stesso con i polsi
legati in alto grondanti di sangue, il corpo dilaniato e un qualche cosa di
acciaio che premeva sulla bocca del detective.
-NO!-
John gli si buttò addosso liberandogli i polsi e afferrando con forza il corpo
esanime. Gli tolse quella dannata maschera lanciandola verso l'altro lato della
stanza; la faccia di Sherlock era distrutta, maciullata da graffi, gli angoli
della bocca, quella bocca perfetta che aveva baciato tante di quelle volte,
erano lacerati e non si distingueva il rosso del sangue da quello delle labbra,
i denti erano come tela bianca dipinta dal fuoco. Lo adagiò sulle sue gambe
tirando piccoli ma ben assestati schiaffi sulla faccia del compagno.
-Sherlock!! Resta con me...ti prego.-
John ansimava completamente in panico. Non lo avrebbe perso un'altra volta.
Non senza prima aver fatto qualcosa. Se fosse morto, John giurò che lo avrebbe
raggiunto chissà dove solo per dirgli che era un bugiardo perché gli aveva
promesso che non lo avrebbe lasciato mai più, che era lì per restare e invece
era andato via. Di nuovo.
-John...non credo che..-
-STA ZITTO GREG! CHIAMA UNA FOTTUTA AMBULANZA!-
Stringeva forte a se il corpo di Sherlock piangendo come mai aveva fatto nella
sua vita. Le sue lacrime si mescolavano con il sangue rappreso del compagno e
John si sentiva impotente.
-TU NON PUOI FARLO!- gridò digrignando i denti -NON PUOI LASCIARMI SOLO ANCORA!
- John premeva sul torace di Sherlock facendogli un massaggio cardiaco. Uno...
due...tre...
Uno..due..tre..
Uno. Due. Tre.
-Ti prego....-
Sherlock aprì gli occhi sputando un grosso grumo di sangue e riprese a
respirare piano.
-J...Jo...-
-Ssh, sono qua. Sono qua, Sherlock. Oh grazie a Dio!-
John sorrise e strinse a se il compagno che continuava a sputare sangue.
-Sei un fottuto bastardo- gli disse senza spegnere il sorriso perché Sherlock
era vivo e questo significava che anche il cuore di John poteva riprendere a
battere.
Sherlock fu sottoposto a vari controlli e nonostante le gravi ferite, un
principio di trauma cranico e le labbra lacerate, Sherlock parlava. Dannazione,
protestava insistentemente per non andare in ospedale ma per tornare a casa.
La fortuna, o sfortuna, fu che l'infermiera non riuscì a resistergli, o forse
a sopportarlo e gli accordò il permesso.
John era seduto accanto a Sherlock con una coperta marrone sulle spalle quando
Greg gli si avvicinò.
-Ti ho preso questa- porgendogli una borsa piuttosto grande e pesante -Nel
caso dovesse servirti qualcosa.-
John la aprì e notò con gran sollievo che conteneva tutto il kit medico
necessario per curare Sherlock, molto più fornito di quello che avevano a casa
e che il suo compagno aveva usato per i suoi esperimenti.
-Grazie Greg. Scusa se ti ho urlato contro prima.-
-Capisco il tuo stato d'animo. È stato uno shock anche per me. Ora vai o penso
che i paramedici aggiungano qualche punto di troppo alla bocca di Sherlock-
John sorrise debolmente e prese Sherlock per mano.
-Torniamo a casa?-
Il moro annuì e, scortati dalla polizia, fecero ritorno al 221b di Baker
Street.
John aprì la portiera della macchina facendo scendere Sherlock con cautela e
se lo coricò sulla spalla sana avviandosi verso la loro porta.
Entrarono in silenzio per non svegliare la signora Hudson, quella povera donna
aveva fin troppi problemi di cui preoccuparsi e sicuramente l'incoscienza di
Sherlock non doveva rientrare tra questi.
Salire le scale fu la parte più problematica di tutte, Sherlock gemeva a ogni
scalino e la forza di John iniziava a risentirne ma dovevano arrivare almeno in
salotto poi sarebbe stato più facile.
Dopo 10 lunghi minuti e 17 interminabili scalini, arrivarono alla porta di
ingresso; una volta dentro John adagiò cautamente Sherlock sul divano.
-Aspetta qui, vado a prepararti un bagno così laviamo via tutto questo sangue.
Il rosso non ti dona.- sorrise e fece per andarsene ma Sherlock lo prese per un
polso tirandolo verso di se.
-Mi dispiace...- disse sommessamente.
-Non è una cosa che sento dire tutti i giorni qui.- sorrise -Per cosa ti stai
scusando? Per non avermi voluto coinvolgere rischiando la vita, per la tua
mancanza di prudenza o per cosa?-
-Mi dispiace di essere quasi venuto meno alla mia promessa-
John si chinò su di lui lasciandogli un bacio sulla tempia destra, quella più
o meno intatta.
