Libri > Hunger Games
Ricorda la storia  |       
Autore: Flajeypi    06/03/2014    6 recensioni
Il finale di Mockingjay mi ha lasciato l'amaro in bocca.
Come hanno fatto Peeta e Katniss a ritrovarsi? Che ne è stato di Gale? E degli altri?
L'ho immaginato così.
[Dal primo capitolo]
Vorrei dirgli che se se andasse per me sarebbe la fine: smetterei di alzarmi dal letto, di lavarmi, di mangiare, di vivere. Sopravvivrei, certo, perché incapace di uccidermi per via del debito che sento nei confronti di tutte le persone che hanno perso la propria vita per salvare la mia, ma questa non sarebbe una vita degna di essere vissuta. Vorrei dirgli che quando ha piantato le primule avevo creduto che fosse tornato da me, che avevo pensato che forse le cose sarebbero potute andare, se non bene, almeno meglio di come andavano prima. Ma non so farlo. Io non so parlare, non so esprimere i miei sentimenti, era lui che smuoveva le folle con le sue parole. Così rimango lì, a fissarlo, mentre lo vedo scrutarmi l’anima attraverso gli occhi.
“Ho capito”, dice. Ed io non ho idea di cosa abbia capito, ma dopo averlo detto mi stringe a sé e a me basta questo: è una promessa, significa “resterò, nonostante tutto”.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Gale Hawthorne, Haymitch Abernathy, Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Mentre cadevo mi hai preso la mano
A Hunger Games Fanfiction
 


1. Non dovresti farlo

Sto correndo. Sono al Giacimento e corro verso le miniere. Una fila di persone sta scendendo giù, in profondità, ma io voglio fermarle perché so - io lo so – che esploderà tutto. Smetto di correre e cerco di parlare con ognuno di loro e mano a mano ne scorgo i volti: mio padre, Prim, Rue, Finnick, Cinna, Mags…ci sono tutti. Cerco di avvertirli, di dirgli di andare via, di non scendere,  perché tra poco la miniera esploderà, ma non mi sentono, non mi vedono; è come se per loro non esistessi. Urlo, urlo fino a farmi male, ma nessuno mi ascolta.

Mi sveglio.  Madida di sudore e con la gola in fiamme. Ne realizzo il motivo: devo aver urlato davvero a pieni polmoni come nell’incubo. Noto che Ranuncolo mi fissa preoccupato. Quel gattaccio è diventato meno odioso da quando ha capito che la cosa peggiore che potesse accadere è successa: Prim è morta. E non è la sola. Mi scuoto da questi pensieri, mi alzo e mi dirigo verso la doccia, più per cercare un modo per togliermi quelle immagini - quei volti - dalla testa che per lavarmi. Mi spoglio senza guardarmi allo specchio perché guardare le mie sembianze da ibrido di fuoco non fa altro che riportarmi alla mente quell’orribile momento in cui mia sorella è diventata una torcia umana. Anche io lo sono diventata, ma non sono morta. Me ne rammarico ogni giorno, ogni giorno vorrei essere morta al suo posto. Una vita per una vita, mi sembra uno scambio equo, no? Mi infilo nella doccia mentre continuo a rimuginare su questi pensieri e quando ne vengo fuori sento dei rumori provenire dal piano di sotto. Realizzo che sia ormai mattina e che Sae la Zozza sia venuta a controllarmi come al solito ma quando, pulita e vestita, scendo al piano di sotto scopro che Sae non è stata l’unica a passare oggi. Sul tavolo in salotto, in bella mostra, ci sono delle soffici e invitanti pagnotte al formaggio – le mie preferite - di cui soltanto Peeta può essere l’artefice: sono perfette. Ne afferro una e mi dirigo in cucina dove – con una punta di delusione? Non lo so – scopro che ad aspettarmi c’è soltanto Sae la Zozza. Fisso la pagnotta tra le mie mani, quasi come se mi stessi chiedendo se sia reale, e mi guardo intorno; Sae intuisce i miei pensieri : “Le ha portate e poi è andato via. Aveva una faccia strana, chi sa, forse era stanco ed è tornato a dormire”. Ne dubito e so che anche lei lo ha detto senza esserne convinta, sa che anche Peeta, come me, ha incubi orribili ogni notte, forse anche peggiori dei miei, e che dopo ogni incubo è impossibile tornare a dormire. Questa volta ne sono sicura, quello che sento è delusione, perché quando l’ho visto piantare le primule nel mio giardino avevo davvero creduto che il mio ragazzo del pane fosse tornato e, sì, è vero che si è ricordato che le pagnotte al formaggio sono le mie preferite, ma se non è voluto rimanere un motivo ci sarà.
Senza dire una parola, né dandole modo di capire se la stavo ascoltando o meno, poso la pagnotta che avevo in mano sul tavolo della cucina, esco dalla stanza e mi avvio verso l’ingresso, decisa a scoprire il motivo del comportamento di Peeta. Indosso le scarpe, esco, percorro i 22 metri che dividono le nostre case e mi fermo davanti alla sua porta. Sto per bussare quando ritorno in me e capisco che se Peeta vuole allontanarsi da me è libero di farlo e, anzi, così facendo starebbe sicuramente meglio. Magari potrebbe trovarsi una ragazza che lo apprezzi e lo ami come io non so fare, una ragazza come Delly, che non scatenerebbe la sua parte depistata e che potrebbe dargli una famiglia. Io non posso. Così torno sui miei passi, rientro in casa, tolgo le scarpe e prendo posto sul divano nel salotto. Passo la mia giornata così, a fissare il fuoco che Sae ha acceso prima di andare via, e poi le ceneri che ne restano una volta esaurita la legna. E penso che io mi sento proprio così, in cenere, senza la possibilità di tornare indietro né quella di andare avanti perché, si sa, una volta che una cosa viene ridotta in cenere è la fine.

