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Autore: Ruta    04/03/2014    6 recensioni
[Prima legge di Archie, applicata in natura.
In condizioni di pressione costante, la concentrazione di una mente è inversamente proporzionale al sentimento che la agita.]

Archie è un bambino e ammette di non avere ancora capito come gira il mondo. Una cosa, però, l'ha capita ed è che Molly non è "solo Molly", non per Mr Holmes.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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la legge Errata corrige: Ho appena scoperto che il "mio Charlie" in realtà si chiama Archie. Per intenderci: è il bambino che compare nel Segno dei Tre. Ho già provveduto a correggere la svista. Mi scuso ad ogni modo, colpa mia :)

Una giornata tranquilla, questo era stato il pensiero di Molly dopo che la mattinata era trascorsa tra le procedure di routine e le scartoffie in arretrato, senza che nulla di anomalo accadesse; poi il primo pomeriggio si era trascinato nell’identica, monotona corsa al rallentatore.
Una di quelle giornate in cui tutto era sotto controllo. Banali, banali, banali.
Noiosa, avrebbe commentato Sherlock nel suo miglior tono uggioso.
Non che Molly avesse da obiettare. Spesso le idee sue e di Sherlock riguardo un argomento di qualsiasi natura erano divergenti, ma in quell’occasione si sarebbero trovati assolutamente in accordo.
Quando il telefono a muro dell’obitorio – usato solo per chiamate d’emergenza interne – squillò, Molly sperò senza vergogna nel miracolo di un’urgenza.
Lo era, ma non del tipo preventivato.
Era una delle infermiera addette all’accettazione, Rita, che le annunciò che una certa Mrs. Hudson aveva chiamato per riferire un messaggio da parte di un tale infernale ragazzo. Il tale infernale ragazzo, al secolo Mr Holmes, pregava che si comunicasse alla Dottoressa Hooper (non testuali parole, Molly era pronta a metterci la mano sul fuoco) di raggiungerlo a Baker Street, appena possibile e senza impellenza.

 

 

 

 

  

 

 

La legge di Archie

 

 

 

 

 

 

Molly andò a Baker Street senza precipitarsi, con tutta la calma che fu pronta a concedersi.
Finì il suo turno – il giovedì la sua schedula prevedeva mezza giornata, ma questo lui lo sapeva, così come sapeva che non sarebbe andata se fosse stato altrimenti.
Da quando era tornato, riappropriandosi del ruolo unico e insostituibile che aveva lasciato vacante nelle vite di tutti loro per due anni, Molly aveva posto dei paletti nel suo rapporto con Sherlock.
Strano, ma vero, quando glieli aveva elencati, lui – smorfie a parte, ovvio – si era espresso favorevolmente. Perché era una delle sue principali qualità e le andava tributata come tale. Il senso del dovere, prima di tutto.
Per questo, quindi, Molly se la prese con comodo. Per questo e perché, anche se monotona, vista al di fuori rimaneva una meravigliosa giornata di fine settembre, una di quelle fruscianti in cui pareva di sentire allungarsi ovunque l’odore di sidro di mele e caldarroste: aria pura, appena una punta di freddo dietro le orecchie, come spifferi di corrente; un cielo nitido, senza nubi a intralciare la linea dell’orizzonte azzurro polvere. 
Quando fu sulla soglia dell’appartamento – cinque anni e nulla era mutato lì dentro; una costante, come il suo proprietario - fu costretta a fare i conti con il cambiamento nella figura insospettabile di un bambino. Non doveva avere più di dieci anni, undici al massimo ed era sprofondato con tutto l’agio della sua età nella poltrona di John.
Molly cominciò a guardarsi intorno. “Ciao”, disse, esitante. Si fece avanti, muovendosi come se stesse attraversando le sabbie mobili. Quando se ne accorse, si diede della sciocca. “Sei da solo?”
Il bambino fece segno di no, fissandola con curiosità. “Sono con un amico. È andato a prendere una cosa che aveva dimenticato e mi ha detto di aspettarlo qui nel frattempo.”
“Come ti chiami?”
Il bambino si grattò la guancia, imperturbabile. “Archie.”
Aveva qualcosa di familiare. Il modo in cui la guardava, dritto negli occhi, senza filtri, un interesse che sprofondava nella blanda indifferenza, la intenerì. Non perché le ricordasse uno Sherlock giovane e crucciato, già senza peli sulla lingua, ma meno accigliato nei confronti del mondo che lo circondava, la realtà nella sua interezza.
Si piegò sulle ginocchia per portarsi all’altezza del suo viso. “È un vero piacere conoscerti, Archie. Io sono Molly. Non ci siamo già incontrati da qualche parte?”
Lui la studiò criticamente, strizzò gli occhi scuri, come per metterla a fuoco. “Al matrimonio dei Watson”, annuì, alla fine. “Indossavi un vestito verde e un cappello buffo?”
“Giallo. Era giallo e per quanto il termine buffo risulti appropriato, il suo copricapo era un fiocco dalle proporzioni più che discutibili.”
Sherlock era comparso, molto probabilmente arrivava dalla camera da letto. Aveva un camice da laboratorio sotto braccio e un paio di occhiali protettivi. Li porse al bambino – Archie e le fece un breve cenno di saluto a cui Molly rispose con uno identico, le sopracciglia inarcate. Sherlock? Era lui l’amico a cui si riferiva? 
Archie li prese senza una parola di ringraziamento. Cominciò a piegare il camice e si mise gli occhiali al collo, come una strana collana ornamentale. “È la tua ragazza?” chiese a Sherlock, intanto che compiva questa serie di azioni con precisione meticolosa.
Sherlock batté le palpebre. La prospettiva sembrò confonderlo. O forse era il fatto che qualcuno, fosse anche un bambino, potesse essere sfiorato da quell’idea a sconvolgerlo?
“È Molly”, rispose con semplicità e una genuina nota di meraviglia.
E Molly allontanò lo sguardo e arricciò le labbra per nascondere il sorriso che quelle due semplici parole avevano fatto nascere.  
“Che è un modo per dire che non lo è”, ribatté Archie, storcendo il naso con aria scontenta. Si voltò verso di lei. “Ora ricordo. Sei la fidanzata di Pugnale di carne.”
“Come?”