-Ti avrei raggiunto. Se il tuo cuore si ferma, si ferma il mio e....-
-No John, non é così. Ho..ho scritto un foglio, in caso di morte, mia
ovviamente, tu avrai tutto ciò che possiedo,Mycroft sarà costretto a darti
tutto ciò di cui hai bisogno e avrai una casa tua. Dovrai andare avanti senza
di me, infondo tempo fa lo hai già fatto, con Mary e..-
John scosse forte la testa con gli occhi che si riempivano di lacrime come
vasi lasciati sotto un rubinetto aperto per troppo tempo.
-Era diverso.. Tu..non puoi.. Tu non.. - trasse un profondo sospiro -Non
dobbiamo parlarne adesso. Sei vivo e dovremmo essere felici di questo, non fare
congetture sulla prossima volta che vorrai fare un tour con Caronte!- sbottò.
-Ma potrebbe accadere! John dobbiamo essere preparati e io non voglio che tu
ti trovi senza niente quando morirò-
-E se morissi io per primo? Mh? L'altro giorno in Francia è crollato un
ospedale perché un pazzo ha messo una bomba e sono morti un sacco di pazienti e
di medici, io sarei potuto essere benissimo uno di loro.-
-In tal caso sarebbe facile. Userei la tua pistola.-
-E perché tu puoi farlo?-
-Perché a me non rimarrebbe nessuno. Se perdo te perdo tutto. Se muori tu io
sono solo e non voglio..-
-Perché per me dovrebbe essere diverso?- domandò John secco.
-Perchè tu avresti soldi e assicurazioni per garantirti una famiglia e...-
John rise, una risata leggera che si scuriva piano piano impregnandosi di
amarezza.
-La mia famiglia sei tu e ti seguirò anche fino all'al di la, ti seguirò
sempre e comunque Sherlock.- John chiuse gli occhi scuotendo la testa, si passò
una mano sulla faccia e trasse un bel respiro. -Ora basta. Non ne voglio più
parlare. Vado a prepararti il bagno.-
Detto questo si diresse verso la porta bianca lasciando Sherlock sul divano
immerso nei propri pensieri.
Un turbinio di felicità, amarezza, gioia, dolore vorticava nella mente del
moro che tremava ancora un po' per il freddo, un po' per l'amore.
Con la coda dell'occhio poteva scorgere John piegato sulla vasca da bagno
mentre faceva scorrere l'acqua calda tra le proprie mani e versava del bagno
schiuma per fare qualche bolla perché sapeva che a Sherlock piaceva.
Nessuno da quando era piccolo gli aveva mai preparato un bagno con le bolle e
John, quando lo aveva saputo, aveva rimediato svuotando un'intero flacconcino
nella vasca riempiendola di infinite bolle arcobaleno. Poi vi si erano immersi
e John ne aveva prese alcune tra le mani e aveva soffiato facendole fluttuare
sul viso del compagno.
Sherlock non si era mai sentito tanto felice.
Ora John era di nuovo lì, con le mani immerse nell'acqua calda ancora una
volta per lui.
Appena la vasca fu piena John tornò da Sherlock conducendolo in bagno molto
lentamente. Lo fece appoggiare al lavandino e prestando attenzione gli tolse i
vestiti ridotti a brandelli gettandoli in un angolo. Lo prese per mano e gli
fece mettere un piede nell'acqua calda, Sherlock trasalì ma poi immerse il
piede lasciando che il calore prendesse possesso del suo corpo. Piano piano
riuscì a sedersi nella vasca con l'acqua che gli arrivava quasi fino ai
pettorali, John tirò su col naso, prese la spugna e iniziò a lavare il corpo
del compagno. Imbevve la spugna nell'acqua strizzandola piano sul torace
lavando via le prime macchie; Sherlock sentiva bruciare ogni taglio ma non se
ne curò, chiuse gli occhi e rimase immobile, abbandonandosi alle mani esperte
di John che lo accarezzavano, lo sfioravano e lo lavano con una dolcezza
inaudita.
Il dottore continuò a passare la spugna su gambe e braccia fino ad arrivare
alla faccia. Pulì con delle garze la zona sula tempia dove l'infermiera gli
aveva messo i punti e con un panno di lino bagnato passò alla pulizia del viso
da ogni traccia di sangue. Le labbra erano messe davvero male. Gli angoli erano
lacerati e uno spacco profondo divideva in due solchi il labbro inferiore
dilaniato dai tagli. Il collo diafano mostrava una serie di ematomi e graffi di
minor importanza che non avrebbero lasciato segno ma il resto del corpo era una
mappa geografica. I nuovi tagli spiccavano sulle cicatrici già esistenti
specialmente quelle sui polsi risalenti al periodo del liceo, evidentemente
Sherlock non aveva passato un periodo roseo.
