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Autore: Letz    04/03/2014    4 recensioni
Courfeyrac sarebbe stato un padre fantastico perché aveva una riserva d’amore inesauribile.
Ma Courfeyrac si era innamorato di lui, e lui non poteva dargli quello che desiderava: una famiglia. Stavano insieme da un anno e mai una volta avevano parlato della cosa, come se il problema non esistesse. Invece esisteva ed era gigantesco, come un enorme elefante in un salotto. Decisamente difficile da non vedere.
Le parole quasi non volevano uscire dalla bocca di Jehan.
“Io credo che dovremmo lasciarci”.
Jehan/Courfeyrac, accenni Enjolras/Granataire, AU (modern setting)
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è dedicata a Stef, che qualsiasi cosa accada avrà sempre un pezzo del mio cuore. Perché un giorno anche io possa fare da zia ad una bambina con i tuoi occhi.
 
 

 Retrouvaille

 
 
Retrouvaille: the joy of meeting or finding someone again after a long separation; rediscovery.
 
 
 
Courfeyrac sarebbe stato un padre fantastico, Jehan ne era profondamente convinto. E non era solo perché Courfeyrac veniva da una famiglia numerosa – la casa in cui era cresciuto era tappezzata di foto di cinque mocciosi con occhi verdi e capelli neri arruffati, indistinguibili uno dall’altro – o perché aveva sempre sostenuto di volere figli. “Più sono, meglio è” era il suo motto. E non era neppure perché fermava ogni madre con il passeggino per fare smorfie al pupo. Semplicemente Courf era lui stesso un bambino, sempre stupito del mondo e incapace di voler male a qualcuno. Courfeyrac sarebbe stato un padre fantastico perché aveva una riserva d’amore inesauribile.
Ma Courfeyrac si era innamorato di lui, e lui non poteva dargli quello che desiderava: una famiglia. Stavano insieme da un anno e mai una volta avevano parlato della cosa, come se il problema non esistesse. Invece esisteva ed era gigantesco, come un enorme elefante in un salotto. Decisamente difficile da non vedere.
Le parole quasi non volevano uscire dalla bocca di Jehan.
“Io credo che dovremmo lasciarci”.
 
~
 
Cinque anni dopo.
Jehan era incredibilmente nervoso dopo la telefonata di Courfeyrac. Erano almeno sei mesi che non metteva piede nel suo vecchio appartamento – il loro vecchio appartamento, pieno di ricordi dolorosi di quando erano felici – e la sola idea di tornarci lo faceva andare in iperventilazione. E se ci fosse stata anche Stephanie? Courf era stato stranamente vago, lui che normalmente non riusciva a tenere un segreto nemmeno se ne andasse della sua vita. “Ti devo parlare. Ho grandi notizie Jehan”.
Era da un anno che non stavano più insieme. Per quattro anni Jehan aveva tentato di far capire a Courf come lo stare insieme a lui lo stesse limitando, impedendogli di avere quella meravigliosa famiglia che sognava. E che meritava. Ma Courf era testardo, e innamorato, e non ne voleva sapere di andarsene. Un anno prima gli aveva chiesto di sposarlo. Ogni fibra del corpo di Jehan avrebbe voluto gridare sì, ma aveva detto no, dicendo di non credere nel matrimonio. Proprio lui che dopo sei mesi che stavano insieme aveva comprato un anello per Courf e non aveva mai avuto il coraggio di darglielo. Proprio lui che aveva pianto come un bambino ai matrimoni dei loro amici. Courf finalmente aveva ceduto e sei mesi dopo aveva iniziato a frequentare Stephanie. Jehan la odiava. La odiava per quello che rappresentava, la fine della sua storia con Courf. Ma non poteva realmente odiarla perché Stephanie era dolce e incredibilmente simpatica e avevano molte cose in comune. Parlavano di poesia, di arte e di cinema. Avrebbero potuto essere davvero amici se solo lei non gli stesse portando via l’amore della sua vita.
In realtà non avevano mai smesso di vedersi. Almeno una volta alla settimana si incontravano nel nuovo appartamento di Jehan e facevano disperatamente l’amore, come se ogni volta potesse essere l’ultima. Non parlavano mai del futuro, e Jehan era grato di questo fatto. Amava Courf così tanto che era ben contento di fare l’amante, anche per tutta la vita. Gli bastava solo avere un pezzo di Courf. Qualsiasi pezzo, anche se infinitesimale come quelle poche ore che si concedevano. Ogni volta che si vedevano Courf gli diceva di amarlo. Ma quando Jehan nominava Stephanie lo sguardo del suo compagno si faceva colpevole e cadeva immediatamente il gelo. Ormai era chiaro: non potevano vivere insieme e non potevano vivere separati. Dovevano solo trovare un equilibrio tra le due cose, senza pensare troppo a quanto tutta la situazione li stesse uccidendo. 
 