Sae ritorna all’ora di cena e mi trova ancora nella stessa posizione in cui mi ha lasciata stamattina. Mi convince a mangiare qualcosa e poi mi mette a letto. Mi sento una bambina, io che cacciavo e mantenevo la mia famiglia, sono uscita viva da due arene, sono stata la Ghiandaia Imitatrice, il simbolo della rivolta, non riesco più a fare niente. Mi lascio vivere, così come faceva mia madre. A questo pensiero, il mio cervello registra lo stimolo per fare un sorriso amaro, ma sono sicura di non aver formulato nessuna espressione sul mio viso. Mi addormento e i soliti incubi vengono a trovarmi.
La mattina, mi sveglio urlante e la prima cosa a cui penso è proprio l’ultimo pensiero che ho fatto prima di addormentarmi: mi sto lasciando vivere. Come mia madre. La donna che non ha mai saputo affrontare il dolore in modo degno. E’ morta anche lei, anche se non fisicamente, per ben due volte: la prima con mio padre e la seconda, stavolta definitivamente, con mia sorella. Ripugnata da questo pensiero mi alzo e decido nuovamente di andare da Peeta. Stavolta busserò e gli parlerò, penso nella mia testa. Mi lavo in fretta, scendo le scale di corsa e ignoro Sae in cucina. Esco e corro fino alla porta di Peeta. Di nuovo, come ieri, non trovo il coraggio di bussare. Mi convinco nuovamente che non ho diritto di rientrare nella sua vita e così,sconfitta da me stessa, ritorno a casa.
I giorni successivi passano tutti così: all’improvviso decido che, sì, posso parlare con Peeta senza creare confusione e subito dopo ritorno sui miei passi e mi riaccomodo sul divano. Non ho controllato, ma credo di aver scavato un solco sulla strada per tutte le volte in cui ho percorso il tragitto tra la mia casa e quella di Peeta senza, tuttavia, riuscire mai a bussare alla sua porta.


