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Autore: eos75    26/06/2008    5 recensioni
Può l'obiettivo di una macchina fotografica leggere nel cuore delle persone? E' quello che scoprirà il più forte portiere della Bundesliga! Tra fotografie, partite e allenamenti, la storia di un'amicizia molto particolare.
Genere: Romantico, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Karl Heinz Schneider
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La scuderia pare essere deserta.
E’ mattina presto e l’alba tinge di un rosa delicato la nebbiolina che sale dai campi.
Il profumo del fieno impregna l’aria, tra i box corre qualche nitrito soffocato ed il raspare degli zoccoli sulle porte rompe definitivamente il silenzio.
Tra un’ora dovrei essere in ufficio, ma mi fermo ugualmente.
Non ho perso l’abitudine di correre nel parco prima di andare al lavoro.
Entro e mi accosto al secondo box, quello di Zingaro…
Un paio di assurdi occhi azzurri mi fissano mentre un borbottio fa vibrare morbide narici. Uno splendido stalloncino color dell’acciaio, criniera e coda d’argento, mi viene incontro, allungando il muso sottile perché lo possa accarezzare.
“Il suo puledro preferito…”
“Già...” rispondo atono. La voce di Kristine alle mie spalle non mi ha sorpreso. Si avvicina e porge una mano all’animale, che l’annusa curioso.
“Cosa ci fai qui, SGGK?”  Sorrido a quel vecchio soprannome  “Malinconia?”
Scrollo il capo, allungo a mia volta la mano che l puledro, incuriosito, mi annusa sbuffando e brontolando piano  “Un poco." sussurro "Ieri sera ho ripensato al Mondiale…”
Le labbra della sorella del Kaiser si piegano un  sorriso triste e comprensivo.
“Mi manca…”  ammetto, appoggiando la fronte alle sbarre del box e chiudendo gli occhi.
Sento il tocco di Kristine sul mio braccio “In fondo questa lontananza forzata sta facendo bene anche a te…”
Sorrido senza guardarla  “Già…”

Finalmente ha smesso di piovere! Eravamo veramente stufi di montare al coperto! La primavera quest'anno si stava davvero facendo desiderare.

Guardo soddisfatta il pelo lucido del mio stallone: in controluce appaiono lievi la riga di mulo e le pomellature della salute. Finisco di strigliarlo, passando con delicatezza la brusca sulla cicatrice che ormai rappresenta solo un brutto ricordo.

E’ passato quasi un anno da allora…

Il caldo sole italiano illumina il prato accanto alle scuderie e mi rammenta l’immagine di un campo da calcio. L’azzurro del cielo sudafricano mi riempie la mente e vedo dinnanzi a me ventidue campioni pronti alla sfida.

Quante emozioni in quella finale!

I ragazzi del Giappone erano seriamente intenzionati a vincere, a tutti i costi. Per la gloria, per l’amore per il calcio e per quel loro amico che non avrebbe più giocato con loro.

Karl e i suoi non erano da meno. Inoltre il capitano era a conoscenza della decisione del portiere ed era determinato a vincere quell’ultima sfida.

I nipponici attaccarono da subito, Becker e Hutton in combinazione, Lenders in avanti, pronto a ricevere. Il Kaiser si fece sotto, interrompendo l’azione fulminea della coppia d’oro giapponese e portando i suoi nella metà campo avversaria, Margas al suo fianco.
Ross, Callaghan e Yuma, seguendo le istruzioni precise di Price, si lanciarono nel tentativo di arginare l’attacco teutonico e vennero travolti. Dopo neppure due minuti di gioco Karl e Benjiamin erano l’uno di fronte all’altro. Il Fire Shot partì violento e implacabile. 
Sentii il fiato bloccarmisi in gola. Media del cinquanta percento, pensai...
Con un balzo degno di un gatto Price andò a bloccare la palla, ricevendola in pieno petto e compiendo una breve capriola sulla spalla destra, ad annullarne la potenza.

Vidi Karl sorridere. La sfida aveva inizio.

