Dolce Infanzia

 
Anche quel giorno andai a prendere Ben per andare a scuola. Abitavamo in un piccolo paesino di montagna, e a noi di quinta elementare ci lasciavano andare a scuola da soli. Io e Ben vivevamo vicini, un po’ fuori dal paese, di fianco al bosco.
Come tutte le mattine, suonai il campanello e aspettai che scendesse.
Cominciò a nevicare.
Appena fu arrivato, ci incamminammo verso la scuola. Negli ultimi giorni, tra di noi c’era un silenzio imbarazzato che io, non so come, trovai il coraggio di spezzare. – Sai una cosa, Ben?
- Che cosa?
- La neve cade allo stesso modo su di te e su di me, e questo ci rende più vicini, non credi?
- Hai ragione. Perché me lo dici?
- Beh, se lo dico a te, è più bello.
Tra di noi cadde nuovamente il silenzio. Questa volta fu lui a parlare. – Sai una cosa, Michi?
- Che cosa?
Lui cominciò a diventare rosso. Si guardò la punta delle scarpe. – Per me tu sei speciale.
Se lui aveva cominciato a tornare normale, io adesso ero paonazza.
- È come se tu fossi un soffio, vedi? – dicendolo mi mostrò la mano sinistra, curvata a formare un mezzo cuore; soffiò lievemente dal suo indice verso l’alto, e piano piano congiunse la mano destra alla sinistra. – Solo così il mio cuore sta bene.
Io, a quel punto, non mi seppi più trattenere. Gli buttai le braccia al collo e gli schioccai un sonoro bacio sulla guancia.
Ora eravamo rossi tutti e due.
Continuammo a camminare, io appesa al suo collo e il suo braccio attorno alla mia vita.
 
p.s. questo l’ho sognato stanotte, quindi se trovate cose inspiegabili – come bimbi di 10-11 anni che si dicono queste cose – è colpa del mio subconscio.