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Autore: harrysbigsmile    06/03/2014    1 recensioni
And it's been a while but I still feel the same, maybe I should let you go..
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Contesto generale/vago
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"And it's been a while
but I still feel the same,
maybe I should let you ho.
You know I'll find my corner..."

 
Il 7 ed il 9 di marzo erano state per anni date che cancellavo totalmente dalla mia mente. In quei due giorni mi alzavo e ripetevo, da quando il sole spuntava a quando tramontava, che si trattava di essere forte per soltanto due fottuti giorni.
E' sempre stato difficile per me affrontare il giorno in cui si era chiusa per sempre una porta e si era aperta successivamente quella del mio inferno.
Quelle date rappresentavano l'omissione dei miei sentimenti che cercavano di uscire. Che avevano bisogno di uscire. Quelle date erano incise sui miei polsi, scendevano dalle mie lacrime e, per chi mi conosceva bene come Peter, significavano uragano e tempesta, catastrofi naturali dentro di me.
Grazie al mio carattere forte e alla mia testardaggine riuscivo a far finta di niente, perché farsi vedere deboli può essere causa di altre delusioni. Peter era solito paragonarmi ad una rosa: bellissima e fragile, ma con le spine. Bisognava stare attenti con me.
Così, quel 7 marzo, mi alzai e feci finta di non vedere la data sul telefono. Andai in cucina e, dopo la mia dose giornaliera di caffè uscii per andare a fare la spesa.
L'aria era ancora fresca e, dal vento che tirava, immaginai l'arrivo di una tempesta in tarda serata. 
"C'è chi aspetta la pioggia per non piangere da solo".
Ci provavo, giuro. Ci mettevo tutta me stessa, ma non riuscivo a fingere di stare bene. 
In quella storia io non avevo il permesso di esprimere i miei sentimenti. Mi era concesso soltanto di reprimerli e col tempo ci avevo fatto l'abitudine.
Al supermercato incontrai i soliti vecchi che impiegano circa tre ore per comprare un cartone di latte e un po' di salumi - cosa che mi irritava molto - e passai la mia mattinata a fare la spesa. Avevo bisogno di tenere occupata la mente, quindi chiamai Peter a pranzo.
Mentre ripulivamo i piatti dall'insalata, mi guardò con un'aria strana, solitamente quella che gli uomini assumono quando devono dirci qualcosa, ma hanno paura della nostra reazione.
Mi pulii la bocca e lo guardai di rimando.
"Su, spara. Dì quello che vuoi dire."
Per una manciata di secondi apparve la ruga del "sto pensando" sulla sua fronte e si bloccò due o tre volte prima di aprire bocca.
"Ne vuoi parlare?"
Afferrai istintivamente la bottiglia di vino e lo versai un po' nel bicchiere che si trovava a pochi centimetri da me.
"No" risposi istintivamente.
Abbassò lo sguardo e assunse l'aria protettiva da fratello.
"Non puoi reprimere i sentimenti per sempre, lo capisci o no? Finiranno per logorarti dentro e togliere tutto l'amore che hai dentro. Non ce ne sarà più per nessuno". Lo disse con voce talmente arrabbiata e sfinita che quasi mi fece paura.
Sorseggiai il vino in silenzio, per poi riprendere a parlare: "L'amore che avevo dentro è marcito da tempo."
Scosse la testa rassegnato, e io cominciai a sparecchiare la tavola. Non mi andava di parlarne ancora.
"Reprimere le emozioni è maturità o assassinio di noi stessi?" esordì lui, distruggendo il muro di silenzio che si stava creando. Ed era sempre così. Mi costruivo intorno i muri per non essere disturbata e, soprattutto, colpita da sentimenti che per anni mi avevano veramente logorato dentro.
"La ripeti ogni santissima volta questa frase. Ogni anno, negli stessi giorni. Lo sai che sono immatura, stai tranquillo che quella sera non ha fatto altro che ripetermelo. Preferisco uccidere me stessa, piuttosto che rievocare quei momenti." risposi io freddamente.
D'istinto strinsi i pugni e cominciai a lavare i piatti con molta poca grazia.
"Arriverà il giorno in cui esploderai, ma avvertimi quando stai per farlo. Prendo il primo volo per il Giappone, perché potrebbe essere veramente una catastrofe naturale."
Peter si alzò dal tavolo e uscì dalla cucina. Sentii la televisione accendersi e per un momento mi rilassai.
Quando tutta la cucina era in ordine, mi rifiugiai in terrazza a godermi la pioggia che leggera cadeva sulla mia pelle calda e accesi una sigaretta.
Paragonai il mio amore adolescenziale a quella sigaretta: stava lentamente finendo e, nonostante i miei sforzi di finirla il più tardi possibile, purtroppo non c'era niente da fare. Finiva prima del dovuto.
Ed era andata proprio così: quella sera, proprio cinque giorni dopo in cui tutto sembrava fatto, ogni pezzo del puzzle era al suo posto, ogni cosa costruita in cinque anni crollò.
Mi disse parole che non augurerei di sentire a nessuno e riuscì a farmi sentire uno schifo, nonostante io non avessi avuto nessuna colpa.
Da quel momento era cominciato il mio silenzio logorante. Non potevo dire quello che pensavo, non potevo esprimere me stessa e le mie emozioni in nessun modo perché venivo subito attaccata. Da lì è nato il mio odio per la compassione e il vittimismo.