Pugnale di carne? Cosa? Oh- oh.
“Lo hai lasciato?” proseguì Archie. “Se frequentassi qualcuno così stupido e me ne accorgessi, rimedierei subito.”
“Tom non è stupido”, lo difese Molly con convinzione. Si domandò quale fosse il modo più giusto per spiegare a un bambino di dieci anni le folli logiche che spingevano un adulto a rendersi ridicolo. “Ha solo una grande immaginazione.”
“O sei gentile o sei molto stupida anche tu.”
Prima che Molly potesse dire qualcosa, qualunque cosa, la mano di Sherlock scattò verso Archie. Due secondi più tardi Archie era in piedi di fronte a lei, forzato dalla presa di Sherlock che lo aveva afferrato per lo scollo della maglietta e lo costringeva in una posizione dimessa e di sicuro poco piacevole.
“Chiedi scusa”, ordinò, brusco.
“Cosa?” esalò Molly. Nello stesso momento, con un identico accento di sconcerto e una punta di fastidio, Archie chiese: “Perché?”
“Sei stato impertinente quando lei invece è stata cortese, inoltre le hai mancato di rispetto senza un motivo. Ora chiedile scusa”, ribadì Sherlock, dandogli una leggera scrollata.

Quindi se le avesse mancato di rispetto, ma per un motivo del tutto plausibile, sarebbe andato bene? Molly dovette mordersi la lingua, divisa tra incredulità, disagio e senso di colpa.
Archie abbassò il mento, strusciò le scarpe da ginnastica sul tappeto. “Mi dispiace.”
Sherlock roteò gli occhi e aprì la bocca. A quanto pareva il tono delle scuse non lo aveva soddisfatto.
Senza farsi vedere da Archie, Molly lo colpì sull’avambraccio con la borsa, prima che potesse dire qualcosa di tragicamente vero, ma comicamente fuori luogo.
Sherlock sgranò gli occhi in un’espressione grottesca.
Era l’aria oltraggiata di un pavone e lo sguardo dichiarava a chiare lettere: Sei nei guai, Molly Hooper. Come hai osato – e altre facezie del tipo.
Molly non gli badò. Carezzò la testa ad Archie, imbronciato nell’offesa tipica di un bambino che viene rimproverato perché ha sbagliato. “Non fa nulla, Archie. Sono abituata agli individui che fraintendono la cortesia e cercano di comprarmi con le lusinghe.”

Prendilo in quel posto, Sherlock, avrebbe detto John, ridacchiando sotto i baffi.
Molly era più incline alla ragionevolezza, perciò pensò un più indulgente: Ben ti sta.
Quando incrociò lo sguardo di Sherlock fu sorpresa di non trovarvi alcuna traccia di fastidio o disappunto o irritazione. Aveva già visto quella luce – un lampo indefinito ad attraversarlo -, quella faccia.
Non riuscì a ricordare quando e il non-ricordo le rose il petto e le affilò il respiro.