John si era sempre concentrato sulla sua unica cicatrice ma vedendo in che
stato si trovasse il suo compagno si morse l'interno delle guance pensando a
quanto fosse stupida la sua in confronto a tutte quelle che aveva Sherlock e
che, dopo quel giorno avrebbe avuto.
-Non voglio che guardi- disse flebilmente il moro con gli occhi appena aperti.
-Sherl...-
-No...non voglio che mi vedi come porcellana perché è evidente che non è così
e non voglio neanche che ti senti in colpa per cose che non hai fatto. Questi
segni sono la prova della mia incoscienza ma anche delle mie battaglie. Molte
risalgono a "quel periodo" mentre cercavo di stanare la rete di Moriarty, altre
risalgono a qualche caso da 7, altre al liceo. Nessuna è riconducibile a te,
perciò va avanti.-
-Va bene.- John passò ai capelli strizzandoci sopra la spugna, i riccioli neri
incrostati di sangue ricaddero sulla fronte e il dottore li scostò lavandogli
con un po' di shampoo.
Sherlock ora era pulito, lo fece alzare e lo coprì con il suo accappatoio
bianco aiutandolo ad uscire dalla vasca nella quale l'acqua era diventata rossa
e le bolle erano del tutto sparite.
John fece sedere il compagno su una sedia che aveva portato dalla cucina e
tamponò la pelle diafana in ogni centimetro poi gli asciugò i capelli con
asciugamano e phon e gli fece indossare il pigiama.
Si diressero in camera e Sherlock provò un immenso piacere nel stendersi nel
letto caldo e altrettanto piacere nel vedere che John si era già munito di the
e una grossa coperta di pile.
John gli sorrise porgendogli la tazza fumante e coprendolo per bene; gli si
stese accanto accarezzandogli i ricci, un'abitudine che aveva preso da quando
aveva baciato la prima volta Sherlock; quei capelli erano irresistibili, John
lo aveva pensato Sin dal loro primo incontro.
-Grazie John.-
-Non è la prima volta che ti preparo un the-
-No, grazie per tutto questo.-
Sorrise, John, perché era felice; si strinse ancora di più a Sherlock
nascondendo il viso nell'incarico tra collo e spalla.
-Penso che dovremmo sposarci.- esordì il compagno.
-Sherl, se lo fai perché vuoi garantirmi tutte le coperture possibili in caso
di una tua ipotetica morte sappi che non è così che funziona e...-
-L'ho detto perché ti amo-
Il cuore di John si colmò di gioia, lo sentiva battere prepotente contro il
suo petto cercando di scappare via e tuffarsi nel Tamigi per la felicità.
-Mi rendo conto che non è la classica proposta che ti saresti aspettato
essendo tu un tradizionalista ma oggi ho avuto paura. Ho avuto il terrore di
non rivedere più i tuoi occhi e il tuo sorriso, di non poter più sentire il
calore della tua pelle che scalda la mia nelle notti fredde, di non sentire più
il profumo di the e marmellata sulle tue labbra, ho avuto paura di perdere il
mio John.-
-Siamo entrambi qui, ora e per sempre. E ci ameremo anche quando saremo vecchi
e rugosi e magari ci trasferiremo in una casetta nel Sussex e tu coltiverai
api. Ci ameremo anche dopo perché siamo infiniti e siamo destinati a
rincontrarci e ad amarci di nuovo perché è così che vanno le cose. E io ti
sposerò, Sherlock, non importa se in una chiesa, in comune o in un fienile. Io
ti sposerò ora e per sempre perché ti amo-
-Credere nella reincarnazione è tipico della religione buddista e parlare di
chiesa e fienili non sembra concordare molto. Senza contare che difficilmente
possiamo essere infiniti dato che l'infinito è un numero matematico che...-
-Sherlock per favore, non rovinare tutto.-
-Ma John...-
-Ssh- John gli tappò la bocca con un bacio lievissimo accarezzandolo con la
punta della lingua e assaporando un po' di lui. Gli si strinse addosso e
Sherlock lo avvolse col le sue lunghe braccia pallide annusandogli i capelli
per imprimere il suo profumo come un marchio indelebile dentro di se.
Rimasero così per ore, respirando l'uno il respiro dell'altro e vivendo del
suono dei loro cuori perché loro erano infinito, come diceva quel ragazzo in
quel film che John si ostinava tanto a rivedere piangendo come un bambino alla
fine della storia.
Ora sapevano che ci sarebbero stati in ogni caso, come prima, come ora, come
per sempre.
Loro erano infinito.
-Però l'idea delle api è proprio bella, John! Dovrei comprare dei libri e
magari un' arnia e delle protezioni e tu potresti mangiare il miele e...-
-Sherlock...abbiamo tutto il tempo del mondo per pensarci. Ora dormi.-
-Si, buonanotte John.-
-Buonanotte Sherlock.-
fine sarebbe riuscito a batterlo.
Due settimane prima.
-Ho un caso.-
-Da quanto?-
-Da 5 ma penso possa diventare anche un 6-
-Mh. Fa’ comunque attenzione.-
E quella fu l’ultima conversazione avuta con John.