~
 
“Sei in anticipo Jehan”, disse Courfeyrac mentre gli apriva la porta e lo abbracciava. Per un secondo – un solo maledetto secondo – Jehan finse che non fosse cambiato nulla tra di loro. I capelli di Courf sapevano sempre di lavanda e indossava la maglietta che avevano comprato insieme quell’estate a Barcellona. “Accomodati pure in salotto. Prendo il vino”.
Doveva essere una notizia veramente grossa, solitamente Courf si limitava alla birra. Probabilmente il vino lo aveva scelto Grantaire, lui sì che se ne intendeva.
Mentre Courf armeggiava in cucina con la bottiglia e i bicchieri Jehan si aggirava per il salotto. Non c’era la minima traccia della presenza di Stephanie e questa era già una cosa positiva. Nemmeno una foto testimoniava che i due stessero insieme. Courf aveva sempre avuto il pallino della fotografia e la sua casa traboccava di foto degli Amis. Era stato lui a fare da fotografo ufficiale al matrimonio di Enjolras e Grantaire e a ogni compleanno della piccola Aurora Pontmercy. Il salotto era pieno di foto di loro due, in assurdi portafoto di ogni colore e dimensione, e Jehan non si spiegava come mai Stephanie non avesse obbligato Courf a sbarazzarsene. Erano i momenti migliori della loro storia, le vacanze, gli eventi speciali, i momenti più intimi e familiari. Lui e Courf erano stati una famiglia, seppur disastrata ed incompleta. Ammetterlo lo stava letteralmente uccidendo.
“Eccomi qui. È ora di brindare”.
“A cosa brindiamo? Un appalto importante? Qualcuno dei tuoi fratelli aspetta l’ennesimo bambino?”.
“Si tratta di Stephanie. Aspetta un bambino”.
Il bicchiere di Jehan si infranse sullo splendido parquet intarsiato e lui non potè fare a meno di pensare al giorno in cui erano entrati in quella casa senza mobili ed erano così felici che avevano fatto l’amore su quel parquet riscaldato dal sole di maggio. Cercando di rimediare al disastro Jehan si taglio con un grosso pezzo di vetro. Le lacrime che gli solcavano le guance però non avevano nulla a che fare con il taglio alla mano. Ora che le cose erano irrimediabilmente rovinate avrebbe dato qualsiasi cosa per tornare indietro. Per essere egoista, e per tenersi stretto Courf. E invece lo aveva gettato tra le braccia di Stephanie e aveva chiamato questo amore. Si era sentito speciale, capace di sacrificare la sua felicità per quella dell’uomo che amava. Quanto era stato stupido.
“Congratulazioni. Sarai un padre fantastico. E io potrò sempre fare lo zio figo”. Chissà come era riuscito a dire quella cosa mentre avrebbe solo voluto mettersi a urlare o raggomitolarsi sul pavimento. Con un movimento lento si asciugò le lacrime.
“Cristo Jehan, sembri la madonna che piange sangue”. Doveva essersi asciugato con la mano ferita. Poco male, si sentiva decisamente come uno che stava piangendo sangue.
Courf gli pulì dolcemente il viso con uno straccio bagnato e a lavoro finito gli diede un lieve bacio sulla fronte.
“Jehan non hai mai saputo mentire. Guardami negli occhi e dimmi che non desideri che questo bambino sparisca”.
Jehan si sentiva vulnerabile e mortalmente stanco. Non poteva mentirgli guardandolo negli occhi, quindi scelse il silenzio.