 

 

 

Saltò fuori che la non-urgenza di Sherlock fosse in effetti una non-apertamente-dichiarata richiesta di baby-sitting.
Saltò fuori che Sherlock avesse un caso in corso (un sei, niente per cui allarmarsi, comunque) e che nonostante questo non “avesse avuto il cuore” (questo era stato il gentile accorgimento linguistico trovato da Molly che, tuttavia, credeva fermamente si fosse trattata di una dimenticanza in piena regola) di rinviare o cancellare l’appuntamento preso in precedenza con Archie.
John era al lavoro (sbuffo irriverente), lo stesso dicevasi di Mary. Mrs. Hudson era andata a trovare un’amica di vecchia data per rivangare una gioventù da tempo espatriata (alzata di spalle, altro sbuffo di pura impudenza).
Nel circolo di alternative l’unica disponibile rimaneva dunque lei, Molly. 
Da prosaica e tranquilla che era stata, la giornata si era trasformata in una girandola di occasioni e soluzioni.
Molly avrebbe potuto arrabbiarsi per il relativo preavviso che Sherlock le aveva dato, avrebbe potuto sentirsi offesa dall’assunto incontrovertibile che vedeva Sherlock dare per scontato – e a ragione, accidenti a lui! – che lei non avesse niente di meglio da fare nel suo unico pomeriggio libero infrasettimanale. 
Molly preferì non rimuginarci. Era diventata piuttosto abile nel trascurare i brutti pensieri.

Si deliziò, rendendo la cucina di Sherlock un incubo di Dita mozzate di Strega, Occhi Strappati e Insanguinati, Ossa Spolpate, Cervelli di Zombie, un Cimitero di Pietre Tombali, Omini di Scheletro, Ragni Pelosi, nel divertimento condiviso con Archie a cui raccontò – le braccia affondate fino ai gomiti nell’impasto per dolci - la storia di  Jack-o'-lantern, un fabbro astuto, avaro e ubriacone, che un giorno al bar incontrò il diavolo*, (Sherlock dal salotto borbottava carinerie sull’ignoranza collettiva, sul Samhain, sul Capodanno Celtico e sulla “fine dell’estate” e: “Molly. Ti avevo chiesto di guardare il bambino, non di fare la piccola pasticcera.”).
La soddisfazione sfumò in un sorrisetto flessibile quando l’ombra calante di Sherlock si proiettò sul pavimento, nello spazio tra lei e Archie, seduti come indiani di fronte al forno.
Lo sguardo di Sherlock indugiò su tutto e niente nella cucina a soqquadro – le teglie nell’acquaio, il tavolo infarinato, le siringhe da pasticcere con la glassa e la gelatina abbandonate in un angolo. Arcuò un angolo della bocca, sembrava che lo spettacolo lo divertisse. Possibile? “Niente Mele Stregate, vedo.”
“In compenso hai scoperto di avere un forno e che mischiando uova, latte, burro e farina si possono creare produzioni artistiche degne di una scena del crimine.”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e - Non essere ridicola, Molly, sembrava dire.

 

 

 

Come tutte le esperienze piacevoli, al pari di quelle spiacevoli, anche il pomeriggio ebbe fine. Archie aveva fatto incetta di Occhi Strappati. Aveva il camice che Sherlock gli aveva dato, piegato con cura nello zainetto, e gli occhiali protettivi al collo.
Molly gli aveva promesso che la prossima volta sarebbe stata dedicata a esperimenti chimici caserecci.
Lunga vita alla scienza, era stato il commento derisorio di Sherlock.  
“Salutatevi come si conviene a persone civili dotate di ragionevolezza e di una certa intelligenza”, ingiunse Sherlock, senza alzarsi dalla scrivania.
Molly si voltò di scatto. “Hai appena detto che sono intelligente?” domandò, sorpresa. Arrossì. “Scusa. È che non lo avevi mai fatto prima.”
Sherlock roteò gli occhi. “Un’altra osservazione del genere e non dovrai domandarti perché.”
Molly scosse la testa e si chinò verso Archie. Aveva  un sorriso smagliante.
Si sorprese quando il bambino si alzò sulle punte e ne approfittò per buttarle le braccia al collo e stringerla con tutta la forza che aveva. “Non puoi lasciare Pugnale di carne per lui?” le mormorò con veemenza all’orecchio. “Anche lui ti-”
Molly poté solo immaginare quello che era stato sul punto di dire.
“Archie.” Di nuovo Sherlock, una chiara nota di avvertimento nella voce di velluto. “Tua madre inizia a mostrare segni d’impazienza. Altri quindici secondi e mi sguinzaglierà contro tutta Scotland Yard.”
Archie annuì. Le lanciò un’ultima occhiata, una di quelle in cui i bambini riescono a contenere tutte le parole del mondo. Poi corse via.