Due settimane dopo.
Il caso si era trasformato in un 8.
Eccellente, se non fosse che Sherlock si ritrovava incatenato in una stanza
piena di tizi che lo stavano massacrando.
Il caso era apparso relativamente semplice; solita organizzazione criminale,
questa volta polacca, che trafficava armi belliche, droga e mano d’opera rubata
che Sherlock avrebbe dovuto rintracciare, recuperare e portare a Scotland Yard.
Il caso si era fatto interessante quando Sherlock, mentre indagava grazie all’
aiuto dei suoi amici senzatetto, aveva scoperto che l’organizzazione aveva
avuto in precedenza contatti con la rete di Moriarty. Quando il detective lo
aveva saputo, ne aveva fatto una questione personale, iniziando ad indagare
giorno e notte dormendo addirittura per strada pur di rimanere aggiornato su
ogni loro spostamento e abitudine prima di attaccare. Non avrebbe certo
vanificato due anni passati lontano da John proteggendolo da quei pazzi omicida
per un’organizzazione di dilettanti che, con una mossa sbagliata, avrebbero
rovinato tutto.
Dunque il caso aveva attraversato il Mind Palace di Sherlock andando ad
infilarsi in un grosso archivio con inciso sopra il numero 8.
Al quattordicesimo giorno di investigazione, Sherlock aveva ormai raccimolato
tutte le informazioni necessarie sul posto, sull’orario di guardia e su quante
persone ci fossero all’interno. Ne aveva calcolate 15 di conseguenza stanarle
non sarebbe stato difficile.
Quattro di loro erano di guardia all’entrata principale, altri quattro all’
entrata posteriore. Due sorvegliavano la merce e i rimanenti cinque giocavano a
carte ubriacandosi per la maggior parte del tempo.
Relativamente semplice.
Sherlock si era appostato dietro un grosso camion visualizzando con la mente
il percorso da fare. Chiuse gli occhi e focalizzò la strada. Dunque, avrebbe
fatto scattare l’allarme della macchina vicina così da distrarre le quattro
guardie dell’entrata principale, si sarebbe intrufolato nel locale colpendo le
due guardie della merce l’una alle costole incrinandone la terza e la quarta e
all’altro gli avrebbe rotto la caviglia. Avrebbe preso il fascicolo e sarebbe
scappato prima del ritorno delle quattro guardie.
Nella sua immaginazione, Sherlock ne era uscito indenne. Sorrise nel buio come
un gatto pregustando la risoluzione del caso e proiettandosi verso il suo
ritorno a casa dove lo aspettava John, sicuramente preoccupato.
Prese un sasso da terra e con la giusta forza, lo scagliò sulla seconda
macchina alla sua destra la quale, una volta colpita fece scattare l’allarme.
Come previsto tutte e quattro le guardie, quattro omoni stupidi come pecore,
accorsero a vedere cosa fosse successo. Sherlock approfittò del momento e corse
verso l’ingesso.
La stanza era abbastanza buia ma riusciva a scorgere le altre due guardie che
parlottavano tra di loro. Sherlock si lanciò su di loro.
Colpo al naso, frastornamento, colpo alle costole. Fuori uno.
Pugno allo zigomo, ginocchiata allo stomaco, gomitata al fianco, calcio alle
gambe, torsione della caviglia. Fuori due.
Più facile del previsto.
Forse aveva sbagliato a dare a quel caso un 8, forse non era neanche un 5
riflettendoci bene.
Sherlock si avvicinò al plico di fogli contenente tutte le informazioni sull’
organizzazione, vi poggiò la mano sopra quando all’improvviso un dolore
lancinante alla testa lo fece collassare a terra.
Tutto divenne buio.
Sherlock era lì, immobile e sconfitto. Mai avrebbe pensato che qualcuno alla
fine sarebbe riuscito a batterlo.
Sherlock aveva fatto letteralmente male i conti. I componenti dell’
organizzazione erano sedici.
Mentre stava prendendo il fascicolo, il sedicesimo componente lo aveva colpito
alla testa con una spranga di ferro procurandogli qualcosa di molto vicino a un
trauma cranico.
Aprì gli occhi lentamente cercando di mettere a fuoco le immagini; era in una
stanza circolare con una sola finestrella a tre metri dal pavimento, troppo
piccola persino per un topo. Provò a guardare il suo corpo nonostante la fatica
dato il dolore alla testa e vide il suo petto lacerato con la camicia bianca
strappata e bruciata, i polsi legati da una morsa di ferro sopra la testa e una
specie di mezza maschera di metallo a coprirgli la bocca. Molto spessa, aveva
una sporgenza appuntita che gli avevano infilato in bocca tappandogliela,
mentre con delle cinghie gliela avevano legata dietro molto stretta facendolo
sanguinare copiosamente. I capelli nero corvino ricadevano scompostamente sulla
fronte piena di tagli così come il resto del viso
Bruciava. Ogni parte di lui sembrava essere coperta dalle fiamme. Sentiva il
sapore del sangue in bocca ed era costretto ad ingoiarlo non potendo sputarlo
via. Dai polsi, in alto, usciva un lungo rivolo di sangue che cadendo si
mischiava con quello che usciva da un grosso taglio sulla fronte che gli
rendeva la vista dall’occhio destro pressappoco nulla.