Il pomeriggio lo passai a pulire il resto della casa, in modo da togliere lo strato di polvere che cadeva sugli oggetti e sui mobili. Un po' come stavo cercando di fare nella mia vita: cancellare ogni traccia del passato per un nuovo futuro.
Peter rimase anche a cena, nonostante i nostri dialoghi non fossero ben approfonditi. Niente lezioni di vita quel 7 marzo.
Verso le undici Peter afferrò il cappotto e si avviò verso la porta di casa.
"Allora buonanotte" sussurrò a pochi centimetri dal mio viso. 
Abbassai lo sguardo per qualche secondo, e poi mormorai tra me e me: "Sai già che questa non sarà una buonanotte."
Mi lasciò un lieve bacio sulla guancia e lo vidi correre sotto la pioggia insistente che si stava abbattendo sull'asfalto.
Mi chiusi la porta alle spalle. Era l'ora di fare i conti con la solitudine.
Andai in bagno e, come d'abitudine, mi feci la doccia, mi struccai e mi infilai il pigiama. Avevo solo bisogno di dormire, di addormentarmi di colpo e risvegliarmi tre giorni dopo. Ma non fu così.
Pensai tutta la notte a quel maledetto 7 marzo, quando tutto finì.
Ricordavo tutta la rabbia che avevo addosso - tanta da farmi tremare -, ricordo i pianti che ho fatto, ricordo il sangue.
"Ne vale veramente la pena?".
Questa era la frase che mi ripetevo ogni volta, e nonostante tutte le liste che buttavo giù per rispondere "no" as quella fatidica domanda, nel mio incoscio sapevo che ne valeva la pena. Perché l'amore che provavo per lui era l'unica certezza nella mia vita, oltre alla morte.

Non so come ci riuscii, ma mi addormentai.
Quella fu l'unica notte in cui non feci resistenza alle lacrime, semplicemente mi lasciai andare al pianto. Perché dentro di me l'amore stava marcendo e la delusione che provavo aveva bisogno di uscire.
Verso le sei di mattina sentii un tuono, seguito da un urlo spaventato. Mi alzai di scatto e mi affacciai alla finestra per vedere di chi si trattava. Spesso ritrovato qualche disgraziato sotto casa, ubriaco mezzo, che urlava, e spesso mi ci ero ritrovata in quelle situazioni. Lo facevano soltanto i cuori solitari, che vagavano a giro per la città in cerca di qualcuno da amare. Nessuno in particolare, perché dopo un po' ci si stanca di amare una persona e si vuole semplicemente amare.
Riuscii a muovermi solo dopo infiniti minuti, perché non credevo a ciò che vedevo.
Era sotto casa mia, completamente ubriaco, sotto la pioggia. E cantava.
"Quei modi di fare
a nobilitare
ogni tuo comportamento
che sono le sei di mattina
ma è di mattina che soffia il vento
Io sono qui a scrivere ancora
a ridere ancora di me, mentre
un raggio di sole ti sfiora
con le lenzuola appoggiate sul ventre.
Le sei di mattina
e lei di mattina 
metti che mi sta a fianco,
non sono lo scemo di prima
e verso la china su un foglio bianco.
Non faccio questioni di stato
zero emissioni di fiato mentre
quelle altre che m'hanno lasciato
pregano il fatto che muoia per sempre.
Vorrei sapere a cosa stai pensando
ora che hai gli occhi chiusi
e abusi del fatto che sbando
e quel sorriso messo come scudo
bocca dipinta
prendo il rifiuto
scossa di quinta magnitudo."
"Che cazzo stai facendo?" gli urlai, cercando di sovrastare il suono che la pioggia provocava mentre scendeva.
Andai alla porta e aprii, ritrovandomelo davanti in tutta la sua bellezza sconvolgente. Richard.
   
 
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