 

 

 

Molly aveva ripulito il macello in cucina. All’inizio non avrebbe voluto farlo, ma la coscienza l’aveva avuta vinta, supportata dall’idea che, se non lo avesse fatto lei, l’ingrato compito di rassettare sarebbe toccato a Mrs. Hudson o a John.
Una volta finito, ritornò in salotto per prendere il cappotto e la borsa. Lì rimase, le braccia incrociate sul petto e l’espressione raccolta, a guardare Sherlock mentre effettuava le sue ricerche al laptop. 
“Tu eri così? Intendo da piccolo.”
Per chiunque altro la domanda, posta all’improvviso e senza preamboli, sarebbe suonata strana, nonché un’incresciosa mancanza di rispetto. Per Sherlock, invece, tutto quanto concerneva la curiosità e l’immagazzinare informazioni – anche se non necessarie come quella – era logico, naturale atto di vita. 
“La percezione che abbiamo di noi stessi è deformata. Dovresti chiedere a Mycroft.” Sherlock spostò gli occhi dal monitor, destinandole un minuscolo sorriso obliquo. “Si divertirebbe a demolirmi in centotre, no, centoquattro modi diversi.”
“Quando hai sgridato Archie…” iniziò Molly. “Non era necessario, sai. Ha dieci anni. È normale che sia antipatico e insolente, a volte.”
“La maleducazione non ha niente a che spartire con l’età. È tutta questione di mentalità e da bambini ha il pregio di essere ancora malleabile, non scolpita nell’intemperanza dell’esperienza e in una personalità definitiva.”

Da quale pulpito.  
Molly scosse la testa, annodando la sciarpa. “Se avessi un penny per ogni volta in cui tu sei stato sgarbato, sarei una donna decisamente ricca.”
Sherlock non ribatté e Molly intuì che la sua risposta lo avesse infastidito.
“Lo dici anche di me, Molly?” Gli occhi di Sherlock si erano fatti gelidi e duri, opprimenti. “Ha modi impossibili, ma una mente brillante. Inventi attenuanti per giustificare le mie azioni e il criterio che seguo nel compierle?”
Come spiegare a un sordo perché non riusciva a sentire? A un cieco la sua cecità?
“Quando si ama qualcuno se ne amano anche i difetti peggiori.”
“Come tu ami Tom?”
Molly strinse le labbra, rilasciò un sospiro. Aveva ricollegato quel lampo, quella faccia a un momento preciso. Non si mosse e neppure Sherlock.
Era uno di quegli attimi sospesi nel tempo, decise lei, uno tra quelli che avrebbero potuto decidere vite e cambiare la storia. Portare qualcuno ad essere una persona completamente diversa, a compiere scelte che non avrebbe mai pensato di prendere prima, strade mai percorse. Sarebbero bastati pochi passi. 
Alla fine Molly si decise a inghiottire il grumo di sentimenti. Si schiarì la gola e mosse i piedi, ma nella direzione opposta, verso la porta. “Arrivederci, Sherlock.”
“Arrivederci, Molly Hooper.”
Forse lo sognò. Forse successe davvero. D’altronde Sherlock era stato capace di chiederle scusa una volta, perché non avrebbe potuto ringraziarla, allora?
Fatto stava che Molly quel ‘grazie’ fu quasi certa di esserselo solo immaginato, insieme all’ombra che gli aveva oscurato la fronte quando le aveva chiesto se amasse Tom.
Molly non lo sapeva. Per giorni preferì non farlo. Un giorno, però, uno a caso, non ne fu più in grado. Non riuscì a smettere di fantasticare su ‘come sarebbe stato se’.
Fu il giorno in cui restituì a Tom il suo anello.