Per quanto gli fu possibile cercò di individuare una via di fuga a non gliene
si figurò nessuna nella mente, era spacciato.
Percepiva il freddo del suo corpo che si andava a fondere con quello del
pavimento, il dolore che pulsava fuori e dentro di lui, il sangue, il battito
cardiaco che rallentava. Se fosse morto, John si sarebbe arrabbiato sul serio.
John.
John, John, John.
Il suo nome gli martellava nella mente spingendolo quasi ad urlare, non lo
avrebbe rivisto, ne era certo ma almeno questa volta aveva la sicurezza di aver
detto a John che lo amava e sapeva che lui lo amava di ricambio. E tutto andava
bene. Sarebbe morto con la consapevolezza che almeno uno nel mondo lo amava,
finalmente sapeva cosa significasse essere felice facendo dipendere questa
felicità dal cuore pulsante di un altro, dallo sguardo, dal sorriso, dai baci
di John.
John.
John, John, John.
Le ferite erano molto profonde e forse sarebbe morto per quelle. Forse sarebbe
morto per il trauma cranico o più probabilmente per il groppo di sangue che non
riusciva più ad ingoiare.
Sperò solo che nessuno raccontasse a John, quanta sofferenza e dolore stava
patendo e che era morto velocemente col suo nome tra le labbra, sapeva che John
era un inguaribile romantico e desiderava che qualcuno tipo Molly o Greg,
dipingessero il suo trapasso come un qualcosa da romanzo rosa. Di certo John
non l’avrebbe accettato ma era sempre meglio che raccontargli che il suo amante
era morto in una pozza di sangue con una morsa d’acciaio in bocca e il corpo
dilaniato.
Chiuse gli occhi strofinando la guancia sulla sua spalla asciugando una
lacrima traditrice che era scesa inesorabile sul volto tagliato e si abbandonò
al buio e al freddo nei quali la sua anima aveva vissuto per tanto tempo. Una
specie di ritorno alle origini, come quando si dice cenere alla cenere, polvere
alla polvere. O forse era il contrario. A Sherlock non importava.
Chiuse definitivamente gli occhi.
Una forte luce squarciò il buio. Una voce. Forse un angelo.
-Sherlock!! Resta con me…ti prego!-
John non era uno che si arrendeva. Neanche con Sherlock.
Il detective si era recentemente messo in testa l'idea che in questo caso John
non ne dovesse entrare, ovviamente sperare in una qualche motivazione se pur
vaga era praticamente impossibile. Ma John non si sarebbe arreso e mentre
Sherlock si destreggiava tra strade e indizi, lui lo spiava seguendo i suoi
spostamenti.
Quella sera John, si era tenuto allerta specialmente quando vide Sherlock
avventurarsi così sicuro. Sentiva che c'era qualcosa che non andava, lo
percepiva sin dalle viscere perché con Sherlock aveva un legame talmente forte
che poteva fiutare quando lui fosse in pericolo o quando fosse arrabbiato o
spaventato o...felice.
John aveva atteso più di mezz'ora fuori dal locale dell'organizzazione ma di
Sherlock non c'era traccia. Sapeva che avrebbe rispettato il piano ma forse
aveva avuto delle complicazioni e aveva dovuto ricorrere ad un piano
d'emergenza ma in tal caso John da la fuori avrebbe sentito un qualche
spostamento strano. Invece nulla. Eppure una lucina rossa continuava a
lampeggiargli nel cervello e senza pensarci troppo aveva chiamato Lestrade che
si era precipitato lì in venti minuti.
John spiegò la situazione e con molta cautela la squadra di Scotland Yard era
entrata nel covo.
John da fuori sentí colpi di pistola, tonfi e urla ma ancora niente Sherlock.
Si sentiva come una moglie in sala d'attesa che aspettava che il marito uscisse
dalla sala operatoria ma vedeva tutti scendere tranne lui.
Ansia, angoscia, preoccupazione assillavano la mente di John che decise di
fare irruzione nel dannato locale e rendersi conto lui stesso della situazione.
Mentre correva sentí la voce di Greg.
-CAZZO SHERLOCK!!! CHIAMATE UN' AMBULANZA PORCA PUTTANA!!!-
John perse 30 anni di vita e iniziò a correre talmente forte che non si curava
di non calpestare oggetti e cadaveri presenti sul pavimento ma ci passò su a
grandi falcate riducendo al massimo la distanza che separava lui e Sherlock.