L'azione nipponica ripartì direttamente dal portiere, con Oliver e Tom che, dopo una sequenza di passaggi millimetrici servirono uno splendido pallone a Mark, ancora fuori area. Muller non aspettava altro, anche lui aveva un conto in sospeso con Benjiamin. Una voce dalle retrovie giapponesi gridò un ordine. Non sapevo cosa Benji avesse detto a Mark, ma vidi il cannoniere rinunciare al tiro, fare ancora qualche passo dentro l’area avversaria e poi sparare una bordata pazzesca verso la porta di Dieter. Il portiere aveva intuito la traiettoria ma un’ombra  s’inserì  nella mia visuale. Tom si era lanciato di testa, spostando la palla alla sinistra di Dieter, ormai sbilanciato. Quasi gol: Karl era arrivato fulmineo, allontanando il pallone un istante prima che entrasse in rete. Incitò i suoi all’attacco mentre i giapponesi, sconcertati, ripiegavano alla rinfusa.

Passaggi velocissimi, precisi, che lasciarono di sasso la difesa nipponica. Ross sfidò il Kaiser in uno splendido dribbling, avendo la meglio per un istante ma Karl si riprese il pallone, tornando a confrontarsi con Benjiamin. Il tiro di Schneider fu potente e violento, ma privo di effetto e finì direttamente tra le braccia del portiere. 
Schneider non si scompose, fissò negli occhi l’amico, sorrise e gli voltò le spalle, rientrando nella sua metà campo. Dal canto suo Benjiamin ricambiò lo sguardo, impassibile, i profondi occhi neri erano freddi, determinati. Sapeva cosa lo aspettava ed era pronto a ricevere qualsiasi attacco dell’Imperatore.
La lotta a centrocampo si fece sempre più serrata. La difesa del Giappone, magistralmente diretta da Price e Ross, rese vano ogni tentativo dell’attacco teutonico di penetrare in area. Benjiamin conosceva molto bene i suoi avversari e ne prevedeva abilmente ogni mossa. Aveva studiato quella partita nei minimi dettagli, dando precise indicazioni ai compagni di squadra esattamente come aveva fatto quindici anni prima, al Torneo di Parigi. Ma quel giorno come allora, la Germania non aveva ancora cominciato a giocare e l’SGGK ne era perfettamente conscio.
Il primo tempo si concluse così in parità. Notai parecchia stanchezza nelle file giapponesi, mentre i tedeschi uscivano dal campo quasi rilassati. Il continuo cambiamento di schema aveva costretto la difesa dei rappresentanti del Sol Levante a sforzi extra. Certo, Price li dirigeva con precisione ed efficienza, ma gli attacchi tedeschi erano stati un lento stillicidio volto a sfiancare gli avversari. La ripresa vide tra le fila della Germania un nuovo entrato, una vecchia conoscenza di Benjiamin: Klaus Richter. Già, quel Richter. Il simpaticone che per poco non aveva spezzato un polso a Price qualche mese prima. Sapevo cosa pensasse di  lui Karl ma d’altronde Klaus, carattere a parte, era un ottima punta e a fianco del Kaiser poteva risultare molto pericoloso.
Ricominciarono e la Germania iniziò a fare sul serio. Lenders venne letteralmente spazzato via con malagrazia dal nuovo entrato, che passò istantaneamente la palla al capitano, evitando lo scontro diretto con Hutton. Schneider non trattenne, evitando a sua volta Tom e lasciando il gioco nelle mani di Schester. Il biondo regista si liberò agilmente di due avversari ed eseguì una splendida triangolazione con Margas, mentre le due punte si portavano sempre più vicine all’area nipponica. Julian ebbe il suo daffare nel tentare di fermare Stefan, che riuscì a rimanere in possesso di palla passandola poi Richter, al limite dell’area. Una finta e un passaggio lungo spiazzarono i giapponesi. Tutti tranne uno. Benjiamin non s'era mosso, aveva visto Karl avanzare in direzione del pallone, pronto a tirare. Non il solito Fire Shot, ma quel particolare tiro ad effetto visto nella finale di Champions.
L’avevano ideato insieme per perforare la difesa di Warner e si trovava doverlo affrontare in partita.