“Stephanie è una madre surrogata. Non volevo che fosse una cosa triste e asettica, fatta solo per soldi. Ho voluto che ci frequentassimo e ci conoscessimo e che lei approvasse beh…me e le mie scelte. So che sembra una cosa assurda, e forse anche un po’ inquietante perché io sto comprando l’utero di una donna per soddisfare i miei capricci. Ma mi conosci, credo nel libero arbitrio. Non tutte le madri surrogate dell’agenzia avrebbero accettato che il loro figlio andasse ad un omosessuale, ma Stephanie è decisamente una ribelle”, e qui Courf si concesse una timida risata. “ Ecco perché te l’ho presentata. È terribilmente curiosa, diceva di voler conoscere “quel folletto che ti ha rubato il cuore”. Ti chiamava proprio così”. Courfeyrac sospirò. “Jehan, avrò questo bambino e lo crescerò e lo amerò e potrei tentare di essere felice. Ma senza di te non sarebbe la stessa cosa. Quindi puoi tornare a vivere qui, crescere con me questo bambino e rendermi la persona più felice del mondo. O possiamo continuare a vederci una volta la settimana e fare l’amore e tu puoi essere lo zio figo o l’amico di papà. A te la scelta. Sappi che io continuerò ad amarti sempre Jehan, perchè ti amo da quando avevamo quindici anni anche se ci ho messo sei anni per dirtelo”.
Jehan pensò che gli si sarebbe spezzato il cuore. Perché era tutto perfettamente in stile Courf, affittare un utero e crescere da solo un bambino e accollarsi la responsabilità di tonnellate di scartoffie e di essere puntato a dito da tutti gli altri genitori normali del pianeta.
“Courf lasciaci soli”. Stephanie era scivolata silenziosamente nella stanza e li fissava in modo mortalmente serio. Era da qualche tempo che non la vedeva e non poteva credere che la pancia fosse già visibile. Probabilmente aveva smesso di uscire con loro quando non aveva più potuto nascondere il suo stato.
Courfeyrac si avviò lentamente su per le scale, fissando mestamente Jehan e Stephanie che si accomodavano sul suo divano.
“Avrei voluto dirtelo subito, la prima volta che ti ho conosciuto e hai recitato quella poesia su una donna ritrosa. Mi sei sempre piaciuto Jehan, e Courf sa benissimo che non approvavo tutto questo mistero. È un fifone, grande e grosso com’è. Pensava che tu non volessi figli né il matrimonio. Quindi ha preferito metterti davanti al fatto compiuto”, sospirò irritata Stephanie.
“Non credevo ci fosse la possibilità di…questo”, disse Jehan, la voce rotta, indicando la pancia prominente di Stephanie.
Lei gli prese la mano e se la posò dolcemente sul pancione. “Tira già i primi calci. Courf non ha voluto sapere il sesso, dice che così si sentirebbe obbligato a scegliere il nome e in queste cose non è portato. Ma io ho voluto saperlo. E voglio che lo sappia anche tu, e che capisca quanto avresti da perdere dicendo di no a quell’uomo meraviglioso che ti ama e che sta sicuramente origliando sulle scale”. Un rumore proveniente dal piano di sopra confermò le parole della ragazza che scoppiò a ridere.
“È una bambina”.
Jehan si concesse qualche secondo per metabolizzare tutte le informazioni della giornata. Lui aveva lasciato andare Courf affinchè si facesse una famiglia e fosse felice senza di lui. E invece Courf aveva affittato un utero e avrebbe cresciuto un bambino – bambina, è una bambina – da solo, pur di non impegnarsi in una relazione di facciata.
“Cazzate. Courf ha quattro fratelli e da quando lo conosco dice sempre di volere una figlia femmina. Ha scelto il nome quando aveva dodici anni. Camille. Si chiamerà Camille”.
Dire quelle parole ad alta voce lo avevano quasi convinto. A correre su per le scale, e dire “si, voglio te e questa bambina, questa Camille che avrà i tuoi occhi e il tuo sorriso e che amo già più della mia vita”. Ma fu la scatola di velluto blu che Stephanie gli mise in mano a convincerlo del tutto.
“Da parte di Grantaire. Pensava ti sarebbe servita”.
 