Quando arrivò lo spettacolo fu traumatico.
Sherlock era irriconoscibile, i morti dell'altra stanza erano sicuramente in
condizioni migliori di lui che giaceva accasciato su se stesso con i polsi
legati in alto grondanti di sangue, il corpo dilaniato e un qualche cosa di
acciaio che premeva sulla bocca del detective.
-NO!-
John gli si buttò addosso liberandogli i polsi e afferrando con forza il corpo
esanime. Gli tolse quella dannata maschera lanciandola verso l'altro lato della
stanza; la faccia di Sherlock era distrutta, maciullata da graffi, gli angoli
della bocca, quella bocca perfetta che aveva baciato tante di quelle volte,
erano lacerati e non si distingueva il rosso del sangue da quello delle labbra,
i denti erano come tela bianca dipinta dal fuoco. Lo adagiò sulle sue gambe
tirando piccoli ma ben assestati schiaffi sulla faccia del compagno.
-Sherlock!! Resta con me...ti prego.-
John ansimava completamente in panico. Non lo avrebbe perso un'altra volta.
Non senza prima aver fatto qualcosa. Se fosse morto, John giurò che lo avrebbe
raggiunto chissà dove solo per dirgli che era un bugiardo perché gli aveva
promesso che non lo avrebbe lasciato mai più, che era lì per restare e invece
era andato via. Di nuovo.
-John...non credo che..-
-STA ZITTO GREG! CHIAMA UNA FOTTUTA AMBULANZA!-
Stringeva forte a se il corpo di Sherlock piangendo come mai aveva fatto nella
sua vita. Le sue lacrime si mescolavano con il sangue rappreso del compagno e
John si sentiva impotente.
-TU NON PUOI FARLO!- gridò digrignando i denti -NON PUOI LASCIARMI SOLO ANCORA!
- John premeva sul torace di Sherlock facendogli un massaggio cardiaco. Uno...
due...tre...
Uno..due..tre..
Uno. Due. Tre.
-Ti prego....-
Sherlock aprì gli occhi sputando un grosso grumo di sangue e riprese a
respirare piano.
-J...Jo...-
-Ssh, sono qua. Sono qua, Sherlock. Oh grazie a Dio!-
John sorrise e strinse a se il compagno che continuava a sputare sangue.
-Sei un fottuto bastardo- gli disse senza spegnere il sorriso perché Sherlock
era vivo e questo significava che anche il cuore di John poteva riprendere a
battere.
Sherlock fu sottoposto a vari controlli e nonostante le gravi ferite, un
principio di trauma cranico e le labbra lacerate, Sherlock parlava. Dannazione,
protestava insistentemente per non andare in ospedale ma per tornare a casa.
La fortuna, o sfortuna, fu che l'infermiera non riuscì a resistergli, o forse
a sopportarlo e gli accordò il permesso.
John era seduto accanto a Sherlock con una coperta marrone sulle spalle quando
Greg gli si avvicinò.
-Ti ho preso questa- porgendogli una borsa piuttosto grande e pesante -Nel
caso dovesse servirti qualcosa.-
John la aprì e notò con gran sollievo che conteneva tutto il kit medico
necessario per curare Sherlock, molto più fornito di quello che avevano a casa
e che il suo compagno aveva usato per i suoi esperimenti.
-Grazie Greg. Scusa se ti ho urlato contro prima.-
-Capisco il tuo stato d'animo. È stato uno shock anche per me. Ora vai o penso
che i paramedici aggiungano qualche punto di troppo alla bocca di Sherlock-
John sorrise debolmente e prese Sherlock per mano.
-Torniamo a casa?-
Il moro annuì e, scortati dalla polizia, fecero ritorno al 221b di Baker
Street.
John aprì la portiera della macchina facendo scendere Sherlock con cautela e
se lo coricò sulla spalla sana avviandosi verso la loro porta.
Entrarono in silenzio per non svegliare la signora Hudson, quella povera donna
aveva fin troppi problemi di cui preoccuparsi e sicuramente l'incoscienza di
Sherlock non doveva rientrare tra questi.
Salire le scale fu la parte più problematica di tutte, Sherlock gemeva a ogni
scalino e la forza di John iniziava a risentirne ma dovevano arrivare almeno in
salotto poi sarebbe stato più facile.
Dopo 10 lunghi minuti e 17 interminabili scalini, arrivarono alla porta di
ingresso; una volta dentro John adagiò cautamente Sherlock sul divano.
-Aspetta qui, vado a prepararti un bagno così laviamo via tutto questo sangue.
Il rosso non ti dona.- sorrise e fece per andarsene ma Sherlock lo prese per un
polso tirandolo verso di se.
-Mi dispiace...- disse sommessamente.
-Non è una cosa che sento dire tutti i giorni qui.- sorrise -Per cosa ti stai
scusando? Per non avermi voluto coinvolgere rischiando la vita, per la tua
mancanza di prudenza o per cosa?-
-Mi dispiace di essere quasi venuto meno alla mia promessa-
John si chinò su di lui lasciandogli un bacio sulla tempia destra, quella più
o meno intatta.