 

 

*

 

Prima che Archie andasse a Baker Street trascorsero molti e molti mesi.
Ad ottobre c’era stata un incidente, gli aveva spiegato sua madre, e il signor Holmes era rimasto coinvolto. Nulla di pericoloso, ma era per questo che non poteva andare a trovarlo. Potevano mandargli dei cioccolatini, se voleva.
Archie aveva detto di no ai cioccolatini. Il signor Holmes non era tipo da cioccolatini, quindi no, davvero, niente cioccolatini. Mele Stregate, aveva detto.
E Mele Stregate erano state.
Perciò, quando Archie mise piede nel 221B, un nuovo anno era cominciato, vari casi si erano succeduti nel frattempo e qualcos’altro era cambiato.
Si rese subito conto che c’era qualcosa di nuovo e strano nell’aria. Non perché l’appartamento avesse un aspetto decisamente più pulito o perché sulla trave del camino ci fosse un piccolo vaso di fiori, di quelli minuscoli che passano inosservati, ma sono i più profumati, mughetti o margherite di campo. C’erano molti più libri – non che prima fossero pochi -, un paio di cuscini sul divano e un plaid.
C’era un giradischi su un vecchio baule in un angolo e un paio di fotografie, di cui una in bianco e nero.
Non era quello il qualcosa di diverso. Il qualcosa non era nei profumi o nei colori. Era nel silenzio, o meglio nella diversa qualità di silenzio. Prima era di quelli granulosi, pieni di pensieri inespressi, pieni delle parole che il suo proprietario preferiva tenersi per sé, fino al momento in cui esporle gli avrebbe portato un beneficio.
Ora era un silenzio nuovo. Un silenzio che faceva da intermezzo.
Un silenzio rotto da una risata e da un borbottio, entrambi provenienti dalla cucina.
Molly era china sul microscopio e cercava di spingere via Mr Holmes che era dietro di lei, le mani sulle sue spalle. Molly rideva e così Mr Holmes, anche se la sua risata era intrappolata negli occhi, come certi insetti nei bicchieri capovolti.  
“Archie”, disse Mr Holmes, segno che aveva preso atto silenziosamente della sua presenza sin dall’inizio. Lo guardò da sopra la testa di Molly, lasciando lentamente la presa. “Quando si entra in casa d’altri, si porgono i saluti.”
Archie sorrise. “Giusto. Buongiorno a tutti. Cosa state facendo?”
“Mi sembrava di averti assicurato una giornata all’insegna della scienza. Mantengo solo le mie promesse.”
Il sorriso di Archie si ingrandì. “Era stata Molly a prometterlo.”
Mr Holmes roteò gli occhi. “Giusto per rimanere in tema di chiarimenti, devo modificare un’osservazione che ho fatto in passato. Molly è la mia patologa e coinquilina.”
Molly lo spinse di lato per andare a salutarlo con un abbraccio e arruffargli i capelli. Gli strizzò l'occhio. “Non gli badare. Odia la parola ragazza o fidanzata o compagna o qualsiasi variante proponibile.”
Mr Holmes arricciò il naso con fare sdegnato. “Questo perché sono tutte ridicolmente imbarazzanti e fuorvianti. Non abbiamo quattordici anni, Molly.”
Archie, ormai, aveva un sorriso enorme, come quelli da smile. Per chiunque avesse orecchie aveva in serbo un gigantesco, euforico:
Lo sapevo!

 

 

 

 

Prima legge di Archie, applicata in natura.
In condizioni di pressione costante, la concentrazione di una mente è inversamente proporzionale al sentimento che la agita. 
Espresso in parole spicciole. Metti sotto pressione un adulto (“sulla graticola”, diceva il nonno) di fronte all’adulto che gli piace e vedrai che tre volte su tre, qualcosa andrà su.
E Archie ovviamente aveva pensato al sangue al cervello e altre cose di questo tipo. Il nonno, ricordava, aveva riso finché la nonna non lo aveva strigliato a dovere sul non irretire giovani anime innocenti.

 

 

 

 


N/a:

Sono state un paio di settimane disastrate tra esami, lavoro e febbre – di cui ho patito fino a sabato i “postumi”. Per fortuna ho avuto questi quattro giorni di festa tutti per me e me li sono goduti fino alla fine.
Questo è il mio modo – sciocco e… l’ho già detto sciocco? - per festeggiare la fine di Sofismi. È stata la mia prima storia a più capitoli e sono felicissima che sia piaciuta e anche di averla finita, sì. Quindi un abbraccio gigantesco a tutti voi. Ne approfitto per augurarvi buon Carnevale. Mangiate tante chiacchiere e divertitevi ;)

 
Giusto per attribuire agli altri colpe non loro, ebbene tutto è nato per colpa di mio fratello. Stava studiando chimica, io lo interrogavo e mentre mi ripeteva la prima legge di Gay-Lussac, ecco che la mia testa ha partorito questo. Quando si parla di voli pindarici xD.
Nota all'estero come legge di Charles e chiamata anche legge di Volta Gay-Lussac, essa afferma che in una trasformazione isobara, ovvero in condizioni di pressione costante, la densità di un fluido ideale è inversamente proporzionale alla temperatura. (wikipedia docet)

  

  
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