L’avvenimento sorprendente che smuove un po’ le cose avviene una sera, circa tre settimane dopo il mio primo tentativo di bussare alla porta di Peeta. Sae, stanca di vedermi seduta sul divano oppure di vedermi correre via e poi ritornare poco dopo con un’espressione – lo realizzo soltanto ora, pensandoci – triste sulla faccia, è riuscita non so come a convincere Haymitch a venire a cena da me. A suo dire, si presenterà abbastanza sobrio. Chi sa cosa gli avrà raccontato per convincerlo a venire e addirittura a non bere, o almeno a non bere molto. Nonostante questi pensieri, sono scettica sul fatto che Haymitch possa tenere fede alla parola data ma, all’ora di cena, con mia grande sorpresa, ecco che sento bussare alla porta. Sae è occupata in cucina, così sono costretta ad alzarmi dal divano per andare ad aprire. Apro la porta con noncuranza ma quando realizzo che ci sono due persone davanti a me, non solo Haymitch come mi aspettavo, resto di sasso. “Peeta…”, mi sfugge in un sussurro prima di riuscire a frenarmi. Lo fisso imbambolata e capisco di avergli fatto lo stesso effetto che lui ha fatto a me. Leggo confusione, sorpresa, preoccupazione e almeno un’altra miriade di emozioni nei suoi occhi. Chi sa lui cosa vede nei miei…
“Sì, sì, piccioncini siete dolcissimi ma io ho fame. Katniss che ne dici di farci entrare? Se avessi saputo che il ragazzo ti avrebbe fatto questo effetto, non l’avrei portato!”, Haymitch interrompe il silenzio che si era creato ed io mi sposto per farli passare. Distolgo lo sguardo dagli occhi di Peeta mentre mi passa affianco, prima di fare qualcosa di stupido come arrossire o mettermi a piangere, e mi concentro per fare un’espressione accigliata e infastidita rivolta ad Haymitch e ai suoi commenti spiacevoli.
Li seguo in cucina, dove scopro che Sae ha cucinato per un esercito e dove, per la prima volta, noto che Peeta tiene in mano un vassoio con una torta. Qualcosa dentro di me vorrebbe convincermi del fatto che l’abbia preparata per me, ma la mia parte razionale sa che il Peeta che avrebbe fatto una cosa del genere è sepolto chi sa dove sotto l’ibrido creato da Capitol City e che raramente – per non dire mai – riesce ad uscire fuori. Mi siedo silenziosamente mentre vedo Sae che apparecchia. Dovrei darle una mano, lo so – in fondo l’ospite sono io, la casa è la mia – ma non riesco a fare altro se non osservare Peeta di sottecchi sperando che non noti il mio sguardo e pensi che io stia soltanto cercando un modo per ucciderlo. A questo pensiero sospiro, mentre sento lo sguardo di Haymitch sulla nuca. Se lo conosco abbastanza, adesso dirà qualcosa e sarà anche qualcosa di molto tagliente.
“Da quando sono arrivato hai già detto una parola e sospirato una volta, vedo che facciamo progressi, eh Ragazza in fiamme?”. Bingo, una delle sue solite frecciatine.
”Visto che sei in vena, che ne dici di aiutare?” Incalza. Non rispondo, mi limito ad alzarmi, a prendere piatti e posate e ad iniziare a sistemarli sulla tavola. Stavolta sento un altro paio di occhi addosso, ma ho il terrore di alzare lo sguardo per verificare i miei sospetti. Poco male, perché la fonte dei miei dubbi prende parola. “Brutte nottate, eh?”, mi sussurra Peeta accennando alle mie occhiaie mentre Haymitch è di spalle. Annuisco, mentre penso che è strano parlare di nuovo con lui dopo tutte queste settimane. E’ strano parlare con lui come se non fosse mai stato depistato e una parte di lui non voglia ucciderti costantemente, Katniss, correggo mentalmente in un dialogo con me stessa.
Sono scossa dai miei pensieri da una indaffarata Sae che mi scansa per appoggiare la pentola sulla tavola. Riempie i piatti mentre noi prendiamo posto, Haymitch alla mia destra e Peeta dall’altro lato del tavolo, il più possibile lontano da me, penso, mentre Sae occuperà il posto alla mia sinistra.