Ricordavo le lunghe sessioni di allenamento extra e ricordavo anche gli ultimi dannatissimi cinque tiri in porta prima di quella partita. Cinque reti.
Vidi la sfera schizzare violenta e carica d’effetto, con quella strana traiettoria ad arco teso che rendeva il tiro inarrestabile dai difensori e quasi imprendibile per il portiere. Quasi. Benjiamin saltò a pugni chiusi, impedendo al pallone di infilarsi poco sotto la traversa. Becker intercettò il rinvio e riprese ad avanzare, mettendo di nuovo Lenders in condizione di affrontare Muller. Il quale, ancora una volta, si dimostrò degno avversario di Price.
Non ci fu un attimo di tregua. Le due squadre continuavano ad attaccare imperterrite senza che ci fosse una vera predominanza sul possesso di palla. Era un continuo, sfiancante difendersi ed attaccare. Benjiamin e Dieter dettero fondo alla loro bravura, facendo miracoli. Dal canto Schneider, Margas, Hutton e Lenders sfoderarono classe e tecnica da vendere, dando filo da torcere ai rispettivi avversari.
Al quarantesimo la partita s'era trasformata in una vera e propria guerra di nervi e la stanchezza cominciava a farsi sentire. Margas partì a razzo dopo l’ennesima azione nipponica andata a vuoto, Schester al suo fianco. Superarono Callaghan ed Everet effettuando un cross per Richter. Price respinse ma la sfera tornò a Margas che superò di un soffio Ross. Di nuovo Benjiamin non trattenne e la palla finì direttamente sui piedi di Karl.
Il Fire Shot non è un bel regalo, no... Soprattutto da meno di dieci metri.
Ma la prese ugualmente. Un balzo felino, disperato, il linea diretta col pallone, giusto a riceverlo in pieno petto per non dare l’ennesima possibilità di tirare in porta. Lo vidi inspirare piano e dolorosamente prima che si rimettesse in piedi.  Un sorriso soddisfatto gli increspò le labbra mentre il suo sguardo incrociava quello gelido del Kaiser.
Non compresi cosa disse ai compagni ma li vidi rianimarsi, decisi a non mollare. Il pallone fu per Hutton. Ripartirono, lui, Tom e Rob. L’azione fu una copia perfetta di quella appena vista in area nipponica ma Dieter non fu da meno del suo rivale. Il Tiger Shot di Lenders ed il Drive Shot di Oliver vanificati l’uno dietro l’altro. Il rinvio del portiere tedesco per il suo capitano fu però intercettato da Callaghan, che anticipò di un soffio Schneider e venne avanti trascinandosi dietro parte dei difensori, come una valanga. I giapponesi travolsero la difesa tedesca frastornata. Philip passò ad Oliver, che si liberò di due avversari e girò il pallone ad un Lender più determinato che mai. Il suo tiro fu di una potenza inaudita, tale che Muller rinunciò alla presa, preferendo ribatterlo coi pugni chiusi. La palla finì sui piedi di Tom, che tirò. Dieter fece appena in tempo a rialzarsi e deviare. Hutton fu sul pallone in un attimo. Era appena fuori dall’area, il portiere si stava rialzando. Il Drive Shot partì, preciso e implacabile. Da dov’era Muller non potè fare nulla.
Uno a zero. Giappone in vantaggio.
Lo stadio esplose in delirio. La partita riprese da centrocampo con i due capitani a confronto: lo stile perfetto del Kaiser contro la tecnica raffinata del giapponese. Ebbe la meglio quest’ultimo, ma per poco. Il solito, poco ortodosso Richter gli fu addosso, rubandogli la palla. Con un contropiede fulminante, la Germania fu in area avversaria e di nuovo la difesa perfetta dell’SGGK non diede scampo ai tedeschi. L’azione giapponese ripartì dalla porta, la palla  per Lenders e tutta la squadra andò in attacco mentre la Germania era allo sbaraglio. Il cross di Becker fu per Hutton, Muller respinse e Mark raccolse. Dieter era praticamente battuto. Poteva essere il gol del due a zero ma il goal kepper tedesco fu graziato da un miracolo: il Tiger Shot s’infranse contro un palo e lui fu lesto a rialzarsi e bloccare il pallone prima che finisse nuovamente in gioco.

Mancavano una manciata di secondi alla fine.