-Ti avrei raggiunto. Se il tuo cuore si ferma, si ferma il mio e....-
-No John, non é così. Ho..ho scritto un foglio, in caso di morte, mia
ovviamente, tu avrai tutto ciò che possiedo,Mycroft sarà costretto a darti
tutto ciò di cui hai bisogno e avrai una casa tua. Dovrai andare avanti senza
di me, infondo tempo fa lo hai già fatto, con Mary e..-
John scosse forte la testa con gli occhi che si riempivano di lacrime come
vasi lasciati sotto un rubinetto aperto per troppo tempo.
-Era diverso.. Tu..non puoi.. Tu non.. - trasse un profondo sospiro -Non
dobbiamo parlarne adesso. Sei vivo e dovremmo essere felici di questo, non fare
congetture sulla prossima volta che vorrai fare un tour con Caronte!- sbottò.
-Ma potrebbe accadere! John dobbiamo essere preparati e io non voglio che tu
ti trovi senza niente quando morirò-
-E se morissi io per primo? Mh? L'altro giorno in Francia è crollato un
ospedale perché un pazzo ha messo una bomba e sono morti un sacco di pazienti e
di medici, io sarei potuto essere benissimo uno di loro.-
-In tal caso sarebbe facile. Userei la tua pistola.-
-E perché tu puoi farlo?-
-Perché a me non rimarrebbe nessuno. Se perdo te perdo tutto. Se muori tu io
sono solo e non voglio..-
-Perché per me dovrebbe essere diverso?- domandò John secco.
-Perchè tu avresti soldi e assicurazioni per garantirti una famiglia e...-
John rise, una risata leggera che si scuriva piano piano impregnandosi di
amarezza.
-La mia famiglia sei tu e ti seguirò anche fino all'al di la, ti seguirò
sempre e comunque Sherlock.- John chiuse gli occhi scuotendo la testa, si passò
una mano sulla faccia e trasse un bel respiro. -Ora basta. Non ne voglio più
parlare. Vado a prepararti il bagno.-
Detto questo si diresse verso la porta bianca lasciando Sherlock sul divano
immerso nei propri pensieri.
Un turbinio di felicità, amarezza, gioia, dolore vorticava nella mente del
moro che tremava ancora un po' per il freddo, un po' per l'amore.
Con la coda dell'occhio poteva scorgere John piegato sulla vasca da bagno
mentre faceva scorrere l'acqua calda tra le proprie mani e versava del bagno
schiuma per fare qualche bolla perché sapeva che a Sherlock piaceva.
Nessuno da quando era piccolo gli aveva mai preparato un bagno con le bolle e
John, quando lo aveva saputo, aveva rimediato svuotando un'intero flacconcino
nella vasca riempiendola di infinite bolle arcobaleno. Poi vi si erano immersi
e John ne aveva prese alcune tra le mani e aveva soffiato facendole fluttuare
sul viso del compagno.
Sherlock non si era mai sentito tanto felice.
Ora John era di nuovo lì, con le mani immerse nell'acqua calda ancora una
volta per lui.
Appena la vasca fu piena John tornò da Sherlock conducendolo in bagno molto
lentamente. Lo fece appoggiare al lavandino e prestando attenzione gli tolse i
vestiti ridotti a brandelli gettandoli in un angolo. Lo prese per mano e gli
fece mettere un piede nell'acqua calda, Sherlock trasalì ma poi immerse il
piede lasciando che il calore prendesse possesso del suo corpo. Piano piano
riuscì a sedersi nella vasca con l'acqua che gli arrivava quasi fino ai
pettorali, John tirò su col naso, prese la spugna e iniziò a lavare il corpo
del compagno. Imbevve la spugna nell'acqua strizzandola piano sul torace
lavando via le prime macchie; Sherlock sentiva bruciare ogni taglio ma non se
ne curò, chiuse gli occhi e rimase immobile, abbandonandosi alle mani esperte
di John che lo accarezzavano, lo sfioravano e lo lavano con una dolcezza
inaudita.
Il dottore continuò a passare la spugna su gambe e braccia fino ad arrivare
alla faccia. Pulì con delle garze la zona sula tempia dove l'infermiera gli
aveva messo i punti e con un panno di lino bagnato passò alla pulizia del viso
da ogni traccia di sangue. Le labbra erano messe davvero male. Gli angoli erano
lacerati e uno spacco profondo divideva in due solchi il labbro inferiore
dilaniato dai tagli. Il collo diafano mostrava una serie di ematomi e graffi di
minor importanza che non avrebbero lasciato segno ma il resto del corpo era una
mappa geografica. I nuovi tagli spiccavano sulle cicatrici già esistenti
specialmente quelle sui polsi risalenti al periodo del liceo, evidentemente
Sherlock non aveva passato un periodo roseo.