Mangiamo e la cena procede tranquilla, con me che continuo la mia attività di osservatrice e Sae che cerca di fare conversazione, ottenendo sarcasmo da parte di Haymitch e risposte gentili ma concise da parte di Peeta che, puntualmente, chiude ogni argomento -  sospetto senza volerlo perché prima fare conversazione era un suo punto di forza ma ora … ora non saprei dirlo; è imprevedibile.
Mentre sono occupata ad osservarlo senza cercare di farmi notare, capisco che lui tenta di fare lo stesso e non so cosa pensare di questa cosa. Sono confusa e in più ho una strana sensazione: qualcosa mi sfugge, io … io sto dimenticando qualcosa …
“Oh andiamo, la smettete di fare finta di non volervi guardare né parlare?” … o qualcuno. Mentre ero concentrata su Peeta mi ero dimenticata del fatto che Haymitch avrebbe notato la direzione del mio sguardo. “Vi comportate da perfetti imbecilli: uscite di casa, percorrete il vialetto, arrivate alla porta dell’altro e prima di bussare tornate indietro. La ghiandaia di giorno e il fornaio di notte. Ottimo tempismo, lo devo ammettere: siete riusciti a non incontrarvi mai. Ma a parte questo, siete due imbecilli”, sbotta Haymitch. Sto per replicare, offesa dall’epiteto che mi ha affibbiato quando il senso delle sue parole arriva al mio cervello: Peeta mi ha cercata, Peeta ha calcato il vialetto proprio come ho fatto io per queste tre settimane, Peeta … mi illudo già che il mio ragazzo del pane stia tornando da me.
Ci guardiamo, visibilmente imbarazzati, mentre prendiamo coscienza ognuno delle azioni dell’altro e non riusciamo a dire niente. Sento che se non esco in fretta da questa stanza, mi esploderà la faccia a forza di far affluire sangue alle guance. Così mi alzo e con un “prendo una boccata d’aria” mi congedo, uscendo.
Cammino avanti e indietro nel mio giardino per una decina di minuti, fino a che non mi ritrovo davanti alla primule che Peeta ha piantato per me ormai quasi un mese fa.  Mi volto a guardare la Luna, che scopro essere piena, quando una voce mi riscuote dai miei pensieri.
“Perché piangi?”. Peeta. Lo guardo e con un gesto involontario mi tocco una guancia. Non mi ero accorta di aver iniziato a piangere. Lo vedo indeciso, come se volesse avvicinarsi, ma non lo fa. Rimane a due passi da me.
“Io … io non lo so”, confesso in un sussurro, mentre una nuova lacrima mi solca la guancia. Questa cosa sembra scuoterlo, si avvicina e con la punta delle dita e un tocco delicatissimo, mi asciuga le lacrime.
“Beh, allora non farlo”, dice con convinzione e un mezzo sorriso. Ho voglia di sorridergli di rimando e sto per farlo quando lo sento irrigidirsi. Meccanicamente toglie le dita dal mio viso e arretra di qualche passo. Lo guardo sconcertata mentre inizio a realizzare cosa stia per succedere.
“Io … era per questo che non riuscivo mai a bussare”, dice correndo via al meglio delle sue possibilità ed io non capisco se si riferisce alle mie lacrime o al fatto che la mia presenza gli abbia scatenato uno dei suoi episodi; ma forse si riferiva ad entrambi, come se il vecchio Peeta e il Peeta depistato stessero combattendo per manifestarsi nella stessa frase. Rientra in casa e sento un rumore di qualcosa che si rompe e poi la voce di Haymitch che tenta di calmarlo. D’istinto corro anche io verso casa, ma quando faccio il mio ingresso in cucina capisco di aver sbagliato. Peeta si gira a guardarmi con gli occhi completamente neri e un’espressione famelica in viso. Si avventa su di me prima che Haymitch possa fermarlo e l’ultima cosa che ricordo sono quei due pozzi neri che mi fissano mentre un barlume di azzurro tenta di fare capolino. Poi svanisce tutto.