“Dieter!”  da centro campo udii la voce imperiosa del Kaiser. Muller  rinviò lunghissimo, Karl agganciò la palla, voltandosi verso l’area giapponese. Ross, Callaghan, Yuma, Everett vennero spazzati via dalla furia disperata dell’Imperatore.

Si trovarono nuovamente l’uno di fronte all’altro.
Si confrontarono.
Si sfidarono ancora.
Per l'ultima volta.
Karl era quasi al limite dell’area, stava caricando il tiro...
E l’arbitro fischiò tre volte.

Il Fire Shot si spense in rete. Benjiamin non si era mosso dal centro della porta. La sfera l'aveva sfiorato ma lui non aveva fatto nulla per afferrarla.
Il goal non era valido, il Giappone aveva vinto il Mondiale.

Prima lo sgomento poi la gioia si dipinsero sui visi dei compagni di squadra del mio amico, mentre Karl restava in ginocchio, appena fuori area, il capo chino e gli occhi serrati.

Benjiamin, fermo tra i pali, chiuse gli occhi e li riaprì rivolgendoli al cielo. Era la prima volta che lo vedevo piangere dopo mesi, ma fu solo un attimo.
Riportò lo sguardo davanti a sé, asciugando le lacrime che gli rigavano le guance e si avviò lentamente verso il suo amico, compagno e capitano. Gli tese la mano, sorridendo ed aiutandolo ad alzarsi. Si scambiarono un lungo, caloroso abbraccio, quasi un addio. Non ci sarebbero state altre sfide, nessuna rivincita.

I due vennero travolti dai compagni. Molti dei ragazzi piangevano e anche quelli che riuscivano a trattenersi, non potevano nascondere il luccichio degli occhi quando si complimentavano con l’SGGK. Perfino Lenders non si limitò ad una stretta di mano ma gli cinse le spalle in un abbraccio fraterno.

Gli avversari, vecchi amici, finirono di complimentarsi. I capitani si salutarono con un sorriso poi la squadra tedesca lasciò definitivamente la scena ai nuovi Campioni del Mondo.

Lo stadio era esploso, in delirio. 
Paul, accanto a me, non sapeva se ridere o piangere mentre continuava ad immortalare quegli attimi di gloria. Io continuavo a scattare, incurante delle lacrime che a tratti mi annebbiavano la vista. Sentii la mano del mio collega stringermi una spalla, il viso rubizzo illuminato d’ allegria. Mi trovai stretta, quasi stritolata, dal mio compagno di avventure.

“Asciugati quei lacrimosi, testona!”  mi disse, asciugando i suoi e ci mettemmo a ridere.

“Qualcuno non aveva detto che avrebbe trovato un rifugio sicuro, nel recondito caso avessi vinto il Mondiale?”

Mi voltai.

Il suo sorriso era bello come non mai. Allargò le braccia e gli saltai al collo. Per l’ennesima volta fu fatta roteare in aria come un burattino, veloce sempre più veloce. Risi di gusto a quel gioco, anche se le lacrime avevano ricominciato a riempirmi gli occhi. Si arrestò bruscamente, tenendomi stretta e baciandomi con tenera passione, lì, davanti a tutti.

“Non piangere.”  lo sentii sussurrare piano.

“Non posso…”  risposi, affondando il viso contro il suo torace, ascoltando il battito profondo e veloce del suo cuore e del mio mentre mi stringeva ancora di più.

“Benjiamin!”  lo chiamò il suo capitano. Mi lasciò, posandomi un leggero bacio sulle labbra e tornando dai sui compagni.  Oliver lo accolse con una pacca sulla spalla, mentre gli altri lo canzonavano allegramente. Vidi Holly voltarsi e sorridermi, facendo un leggero cenno di assenso col capo e poi correre nuovamente in campo.

Venne portatala Coppa. Agli atleti furono consegnate le medaglie ed in ultimo, ad Oliver, l’ambito trofeo. Il capitano giapponese sollevò verso il cielo la realizzazione del suo sogno e di quello di tutti i suoi compagni. Esultarono, tra coriandoli argentati, fuochi d’artificio, urla e grida festanti. 

Vidi Hutton avvicinarsi a Benjiamin e porgergli quel simbolo di gloria che avevano rincorso insieme per una vita.