~
 
Nove mesi prima. Appartamento di Jehan.
“Cristo Jehan, questo posto è pieno di polvere”, si era lamentato Grantaire.
“Ed ecco spiegato il motivo per cui ti ho voluto qui. Devi aiutarmi a sistemare questo casino”.
“Eppure la tua vecchia casa mi sembrava sempre pulita e in ordine”.
“A quello ci pensava Courf”.
Nella stanza cadde un silenzio carico di tensione. Grantaire si sarebbe volentieri morso la lingua: Jehan non si era ancora ripreso dalla fine della sua storia con Courfeyrac e lui non trovava di meglio da fare che parlargli di lui. Come migliore amico faceva decisamente schifo.
Per un po’ lavorarono in silenzio, senza neppure guardarsi in faccia. Fino a che…
“E questo che diavolo è?”, esclamò Grantaire tenendo in mano una scatola di velluto blu di una gioielleria. Prima che Jehan potesse impedirglielo il ragazzo la aprì.
“Jehan”. La voce di Grantaire era venata di pietà. “Da quanto tempo lo hai?”.
“Sei anni”, pigolò il rosso.
“Jehan, vuoi spiegarmi perché tieni qui un anello di fidanzamento per Courfeyrac, che solo due mesi fa ti ha chiesto di sposarlo e a cui hai risposto di non credere nel matrimonio?”.
“Non è un anello di fidanzamento”, tentò di glissare Jehan.
“Non ci provare. Non puoi fregarmi Jehan, ti conosco da vent’anni. E poi è lo stesso identico anello che ho comprato per Enjolras. E che tu mi hai aiutato a scegliere”.
Le parole di Grantaire suonavano come un atto di accusa.
“Non ne voglio parlare Taire”.
“Sempre per quella maledetta storia dei bambini. Jehan, non si sceglie chi amare. Sono più di dieci anni che quell’idiota di Courfeyrac è innamorato di te, e in ogni momento avrebbe potuto lasciarti per una qualsiasi dei quelle oche che lo pedinavano al liceo. Ma lui vuole te. Fattene una ragione. Sei il mio migliore amico, e non ti giudico. Ma sei un fottuto idiota”.
E Grantaire se ne era andato sbattendo la porta.
 
~
 
Jehan salì i gradini a due a due, correndo come se ne andasse della sua vita. Spalancò la porta della loro vecchia stanza. Courf era seduto sul letto, con la testa tra le mani.
Jehan non era capace di contenersi quando era felice. Diventava un fiume di parole e sorrisi e abbracci e cinguettii e arcobaleni.
“Voglio un figlio con il tuo sorriso, quello sghembo che fai quando ti becco a rubare la nutella. Voglio un figlio che tifi Paris Saint German e che strilli come un pazzo per ogni azione da goal. Voglio un figlio con cui cantare a squarciagola le canzoni della radio. Voglio un figlio con l’ossessione dell’ordine, che mi rimproveri perché lascio i miei libri sparsi per la casa”. Sul viso di Courf si era stampato un sorriso ebete e Jehan pensò che non poteva esistere niente di più bello al mondo.
“Voglio un figlio che sia coraggioso come il suo papà, che vada controcorrente pur di seguire i suoi sogni. E voglio te. Ogni secondo, di ogni minuto, di ogni ora, di ogni giorno della mia vita. E so che stavi origliando, e tutto questo discorso doveva essere “voglio una figlia”. O meglio ancora “voglio che Camille”. Ma speravo di lasciarti ancora un po’ in sospeso”.
Il sorriso di Jehan era timido quando si inginocchio di fronte a Courfeyrac, tirò fuori la scatola con l’anello. “Sposami, perché questo anno senza di te è stato il peggiore della mia vita. Sposami, perché ho comprato questo anello quando stavamo insieme da sei mesi. Sposami, perché amo questa bambina che non ho mai visto quanto amo te”.
E ovviamente Courfeyrac disse di sì.
 
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Perdono, non volevo scrivere una cosa così triste ma loro mi hanno obbligato *Jehan e Courf ridacchiano in modo malefico*
Spero che nessuno tenti il suicidio, in fondo c’è un bel lieto fine con annesso matrimonio e cavalcata verso il tramonto ;)
L’obiezione che Camille Courfeyrac è un nome orribile non sarà presa in considerazione, sappiatelo ù_ù 
Godetevi l’amore scintillante tra questi due angioletti e perdonatemi ancora per la tristezza assurda di questa fic +_+
Grazie mille a chiunque leggerà/recensirà.
P.S. La frase sullo zio figo è una citazione di Gray’s Anatomy e del caro Mark Sloan di cui sto ancora piangendo la dipartita. 

Lots of love, 
Letz
  
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