Mi sveglio nel mio letto, ma non apro gli occhi. Cerco di ricordare ma non so perché sono svenuta, Peeta non ha fatto in tempo a torcermi un capello. Stava tornando da me, penso, ricordando il barlume di azzurro che ho visto nei suoi occhi prima che nei miei diventasse tutto nero.
Cerco di concentrarmi, perché sento delle voci venire dal piano di sotto e voglio capire cosa dicono.
“Sveglia, ragazzo! Non puoi chiuderti nel tuo mondo e scappare ogni volta che hai un episodio. Ne abbiamo discusso abbastanza in queste tre settimane. Sei pronto, stasera non è successo niente, puoi starle vicino senza temere di ucciderla”, questo è un Haymitch abbastanza furioso tanto che non devo sforzarmi per capire cosa dica: lo sta urlando. Perché è tanto arrabbiato?
“No! Evidentemente non posso! Haymitch se lei  - inizia Peeta, reggendo il tono del nostro mentore - … se lei non si fosse afflosciata come una pezza tra le mie braccia non sarei mai tornato in me! – poi cambia tono e sono costretta a prestare maggiore attenzione per sentire quello che dice -  Io avrei … io avrei … e lei sarebbe crollata lo stesso, solo che la colpa sarebbe stata mia”, finisce con un tono disperato che mai prima d’ora gli avevo sentito. Ho l’impulso di correre giù, abbracciarlo e dirgli che va tutto bene, proprio come lui faceva con me quando dormivamo insieme ed io avevo un incubo. Ma non posso, peggiorerei solo le cose. Così me ne sto ferma, aspettando di sentire la risposta di Haymitch che, però, non arriva. Deve star fissando Peeta con una delle sue espressioni furibonde.
“Cerca di capirmi, Haymitch, io devo andare via. Non posso restare. Io non posso stare qui con la continua voglia di vederla e la paura di farle male o, peggio, di ucciderla. Impazzirei!”. Ora capisco la rabbia di Haymitch: Peeta vuole andare via, via dal 12, via da me, realizzo con tristezza.
“E allora vai, vattene! Ma non farti più vedere da me! Ti ho aiutato ad uscire fuori da due arene sperando di darti una possibilità. Non mi aspettavo che alla prima occasione avresti mollato tutto”. La rabbia di Haymitch si è trasformata in … cosa? Tristezza? Non è da lui e questo mi fa capire la gravità della situazione.
“NO!” mi lascio sfuggire io a pieni polmoni. Sento dei passi sulle scale, ma non gli do il tempo di raggiungermi. Mi alzo in fretta, ignorando la testa che mi gira e comincio a correre verso le scale. Supero Haymitch che, attirato dal mio grido, stava venendo a controllarmi e intercetto Peeta che, approfittando della distrazione di Haymitch, stava per filarsela dalla porta. Si accorge di me e tenta di accelerare il passo, ma io sono più veloce. Quasi lo placco quando lo raggiungo e lo stringo in un abbraccio. Non ricambia e sento che il suo respiro si spezza e comincia a farsi pesante. Capisco che sta per avere un episodio e allora gli prendo il viso tra le mani: “Resta con me”, gli dico, cercando di modulare la mia voce in un tono fermo ma dolce allo stesso tempo, come un paio di vite fa a Capitol City, durante la guerra. Lo vedo combattere con i demoni che gli infestano il cervello, finché – credo senza rendersene conto – mi dice: “Sempre.”
Poi accade, mi stringe forte a sé ricambiando, finalmente, il mio abbraccio. Affonda il viso nei miei capelli e per la prima volta da quando lo conosco, lo sento singhiozzare. Lo stringo più forte, cercando di calmarlo.
“Non dovresti farlo”, gli dico, rievocando le sue parole di … quanto? Una, due, tre ore fa? Ma io non mi riferisco solo al pianto e penso che Peeta lo abbia capito, perché smette di singhiozzare e si allontana da me quanto basta per piantare i suoi occhi nei miei. Sa che ho sentito la sua conversazione con Haymitch, sa che ho sentito che vuole andare via, lontano da me.
“Devo” mi dice, semplicemente, con una punta di dolore nella voce.
“No, non devi” gli rispondo, fissandolo con intensità. Vorrei dirgli che se se andasse per me sarebbe la fine: smetterei di alzarmi dal letto, di lavarmi, di mangiare, di vivere. Sopravvivrei, certo, perché incapace di uccidermi per via del debito che sento nei confronti di tutte le persone che hanno perso la propria vita per salvare la mia, ma questa non sarebbe una vita degna di essere vissuta. Vorrei dirgli che quando ha piantato le primule avevo creduto che fosse tornato da me, che avevo pensato che forse le cose sarebbero potute andare, se non bene, almeno meglio di come andavano prima. Ma non so farlo. Io non so parlare, non so esprimere i miei sentimenti, era lui che smuoveva le folle con le sue parole. Così rimango lì, a fissarlo, mentre lo vedo scrutarmi l’anima attraverso gli occhi.