John si era sempre concentrato sulla sua unica cicatrice ma vedendo in che
stato si trovasse il suo compagno si morse l'interno delle guance pensando a
quanto fosse stupida la sua in confronto a tutte quelle che aveva Sherlock e
che, dopo quel giorno avrebbe avuto.
-Non voglio che guardi- disse flebilmente il moro con gli occhi appena aperti.
-Sherl...-
-No...non voglio che mi vedi come porcellana perché è evidente che non è così
e non voglio neanche che ti senti in colpa per cose che non hai fatto. Questi
segni sono la prova della mia incoscienza ma anche delle mie battaglie. Molte
risalgono a "quel periodo" mentre cercavo di stanare la rete di Moriarty, altre
risalgono a qualche caso da 7, altre al liceo. Nessuna è riconducibile a te,
perciò va avanti.-
-Va bene.- John passò ai capelli strizzandoci sopra la spugna, i riccioli neri
incrostati di sangue ricaddero sulla fronte e il dottore li scostò lavandogli
con un po' di shampoo.
Sherlock ora era pulito, lo fece alzare e lo coprì con il suo accappatoio
bianco aiutandolo ad uscire dalla vasca nella quale l'acqua era diventata rossa
e le bolle erano del tutto sparite.
John fece sedere il compagno su una sedia che aveva portato dalla cucina e
tamponò la pelle diafana in ogni centimetro poi gli asciugò i capelli con
asciugamano e phon e gli fece indossare il pigiama.
Si diressero in camera e Sherlock provò un immenso piacere nel stendersi nel
letto caldo e altrettanto piacere nel vedere che John si era già munito di the
e una grossa coperta di pile.
John gli sorrise porgendogli la tazza fumante e coprendolo per bene; gli si
stese accanto accarezzandogli i ricci, un'abitudine che aveva preso da quando
aveva baciato la prima volta Sherlock; quei capelli erano irresistibili, John
lo aveva pensato Sin dal loro primo incontro.
-Grazie John.-
-Non è la prima volta che ti preparo un the-
-No, grazie per tutto questo.-
Sorrise, John, perché era felice; si strinse ancora di più a Sherlock
nascondendo il viso nell'incarico tra collo e spalla.
-Penso che dovremmo sposarci.- esordì il compagno.
-Sherl, se lo fai perché vuoi garantirmi tutte le coperture possibili in caso
di una tua ipotetica morte sappi che non è così che funziona e...-
-L'ho detto perché ti amo-
Il cuore di John si colmò di gioia, lo sentiva battere prepotente contro il
suo petto cercando di scappare via e tuffarsi nel Tamigi per la felicità.
-Mi rendo conto che non è la classica proposta che ti saresti aspettato
essendo tu un tradizionalista ma oggi ho avuto paura. Ho avuto il terrore di
non rivedere più i tuoi occhi e il tuo sorriso, di non poter più sentire il
calore della tua pelle che scalda la mia nelle notti fredde, di non sentire più
il profumo di the e marmellata sulle tue labbra, ho avuto paura di perdere il
mio John.-
-Siamo entrambi qui, ora e per sempre. E ci ameremo anche quando saremo vecchi
e rugosi e magari ci trasferiremo in una casetta nel Sussex e tu coltiverai
api. Ci ameremo anche dopo perché siamo infiniti e siamo destinati a
rincontrarci e ad amarci di nuovo perché è così che vanno le cose. E io ti
sposerò, Sherlock, non importa se in una chiesa, in comune o in un fienile. Io
ti sposerò ora e per sempre perché ti amo-
-Credere nella reincarnazione è tipico della religione buddista e parlare di
chiesa e fienili non sembra concordare molto. Senza contare che difficilmente
possiamo essere infiniti dato che l'infinito è un numero matematico che...-
-Sherlock per favore, non rovinare tutto.-
-Ma John...-
-Ssh- John gli tappò la bocca con un bacio lievissimo accarezzandolo con la
punta della lingua e assaporando un po' di lui. Gli si strinse addosso e
Sherlock lo avvolse col le sue lunghe braccia pallide annusandogli i capelli
per imprimere il suo profumo come un marchio indelebile dentro di se.
Rimasero così per ore, respirando l'uno il respiro dell'altro e vivendo del
suono dei loro cuori perché loro erano infinito, come diceva quel ragazzo in
quel film che John si ostinava tanto a rivedere piangendo come un bambino alla
fine della storia.
Ora sapevano che ci sarebbero stati in ogni caso, come prima, come ora, come
per sempre.
Loro erano infinito.
-Però l'idea delle api è proprio bella, John! Dovrei comprare dei libri e
magari un' arnia e delle protezioni e tu potresti mangiare il miele e...-
-Sherlock...abbiamo tutto il tempo del mondo per pensarci. Ora dormi.-
-Si, buonanotte John.-
-Buonanotte Sherlock.-