Non cedette alle lacrime, non di nuovo, anche se nei suoi occhi lessi una gratitudine e una gioia infinite. Il suo sguardo si soffermò un istante sull’oggetto dorato, quasi ad assaporare meglio quella vittoria. Poi un urlo di gioia liberatorio, la Coppa alzata, scintillante alla luce dei mille flash. La squadra, la sua famiglia, tutt’intorno a gioire con lui.

I festeggiamenti continuarono anche se, pian piano, lo stadio cominciava a svuotarsi, mentre l’allegria e l’euforia dell’evento si riversavano nella città intorno.

I ragazzi rientrarono al villaggio sportivo.

Scambiai solo che un sorriso col mio campione.

Il giorno dopo tornai al volo a Monaco e non potei salutarlo. Il lavoro andava scaricato ed elaborato immediatamente, non c’era tempo da perdere! Il nostro portiere era campione del Mondo e tre quarti della squadra, comunque ,vice campioni! E poi c’era una brutta notizia da comunicare ai tifosi del Bayern.
Sonya mi aveva comunicato che voleva un’uscita di scena in pompa magna per l’SGGK, per quel campione che aveva dato così tanto alla nostra squadra.

Il pomeriggio seguente al ritorno, mi concessi di andare un’oretta in scuderia dove trovai il mio stalloncino ad accogliermi felice.

“Avevi ragione, sai? Ha proprio un carattere dolcissimo!”

Mi voltai di scatto, presa di sorpresa. Non mi sarei mai aspettata di vederla lì.

La figura alta ed elegante di Evelyn Price si stagliava all’entrata delle scuderie. Mi sorrise ed in quel momento mi accorsi di quanto suo figlio le somigliasse.

“Dovrei parlarti…”  disse accostandosi allo stallone e carezzandolo sul muso. Percepii nella sua voce una nota triste che mi fece preoccupare.

Un’ora dopo ero abbracciata a Zingaro, il quale si godeva con piacere quella dose di coccole extra.

Carezzavo il pelo lucido e morbido, giocherellando con la lunga criniera crespa.

Asciugai una lacrima, lasciando il collo del cavallo e passandogli una mano sul mantello, dal garrese fino alla groppa, fermandomi sulla cicatrice che sfiorai delicatamente per tutta la lunghezza. Zingaro, infastidito, fece tremare un poco la pelle come per scacciare una mosca.

Mi avvicinai al muso, glielo presi tra le mani e lo guardai nei grandi occhi buoni. Le narici vibrarono appena in un borbottio complice.

Sorrisi e presi la mia decisione.

Frau Price  mi aveva detto che Pamela e Kevin stavano facendo di tutto per rendere la vita impossibile a Benjiamin, avevano intenzione di attaccarsi ad ogni cosa pur di screditarlo e relegarlo ad un ruolo minore nell'azienda. Pamela aveva già sguinzagliato paparazzi e giornalisti alle calcagna del SGGK, pronti a cogliere qualsiasi piccolo fatto potesse essere trasformato in scandalo. E certo quel bacio dato in mondovisione non era passato inosservato...
Se Richard Price aveva imparato la lezione, rendendosi perfettamente conto che fare la felicità del figlio avrebbe sicuramente fatto anche la sua, da ottimo uomo d'affari qual'era aveva annusato l'odore dei guai. La Klein era benissimo in grado di demolire l'immagine pubblica di Benjiamin. Io ero l'anello debole della catena, attaccabile sotto molti punti di vista. Troppi. Collaboratrice del Bayern e amica della sua ex ragazza... I giornali scandalistici sarebbero stati capaci di montare una telenovela infinita, e non volevo sapere fino a che punto si sarebbero spinti sia nella mia che nella sua vita privata.
La signora Price mi stava chiedendo tempo. Tempo per neutralizzare Pamela ed i suoi scagnozzi. Tempo perché Benjiamin potesse dimostrare al direttivo dell'azienda che non era solo capace di giocare a calcio.

Sospirai. Non sarebbe stato facile ma avrei approfittato di quella pausa forzata per rivedere la mia vita in sospeso.