“Ho capito”, dice. Ed io non ho idea di cosa abbia capito, ma dopo averlo detto mi stringe a sé e a me basta questo: è una promessa, significa “resterò, nonostante tutto”.
Un colpetto di tosse mi riporta alla realtà. Oh no, penso, Haymitch ha assistito a tutta la scena. Ora non la smetterà più di prenderci in giro e ha il brutto vizio di ingigantire le cose.
Ci voltiamo entrambi verso la porta e lo vediamo lì, con in mano un bicchiere, mentre lo alza verso di noi in un brindisi immaginario. Beve un sorso e dice la sua: “Ah, bene, vedo che le parole del tuo affezionato mentore non riescono a convincerti ma, ehi, bastano un paio di moine e carezze della Ragazza di fuoco e subito ritorni sui tuoi passi”. Potrebbe sembrare offeso se non aggiungesse:  “Ben fatto ragazzo. Ora vi prego evitate di scambiarvi effusioni davanti a me. Aspettate che io rientri in casa mia e poi fate quello che volete. Mi raccomando le precauzioni! Ragazzo, conto su di te”. Fa un vistoso occhiolino a Peeta e io lo guardo incredula, mentre realizzo il significato delle sue parole. Sto per rispondergli con un fiume di insulti quando lui, notando la mia espressione, dice: ”Oh andiamo dolcezza, sappiamo tutti bene che ho detto la verità. Buonanotte!”, e si avvia, a passo traballante ma svelto, verso casa sua.
Arrossisco come mai in vita mia e cerco di non farmi vedere in volto da Peeta, quando lo sento scoppiare a ridere. Ha una risata così bella, così dolce, che all’improvviso dimentico le parole di Haymitch e mi metto a guardarlo incantata. Lui se ne accorge e smette di ridere, ma vedo che continua a sorridere e questo mi dà la forza per sorridergli di rimando. Restiamo così per un paio di minuti, finché non è lui a rompere il silenzio: “Scusa”, dice, diventando improvvisamente triste, e io capisco che si riferisce a quello che avrebbe potuto farmi se non fossi svenuta. Lo guardo risoluta sperando che capisca che non ho paura di lui e che, anzi, quando lui mi stringe non ho paura di niente. Ma nonostante questo mi chiede: “Perché sei svenuta? Eri lì, in piedi, e all’improvviso sei crollata. Ero convinto che fosse per paura di quello che avrei potuto farti ma prima … prima, quando stavo per avere un altro episodio, non sei scappata, sei rimasta e adesso mi guardi con quegli occhi cercando di rassicurarmi. Io … io non capisco. Aiutami a capire, ti prego”. Lo guardo imbambolata e all’improvviso ricordo cosa ho pensato prima di svenire: non avevo paura per me, ma per lui. Sapevo che se anche mi avesse torto un solo capello, memore dell’episodio nel distretto 13, non avrebbe più voluto avvicinarsi a me. In un attimo, ho immaginato la mia vita senza di lui e ne è seguito un attacco di panico che si è manifestato nella perdita di sensi. Glielo dico, per una volta dico quello che mi passa per la testa e per tutta risposta lui torna a stringermi come prima, se non più forte. Sto così bene che quasi non me ne rendo conto quando gli sussurro “Dormi con me, stanotte?”, pentendomene subito dopo per la paura di un rifiuto. Ma quando lo guardo in faccia noto che sorride: sì, anche lui ha bisogno di tenere lontani gli incubi stanotte.
Senza dire niente, mi prende per mano e, insieme, ci avviamo verso casa mia dove so che per la prima volta da mesi passerò una nottata tranquilla. Con Peeta. A questo pensiero sorrido e gli stringo più forte la mano, sentendomi davvero a casa dopo tanto tempo.



Angolo dell'autrice
Eccomi qui! Piacere, io sono Flavia! 
Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto e che lascerete tante recensioni. Sono super accette le critiche, anzi, sono fortemente richieste!

Un ringraziamento speciale va alla mia Cccch senza la quale non solo non avrei mai pubblicato qui questa storia, ma non l'avrei nemmeno scritta! Grazie Ccch <3

Alla prossima!
P.S. : cercherò di aggiornare i capitoli settimanalmente :)

P.P.S. : se questa vi è piaciuta, leggete anche quest'altra http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=2462888 che vi piacerà ancora di più! (scritta dalla mia Ccch <3)

E ricordate #moreshirtlessPeetaforeveryone !


 
  
Leggi le 6 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Flajeypi