Il lavoro,  le gare...
Avevo deciso: avrei ricominciato a montare per uscire in concorso e avrei portato Zingaro a partecipare ad un Gran Premio! Dovevo dimostrarmi che valevo qualcosa, altrimenti quel senso di inadeguatezza che mi perseguitava ogni volta che ero in presenza dell'uomo che amavo avrebbe sicuramente, prima o poi, minato il nostro rapporto.
E lui credeva in me.

Non temere di non essere adatta a lui. Ti ama, e questo deve bastarti per annullare ogni tua insicurezza.”

Le parole di sua madre continuavano a tornarmi in mente.

“E’ vero." mi dissi  "Ma è giunto il momento che anche io dimostri finalmente chi sono a me stessa.” Asciugai l'ultima lacrima e mi apprestai a preparare i miei piani per i mesi successivi.

Quando, tre mesi dopo il Mondiale, Benjiamin rientrò in Germania dal Giappone, trovò solo un box vuoto.

Kristine aveva capito, aiutandomi per il rimpatrio dello stallone e stilando un programma di allenamento intensivo che avrebbe messo me e Zingaro in piena forma per la stagione successiva. Lei stessa sarebbe scesa in Italia almeno una volta al mese per tenermi d'occhio. 
Marjorie aveva incassato il colpo. Soprattutto aveva lanciato invettive furiose contro Pamela e mi aveva giurato che avrebbe stracciato lei ed il suo castrone sauro ogni volta che li avesse trovati in gara. L'aveva buttata sul ridere, ma sapevo benissimo quanto stesse male, lo leggevo in quegli occhioni azzurri velati di lacrime a stento non versate.

Con Benjiamin fu molto più difficile.

Il giorno della partenza ci sentimmo al telefono. Preso alla sprovvista dalla mia decisione, che gli avevo taciuto fino all'ultimo, s'infuriò e minacciò di correre a dirne quattro all'esimio genitore. Per fortuna, se lui è testardo, io lo sono molto di più. Lo feci ragionare, a stento ma ci riuscii. E si arrese. Sapevo ormai bene che quella che pareva furia cieca altro non era che dolore. Era lo stesso che provavo io. Ma avevo fiducia in lui, nelle sue capacità e sapevo che ben presto avrebbe dimostrato alla famiglia Price che il SGGK non era un campione solo sui verdi prati da calcio. E finalmente avremmo potuto vivere quella storia dalla quale eravamo fuggiti per mesi. 
Ci sentiamo tutti i giorni, per quanto lo consentano i nostri impegni. Le sue giornate, poi, sono diventate terribilmente lunghe.

Kristine mi tiene aggiornata su tutto quello che lui cerca di tenermi nascosto, in primis i pettegolezzi che ogni tanto fanno capolino sulle riviste scandalistiche tedesche, puntualmente smentiti e messi a tacere. I due fidanzatini ne stanno combinando di tutti i colori pur di rendergli la vita impossibile ma lui si sta dimostrando un campione anche alle prese con contratti e scartoffie.
Non avevo dubbi a riguardo.

Mi manca. Da morire.

Finisco di montare e allungo le redini sul collo sudato di Zingaro che distende i muscoli rilassato.

“Ele! Telefono!”  Marco, il nostro groom, mi viene in contro tenendo in mano il mio cellulare che squilla.

“Pronto?” rispondo aggrottando la fronte nel vedere il numero della mia istruttrice sul display.

“Guten Tag!" esordisce col suo solito tono da caporalmaggiore "Siete iscritti all’ Internazionale di Colonia. Scendo domani che rivediamo la kur.”

Sgrano gli occhi e serro istintivamente le ginocchia, bloccando Zingaro, che aveva continuato tranquillamente al passo, in un alt perfetto “Kris, ma…” riesco solo a dire.

“Niente ma! Siete pronti! Punto. Biss Morgen!”

Sento il cuore battere profondo come un tamburo, assordante.

Accarezzo Zingaro con un nodo allo stomaco e la testa che sembra piena di ovatta.

Poi una scarica di adrenalina mi percorre la schiena, l'eccitazione della gara si impadronisce di me e sorrido sicura “Da domani si lavora sodo, amico! Abbiamo un Gran Premio da vincere!” Abbraccio il collo muscoloso, affondando il viso nella criniera e Zingaro mi risponde con un borbottio compiaciuto.
E' giunta l'ora di dimostrarmi quel che valgo.

   
 
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